La sua migliore amica è la donna di cui fu innamorato perso ma con cui non è mai stato. Che fare?
Il rapporto è molto equilibrato e basato sulla lealtà, fiducia, libertà e rispetto profondo.
Il dialogo fra noi è un buon punto di forza.
Tanto che siamo stati onesti e ci siamo raccontati anche quelle cose che a volte si sceglie di omettere.
All’inizio della relazione lui mi raccontò della sua precedente convivenza, durata 4 anni e finita molto male ma mi raccontò anche della sua più cara amica.
Tale ultima, una ragazza conosciuta 17 anni prima di cui si era innamorato perdutamente ma la quale, se pur a conoscenza di tale sentimento, non lo ricambiava del tutto poiché si sentiva confusa in quanto aveva già iniziato a frequentare qualcuno che le piaceva molto.
Quando poi lei andò a vivere con l’attuale partner, il mio compagno decise che si sarebbe accontentato della sua amicizia pur di averla nella sua vita.
Così sono amici stretti da allora.
Si sentono spesso anche se si vedono molto poco.
Lui condivide con lei le cose importanti che gli capitano.
Lei molto meno ma è comunque più o meno affettuosa.
Gli ho parlato e gli ho chiesto se fosse sicuro di non esserne ancora innamorato in qualche modo.
Mi ha risposto di no e che quel sentimento, nel tempo, si è trasformato in amicizia.
Io però, anche se il loro rapporto è comunque equilibrato, le poche volte in cui usciamo insieme in 4, (è sempre il mio compagno ad inseguire anzi quasi elemosinare l’organizzazione di tali incontri), mi sento messa in secondo piano perché in tali occasioni lui è tutto preso dal conversare unicamente con lei, dato che non si vedono quasi mai da soli.
A volte vorrei mi stesse antipatica o vorrei attribuirle qualche mancanza di rispetto.
Ma lei è sempre estremamente dolce con tutti e con me; molto simpatica e gentile.
È una persona elegante, eclettica, carismatica, realizzata professionalmente ed è molto molto bella.
Tutti coloro che la conoscono ne restano ammaliati, per questo cattura molto l’attenzione e spesso tiene banco pur non essendo affatto egocentrica ma anzi molto discreta ed educata.
Non sono una persona insicura.
Anzi!
Conosco i miei valori ma da quando so che lui era innamoratissimo di lei e che questo amore non si è mai consumato, beh, non posso fare a meno di domandarmi cosa accadrebbe se lei, magari a seguito della rottura col suo partner, decidesse di dare una possibilità al mio compagno.
Lo manderebbe in crisi?
Chiedendo a lui, la risposta è:
no, perché tra me e lei il treno è ormai passato.
Non pretendo di avere la risposta qui, ma le domande che pongo sono le seguenti:
1. Dato che mi sento a disagio durante gli incontri con lei, è giusto che io prenda la posizione di non esser presente a tali incontri?
(Di fatto limitando i loro incontri poiché senza la mia presenza avrebbero pressoché limitate possibilità di vedersi).
2. Che consiglio avreste da offrirmi in merito a tutta la vicenda?
Grazie!
Il comportamento che descrive non sembra rappresentare una condizione patologica od a rischio, possiamo avere ed avremo rispetto per la sua richiesta tuttavia questo non credo sia il posto adeguato per parlare di un simile argomento; una scienza come la Psicologia non si preoccupa di dire cosa fare, si limita a spiegare i nessi causali, se questo quindi quest'altro, mentre le scelte continuano a spettare alle persone, e non potrebbe essere altrimenti.
D'altronde sarebbe rischioso per noi esporci e causare in lei una decisione al posto di un altra senza conoscere davvero bene la situazione; l'unica cosa che posso dirle è che in genere non deve temere di pretendere dal suo partner che ascolti le sue convinzioni, ovvero se questa situazione l'ha fatta arrivare a temere allora dovrebbe parlarne prendendosi la responsabilità di come lui reagirebbe nel bene o nel male, quindi "correggere" la rotta di conseguenza e così via fino ad addivenire ad una situazione per lei più sostenibile
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Tuttavia le chiedo, quale o quali potrebbero essere i processi emotivi che mi spingono a provare quel disagio durante i nostri incontri con questa donna? E quali quelli che spingono il mio compagno a rincorrere questi incontri, anche quando dall’altra parte viene mostrato interesse minore nello svolgersi di tali incontri?
