Perché non voglio consumare quello che mi piace?

Mi spiego meglio: da sempre (ma solo ora me ne sono resa conto) tendo a procrastinare quello che mi piace o che mi farebbe del bene.

Faccio un esempio: se scopro un nuovo regista perché vedo un film che mi piace molto, prima di vedere un altro film dello stesso regista posso aspettare anche mesi.
Me lo procuro, faccio in modo di averlo a disposizione ma poi non lo "uso".
Questa è una cosa che ricorre in qualsiasi aspetto della vita.
Vorrei capire se è un atteggiamento che nasconde qualche cosa di irrisolto e se sì cosa.

Il motivo per cui vorrei saperlo è perché credo che questa particolarità abbia influito molto nel mio lavoro.
Sono una persona capace a detta di molti, talentuosa, brillante ma non riesco a capitalizzare niente di tutto ciò.
Sono persa in una procrastinazione continua, vorrei scrivere il romanzo della vita (e che ho in testa da tanto tempo) e trovo ogni scusa buona per rimandare, pur essendo convinta intimamente che la cosa funzionerebbe.

Quindi attenzione: non è che non agisco perché penso di non farcela... non agisco perché penso che ce la farei e che questa cosa migliorerebbe la mia vita (sia vero o meno... non sono "megalomane" ma è il mio pensiero più intimo).

Quindi... perché?
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Dr. Michele Loia Psicologo 99 2
Gent.ma,

la procrastinazione può essere definita come un atteggiamento di attesa. Di solito vengono rimandate al futuro le cose che dovrebbero essere svolte nel presente. Dal suo racconto si evince che tutto ciò si ripercuote nel suo lavoro. Analizzerei questo dettaglio per individuarne la sua origine: Paura dell'insuccesso e delle nuove responsabilità?
In effetti, pensandoci bene, rimandare al futuro con la frase "inizio domani" viene percepita dalla nostra mente come una specie di scorciatoia dalla tensione sia emotiva che cognitiva. Comunque, nella maggior parte dei casi, si resta intrappolati da paure irrazionali.
Con il tempo si viene a formare una specie di circolo vizioso: meno faccio e meno mi sento capace di fare e di conseguenza meno farò in futuro. A colte in futuro ci spaventa.
Sarebbe utile rivolgersi presso un professionista Psicologo/a per iniziare un percorso che la porta ad esplorare i suoi pensieri e le sue emozioni e soprattutto rinforzare la sua autostima.
Saluti

Dr. Michele Loia
Psicologo
micheleloia@aol.com

[#2]
Utente
Utente
Dottore, mi perdoni ma ha volutamente bypassato tutta la parte iniziale... come le ho scritto mi succede anche con le cose belle "sicure" ed è quello che mi incuriosisce. Perché se trovo un buon ristorante non ci torno una seconda volta ma attendo nell'immaginazione di quando ci tornerò? Perché se scopro un libro che mi piace non lo finisco perché preferisco sapere che ce n'è ancora da leggere? E questo vale per tutto ciò che mi piace.
Capisco la "paura di fallire" ma in questo caso cosa c'entra?
Grazie comunque per l'attenzione.
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Dr.ssa Mariateresa Di Taranto Psicologo 189 19
Gentile utente,

aggiungo alla puntuale e precisa risposta del collega, che credo che ci possano essere almeno due ragioni per le quali non vuol "consumare" quello che le piace, per quanto riguarda "le cose belle e sicure".

Per quanto concerne le attività importanti come il lavoro, il motivo potresse essere riconducibile alla sua paura di realizzararsi e di essere felice.
Infatti, non è solo la sofferenza a spaventarci, ma anche la felicità, perché essa può coglierci impreparati e dunque indifesi al cospetto del dolore e delle avversità.

Per quanto concerne invece le attività come leggere libri, vedere film e mangiare nei ristoranti, il motivo potrebbe essere riconducibile al suo desiderio di mantenere vivo tale piacere.

Non torna nel buon ristorante ma preferisce attendere nell' immaginazione di quando tornerà, forse perché tale immaginazione da un lato è di per sé piacevole, dall' altro fornisce nutrimento al suo desiderio.

Tornare in quel ristorante, così come leggere il bel libro o vedere il bel film, significherebbe probabilmente separarsi da quel desiderio, da quel piacere dell' attesa e dell' immaginazione.

Infatti, l' unico modo per tenere vivo il desiderio è non soddisfarlo del tutto, ma differirlo, perché la soddisfazione dello stesso ne provocherebbe, come inevitabile conseguenza, lo spegnimento.

Non so se si ritrova in queste mie ipotesi.
Qualora si rispecchiasse, le suggerirei per quanto riguarda la prima, di accettare il rischio dell' inatteso dolore; sapra' affrontarlo e tollerarlo se dovesse presentarsi.

Per quanto riguarda la seconda, di accettare la perdita del piacere dell' attesa e del desiderio.
In cambio otterrebbe non solo il guadagno nel portare a termine quello che farà, nell' andare fino in fondo, ma anche la possibilità di rilanciare il suo desiderio su qualcosa di nuovo.

Le consiglierei di accettare questo rischio e questa perdita, perché essi si aprono a molteplici possibilità, di crescita, di conquista, di scoperta.

Se dovesse avere difficoltà nel lasciarsi andare al bello, nel lasciar andare il suo desiderio, o se dovesse avvertire troppo amara la rinuncia dell' attesa o dell' immaginazione, non riuscendo a portare a termine le sue attività, può prendere in considerazione l' ipotesi di rivolgersi ad uno psicologo.

Potrà così esplorare le motivazioni che la portano apparentemente nella direzione opposta al piacere.
Solo apparentemente però, perché lei in realtà, per quanto riguarda attivita' come il lavoro, forse rinuncia al piacere per eludere il dolore.
Per quanto riguarda il resto, forse rinuncia al piacere intenso di un soddisfacimento immediato, in nome di un piacere che seppur più lieve, si presenta costante, duraturo, protratto nel tempo ed esente dal rischio di finire.

In ogni caso, vorrei dirle che anche in questo modo sta perdendo.
Perde la possibilità di ottenere, crescere, scoprire il nuovo e il molto che c' è perché si aggrappa al conosciuto presente, o all' incompiuto piacevole.
Perdere è inevitabile, quindi perché non provare, quando è possibile, a scegliere cosa perdere?

E inoltre, perdere non è solo inevitabile, spesso e' anche l' unico modo per trovare.
Trovare la possibilità, il nuovo, l' altro, il tutto che ci attende oltre il conosciuto.


Spero di esserle stata utile.

Psicologa e Assistente Sociale
www.psicosocialmente.it