Disturbo di panico/agorafobia
Buonasera gentili Dottori.
Se dovessi parlare di tutto quello che vivo da due anni, non potrei in poche righe.
Due anni fa ho cominciato a soffrire di ansia e attacchi di panico, pensavo di poter gestire il tutto e non ho dato peso, fin quando con la conseguente agorafobia, il mio disturbo ha cominciato ad invalidarmi sempre più.
Attualmente non riesco a fare più di 3 passi da sola quando esco da casa, lo faccio solo in compagnia di persone che conosco bene io e che conoscono il mio disturbo, con chi non lo conosce mi sentirei più a disagio e più in ansia.
Anche se quest' ultima c è sempre a prescindere.
L'anno scorso ho fatto pochi mesi di psicoterapia che dopo un po' ho smesso perché non c era feeling con la psicoterapeuta e forse l'approccio cognitivo comportamentale non mi stava dando tanti risultati.
Da gennaio vado da una nuova psicologa (terapia psicodinamica credo).
Quando vado lì parliamo di tutto altro che dell' ansia.
Ebbi un dubbio e le chiesi "se fosse giusto affrontare o meno ciò che ora mi fa male" (che purtroppo sono anche cose semplici, come fare 4 passi in più sotto casa da sola), con mia sorpresa lei disse che non è giusto torturarmi e che i sintomi che sento si annulleranno da soli semplicemente parlando in terapia.
Questa cosa mi ha lasciata un po' perplessa, ovviamente parla la mia paura di restare intrappolata in questo incubo.
Ho paura che quando ti crei delle costruzioni mentali dove tutto è minaccioso sia poi difficile tornare la persona normale di prima semplicemente parlando.
Sono due anni che và così, o meglio in due anni ciò è solo peggiorato.
So che i miei dubbi dovrei portarli a lei, sarà che questa settimana (causa sua assenza) è saltata una seduta e la vedrò sett.
prossima.
Scrivo qui perché solo persone competenti possono capire il mio stato d'animo, vivo in prigione da due anni e ho paura di restarci a vita.
A volte cerco di non pensarlo ma altre volte i pensieri mi inghiottiscono.
Da una situazione così "grave" se ne può uscire?
e con queste modalità?
Datemi un parere professionale
Se dovessi parlare di tutto quello che vivo da due anni, non potrei in poche righe.
Due anni fa ho cominciato a soffrire di ansia e attacchi di panico, pensavo di poter gestire il tutto e non ho dato peso, fin quando con la conseguente agorafobia, il mio disturbo ha cominciato ad invalidarmi sempre più.
Attualmente non riesco a fare più di 3 passi da sola quando esco da casa, lo faccio solo in compagnia di persone che conosco bene io e che conoscono il mio disturbo, con chi non lo conosce mi sentirei più a disagio e più in ansia.
Anche se quest' ultima c è sempre a prescindere.
L'anno scorso ho fatto pochi mesi di psicoterapia che dopo un po' ho smesso perché non c era feeling con la psicoterapeuta e forse l'approccio cognitivo comportamentale non mi stava dando tanti risultati.
Da gennaio vado da una nuova psicologa (terapia psicodinamica credo).
Quando vado lì parliamo di tutto altro che dell' ansia.
Ebbi un dubbio e le chiesi "se fosse giusto affrontare o meno ciò che ora mi fa male" (che purtroppo sono anche cose semplici, come fare 4 passi in più sotto casa da sola), con mia sorpresa lei disse che non è giusto torturarmi e che i sintomi che sento si annulleranno da soli semplicemente parlando in terapia.
Questa cosa mi ha lasciata un po' perplessa, ovviamente parla la mia paura di restare intrappolata in questo incubo.
Ho paura che quando ti crei delle costruzioni mentali dove tutto è minaccioso sia poi difficile tornare la persona normale di prima semplicemente parlando.
Sono due anni che và così, o meglio in due anni ciò è solo peggiorato.
So che i miei dubbi dovrei portarli a lei, sarà che questa settimana (causa sua assenza) è saltata una seduta e la vedrò sett.
prossima.
Scrivo qui perché solo persone competenti possono capire il mio stato d'animo, vivo in prigione da due anni e ho paura di restarci a vita.
A volte cerco di non pensarlo ma altre volte i pensieri mi inghiottiscono.
Da una situazione così "grave" se ne può uscire?
e con queste modalità?
Datemi un parere professionale
[#1]
Gentile utente, comprendo le difficoltà che stai attraversando in questa situazione e hai fatto decisamente bene ad affidarti a professionisti per superarla.
Ci chiedi: "Da una situazione così "grave" se ne può uscire?". Sebbene opportuno approfondire ed indagare adeguatamente il tuo problema, l'agorafobia è una problematica ampiamente trattata in letteratura e per tanto una condizione dalla quale si può uscire qualora ci siano le condizioni opportune per un trattamento (una tra le varie è anche l'instaurarsi di una adeguata relazione terapeuta-paziente).
