Mio marito ha raptus abbandonici
Buonasera,
Sono sposata con un uomo divorziato, padre di 2 gemelle maggiorenni.
Io non ho figli.
Siamo in coppia da 3 anni, ne abbiamo entrambi 47.
La nostra relazione é fluida, profonda, arricchente: abbiamo gli stessi valori, ci amiamo e coltiviamo entrambi comunicazione, rispetto e condivisione.
Viviamo in Belgio (lui é belga) ed abbiamo da poco comprato casa insieme.
Per ora ci vivo solo io a tempo pieno: per ora lui ha tenuto casa sua, più pratica per le figlie, che sono in custodia condivisa e che stanno finendo il liceo, ed é con me la settimana in cui loro sono con la madre.
La vendita di questa casa é prevista in estate, dopodiché coabiteremo finalmente in pianta stabile (preciso che sono io ad aver preferito questa soluzione, perché la casa dove lui vive attualmente era la dimora familiare, le figlie hanno le loro abitudini, ed io temevo di sentirmi ospite).
Come tutti i 18enni qui in Belgio, dopo la maturità le ragazze usciranno di casa per continuare gli studi in città.
Saranno quindi da noi occasionalmente, nei weekend e durante una parte delle vacanze.
Quest'uomo gentile, affidabile, razionale ed affettuoso, che tutti stimano (ha un lavoro di grande responsabilità) e reputano una roccia, ha raptus abbandonici violenti, che già in passato, per 2 volte, l'hanno portato a chiudere all'improvviso la nostra relazione, che fino a quel momento procedeva serena, tagliando di colpo tutti i ponti.
Entrambe le volte, lo stesso schema: rottura scatenata da episodi minori, sempre in relazione alla sua famiglia (che ha dinamiche quasi simbiotiche, ed in cui io - rifiutandomi di farmi fagocitare - ho faticato a trovare il mio posto).
La prima volta, per un sms (calmo ed educato) in cui ho gli fatto un'osservazione sulla sorella, mi ha accusata di volerlo allontanare dalla sua famiglia e di non poterlo tollerare.
Eclissatosi senza lasciarmi la possibilità di esprimermi, é tornato dopo un mese e mezzo.
Dopo la seconda rottura, ha fatto un percorso psicologico durato 10 mesi, che lo ha aiutato a capire il suo malessere ed a trovare in sé le risorse per far fronte al démone interno che si risveglia in lui in quei momenti.
Vedendolo più sereno e consapevole, mi sono fidata e l'ho riaccolto.
Non pensavo succedesse ancora.
Invece, dopo soli 4 mesi di matrimonio (felice, anche a detta sua), 3 giorni fa lui mi ha annunciato che si vuole separare, pur amandomi.
La ragione?
Teme che la nostra relazione metta a rischio il suo rapporto con le figlie, con cui io ho un rapporto gentile ma non intimo (ammetto di voler tenere un po' le distanze, dati i precedenti).
Ha paura che loro non si trovino bene quando verranno da noi e che quindi le possa perdere.
L'ho rassicurato sulla mia volontà di accoglienza nei confronti delle ragazze, ma a nulla é valso: in questi momenti, é invaso da un malessere fortissimo che lo rende irrazionale.
Vorrei chiedergli di darci del tempo per riflettere e non fare scelte avventate, ma ho paura per il mio matrimonio...
Sono sposata con un uomo divorziato, padre di 2 gemelle maggiorenni.
Io non ho figli.
Siamo in coppia da 3 anni, ne abbiamo entrambi 47.
La nostra relazione é fluida, profonda, arricchente: abbiamo gli stessi valori, ci amiamo e coltiviamo entrambi comunicazione, rispetto e condivisione.
Viviamo in Belgio (lui é belga) ed abbiamo da poco comprato casa insieme.
Per ora ci vivo solo io a tempo pieno: per ora lui ha tenuto casa sua, più pratica per le figlie, che sono in custodia condivisa e che stanno finendo il liceo, ed é con me la settimana in cui loro sono con la madre.
La vendita di questa casa é prevista in estate, dopodiché coabiteremo finalmente in pianta stabile (preciso che sono io ad aver preferito questa soluzione, perché la casa dove lui vive attualmente era la dimora familiare, le figlie hanno le loro abitudini, ed io temevo di sentirmi ospite).
Come tutti i 18enni qui in Belgio, dopo la maturità le ragazze usciranno di casa per continuare gli studi in città.
Saranno quindi da noi occasionalmente, nei weekend e durante una parte delle vacanze.
Quest'uomo gentile, affidabile, razionale ed affettuoso, che tutti stimano (ha un lavoro di grande responsabilità) e reputano una roccia, ha raptus abbandonici violenti, che già in passato, per 2 volte, l'hanno portato a chiudere all'improvviso la nostra relazione, che fino a quel momento procedeva serena, tagliando di colpo tutti i ponti.
Entrambe le volte, lo stesso schema: rottura scatenata da episodi minori, sempre in relazione alla sua famiglia (che ha dinamiche quasi simbiotiche, ed in cui io - rifiutandomi di farmi fagocitare - ho faticato a trovare il mio posto).
La prima volta, per un sms (calmo ed educato) in cui ho gli fatto un'osservazione sulla sorella, mi ha accusata di volerlo allontanare dalla sua famiglia e di non poterlo tollerare.
Eclissatosi senza lasciarmi la possibilità di esprimermi, é tornato dopo un mese e mezzo.
Dopo la seconda rottura, ha fatto un percorso psicologico durato 10 mesi, che lo ha aiutato a capire il suo malessere ed a trovare in sé le risorse per far fronte al démone interno che si risveglia in lui in quei momenti.
Vedendolo più sereno e consapevole, mi sono fidata e l'ho riaccolto.
Non pensavo succedesse ancora.
Invece, dopo soli 4 mesi di matrimonio (felice, anche a detta sua), 3 giorni fa lui mi ha annunciato che si vuole separare, pur amandomi.
La ragione?
Teme che la nostra relazione metta a rischio il suo rapporto con le figlie, con cui io ho un rapporto gentile ma non intimo (ammetto di voler tenere un po' le distanze, dati i precedenti).
Ha paura che loro non si trovino bene quando verranno da noi e che quindi le possa perdere.
L'ho rassicurato sulla mia volontà di accoglienza nei confronti delle ragazze, ma a nulla é valso: in questi momenti, é invaso da un malessere fortissimo che lo rende irrazionale.
Vorrei chiedergli di darci del tempo per riflettere e non fare scelte avventate, ma ho paura per il mio matrimonio...