Posso aggiungere un particolare.
Tre settimane fa ci saremmo dovuti vedere per andare a mangiare del sushi, lei ha modificato l’incontro, proponendo il cinema e lui ci è rimasto molto male poiché in tale seconda situazione non avrebbe potuto conversare con lei.
Di conseguenza io son rimasta male poiché (per me) andare al cinema con degli amici è una cosa molto normale. Poco equilibrato mi pare invece tenere il broncio per una cosa del genere, come ha fatto lui per diverse ore prima,durante e dopo la serata.
Grazie ancora.
Cosa spinga il suo compagno è oscuro per noi, non conoscendolo, ma volendo provare a gettare le basi per una vostra futura conversazione sull'argomento allora direi: quest'uomo ha una forte necessità di conversare con questa donna, ovvero parlandole riceve un qualcosa di cui percepisce di avere grande bisogno, od alternativamente c'è qualcosa che ha e non vuole, tipo fardello da confessare ad esempio (ma sottolineo essere solo un esempio!) e quindi agendo così se ne "libera"; può essere anche una combinazione delle due cose
Un altro aspetto su cui dovrete discutere è la ripetizione: in Psicologia, uno degli elementi più interessanti della sua spiegazione è che quest'uomo ripete, ovvero rifà; questo indica che la situazione che "c'è sotto" è costante in qualche modo, magari un malessere che deve sempre trovare sfogo oppure una ricerca di qualcosa di cui si ha sempre bisogno
Questi sono argomenti che potrebbero aiutarla ad impostare una discussione, per il resto le consiglio di rivolgersi ad uno Psicologo, magari consultando stesso quelli presenti qui su Medicitalia, in fin dei conti può valere la pena anche solo qualche confronto per essere sicuri piuttosto che pentiti
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Purtroppo temo di non aver compreso molto bene cosa intende con:
c'è qualcosa che ha e non vuole, tipo fardello da confessare ad esempio (ma sottolineo essere solo un esempio!) e quindi agendo così se ne "libera"
Non ho ben compreso neanche questo concetto:
in Psicologia, uno degli elementi più interessanti della sua spiegazione è che quest'uomo ripete, ovvero rifà; questo indica che la situazione che "c'è sotto" è costante in qualche modo, magari un malessere che deve sempre trovare sfogo oppure una ricerca di qualcosa di cui si ha sempre bisogno .
Grazie comunque per l’attenzione. Cercherò di riflettere almeno su di me. Anche se personalmente non sentirei di equiparare il disagio che provo ad una mera forma di gelosia. Percepisco questa interpretazione più come una minimizzazione di ciò che vivo in quella circostanza in cui più che altro sento che c’è qualcosa di dissonante, qualcosa di non equilibrato, di non lineare, un qualcosa di difforme rispetto alle mie credenze circa la nostra relazione e circa la verità.
Grazie ancora e buon lavoro.
Quando qualcuno fa qualcosa una sola volta, ad esempio urla al bancone del macellaio, in generale, non è possibile comprendere il perché l'abbia fatto: quell'unica volta non implica una legge certa, infatti può essere successo tutto per caso, può essere avvenuto per effetto di qualcosa di passeggero, ad esempio potrebbe proprio in quel momento essersi fatto male ad un piede mentre era lì e quindi ha urlato, può essere stato il macellaio ad averlo chiesto, magari stavano girando una pubblicità e quindi era nel copione, et cetera; in altre parole, se lei vede una cosa una volta sola, non può sperare di sapere perché è avvenuta né essere sicura di rivedere la stessa scena la prossima volta al bancone dello stesso macellaio
Ora: riflettevo sul fatto che quest'uomo continuamente cerca questa altra donna per parlarle, quindi non è un fenomeno spurio che può dipendere dal caso bensì ci dev'essere una ragione; ciò premesso, cosa potrebbe motivare a comportarsi così? A questo punto suggerivo che magari parlare con questa donna sta esaurendo, risolvendo, soddisfacendo un bisogno che non trova mai pace; in alternativa, magari al contrario qualcosa richiede costantemente di essere "scaricato", come quando ci si deve sfogare per qualcosa. In altre parole, dal fatto che la ricerca di questa altra donna è costante ho dedotto che c'è qualcosa di altrettanto costante ad alimentare tale ricerca, appunto un bisogno di qualche genere
C'è anche il rovescio della medaglia: ad essere continuo è anche il suo personale snervarsi per la situazione che si ripete. Per uscirne bisogna parlarne per riflettere sul perché fate quel che fate, che bisogni avete, cosa state cercando di ottenere
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In effetti per ciò che concerne me, sento semplicemente che quella situazione mi crea disagio e ciò che cerco è l’eliminazione di tale disagio.
