Reparenting: quanto è efficace?

Buonasera a tutti, come da oggetto, mi farebbe piacere conoscere la vostra opinione in merito alla teoria del "reparenting" e alla sua efficacia.


Sono un trent'enne che soffre di disturbi dissociativi, manifestatisi un paio d'anni.
In età infantile sono stato da sempre vittima di bullismo, in primis in famiglia, e di ostracismo, tramutatisi in età adulta in mobbing aziendale e di abusi da vari professionisti che dovevano, invece, tutelarmi.
Ho subito diversi lutti in famiglia e al lavoro mi viene impedito di fare carriera pur avendo le capacità.
Ho solo avuto una relazione di un paio di anni qualche anno fa con una donna straniera che ha manifestato importanti disturbi dello spettro narcististico.
Prima e dopo di lei non ho mai avuto modo di conoscere altre donne che ricambiassero il mio interesse e, molto di rado, donne di cui io non ricambiassi il loro.


Per quasi un anno ho intrapreso un percorso psicoterapeutico, poi interrotto in quanto inconcludente, ma ho proseguito autonomamente nell'introspezione con le nozioni apprese durante la terapia.
Dopo essermi documentato a lungo, credo di avere un'idea migliore sulle dinamiche di funzionamento della mia mente e degli schemi maladattivi.


Dei vari articoli che ho letto, li ho trovati pressoché tutti concordi nell'affermare che la maggior parte dei disturbi psicologici in età adulta sono dovuti quasi tutti a una scarsa autostima e sono radicati nell'infanzia, in linea con quanto mi è stato detto dalla mia psicoterapeuta.

Ripensando a ciò a cui stava probabilmente mirando quest'ultima, mi è anche parso che l'obiettivo finale di molti percorsi psicoterapeutici sia rendere il paziente "genitore di sé stesso" per colmare le lacune dei genitori durante l'infanzia e "rompere" gli schemi maladattivi generati nel periodo in cui eravano più vulnerabili e "malleabili", assumendo che (presumibilmente) un adulto sia dotato delle conoscenze e degli strumenti atti a prendersi cura di sé stesso.


Ciò che non mi è molto chiaro riguardo al reparenting è, ammesso di raggiungere un elevato grado di consapevolezza riguardo i propri problemi e di riuscire a diventare effettivamente genitori di sé stessi, come possa il reparenting sradicare certi schemi maladattivi, per esempio quelli del dominio del rifiuto.

Un genitore dona sì protezione, amore e comprensione, ma non è (e non può) assolvere il ruolo di amico, né tantomeno di amante, e per quanto si possa diventare indipendenti sublimando nel peggiore dei casi al delirio di onnipotenza, finiremmo a mio avviso solo col rinnegare la nostra natura di "animali sociali" illudendoci di non aver bisogno di nessuno.


Per esperienza personale, l'autoconvinzione aiuta e accettarsi in primis è fondamentale, come anche il rispetto per i propri bisogni, ma finché non si ricevono riscontri positivi anche al di fuori di sé stessi, è un'idea che non attecchisce, un corpo estraneo non assimilato.


Voi cosa ne pensate?


Grazie.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.3k 193
Gentile utente,
sono d'accordo con lei sul fatto che cercare un'indipendenza al di fuori del consesso umano sarebbe "rinnegare la nostra natura di 'animali sociali' illudendoci di non aver bisogno di nessuno".
Chi non è d'accordo con queste affermazioni, paradossalmente, è lei.
Infatti inizia una terapia basata sull'analisi transazionale, non crea un'alleanza terapeutica col suo curante e lascia il percorso perché "inconcludente".
Tuttavia, con un capovolgimento di prospettiva al quale sembra essere avvezzo, "ho proseguito autonomamente nell'introspezione con le nozioni apprese durante la terapia".
La contraddizione le sfugge? A quanto pare sì, tanto che ora chiede a noi di ridefinire il reparenting e la sua utilità terapeutica, che visibilmente non ha compreso, né poteva davvero comprendere per sola via razionale, ma solo in un paziente percorso che comporta la relazione con un altro essere umano e i vari esercizi guidati, anche dolorosi, compreso quello a tollerare, gestire, rimodellare il rifiuto.
Le riporto una definizione comune: "Il reparenting è una tecnica che ci permette di creare una figura genitoriale interna più accogliente di quelle avute e serve a favorire l'autonomia personale, migliorare la qualità delle relazioni e non gravare su altre persone".
Il "padre" o la "madre" interiore non è un amico e non è un amante, consiste nella capacità di guardare prima di tutto sé stessi, poi gli altri, con apertura e benevolenza, permettendoci di sbagliare, ma anche consentirci di osare cose mai pensate, e in generale di goderci la vita.
Questo manca in un adulto che è stato un bambino maltrattato. Gli schemi maladattivi, che tutte le terapie in vario modo si propongono di ristrutturare, hanno l'enorme resistenza della paura infantile che a suo tempo li ha generati.
La ristrutturazione si ottiene, se si è disposti al cambiamento, attraverso la terapia, unico luogo protetto dove l'altro non ci attacca, non ci giudica, anzi vuole aiutarci, facendoci sperimentare possibilità nuove, scoprire nuovi diritti e nuove capacità di resistenza alle avversità.
Pretendere, come lei fa, di ricevere "riscontri positivi anche al di fuori di sé stessi" da persone non deputate a curare le sue debolezze (sul lavoro, in famiglia, con gli amici e i partner) è proprio rimanere nell'ostinazione del bambino che voleva a tutti i costi essere amato ed essere protetto e ha bisogno di GRAVARE su altre persone (giusta la definizione qui sopra) per credere legittimo il suo giudizio positivo su di sé.
Esca dall'isolamento - o dal 'delirio di onnipotenza'- che si autoimpone per paura, e torni dalla sua terapeuta.
Ci tenga al corrente. Auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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