[#1]
Buonasera,
Se ha potuto constatare che suo marito ha un malessere di carattere psicologico, avrà ben compreso che la specifica azione da lei agita (es. osservazione sulla sorella) ed il comportamento che verrà non hanno una relazione che possiamo sperare di capire senza approfondimenti, che coinvolgono lui e non lei, però ne subisce le conseguenze. Mi confermi se ho individuato il punto
In queste situazioni non è possibile agire sull'altra persona, se non al più continuando a fare informazione e spingendo per richiedere un consulto con un professionista; la problematica che lei riporta di suo marito potrebbe non essere stata affrontata a sufficienza nei 10 mesi di terapia, può provare ad intervenire anche lei nel percorso tramutando la terapia individuale in terapia di coppia, o di famiglia. In effetti, se lui ritiene siano le figlie ad avere un problema, una terapia familiare è ideale perché nel contesto terapeutico vi sarebbe possibile comprendere i problemi partendo dalle evidenze di ciò che accade tra di voi, dunque capendo meglio da cosa derivano veramente le cause di litigio
Se ha potuto constatare che suo marito ha un malessere di carattere psicologico, avrà ben compreso che la specifica azione da lei agita (es. osservazione sulla sorella) ed il comportamento che verrà non hanno una relazione che possiamo sperare di capire senza approfondimenti, che coinvolgono lui e non lei, però ne subisce le conseguenze. Mi confermi se ho individuato il punto
In queste situazioni non è possibile agire sull'altra persona, se non al più continuando a fare informazione e spingendo per richiedere un consulto con un professionista; la problematica che lei riporta di suo marito potrebbe non essere stata affrontata a sufficienza nei 10 mesi di terapia, può provare ad intervenire anche lei nel percorso tramutando la terapia individuale in terapia di coppia, o di famiglia. In effetti, se lui ritiene siano le figlie ad avere un problema, una terapia familiare è ideale perché nel contesto terapeutico vi sarebbe possibile comprendere i problemi partendo dalle evidenze di ciò che accade tra di voi, dunque capendo meglio da cosa derivano veramente le cause di litigio
Psicologo Online/Presenza
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Sito Web: www.afpsicologonlineoinpresenza.it
[#2]
Gentile utente,
alla competente risposta del Collega aggiungo unicamente quanto segue.
Mettersi con una persona ex-sposata e con figli, é indubbiamente complesso;
ma più che fare della teoria, volevo invitarLa a leggere uno dei tanti consulti che giungono qui sull'argomento. Questo è arrivato proprio oggi, ed il problema è visto dalla parte di lui: https://www.medicitalia.it/consulti/psicologia/967811-ho-bisogno-di-un-consiglio-per-poter-superare-questo-momento.html .
Auspico che La possa aiutare a non sentirvi gli unici (ossia anormali) in tale difficoltà.
Saluti cordiali.
dott. Brunialti
alla competente risposta del Collega aggiungo unicamente quanto segue.
Mettersi con una persona ex-sposata e con figli, é indubbiamente complesso;
ma più che fare della teoria, volevo invitarLa a leggere uno dei tanti consulti che giungono qui sull'argomento. Questo è arrivato proprio oggi, ed il problema è visto dalla parte di lui: https://www.medicitalia.it/consulti/psicologia/967811-ho-bisogno-di-un-consiglio-per-poter-superare-questo-momento.html .
Auspico che La possa aiutare a non sentirvi gli unici (ossia anormali) in tale difficoltà.
Saluti cordiali.
dott. Brunialti
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
[#3]
Utente
Buonasera, La ringrazio per la Sua risposta.
Purtroppo mio marito in questo momento é chiuso a qualunque discorso razionale e convinto di volersi separare. Ha preso le sue cose ed é tornato temporaneamente nella sua vecchia casa. Non accetterebbe mai una terapia di coppia, perché per lui la questione é chiusa. É come se davanti a me avessi un'altra persona.
Sembra assurdo, visto che fino al giorno prima lo vedevo sereno e felice. Avendo però già vissuto, con grande sofferenza, una situazione simile, riconosco che lo schema che sta mettendo in atto é esattamente lo stesso.
É come accecato da un démone interno... la psicologa che la volta precedente mi aveva aiutata a capire cosa gli stava succedendo, mi ha detto che devo aver inconsapevolmente toccato un irrisolto profondo, legata alla sua infanzia ed alle sue credenze, che risveglia in lui un dolore insopportabile. Di fronte a questa deflagrazione emotiva, l'unica soluzione per lui é strappare via ció che identifica come la causa.....e quindi, me.
Capisco che il vero problema non sono io, ma la posta in gioco é altissima: la nostra coppia, il nostro matrimonio, la nostra vita insieme.
Sono solo riuscita a fargli accettare di non prendere decisioni immediate, di mettere tutto in stand-by e di lasciar passare qualche settimana per riflettere, ognuno per conto suo.
Spero che decida di parlarne con qualcuno, ma in questo momento credo manchi di lucidità. E sicuramente sta male.
Aggiungo che ciò che lo fa reagire cosí é sempre legato alla sfera familiare: prima la sorella, stavolta le figlie... Io mi sono sempre sentita confusamente minacciata dalla sua famiglia d'origine, che nonostante l'apparente accoglienza, é una vera famiglia invischiata, simbiotica.
Lui non ha ancora tagliato davvero il cordone ombelicale ed ha un problema con la separazione (le figlie sono ormai maggiorenni... é normale che volino con le proprie ali). Soffre del fatto che io non mi lasci inglobare da questa costruzione fusionale e vede la mia "resistenza" come un affronto. Finora é sempre stato conciliante e comprensivo, ma sento che ha accumulato paure e dubbi riguardo a questo aspetto, e che questo coacervo di emozioni negative é imploso.
Siamo sposati da poco, ed é come se il nuovo ruolo di "marito" suscitasse in lui un senso di colpa nei confronti del suo essere padre...
Non so se sono riuscita a spiegare bene questa complessa situazione. Vorrei fare qualcosa per aiutarlo, ma temo che tutto dipenda da lui e che io non possa interferire in alcun modo...
Prima che se ne andasse, gli ho solo ripetuto che lo amo e che io ci sono per lui.
Purtroppo mio marito in questo momento é chiuso a qualunque discorso razionale e convinto di volersi separare. Ha preso le sue cose ed é tornato temporaneamente nella sua vecchia casa. Non accetterebbe mai una terapia di coppia, perché per lui la questione é chiusa. É come se davanti a me avessi un'altra persona.
Sembra assurdo, visto che fino al giorno prima lo vedevo sereno e felice. Avendo però già vissuto, con grande sofferenza, una situazione simile, riconosco che lo schema che sta mettendo in atto é esattamente lo stesso.
É come accecato da un démone interno... la psicologa che la volta precedente mi aveva aiutata a capire cosa gli stava succedendo, mi ha detto che devo aver inconsapevolmente toccato un irrisolto profondo, legata alla sua infanzia ed alle sue credenze, che risveglia in lui un dolore insopportabile. Di fronte a questa deflagrazione emotiva, l'unica soluzione per lui é strappare via ció che identifica come la causa.....e quindi, me.