Se non mi trovo in quella situazione, non percepisco alcun tipo di disagio.
Lei ritiene che evitare quella situazione, quindi lasciare che si vedano quando possono loro due possa considerarsi sano? Oppure possa essere un gesto egoistico mio?
Di fatto se non presenziassi io a questi incontri a 4, loro avrebbero rarissime occasioni per vedersi.
D’altra parte non so se sia sano per me forzarmi a sopportare una circostanza che all’atto pratico mi crea disordine e incertezza.
Il mio pensiero è più o meno questo: se vuole, che la veda da solo perché a me non piace stare con loro in quella circostanza.
È giusto che io mi forzi? La risposta che mi do è: no.
Però poi sono mossa dai sensi di colpa perché così lui di fatto la vedrebbe poco. Tuttavia se hanno poche occasioni per vedersi perché mai dovrei farmene carico io?
Ciò che cerca lui invece non posso saperlo ed oltre che chiedergli non posso fare.
Un campanello dentro di me però mi dice che se lei per una ragione o per un’altra volesse stare con lui, lui andrebbe in crisi.
In ogni caso, noto in lei un tentativo di negare la gelosia: noto che permettere al suo amante di vedere l'altra in un'uscita da soli è per lei un gesto egoistico; per confronto, di solito una donna andrebbe su tutte le furie se il suo uomo andasse con un'altra ad un appuntamento in cui stiano solo loro e sapendo che ci sono stati pure dei trascorsi
Cosa le fa pensare che se lei volesse stare con lui, lui andrebbe in crisi? E come pensa che poi si risolverebbe, detta crisi?
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No, in realtà, come ho scritto, per me il gesto egoistico sarebbe rifiutarmi di presenziare agli incontri tra noi 4 che mi mettono nella situazione di disagio, poiché questo causerebbe il fatto che lui non avrebbe occasioni di vederla.
Io non vado su tutte le furie poiché per me un’amicizia uomo/donna non è mai stato un problema.
Il mio ex partner frequentava abitualmente la sua ex moglie.
Il mio attuale compagno ha occasioni di vedere anche senza di me donne con cui in passato è stato a letto. Sono certa che siano amiche e nulla più.
Credo di possedere un’onestà intellettuale abbastanza matura da non provare gelosia.
Come dicevo, in questo caso, quel sentimento/attrazione fra loro non è stato consumato e mi domando semplicemente se sia normale o patologico il rapporto che il mio partner ricerca con questa donna o anche se ne sia in fondo o anche inconsciamente ancora innamorato.
Se andasse in crisi lo lascerei ovviamente.
Vorrei capire se è giusto che io mi sottragga a quegli incontri che mi causano disagio così invece questo mio rifiutarmi eventuale rappresenta una condizione patologica.
Grazie molte.
il bisogno è patologico;
se è patologica la modalità con cui si soddisfa;
una qualunque combinazione delle due (ad esempio il bisogno potrebbe essere sano ma la modalità patologica, o viceversa)
Questo però non è deducibile da quel che sappiamo, e soprattutto sarebbe scorretto da parte nostra riferire a lei un commento sul comportamento di altri; si tollerano eccezioni in caso ad esempio di bambini, o di disabili, che non possono affrontare da loro la questione e quindi qualcuno intercede, ma in questo caso non si può fare eccezione e non possiamo parlare a lei del suo partner (che peraltro non abbiamo potuto conoscere direttamente)
Gli unici commenti legittimi che possiamo fare riguardano lei; su questo, ritengo che lei possa trovare una certa utilità nell'affrontare il discorso con un professionista in quanto tende ad evadere sia l'argomento gelosia, che non è sano non avere affatto, sia l'argomento "parlarne apertamente con lui". Questa nostra discussione può avere senso e legittimità solo se c'è una parte di lei disposta ad approfondire queste cose che la riguardano personalmente. Non è obbligatorio che ne debbano uscire fuori patologie o chissà cosa, non si preoccupi; si metta a disposizione e potrà superare al meglio questo momento delicato
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È giusto che io mi astenga dal presenziare a tali incontri pur sapendo che ciò comporterebbe il fatto che loro abbiano meno occasione di vedersi? Oppure è sbagliato?