"e con queste modalità?", per risponderti dovremmo conoscere le modalità che intendi. Quello che posso dirti è che in psicoterapia esistono molti approcci di intervento con svariate sfaccettature. Ad esempio, riguardo al dubbio che citi: ""se fosse giusto affrontare o meno ciò che ora mi fa male", per la mia pratica terapeutica sarebbe, qualora il paziente ci riesca (!), un momento di svolta importante, sia per la terapia stessa che per la risoluzione del problema. Sei sicura di aver ben interpretato le parole del tuo psicoterapeuta? Mi verrebbe da pensare che il concetto che citi sia stato contestualizzato in modo più approfondito di quanto riportato.
Tuttavia, se hai opportunamente valutato e ritieni che il percorso che stai facendo non sia abbastanza efficace, l'unico consiglio che riesco a darti è di provare un approccio psicoterapeutico differente.
Spero di essere stato d'aiuto
Saluti
Ci chiedi: "Da una situazione così "grave" se ne può uscire?". Sebbene opportuno approfondire ed indagare adeguatamente il tuo problema, l'agorafobia è una problematica ampiamente trattata in letteratura e per tanto una condizione dalla quale si può uscire qualora ci siano le condizioni opportune per un trattamento (una tra le varie è anche l'instaurarsi di una adeguata relazione terapeuta-paziente).
"e con queste modalità?", per risponderti dovremmo conoscere le modalità che intendi. Quello che posso dirti è che in psicoterapia esistono molti approcci di intervento con svariate sfaccettature. Ad esempio, riguardo al dubbio che citi: ""se fosse giusto affrontare o meno ciò che ora mi fa male", per la mia pratica terapeutica sarebbe, qualora il paziente ci riesca (!), un momento di svolta importante, sia per la terapia stessa che per la risoluzione del problema. Sei sicura di aver ben interpretato le parole del tuo psicoterapeuta? Mi verrebbe da pensare che il concetto che citi sia stato contestualizzato in modo più approfondito di quanto riportato.
Tuttavia, se hai opportunamente valutato e ritieni che il percorso che stai facendo non sia abbastanza efficace, l'unico consiglio che riesco a darti è di provare un approccio psicoterapeutico differente.
Spero di essere stato d'aiuto
Saluti
Dr. Francesco Beligni - PSICOLOGO PSICOTERAPEUTA
Riceve su Siena-Arezzo oppure ONLINE
www.francescobeligni.it
[#2]
Utente
Salve dottore e grazie per la sua risposta.
La paura di non uscirne più è legata al fatto che come lei ben sa questo problema ti cambia la vita quando lo vivi. Non avrei mai potuto immaginare due anni fa che solo i pensieri della mia mente avrebbero impedito a me anche solo di camminare. Per quanto riguarda le "modalità" alle quali riferivo intendevo dire semplicemente quella di andare in terapia a parlare. Come le ho scritto su, ho troncato a dicembre una psicoterapia basata sull' affronto che aveva fallito (in 3 mesi ero sempre allo stesso punto con l affrontare quei pochi passi da sola) e mia madre ha pensato che forse avessi bisogno di qualcosa di più profondo. Detto ciò, con la nuova terapia sono comunque scettica (perché ho tanta paura di non guarire), specie quando la psicologa nuova alla mia domanda "come farò a guarire se non riesco a "camminare" (nel vero senso della parola) da sola e se non lo faccio, lei mi ha risposto "non è importante che tu cammina o esca di casa, il problema viene meno parlando in terapia" (questa era la modalità a cui mi riferivo che mi rende scettica, davvero può funzionare?). Per quanto riguarda la domanda sull'affronto, la mia domanda alla psicologa era più specifica, le dissi "quanto è giusto o meno giusto che io mi faccia del male (perché sto male) affrontando alcune cose, come andare in piazza sotto casa mia" e lei a questa domanda mi rispose "non è assolutamente giusto torturarsi". Non credo la sua risposta si riferisse ad un affronto generale delle cose. Le faccio un esempio, una settimana fa ho affrontato un esame universitario (accompagnata), non con poca difficoltà perché ero agitatissima, ma l ho fatto (accompagnata). È come se lei avesse voluto dirmi (forse) "non è importante che tu esca da casa da sola e cammini adesso, perché il problema non sta lì", forse questo punto lo dovrei rivedere con lei. C'è differenza tra sintomi di ansia da separazione e agorafobia? Perché forse lei mi ha dato una risposta del genere perché ha supposto che soffra della prima. (Anche se i sintomi dell' agorafobia sembrano proprio i miei, me la sono attribuita perché me lo disse la vecchia psicologa, paura di cadere, camminare attaccata ai muri o alle persone care, e tutto ciò che lei sa già meglio di me).