Capisco che il vero problema non sono io, ma la posta in gioco é altissima: la nostra coppia, il nostro matrimonio, la nostra vita insieme.
Sono solo riuscita a fargli accettare di non prendere decisioni immediate, di mettere tutto in stand-by e di lasciar passare qualche settimana per riflettere, ognuno per conto suo.
Spero che decida di parlarne con qualcuno, ma in questo momento credo manchi di lucidità. E sicuramente sta male.
Aggiungo che ciò che lo fa reagire cosí é sempre legato alla sfera familiare: prima la sorella, stavolta le figlie... Io mi sono sempre sentita confusamente minacciata dalla sua famiglia d'origine, che nonostante l'apparente accoglienza, é una vera famiglia invischiata, simbiotica.
Lui non ha ancora tagliato davvero il cordone ombelicale ed ha un problema con la separazione (le figlie sono ormai maggiorenni... é normale che volino con le proprie ali). Soffre del fatto che io non mi lasci inglobare da questa costruzione fusionale e vede la mia "resistenza" come un affronto. Finora é sempre stato conciliante e comprensivo, ma sento che ha accumulato paure e dubbi riguardo a questo aspetto, e che questo coacervo di emozioni negative é imploso.
Siamo sposati da poco, ed é come se il nuovo ruolo di "marito" suscitasse in lui un senso di colpa nei confronti del suo essere padre...
Non so se sono riuscita a spiegare bene questa complessa situazione. Vorrei fare qualcosa per aiutarlo, ma temo che tutto dipenda da lui e che io non possa interferire in alcun modo...
Prima che se ne andasse, gli ho solo ripetuto che lo amo e che io ci sono per lui.
[#4]
Gentile utente,
la situazione che ci presenta è complessa e dominata da molteplici e contraddittori elementi, come sempre lo sono i nuovi matrimoni di chi ha già creduto in un legame e lo ha visto fallire; tanto più se ci sono figli. Per questo vorrei offrirle un ulteriore punto di vista, oltre a quelli già profondi e pertinenti dei miei due colleghi.
La fine di un matrimonio, anche quando sembra una liberazione, è una ferita. Toglie molto ai due partner, ma ai figli toglie molto di più: non hanno scelto loro di vivere alternandosi in case diverse, non si spiegano come i genitori abbiano potuto ritirare il tributo d'amore a quell'insieme familiare che era il loro nido, assistono ai malumori, alla depressione, al rancore dell'uno o dell'altro genitore e a volte di tutti e due. Spesso si colpevolizzano: hanno l'impressione di essere loro stessi il problema, o comunque un peso.
Queste sensazioni estremamente dolorose di pura perdita non sono accompagnate da alcuna riconquista della libertà ed elaborazione dei perché, come avviene invece per gli ex coniugi.
Il dolore inespresso, per lo più incompreso all'esterno, si ritorce in atteggiamenti come quelli che ha letto nella lettera dell'altro utente: rivalsa verso il genitore più vicino o più debole, considerato confusamente l'artefice di una sofferenza mai spiegata.
Inoltre nella tarda adolescenza, proprio quando dovrebbero "volare con le proprie ali", come lei dice, i figli dei separati spesso temono di perdere gli ultimi agganci con la famiglia, e l'esperienza di disamore di cui sono stati testimoni si traduce in una loro difficoltà a creare fiduciosamente propri legami d'amore.
Per contro, per molti genitori separati ad un certo punto della vita i figli diventano l'unica certezza di affetto veramente stabile, l'unica indiscutibile responsabilità, e questo è un carico indubbiamente pesantissimo per chi si affaccia nella vita del/la divorziato/a come secondo partner. L'amore tra partner richiede comprensione e condivisione, ma anche esclusività, e un secondo amore di chi ha figli deve rinunciare proprio a questo: essere l'unico affetto e quello centrale.
Questo si verifica tanto più quando il/la divorziato/a è un individuo "gentile, affidabile, razionale ed affettuoso, che tutti stimano". Più è capace d'amore e di responsabilità, più questa persona scopre, e proietta nel futuro la sua vicinanza e la sua protezione verso i figli.
Lei avrà sicuramente sentito di padri che ai diciotto anni del figlio o poco dopo interrompono il versamento dell'assegno di mantenimento; di madri che appena il figlio esce di casa per frequentare l'università, momento delicatissimo di passaggio tra due fasi della vita, si ritirano in case più piccole dove nemmeno possono ospitarlo più.
Avrà anche notato quanto diverso è quest'atteggiamento da quello dei coniugi che rimangono uniti e che offrono ai figli avuti insieme degli aiuti materiali e morali per sempre.
Ora, questi meccanismi complessi forse non rimandano a qualche trauma inconscio nella sfera emotiva di suo marito, ma al contrario a quelle stesse doti di profondità e stabilità affettiva per cui lei l'ha scelto e l'ha amato.
Forse la fine del liceo non era il momento migliore per dire a padre e figlie di cambiare drasticamente le abitudini che hanno garantito la loro pur ridotta vicinanza. Vendere la casa in cui le bambine sono cresciute, in particolare, è forse inappropriato in questo momento.
A volte un secondo partner, senza accorgersene, entra con chi lo ha preceduto in un rapporto di competizione: vuole garantirsi di essere il più amato, avere qualcosa di più.
Se questo è fonte di inutile sofferenza nei confronti di un ex coniuge, nei confronti dei figli rimanda, questo sì, ad una ferita inconscia che rende insaziabile la fame d'amore, ma che il più delle volte determina proprio la perdita di quell'amore, su un piano diverso, che si potrebbe ragionevolmente ottenere.
Alcuni spunti nella sua lettera mi suggeriscono questa ipotesi; in ogni caso gliela offro come un punto di vista che può forse aiutarla a mantenere vivo e felice il suo matrimonio.
Auguri.
la situazione che ci presenta è complessa e dominata da molteplici e contraddittori elementi, come sempre lo sono i nuovi matrimoni di chi ha già creduto in un legame e lo ha visto fallire; tanto più se ci sono figli. Per questo vorrei offrirle un ulteriore punto di vista, oltre a quelli già profondi e pertinenti dei miei due colleghi.
La fine di un matrimonio, anche quando sembra una liberazione, è una ferita. Toglie molto ai due partner, ma ai figli toglie molto di più: non hanno scelto loro di vivere alternandosi in case diverse, non si spiegano come i genitori abbiano potuto ritirare il tributo d'amore a quell'insieme familiare che era il loro nido, assistono ai malumori, alla depressione, al rancore dell'uno o dell'altro genitore e a volte di tutti e due. Spesso si colpevolizzano: hanno l'impressione di essere loro stessi il problema, o comunque un peso.