Parlo quindi di ne è per me, non di lui.
Grazie
Conosco la gelosia ma le garantisco che non è questo il caso. Il mio non è un non rendermi disponibile è una consapevolezza molto intima.
Sento più che altro che il comportamento del mio partner sia strano in questa precisa fattispecie.
Non mi fa paura analizzarmi anche perché sono stata paziente di diversi psicoanalisti nel tempo e conosco i benefici della terapia quanto della analisi, quindi non si tratta di reticenza da parte mia.
Per quanto riguarda lui, aborre alla sola idea di confrontarsi con uno specialista. Ovviamente gli ho chiesto sia questo che spiegazioni circa la vicenda e le ho chiarito in che maniera mi ha risposto.
Grazie.
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Esempio:
Lei ha tutto il diritto di scegliere di non presenziare per se stessa, non si faccia problemi per gli altri, i quali agiranno come meglio preferiscono
Se il suo compagno vuole vedere questa donna ma a lei mette a disagio esser presente, poiché i due, senza di lei si vedrebbero quasi nulla, cerchi di impegnarsi a capire come fare per superare il suo problema di disagio e consentir loro di vedersi
In sostanza vorrei capire se in una relazione sana è normale che io non voglia esser presente perché la situazione a me non piace (e non per una questione di gelosia ma perché in quella circostanza specifica sento qualcosa di storto che credo debba risolversi lui e non debba risolvergli io).
Lui è estremamente reticente alla psicoterapia e nel dialogo con me, ha più volte detto che per lui è solo la sua più cara amica poiché il treno per loro ormai è già passato e non potrebbe esserci altro oltre l’amicizia.
Di fatto però lei fa a meno di lui e lui elemosina queste uscite a 4.
Non è che io poi mi metta lì a zainetto a chiedergli ossessivamente spiegazioni. Detto tre volte in questi due anni, basta! La sua risposta è stata la stessa! Allora o cambio io approccio e smetto di uscire con loro 3 o, visto che per lui gli psicoterapeuti sono aria fritta (io invece sono stata in terapia diverse volte ed anche per lunghi periodi nella mia vita) e non posso costringerlo a consultare un terapeuta, devo assecondarlo.
Ma quest’ultima ipotesi porterebbe me stessa nella condizione in cui io debba forzarmi e questo non mi sta bene ovviamente.
Se gli dico che non sarò più presente a tali incontri, non è che impazzisce ma si abbatte veramente molto, facendomi sentire tremendamente in colpa del fatto che a causa della mia sottrazione, loro non hanno più modo di vedersi (che tradotto sarebbe, lui non ho più modo di vederla, perché a lei, non è che freghi più di tanto).
Vorrei un consiglio di un terapeuta che mi aiuti a capire se il mio volermi sottrarre può essere accettato come comportamento sano, in questa situazione.
Grazie.
Ciò premesso, mi limito a notare che la situazione la mette in un disagio che lei stessa non riesce a mettere a fuoco (non è la prima volta che descrive le sue sensazioni in modo vago, "sento qualcosa di storto" dice); sicuramente è questo il motivo per cui ancora non ha preso una decisione, ovvero non riuscendo a realizzare per bene cosa la infastidisce e perché, non riesce ad essere sicura della decisione da prendere; fa parte del gioco chiedere ad altri, sembra un tentativo della sua psiche di allontanare definitivamente il problema spostandone la responsabilità ad altri
Faccio al meglio il mio lavoro quindi andando a frustrare questo suo tentativo di far decidere ad altri; parlare con uno psicologo la aiuterà a prendere lei la decisione focalizzandola su cosa davvero le causa questo disagio, da dove deriva e, di converso, come uscirne. Ovviamente in questo caso intendo dire che ci deve parlare in altra sede, viso a viso oppure, se online, in una seduta e non in chat
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Rileggendo attentamente, le ho chiesto se il mio scegliere di non presenziare possa definirsi normale .