La paura di non uscirne più è legata al fatto che come lei ben sa questo problema ti cambia la vita quando lo vivi. Non avrei mai potuto immaginare due anni fa che solo i pensieri della mia mente avrebbero impedito a me anche solo di camminare. Per quanto riguarda le "modalità" alle quali riferivo intendevo dire semplicemente quella di andare in terapia a parlare. Come le ho scritto su, ho troncato a dicembre una psicoterapia basata sull' affronto che aveva fallito (in 3 mesi ero sempre allo stesso punto con l affrontare quei pochi passi da sola) e mia madre ha pensato che forse avessi bisogno di qualcosa di più profondo. Detto ciò, con la nuova terapia sono comunque scettica (perché ho tanta paura di non guarire), specie quando la psicologa nuova alla mia domanda "come farò a guarire se non riesco a "camminare" (nel vero senso della parola) da sola e se non lo faccio, lei mi ha risposto "non è importante che tu cammina o esca di casa, il problema viene meno parlando in terapia" (questa era la modalità a cui mi riferivo che mi rende scettica, davvero può funzionare?). Per quanto riguarda la domanda sull'affronto, la mia domanda alla psicologa era più specifica, le dissi "quanto è giusto o meno giusto che io mi faccia del male (perché sto male) affrontando alcune cose, come andare in piazza sotto casa mia" e lei a questa domanda mi rispose "non è assolutamente giusto torturarsi". Non credo la sua risposta si riferisse ad un affronto generale delle cose. Le faccio un esempio, una settimana fa ho affrontato un esame universitario (accompagnata), non con poca difficoltà perché ero agitatissima, ma l ho fatto (accompagnata). È come se lei avesse voluto dirmi (forse) "non è importante che tu esca da casa da sola e cammini adesso, perché il problema non sta lì", forse questo punto lo dovrei rivedere con lei. C'è differenza tra sintomi di ansia da separazione e agorafobia? Perché forse lei mi ha dato una risposta del genere perché ha supposto che soffra della prima. (Anche se i sintomi dell' agorafobia sembrano proprio i miei, me la sono attribuita perché me lo disse la vecchia psicologa, paura di cadere, camminare attaccata ai muri o alle persone care, e tutto ciò che lei sa già meglio di me).
[#3]
Ok, adesso ho capito meglio cosa intendeva.
Onestamente per una situazione complessa come questa, ben poco possiamo fare attraverso un forum e sicuramente la cosa migliore che puoi fare è affidarti al profesionist che hai scelto.
La tua situazione mi sembra fortemente invalidante ed è tenuta in piedi anche dalla tua continua richiesta d'aiuto verso gli altri. Dovresti smettere di parlare del tuo problema e di chiedere continuamente aiuto agli altri. Questo è il primo consiglio che ti darei e che do in generale alle persone che soffrono di problemi legati alla sfera fobica.
Mi chiedi perchè parlo di agorafobia, la risposta è che lo hai scritto nel titolo e leggendo il tuo racconto mi sembrerebbe uan diagnosi appropriata, ma ovviamente sarebbe da indagare.
Credo che per una situazione invalidante come la tua un approccio terapeutico orientato alla soluzione potrebbe essere una buona alternativa.
Comunque il mio consiglio rimane quello di lasciar lavorare e affidarti al terapeuta che ti ha in carico.
Saluti
Onestamente per una situazione complessa come questa, ben poco possiamo fare attraverso un forum e sicuramente la cosa migliore che puoi fare è affidarti al profesionist che hai scelto.
La tua situazione mi sembra fortemente invalidante ed è tenuta in piedi anche dalla tua continua richiesta d'aiuto verso gli altri. Dovresti smettere di parlare del tuo problema e di chiedere continuamente aiuto agli altri. Questo è il primo consiglio che ti darei e che do in generale alle persone che soffrono di problemi legati alla sfera fobica.
Mi chiedi perchè parlo di agorafobia, la risposta è che lo hai scritto nel titolo e leggendo il tuo racconto mi sembrerebbe uan diagnosi appropriata, ma ovviamente sarebbe da indagare.
Credo che per una situazione invalidante come la tua un approccio terapeutico orientato alla soluzione potrebbe essere una buona alternativa.
Comunque il mio consiglio rimane quello di lasciar lavorare e affidarti al terapeuta che ti ha in carico.
Saluti
Dr. Francesco Beligni - PSICOLOGO PSICOTERAPEUTA
Riceve su Siena-Arezzo oppure ONLINE
www.francescobeligni.it
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 2.9k visite dal 02/03/2023.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Approfondimento su Ansia
Cos'è l'ansia? Tipologie dei disturbi d'ansia, sintomi fisici, cognitivi e comportamentali, prevenzione, diagnosi e cure possibili con psicoterapia o farmaci.