Queste sensazioni estremamente dolorose di pura perdita non sono accompagnate da alcuna riconquista della libertà ed elaborazione dei perché, come avviene invece per gli ex coniugi.
Il dolore inespresso, per lo più incompreso all'esterno, si ritorce in atteggiamenti come quelli che ha letto nella lettera dell'altro utente: rivalsa verso il genitore più vicino o più debole, considerato confusamente l'artefice di una sofferenza mai spiegata.
Inoltre nella tarda adolescenza, proprio quando dovrebbero "volare con le proprie ali", come lei dice, i figli dei separati spesso temono di perdere gli ultimi agganci con la famiglia, e l'esperienza di disamore di cui sono stati testimoni si traduce in una loro difficoltà a creare fiduciosamente propri legami d'amore.
Per contro, per molti genitori separati ad un certo punto della vita i figli diventano l'unica certezza di affetto veramente stabile, l'unica indiscutibile responsabilità, e questo è un carico indubbiamente pesantissimo per chi si affaccia nella vita del/la divorziato/a come secondo partner. L'amore tra partner richiede comprensione e condivisione, ma anche esclusività, e un secondo amore di chi ha figli deve rinunciare proprio a questo: essere l'unico affetto e quello centrale.
Questo si verifica tanto più quando il/la divorziato/a è un individuo "gentile, affidabile, razionale ed affettuoso, che tutti stimano". Più è capace d'amore e di responsabilità, più questa persona scopre, e proietta nel futuro la sua vicinanza e la sua protezione verso i figli.
Lei avrà sicuramente sentito di padri che ai diciotto anni del figlio o poco dopo interrompono il versamento dell'assegno di mantenimento; di madri che appena il figlio esce di casa per frequentare l'università, momento delicatissimo di passaggio tra due fasi della vita, si ritirano in case più piccole dove nemmeno possono ospitarlo più.
Avrà anche notato quanto diverso è quest'atteggiamento da quello dei coniugi che rimangono uniti e che offrono ai figli avuti insieme degli aiuti materiali e morali per sempre.
Ora, questi meccanismi complessi forse non rimandano a qualche trauma inconscio nella sfera emotiva di suo marito, ma al contrario a quelle stesse doti di profondità e stabilità affettiva per cui lei l'ha scelto e l'ha amato.
Forse la fine del liceo non era il momento migliore per dire a padre e figlie di cambiare drasticamente le abitudini che hanno garantito la loro pur ridotta vicinanza. Vendere la casa in cui le bambine sono cresciute, in particolare, è forse inappropriato in questo momento.
A volte un secondo partner, senza accorgersene, entra con chi lo ha preceduto in un rapporto di competizione: vuole garantirsi di essere il più amato, avere qualcosa di più.
Se questo è fonte di inutile sofferenza nei confronti di un ex coniuge, nei confronti dei figli rimanda, questo sì, ad una ferita inconscia che rende insaziabile la fame d'amore, ma che il più delle volte determina proprio la perdita di quell'amore, su un piano diverso, che si potrebbe ragionevolmente ottenere.
Alcuni spunti nella sua lettera mi suggeriscono questa ipotesi; in ogni caso gliela offro come un punto di vista che può forse aiutarla a mantenere vivo e felice il suo matrimonio.
Auguri.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#5]
Utente
Dott.ssa Potenza,
La ringrazio per il suo punto di vista.
Certo, é essenziale prendere in conto lo stato emotivo delle figlie, il loro vissuto ed i loro timori. Posso però dirle che questo non é mai mancato nella nostra relazione, e fin dagli inizi.
Lui é sempre stato attento e presente, coltivando il dialogo con loro, e nessuna delle reazioni di rigetto vissute dall'utente il cui messaggio mi avete presentato corrisponde al nostro vissuto.
Fin dall'inizio sono sempre stata consapevole della non esclusività di cui Lei parla, ho rispettato i bisogni delle ragazze e sono entrata in punta di piedi nelle loro vite.
Non mi sento in competizione con loro, perché l'amore che mio marito offre loro non toglie nulla al sentimento che nutre per me.
Anzi, la sua cura nei confronti di coloro che ama é una qualità che lo rende un uomo ancora piú speciale ai miei occhi.
Lei dice che la vendita della casa é inappropriata in questo momento: vorrei farle presente che la nostra scelta (comune, e non voluta/imposta da me) é stata quella di privilegiare il benessere delle ragazze preservando questo luogo fino alla fine del loro ciclo scolastico, quando loro non saranno più fisicamente presenti. Cos'altro dovevamo fare, per vivere insieme?! Le ricordo che siamo sposati, e é che proprio per dare la priorità al benessere delle ragazze che non viviamo ancora insieme a tempo pieno.
Per quanto capisca che le figlie di mio marito possano sentirsi fragilizzate dal cambiamento in atto, non manifestano disagio o sofferenza per una possibile esclusione, che comunque nemmeno io mai vorrei esprimere loro!
In questo periodo sono anzi positive e concentrate sulla nuova fase della loro vita : l'Università, un appartamentino in città (qui in Belgio tutti i ragazzi escono di casa a 18 anni: cosa da tener presente perché so bene che in Italia non é così), il fidanzato...
Visto che Lei non ne parla, mi piacerebbe capire qual é il suo consiglio su ciò che sta succedendo, perché i timori del mio compagno (che sono nella sua testa, ma che non corrispondono, nella realtà, ad una mia relazione conflittuale con le ragazze)
lo stanno portando a distruggere il nostro matrimonio.
Che idea dell'amore trasmetterà alle figlie un padre che, nel desiderio di tutelarle, rinuncia alla relazione con la persona che ama?!
Io ho sempre ribadito la mia volontà di agire per il bene di tutti: il mio, il suo e quello delle ragazze. Ho fatto passi concreti per essere accogliente ed inclusiva, nei limiti del mio ruolo di "matrigna" (che brutta parola!), e non di mamma.
Qui però si parla di una rottura improvvisa, violenta, che lui ha attuato in modo univoco, spinto da un sentimento di angoscia irrazionale. Con 2 precedenti simili, scatenati sempre da questioni familiari (la invito a leggere la risposta scritta al suo collega).
Io in tutto questo sono relegata a un ruolo passivo, non ho voce in capitolo, nonostante si tratti anche della mia vita. Non capisco quindi come ció che Lei mi ha scritto possa aiutarmi "a tenere vivo e felice il matrimonio".
La ringrazio per ció che vorrà/potrà indicarmi.
La ringrazio per il suo punto di vista.
Certo, é essenziale prendere in conto lo stato emotivo delle figlie, il loro vissuto ed i loro timori. Posso però dirle che questo non é mai mancato nella nostra relazione, e fin dagli inizi.
Lui é sempre stato attento e presente, coltivando il dialogo con loro, e nessuna delle reazioni di rigetto vissute dall'utente il cui messaggio mi avete presentato corrisponde al nostro vissuto.