Quindi ritengo sia una sua personale interpretazione quella di attribuire a me la richiesta da parte mia di dirmi cosa devo o non devo fare.
Il mio disagio è pienamente a fuoco, percepisco qualcosa di stonato, nella loro modalità di interazione e NON nel mio disagio.
Cosa ci sia di storto all’interno della psiche del mio compagno non posso saperlo ovviamente.
Ed è questa unica struttura che mi riferivo.
Il cervello umano è in grado di percepire qualcosa che non va in una situazione esterna a se stesso e non per questo però è in grado di far risposte.
(Vd Erich Fromm ad esempio)
Quanto agli incontri online con psicoterapeuti non sono affatto d’accordo. Piattaforme come Unobravo, Serenis o altre non solo non tutelano il cliente poiché non rispondono ad alcuna richiesta tecnica (ad esempio se dopo l’incontro gratuito e io secondo incontro a pagamento si chiede di cambiare psicoterapeuta perché quello con cui si ha avuto a che fare si percepisce sia troppo inesperto, nemmeno si ottiene risposta) ma sviliscono completamente la professione, mercificano la salute mentale che non è in alcun modo mercificabile. Infatti ti vien chiesto di completare dei moduli con delle domande. La mente umana è così complessa che quattro domandine impilate insieme rappresentano davvero un ossimoro.
I protocolli vanno bene per descrivere magari per somme linee ciò che è utile a creare classificazioni, come il DSM5 od altre, che servono agli addetti ai lavori per avere dei vagli punti di riferimento ma non certo per poi creare il profilo di un paziente. Non si può non dimenticare che ogni cervello è unico, che ogni paziente lo è ed è totalmente diverso da tutti gli altri. Personalmente ho trovato molto inaffidabile questo tipo di svolgimento della professione in quanto la maggior parte delle psicoterapeute con cui ho interagito non aveva neanche nozioni basilari che vanno ben oltre i libri che la facoltà di psicologia impone di studiare.
Gli psicoterapeuti bravi sono veramente delle mosche rare; sono coloro che studiano per passione e che hanno curiosità circa ciò che studiano e complementari come la filosofia, l antropologia, le neuroscienze etc etc etc.
Sono stata in terapia diverse volte da professionisti eccellenti, mi creda, se ritenessi che questo mio disagio mi ritrasse più attenzione di questa semplice domanda, sarei già sdraiata sul lettino.
Lei è comunque stato molto gentile a rispondere puntualmente. La ringrazio ancora e le porgo i miei saluti.
Anche rileggendo attentamente, non le ho chiesto cosa devo fare, le ho chiesto se il mio scegliere di non presenziare possa definirsi normale .
Quindi ritengo sia una sua personale interpretazione quella di attribuire a me la richiesta da parte mia di dirmi cosa devo o non devo fare.
Il mio disagio è pienamente a fuoco, percepisco qualcosa di stonato, nella loro modalità di interazione e NON nel mio disagio.
Cosa ci sia di storto all’interno della psiche del mio compagno non posso saperlo ovviamente.
Ed è questa unica stortura quella cui mi riferivo.
Il cervello umano è in grado di percepire qualcosa che non va in una situazione esterna a se stesso e non per questo però è in grado di dar risposte sul cosa, non essendone attore ma solo osservatore esterno.
(Vd Erich Fromm ad esempio)
Quanto agli incontri online con psicoterapeuti, non sono affatto d’accordo. Piattaforme come Unobravo, Serenis o altre non solo non tutelano il cliente poiché non rispondono ad alcuna richiesta tecnica (ad esempio se dopo l’incontro gratuito e il secondo incontro a pagamento si chiede di cambiare psicoterapeuta perché quello con cui si ha avuto a che fare si percepisce sia troppo inesperto, nemmeno si ottiene risposta è sì viene abbandonati) ma sviliscono completamente la professione, mercificano la salute mentale che non è in alcun modo mercificabile. Infatti ti vien chiesto di completare dei moduli con delle domande. La mente umana è così complessa che quattro domandine impilate insieme rappresentano davvero un ossimoro.
