Essere amica di una ragazza bulimica


Buongiorno,
da qualche tempo un'amica di quasi trent'anni mi ha aperto il suo cuore confidandomi di sè, del suo disagio alimentare sfociato in forma bulimica, iniziato da adolescente , ciclicamente "sostituito" da forme di affetto o legami che sembravano colmare i vuoti, ma mai superato davvero per sua stessa ammissione.

Dopo questa confidenza che serberò come un prezioso segno di amicizia e richiesta di aiuto, ho desiderato documentarmi leggendo libri, visitando siti internet. Appena posso, in ufficio o a casa, dedico del tempo per entrare in sintonia con questo mondo parallelo al mio che manda - a tratti - forti segnali di aiuto che vorrei cogliere e interpretare nella maniera giusta, se ne esiste una.

Il percorso che ha deciso di intraprendere seppur faticoso e a tratti snervante in una maniera che a "noi dell'altro mondo" non ci è dato di capire appieno (consulenti medici la seguono con costanza, "monitorando" il suo stato psico-fisico) la porterà fuori. Lo voglio credere soprattutto per questa forza che ha avuto di volerne parlare proprio con me, dato che mi conosce da molto meno di un anno eppure ha riposto nelle mie mani il suo "piccolo" mondo di vuoti da colmare. (Intendiamoci: lo definisco "piccolo" per intendere fragile, delicato, sensibile).

Secondo me parlare di un problema è volerlo superare. Con queste poche righe voglio chiederVi un consiglio su come agire per esserle d'aiuto il più possibile. Non c'è un "modo" di essere amica di qualcuno nella maniera più utile per lui / lei e questo lo so. Io cerco di far sentire la mia presenza, anche nella lontananza, anche nel momento della/e crisi che spesso quotidianamente lei si trova a riuscire a superare o a sotto il peso delle quali dover soccombere.

Ho capito piccole cose di lei in queste poche settimane che come un fardello si porta dietro dalla prima infanzia. Ogni giorno lei mi apre una porticina o una finestrella di sè e mi permette di guardarci dentro. Accenna brevemente a cose promettendo che me ne riparlerà (quando potrà, quando sarò "all'altezza" di capirla un po' di più, quando sarà un pochino più facile per lei - mi dico io). Riprende a tratti discorsi appena accennati e me li espone più chiaramente.

Oggi io mi sento molto responsabile di lei anche se credo che è in ognuno di noi che c'è la risposta ai propri perchè e ai propri disagi. Spesso le dico che non vorrei essere il suo unico punto di riferimento perchè allora sarei totalmente inutile. Cerco di essere sempre sincera. Non ho paura di lei come una volta mi ha detto. Nè la disprezzo o provo disgusto, come a volte lei mi ha detto, parlando di sè.
Al contrario le voglio più bene e se mi rivolgo a voi spiegandovi tutto questo è anche perchè spero che qualcuna come lei possa leggere queste mie parole e credere almeno per un attimo che esista qualcuno per ognuno disposto ad amarci così come siamo. Ognuno con il proprio fardello di disagi. Alimentari o non.

Grazie per i vostri consigli.
Cordiali saluti
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
>>> Secondo me parlare di un problema è volerlo superare. >>>

Gentila ragazza, purtroppo devo deluderla ma non è così. Parlare di un problema, significa ILLUDERSI di volerlo superare, ma spesso accade proprio l'opposto.

L'unica maniera di uscire da un problema grave come un disturbo alimentare, sempre che di problema reale si tratti e che vi sia una reale motivazione a farlo, è un percorso di cura specialistico.

Cordiali saluti

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com