Fin dall'inizio sono sempre stata consapevole della non esclusività di cui Lei parla, ho rispettato i bisogni delle ragazze e sono entrata in punta di piedi nelle loro vite.
Non mi sento in competizione con loro, perché l'amore che mio marito offre loro non toglie nulla al sentimento che nutre per me.
Anzi, la sua cura nei confronti di coloro che ama é una qualità che lo rende un uomo ancora piú speciale ai miei occhi.
Lei dice che la vendita della casa é inappropriata in questo momento: vorrei farle presente che la nostra scelta (comune, e non voluta/imposta da me) é stata quella di privilegiare il benessere delle ragazze preservando questo luogo fino alla fine del loro ciclo scolastico, quando loro non saranno più fisicamente presenti. Cos'altro dovevamo fare, per vivere insieme?! Le ricordo che siamo sposati, e é che proprio per dare la priorità al benessere delle ragazze che non viviamo ancora insieme a tempo pieno.
Per quanto capisca che le figlie di mio marito possano sentirsi fragilizzate dal cambiamento in atto, non manifestano disagio o sofferenza per una possibile esclusione, che comunque nemmeno io mai vorrei esprimere loro!
In questo periodo sono anzi positive e concentrate sulla nuova fase della loro vita : l'Università, un appartamentino in città (qui in Belgio tutti i ragazzi escono di casa a 18 anni: cosa da tener presente perché so bene che in Italia non é così), il fidanzato...
Visto che Lei non ne parla, mi piacerebbe capire qual é il suo consiglio su ciò che sta succedendo, perché i timori del mio compagno (che sono nella sua testa, ma che non corrispondono, nella realtà, ad una mia relazione conflittuale con le ragazze)
lo stanno portando a distruggere il nostro matrimonio.
Che idea dell'amore trasmetterà alle figlie un padre che, nel desiderio di tutelarle, rinuncia alla relazione con la persona che ama?!
Io ho sempre ribadito la mia volontà di agire per il bene di tutti: il mio, il suo e quello delle ragazze. Ho fatto passi concreti per essere accogliente ed inclusiva, nei limiti del mio ruolo di "matrigna" (che brutta parola!), e non di mamma.
Qui però si parla di una rottura improvvisa, violenta, che lui ha attuato in modo univoco, spinto da un sentimento di angoscia irrazionale. Con 2 precedenti simili, scatenati sempre da questioni familiari (la invito a leggere la risposta scritta al suo collega).
Io in tutto questo sono relegata a un ruolo passivo, non ho voce in capitolo, nonostante si tratti anche della mia vita. Non capisco quindi come ció che Lei mi ha scritto possa aiutarmi "a tenere vivo e felice il matrimonio".
La ringrazio per ció che vorrà/potrà indicarmi.
[#6]
Gentile utente,
formulando un parere ho già letto tutti gli scritti dell'utente e tutte le risposte dei colleghi, il che mi sembra indispensabile nella comunicazione che avviene a distanza e per scritto; purtroppo non è ancora sufficiente a cogliere tutte le istanze, anche inconsce, di chi ci consulta.
E' ovvio che una conoscenza approfondita avviene tramite il colloquio psicologico, che permette continui chiarimenti e porta in luce anche le emozioni di chi si rivolge a noi; tuttavia gli anni trascorsi su Medicitalia mi hanno fatto apprezzare una qualità specifica dello scritto: essendo obbligatoriamente sintetico, fornisce i dati della richiesta in termini diretti e permette di leggere subito, anche tra le righe, i costrutti cognitivi di chi scrive.
Nel suo caso colpisce fin dalla prima email il fatto che lei imputi al suo compagno una sorta di difetto emotivo/comportamentale: fin dal titolo ha diagnosticato un "raptus abbandonico", parla di "démone interno che si risveglia in lui", e sembra sminuire il fatto che lui vede in lei, a ragione o a torto, la sorgente della propria sofferenza.
Sappiamo che gli aspetti relazionali di qualunque evento psichico, anche il più legato a peculiarità soggettive, per nevrotiche o psicotiche che siano, hanno il loro peso e non possono essere trascurati.
La psicologia dice che nessuno è malato da solo; qui invece ricorre solo indirettamente una sua responsabilità nella vicenda, come se lei ritenesse che le sue parole e le sue azioni non possano in alcun modo determinare la reazione di suo marito: infatti dice che i timori "sono solo nella sua testa" e parla di "una rottura improvvisa, violenta, che lui ha attuato in modo univoco, spinto da un sentimento di angoscia irrazionale".
Stiamo parlando di una persona intelligente e responsabile, che lei ama e con la quale vuole mantenere il legame, e tuttavia attribuisce le sue reazioni, fino ad una decisione estrema quale quella di sciolgliere un matrimonio celebrato da pochissimo tempo, ad una sorta di acting out schizofrenico?
Questo, assieme a numerosi spunti in tutte le sue email, rimanda ad una sorta di sua cecità circa le sue stesse azioni, parole, emozioni; elementi tutti che possono aver dato a suo marito un'immagine di lei, sia pure errata, che lo spinge ad allontanarsi, ma della quale lei stessa non è consapevole.
Non è questo il luogo per un'analisi minuziosa dei segnali di ciò. Le farò notare solo gli indizi più marcati del possibile fraintendimento comunicativo tra lei e suo marito, che va smontato tramite una sincera e consapevole presa di coscienza da parte di tutti e due.
La prima cosa che colpisce, infatti, è che suo marito sia andato in terapia, ma non si sia parlato di terapia di coppia.
Siete insieme da appena tre anni e siete ampiamente adulti; appartenete a due culture diverse, non solo sul piano nazionale, ma forse anche su quello del vissuto città/provincia; lui è un divorziato con figli, di lei non sappiamo; non sappiamo chi ha spinto per il matrimonio; ci dice che lui è molto legato alla famiglia d'origine, nella quale, lei scrive: "rifiutandomi di farmi fagocitare ho faticato a trovare il mio posto"; suo marito ha reagito eccessivamente ad un'osservazione sulla sorella, ma lei allude più di una volta ad un secondo episodio analogo, che precede l'ultima rottura, su cui -significativamente- non ci racconta nulla.
Infine, quando parla delle due ragazze, lei rivela una visione schematica di quelli che possono essere i loro sentimenti, e di conseguenza quelli di un padre che potrebbe sentirsi, come avviene a molti divorziati, in debito perenne di affetto verso di loro.
In altre parole, sembrerebbe che lei voglia risolvere la sua vicenda e quelle di chi le sta intorno con la razionalità con cui si affronta un'equazione matematica.