I protocolli vanno bene per descrivere magari per somme linee ciò che è utile a creare classificazioni, come il DSM5 od altre, che servono agli addetti ai lavori per avere dei vaghi punti di riferimento ma non certo per poi creare il profilo di un paziente. Non si può non dimenticare che ogni cervello è unico, che ogni paziente lo è ed è totalmente diverso da tutti gli altri e che merita un’estrema attenzione.
Personalmente ho trovato molto inaffidabile questo tipo di svolgimento della professione in quanto la maggior parte delle psicoterapeute con cui ho interagito non aveva neanche nozioni basilari che vanno ben oltre i libri che la facoltà di psicologia impone di studiare.
Gli psicoterapeuti bravi sono veramente delle prtle rare, mosche bianche, sono coloro che studiano mossi da irrefrenabile passione e che hanno curiosità circa ciò che studiano e complementari come la filosofia, l antropologia, le neuroscienze etc etc etc.
Sono stata in terapia diverse volte da professionisti eccellenti, mi creda, se ritenessi che questo mio disagio meritasse più attenzione di questa semplice domanda posta su un consulto online, sarei già sdraiata su un lettino.
Lei è comunque stato molto gentile a rispondere puntualmente. La ringrazio ancora tanto e le porgo i miei saluti.
Lei non è nella posizione di poter giudicare la qualità di uno psicologo, qualunque disaccordo sia esistito tra lei ed i professionisti a cui si è rivolta possono essere addebitati a loro quanto a lei in persona; anche io ho potuto notare delle criticità nelle sue richieste, a cui ha dato seguito in modo non sempre costruttivo; in questo contesto è importante non riconoscere mai una responsabilità individuale, se tra le parti non ci si capisce è sempre per via di tutte le parti in causa e di come si sono combinate, insomma è anche una questione di contesto
Sono dispiaciuto che la nostra conversazione non sia addivenuta ad una conclusione per lei soddisfacente; dal mio punto di vista se qualcuno chiede se il suo comportamento è normale o meno lo fa perché su tale etichetta compirà delle scelte (o sarebbe inutile anche solo parlarne), e questo porta in ogni caso alla risposta che le ho dato precedentemente, ovvero che da noi non può partire un simile giudizio "in generale". Non sa lei cosa "Cosa ci sia di storto all’interno della psiche del [suo] compagno" e di certo non lo possiamo sapere noi che non abbiamo potuto consultarlo
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Lei non è nella posizione di poter giudicare la qualità di uno psicologo è un suo parere, opinabile.
Se uno psicoterapeuta, ad esempio, inizia a parlarmi di un paziente che ho incrociato poco prima in sala d’attesa, raccontandomi i particolari di quanto gli ha confidato, scappo a gambe levate e asserisco con fermezza che non è un professionista serio.
Se in una seduta online, la giovanissima psicologa non sa cosa sia la dissonanza cognitiva (che mi era stata diagnosticata da un precedente
terapeuta che ahimè venne meno causa malattia), posso asserire che per me non è certo una professionista preparata; se un’altra mi viene a dire che le neuroscienze sono considerate alla stregua della cartomanzia posso fermamente esprimere che un’accusa simile sia descrittiva, non solo di incompetenza, quanto di un’ignoranza barbina, se non ci si prende neanche la briga di seguire riviste scientifiche accreditate e relative pubblicazioni.
Per quanto riguarda una mia presunta reticenza a voler ascoltare il parere di uno psicoterapeuta, questo non lo credo, poiché, come le ho spiegato, più volte ho tratto grande beneficio dalle terapie seguite, anche per lungo tempo.
Probabilmente spesso in questi miei scritti in questa fattispecie non mi sono spiegata bene e sono io dispiaciuta, tuttavia non mi pare di aver mai affermato che nella modalità del mio compagno di rincorrer quella relazione ci sia incontrovertibilmente qualcosa di storto, ma ho affermato che si tratta di una mia forte sensazione.
Non posso accondiscendere all’idea di un terapeuta quando sento dal profondo che quell’idea non è corretta, probabilmente perché ha male inteso cosa tentavo di dire o, ancora più probabilmente sono io ad essermi mal espressa.
Non si dispiaccia, questa chiacchierata mi è stata enormemente utile e la ringrazio ancora per tutto il tempo che mi ha dedicato.