Questo in genere fa sentire chi è confuso, addolorato, in preda a sentimenti contraddittori -è il caso di suo marito, che si è deciso a lasciarla pur amandola- non solo non accolto empaticamente, ma disconfermato nel proprio vissuto emotivo... il che determina, appunto, quelle reazioni e decisioni estreme che a lei appaiono inconsulte.
L'indicazione rimane la terapia di coppia, se c'è da parte di tutti e due la consapevolezza di dover mettere in luce i costrutti cognitivi cha hanno determinato le attuali incomprensioni, e naturalmente la volontà di mantenere il vostro rapporto, ricostruito su nuove basi.
Ancora auguri.
formulando un parere ho già letto tutti gli scritti dell'utente e tutte le risposte dei colleghi, il che mi sembra indispensabile nella comunicazione che avviene a distanza e per scritto; purtroppo non è ancora sufficiente a cogliere tutte le istanze, anche inconsce, di chi ci consulta.
E' ovvio che una conoscenza approfondita avviene tramite il colloquio psicologico, che permette continui chiarimenti e porta in luce anche le emozioni di chi si rivolge a noi; tuttavia gli anni trascorsi su Medicitalia mi hanno fatto apprezzare una qualità specifica dello scritto: essendo obbligatoriamente sintetico, fornisce i dati della richiesta in termini diretti e permette di leggere subito, anche tra le righe, i costrutti cognitivi di chi scrive.
Nel suo caso colpisce fin dalla prima email il fatto che lei imputi al suo compagno una sorta di difetto emotivo/comportamentale: fin dal titolo ha diagnosticato un "raptus abbandonico", parla di "démone interno che si risveglia in lui", e sembra sminuire il fatto che lui vede in lei, a ragione o a torto, la sorgente della propria sofferenza.
Sappiamo che gli aspetti relazionali di qualunque evento psichico, anche il più legato a peculiarità soggettive, per nevrotiche o psicotiche che siano, hanno il loro peso e non possono essere trascurati.
La psicologia dice che nessuno è malato da solo; qui invece ricorre solo indirettamente una sua responsabilità nella vicenda, come se lei ritenesse che le sue parole e le sue azioni non possano in alcun modo determinare la reazione di suo marito: infatti dice che i timori "sono solo nella sua testa" e parla di "una rottura improvvisa, violenta, che lui ha attuato in modo univoco, spinto da un sentimento di angoscia irrazionale".
Stiamo parlando di una persona intelligente e responsabile, che lei ama e con la quale vuole mantenere il legame, e tuttavia attribuisce le sue reazioni, fino ad una decisione estrema quale quella di sciolgliere un matrimonio celebrato da pochissimo tempo, ad una sorta di acting out schizofrenico?
Questo, assieme a numerosi spunti in tutte le sue email, rimanda ad una sorta di sua cecità circa le sue stesse azioni, parole, emozioni; elementi tutti che possono aver dato a suo marito un'immagine di lei, sia pure errata, che lo spinge ad allontanarsi, ma della quale lei stessa non è consapevole.
Non è questo il luogo per un'analisi minuziosa dei segnali di ciò. Le farò notare solo gli indizi più marcati del possibile fraintendimento comunicativo tra lei e suo marito, che va smontato tramite una sincera e consapevole presa di coscienza da parte di tutti e due.
La prima cosa che colpisce, infatti, è che suo marito sia andato in terapia, ma non si sia parlato di terapia di coppia.
Siete insieme da appena tre anni e siete ampiamente adulti; appartenete a due culture diverse, non solo sul piano nazionale, ma forse anche su quello del vissuto città/provincia; lui è un divorziato con figli, di lei non sappiamo; non sappiamo chi ha spinto per il matrimonio; ci dice che lui è molto legato alla famiglia d'origine, nella quale, lei scrive: "rifiutandomi di farmi fagocitare ho faticato a trovare il mio posto"; suo marito ha reagito eccessivamente ad un'osservazione sulla sorella, ma lei allude più di una volta ad un secondo episodio analogo, che precede l'ultima rottura, su cui -significativamente- non ci racconta nulla.
Infine, quando parla delle due ragazze, lei rivela una visione schematica di quelli che possono essere i loro sentimenti, e di conseguenza quelli di un padre che potrebbe sentirsi, come avviene a molti divorziati, in debito perenne di affetto verso di loro.
In altre parole, sembrerebbe che lei voglia risolvere la sua vicenda e quelle di chi le sta intorno con la razionalità con cui si affronta un'equazione matematica.
Questo in genere fa sentire chi è confuso, addolorato, in preda a sentimenti contraddittori -è il caso di suo marito, che si è deciso a lasciarla pur amandola- non solo non accolto empaticamente, ma disconfermato nel proprio vissuto emotivo... il che determina, appunto, quelle reazioni e decisioni estreme che a lei appaiono inconsulte.
L'indicazione rimane la terapia di coppia, se c'è da parte di tutti e due la consapevolezza di dover mettere in luce i costrutti cognitivi cha hanno determinato le attuali incomprensioni, e naturalmente la volontà di mantenere il vostro rapporto, ricostruito su nuove basi.
Ancora auguri.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#7]
Utente
Buongiorno,
Ho parlato di "raptus" e di blocco perché questa terminologia era stata usata dalla terapeuta che aveva accompagnato mio marito (lui aveva condiviso con me alcuni feedback del suo percorso).
Mi spiace che ció che emerga sia l'accusare l'altro della situazione, perché nei fatti mi sono sempre presa la mia parte di responsabilità in questa storia. Sicuramente l'ho ferito, facendo resistenza alla relazione che mi chiedeva di intessere con i suoi familiari e dicendo alcune cose in modo troppo diretto, cose che lui ha letto come un attacco nei confronti delle persone che ama e del sistema di valori che lui ha sempre seguito.
Ammetto di essere io stessa ferita, spaventata, delusa e distrutta dalla situazione che stiamo vivendo...perché lui vuole separarsi, e perché é la terza volta che vivo questo calvario di indicibile sofferenza.
Non ho descritto il secondo episodio per una semplice questione di spazio disponibile (in quell'occasione, il casus belli era stata una sua mezza bugia riguardante i suoi familiari, bugia che era venuta alla luce perché si era contraddetto. Gli avevo semplicemente fatto notare, in modo calmo e costruttivo, che ci eravamo entrambi impegnati a comunicare con sincerità anche su soggetti delicati.... la sua reazione era stata quella di partire all'istante e chiudere il rapporto, non sopportando quello che gli avevo detto).
Per quanto riguarda me, non sono stata sposata prima e non ho figli.
Il matrimonio é stata una scelta di entrambi, senza forzature. E, se una terapia di coppia non é stata fatta, questo dipende dal fatto che lui non ha accettato. Dopo la seconda rottura io l'avevo proposto a più riprese, ma lui ha stimato che il suo percorso individuale fosse più che sufficiente e gli avesse permesso di identificare risorse utili in caso di nuove crisi.
Non le rubo altro tempo con il mio caso, e tengo presente i suoi consigli riguardo ai sentimenti delle figlie, che meritano considerazione, ed a quelli di mio marito, che sicuramente in alcuni momenti non si é sentito compreso.
Noto peró anche con rammarico che né Lei ne i suoi colleghi hanno speso una parola sulle difficoltà che io e tante altre seconde mogli viviamo all'interno di relazioni in cui non é per niente facile trovare il proprio posto. Non si tratta di una giustificazione, ma di un vissuto faticoso e doloroso che accompagna il quotidiano di molte famiglie allargate. Personalmente, mi sono lanciata in quest'avventura con tantissime buone intenzioni e la ferma volontà di fare del mio meglio, ma mi sento, ii stessa, rifiutata e non compresa nelle mie fatiche di "matrigna" e seconda moglie....
Ho parlato di "raptus" e di blocco perché questa terminologia era stata usata dalla terapeuta che aveva accompagnato mio marito (lui aveva condiviso con me alcuni feedback del suo percorso).
Mi spiace che ció che emerga sia l'accusare l'altro della situazione, perché nei fatti mi sono sempre presa la mia parte di responsabilità in questa storia. Sicuramente l'ho ferito, facendo resistenza alla relazione che mi chiedeva di intessere con i suoi familiari e dicendo alcune cose in modo troppo diretto, cose che lui ha letto come un attacco nei confronti delle persone che ama e del sistema di valori che lui ha sempre seguito.
Ammetto di essere io stessa ferita, spaventata, delusa e distrutta dalla situazione che stiamo vivendo...perché lui vuole separarsi, e perché é la terza volta che vivo questo calvario di indicibile sofferenza.
Non ho descritto il secondo episodio per una semplice questione di spazio disponibile (in quell'occasione, il casus belli era stata una sua mezza bugia riguardante i suoi familiari, bugia che era venuta alla luce perché si era contraddetto. Gli avevo semplicemente fatto notare, in modo calmo e costruttivo, che ci eravamo entrambi impegnati a comunicare con sincerità anche su soggetti delicati.... la sua reazione era stata quella di partire all'istante e chiudere il rapporto, non sopportando quello che gli avevo detto).
Per quanto riguarda me, non sono stata sposata prima e non ho figli.
Il matrimonio é stata una scelta di entrambi, senza forzature. E, se una terapia di coppia non é stata fatta, questo dipende dal fatto che lui non ha accettato. Dopo la seconda rottura io l'avevo proposto a più riprese, ma lui ha stimato che il suo percorso individuale fosse più che sufficiente e gli avesse permesso di identificare risorse utili in caso di nuove crisi.
Non le rubo altro tempo con il mio caso, e tengo presente i suoi consigli riguardo ai sentimenti delle figlie, che meritano considerazione, ed a quelli di mio marito, che sicuramente in alcuni momenti non si é sentito compreso.
Noto peró anche con rammarico che né Lei ne i suoi colleghi hanno speso una parola sulle difficoltà che io e tante altre seconde mogli viviamo all'interno di relazioni in cui non é per niente facile trovare il proprio posto. Non si tratta di una giustificazione, ma di un vissuto faticoso e doloroso che accompagna il quotidiano di molte famiglie allargate. Personalmente, mi sono lanciata in quest'avventura con tantissime buone intenzioni e la ferma volontà di fare del mio meglio, ma mi sento, ii stessa, rifiutata e non compresa nelle mie fatiche di "matrigna" e seconda moglie....
[#8]
Gentile utente,
non posso parlare a nome dei colleghi, che reputo professionisti competenti e sensibili. Quanto a me, mi scuso sinceramente per essermi mostrata poco attenta alla parte dolorosa del suo vissuto e accolgo il suo rimprovero. Mi sono interrogata sulle ragioni che lo hanno motivato.
Certamente la sua situazione suscita solidarietà, come del resto quella di chiunque soffra: suo marito, le figlie di lui, la sua famiglia che voleva accettarla ma non ha saputo farlo e sarà rimasta disorientata; infine, perché no, anche la ex moglie, per la quale certamente il fallimento del proprio matrimonio non sarà stata una festa, e vedere l'ex marito sposarsi di nuovo avrà riaperto vecchie ferite.
Allora per quale ragione tutti e tre noi psicologi siamo stati prodighi di suggerimenti volti a farle vedere con più chiarezza la sua situazione, ma non abbiamo mostrato attitudini consolatorie?
Posso parlare ovviamente solo per me, ma credo di interpretare, almeno in parte, anche le ragioni degli altri due specialisti.
Potrei esordire con l'ovvia considerazione che non sempre la solidarietà aiuta, e che lo psicologo che offrisse solo questo verrebbe meno alle sue prerogative, che vanno oltre la pacca sulla spalla. Ma il principale motivo, nel suo caso, è che lei non sembrava affatto chiedere consolazione, e meno che mai si mostrava "ferita, spaventata, delusa e distrutta dalla situazione che stiamo vivendo"; "rifiutata e non compresa nelle mie fatiche di 'matrigna' e seconda moglie", come adesso scrive.
Si mostrava, al contrario, tanto sicura di sé da esordire con diagnosi sulle anomalie comportamentali di suo marito, senza far cenno al dolore, ai rimpianti, alle autoaccuse, allo strazio che in genera accompagna, per chi ne è vittima, un abbandono.
Questo tratto della sua comunicazione (un non specialista direbbe "del suo carattere") andrebbe valutato a fondo, perché in pratica può aver determinato la cattiva qualità del dialogo con suo marito, i fraintendimenti e gli equivoci di cui le sue parole sono state origine, e forse può aver causato altri boomerang dolorosi e per lei inesplicabili che possono esserle occorsi nella vita.
Lei scrive: "Sicuramente l'ho ferito, facendo resistenza alla relazione che mi chiedeva di intessere con i suoi familiari e dicendo alcune cose in modo troppo diretto, cose che lui ha letto come un attacco nei confronti delle persone che ama e del sistema di valori che lui ha sempre seguito". Scrive anche: "Gli avevo semplicemente fatto notare, in modo calmo e costruttivo, che ci eravamo entrambi impegnati a comunicare con sincerità anche su soggetti delicati".
Il 'modo calmo e costruttivo' con cui si evidenzia una mezza bugia del partner, venuta alla luce perché lui si è contraddetto, e l'impegno a comunicarsi tutto con sincerità anche su soggetti delicati, possono essere modi che spaventano un adulto abituato al riserbo e al possesso esclusivo dei propri sentimenti.
Nella migliore delle ipotesi possono essere apparsi a suo marito bacchettate da maestrina; sembra tuttavia che non gli siano parsi solo questo, dal momento che lui si è sentito ferito da questi modi fino al punto da andarsene senza una parola.