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Questo sta diventando piuttosto un dibattito su un punto di vista che non ha a che fare col mio quesito ed in effetti non è la sede appropriata, la presente.
anche io però ritengo che ci siano cose che non possono essere lasciate senza risposta.
Lei, come me, anche non detiene la verità in lrimid perché e non conosce il mio tipo di studi che invece e che è piuttosto inerente al pensiero a all’amore per il sapere.
Nel mio campo professionale fior fior di filosofi e psichiatri noti han ben enunciato che l’idea di presunzione di non conoscenza e di presunzione di non competenza prescindano dal tipo di studio svolto o addirittura di grado di istruzione.
Pertanto, tradotto, valutare idoneo un professionista, un soggetto debba essere esperto in quella specifica professione. Asserendo il contrario smentirebbe le idee di Jung, ad esempio.
Non ho studiato personalmente la dissonanza cognitiva ma ricordo che il mio psicoterapeuta, psichiatra e neuroscienziato mi scrisse, e conservo ancora il referto medico: Diagnosi di stato di dissonanza cognitiva generalizzata .
Per dissonanza cognitiva intendeva la teoria patologica postulata da Festinger, intorno al 1957.
L’approccio cognitivo comportamentale sovviene almeno un ventennio dopo, tra gli anni 70 e 80.
La psicologa in questione non era stata consultata per risolvermi la dissonanza cognitiva, risoltami dal professore, anni prima attraverso analisi e farmaci, necessari. Le avevo semplicemente parlato della questione. Ma mi creda, per una persona della mia età e con un’esperienza come la mia (che lei non conosce), è difficile trovare determinate strutture in giovani psicologi. Non nego che possano esistere ma credo e ne ho tutto il diritto finché siamo in democrazia, di pensare che siano mosche bianche.
Mi perdoni ma l’offesa parte, a parer mio, parte da Lei che insinua una mia presunta fragile posizione circa una mia idea.
Non continuerò oltre perché potrei essere a quel punto offensiva, come affermava lei po anzi ed invece no perché me ne dispiacerei.
La saluto cordialmente.
Questo sta diventando piuttosto un dibattito su un punto di vista che non ha a che fare col mio quesito ed in effetti non è la sede appropriata, la presente.
Anche io però ritengo che ci siano cose che non possono essere lasciate senza risposta.
Anche Lei, come me, non detiene la verità in tasca perché 1, non conosce il mio tipo di studi che i è piuttosto inerente al pensiero a all’amore per il sapere; 2, mio campo professionale, fior fior di filosofi e psichiatri noti han ben enunciato che l’idea di presunzione di non conoscenza e di presunzione di non competenza prescindano dal tipo di studio svolto o addirittura di grado di istruzione.
Tradotto, vuol dire che non è una condicio sine qua, non essere un professionista nella medesima professione di colui su cui ci si sta facendo un’idea, per poter formulare il proprio pensiero su di esso.
Asserendo il contrario, smentirebbe le idee di Jung, ad esempio.
Non ho studiato personalmente la dissonanza cognitiva ma ricordo che il mio psicoterapeuta, psichiatra e neuroscienziato mi scrisse, e conservo ancora il referto medico: Diagnosi di stato di dissonanza cognitiva generalizzata .
Intendendo per dissonanza cognitiva la teoria patologica postulata da Festinger, intorno al 1957.
L’approccio cognitivo comportamentale sovviene almeno un ventennio dopo, tra gli anni 70 e 80.
La psicologa in questione non era stata consultata per risolvermi la dissonanza cognitiva, risoltami dal Profesdore cui ero in cura anni addietro attraverso analisi e i farmaci necessari. Le avevo semplicemente parlato della questione. Ma mi creda, per una persona della mia età e con un’esperienza come la mia (che lei non conosce), è difficile trovare determinate strutture in giovani psicologi. Non nego che possano esistere ma credo, e ne ho tutto il diritto finché siamo in democrazia, di pensare che siano queste mosche bianche.
Mi perdoni ma l’offesa, a parer mio, parte da Lei che insinua una mia presunta fragile posizione circa una mia idea.
Non continuerò oltre perché potrei essere a quel punto io offensiva, come affermava lei pocanzi ed invece no perché me ne dispiacerei.
La saluto cordialmente.
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