Che lui la ami sembra confermato dal fatto che a mente più serena ha valutato il proprio risentimento come eccessivo, tanto da volersi sottoporre ad una terapia. Altrettanto sembra un segno d'amore -pericolosamente idealizzante, però- il fatto che ha ritenuto di non doverla coinvolgere nella terapia di coppia, assumendo su di sé tutti i difetti da correggere.
Questo crea un rapporto sbilanciato: tutta la razionalità, le buone intenzioni, la generosità sarebbero in lei che ci scrive, mentre lui sarebbe un torbido uomo sturm und drang incapace di dominare le proprie passioni, che per non soffrire -e non far soffrire- non può fare altro che lasciarla.
Vede bene che una disamina attenta di questa impostazione del rapporto sarebbe indispensabile, come assieme ai colleghi abbiamo detto fin dalla prima risposta.
A me sembra di intuire che lei sia già stata in terapia individuale, ma in certi casi, fasi diverse della vita richiedono integrazioni del percorso già svolto e talora vere rivoluzioni nella propria percezione di sé, dei propri diritti, delle possibili aspettative.
Due cose mi sembrano indicative: lei di sé non ci dice nulla, nemmeno la sua professione e perché è andata a vivere all'estero; inoltre conclude dicendo: "Non le rubo altro tempo con il mio caso", come avesse l'idea di avere diritti ridotti nella vita.
Sulla sua relazione con suo marito, e su ciascuno di voi, a mio avviso c'è ancora tanto lavoro possibile. Due persone che si amano devono andare verso la più grande realizzazione personale, proprio col sostegno reciproco; e possono farlo, se lo vogliono e si mettono in condizione di ottenere questo.
Ancora infiniti auguri, un abbraccio, e naturalmente ci scriva quando vuole.
non posso parlare a nome dei colleghi, che reputo professionisti competenti e sensibili. Quanto a me, mi scuso sinceramente per essermi mostrata poco attenta alla parte dolorosa del suo vissuto e accolgo il suo rimprovero. Mi sono interrogata sulle ragioni che lo hanno motivato.
Certamente la sua situazione suscita solidarietà, come del resto quella di chiunque soffra: suo marito, le figlie di lui, la sua famiglia che voleva accettarla ma non ha saputo farlo e sarà rimasta disorientata; infine, perché no, anche la ex moglie, per la quale certamente il fallimento del proprio matrimonio non sarà stata una festa, e vedere l'ex marito sposarsi di nuovo avrà riaperto vecchie ferite.
Allora per quale ragione tutti e tre noi psicologi siamo stati prodighi di suggerimenti volti a farle vedere con più chiarezza la sua situazione, ma non abbiamo mostrato attitudini consolatorie?
Posso parlare ovviamente solo per me, ma credo di interpretare, almeno in parte, anche le ragioni degli altri due specialisti.
Potrei esordire con l'ovvia considerazione che non sempre la solidarietà aiuta, e che lo psicologo che offrisse solo questo verrebbe meno alle sue prerogative, che vanno oltre la pacca sulla spalla. Ma il principale motivo, nel suo caso, è che lei non sembrava affatto chiedere consolazione, e meno che mai si mostrava "ferita, spaventata, delusa e distrutta dalla situazione che stiamo vivendo"; "rifiutata e non compresa nelle mie fatiche di 'matrigna' e seconda moglie", come adesso scrive.
Si mostrava, al contrario, tanto sicura di sé da esordire con diagnosi sulle anomalie comportamentali di suo marito, senza far cenno al dolore, ai rimpianti, alle autoaccuse, allo strazio che in genera accompagna, per chi ne è vittima, un abbandono.
Questo tratto della sua comunicazione (un non specialista direbbe "del suo carattere") andrebbe valutato a fondo, perché in pratica può aver determinato la cattiva qualità del dialogo con suo marito, i fraintendimenti e gli equivoci di cui le sue parole sono state origine, e forse può aver causato altri boomerang dolorosi e per lei inesplicabili che possono esserle occorsi nella vita.
Lei scrive: "Sicuramente l'ho ferito, facendo resistenza alla relazione che mi chiedeva di intessere con i suoi familiari e dicendo alcune cose in modo troppo diretto, cose che lui ha letto come un attacco nei confronti delle persone che ama e del sistema di valori che lui ha sempre seguito". Scrive anche: "Gli avevo semplicemente fatto notare, in modo calmo e costruttivo, che ci eravamo entrambi impegnati a comunicare con sincerità anche su soggetti delicati".
Il 'modo calmo e costruttivo' con cui si evidenzia una mezza bugia del partner, venuta alla luce perché lui si è contraddetto, e l'impegno a comunicarsi tutto con sincerità anche su soggetti delicati, possono essere modi che spaventano un adulto abituato al riserbo e al possesso esclusivo dei propri sentimenti.
Nella migliore delle ipotesi possono essere apparsi a suo marito bacchettate da maestrina; sembra tuttavia che non gli siano parsi solo questo, dal momento che lui si è sentito ferito da questi modi fino al punto da andarsene senza una parola.
Che lui la ami sembra confermato dal fatto che a mente più serena ha valutato il proprio risentimento come eccessivo, tanto da volersi sottoporre ad una terapia. Altrettanto sembra un segno d'amore -pericolosamente idealizzante, però- il fatto che ha ritenuto di non doverla coinvolgere nella terapia di coppia, assumendo su di sé tutti i difetti da correggere.
Questo crea un rapporto sbilanciato: tutta la razionalità, le buone intenzioni, la generosità sarebbero in lei che ci scrive, mentre lui sarebbe un torbido uomo sturm und drang incapace di dominare le proprie passioni, che per non soffrire -e non far soffrire- non può fare altro che lasciarla.
Vede bene che una disamina attenta di questa impostazione del rapporto sarebbe indispensabile, come assieme ai colleghi abbiamo detto fin dalla prima risposta.
A me sembra di intuire che lei sia già stata in terapia individuale, ma in certi casi, fasi diverse della vita richiedono integrazioni del percorso già svolto e talora vere rivoluzioni nella propria percezione di sé, dei propri diritti, delle possibili aspettative.
Due cose mi sembrano indicative: lei di sé non ci dice nulla, nemmeno la sua professione e perché è andata a vivere all'estero; inoltre conclude dicendo: "Non le rubo altro tempo con il mio caso", come avesse l'idea di avere diritti ridotti nella vita.
Sulla sua relazione con suo marito, e su ciascuno di voi, a mio avviso c'è ancora tanto lavoro possibile. Due persone che si amano devono andare verso la più grande realizzazione personale, proprio col sostegno reciproco; e possono farlo, se lo vogliono e si mettono in condizione di ottenere questo.
Ancora infiniti auguri, un abbraccio, e naturalmente ci scriva quando vuole.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 8 risposte e 3.3k visite dal 26/03/2023.
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