Una psicologa che non ti cerca più è professionale?
Sono stata seguita da una psicologa per tre anni.
Quando è iniziata la pandemia abbiamo dovuto iniziare a fare le sedute online.
Il metodo online non mi ha mai convinta, anzi.
Odiavo le sedute via Skype e ho provato ad abituarmi.
Pian piano è andata un po’ meglio, ma comunque non mi sono mai sentita tranquilla davvero a far sedute online, ho dovuto spesso costringermi a farle, ho omesso cose importanti perché ero a disagio.
Tra l’altro il supporto via schermo tocca delle vecchie questioni traumatiche per me e non mi aiuta per niente, fa effetto opposto.
Ho sempre e spesso condiviso questo disagio con la psicologa e non mi ha mai dato modo di tornare a far sedute in presenza.
Non è mai stata chiara in merito, a volte sembrava proprio non volesse toccare l’argomento se le chiedevo quando avrei potuto riprendere di persona con le sedute.
Prima dell’estate cercando su internet un’altra psicologa in un momento di rabbia ho scoperto che questa persona si è trasferita in un’altra città.
Capisco il non volermi dire i fatti suoi, per carità, ma dirmi chiaramente che non vi era alcuna possibilità di sedute live e magari propormi di continuare il percorso con qualcun altro perché no?!?
A quel punto mi sono talmente irritata che non l’ho più cercata, non ho fissato la seduta successiva, e lei non mi ha più cercata.
È corretto così da parte sua?
Io forse avrei dovuto dirle in faccia quanto mi rodeva, ma conoscendomi mi avrebbe destabilizzata troppo.
Mi sono sentita usata e presa in giro sinceramente.
Quando è iniziata la pandemia abbiamo dovuto iniziare a fare le sedute online.
Il metodo online non mi ha mai convinta, anzi.
Odiavo le sedute via Skype e ho provato ad abituarmi.
Pian piano è andata un po’ meglio, ma comunque non mi sono mai sentita tranquilla davvero a far sedute online, ho dovuto spesso costringermi a farle, ho omesso cose importanti perché ero a disagio.
Tra l’altro il supporto via schermo tocca delle vecchie questioni traumatiche per me e non mi aiuta per niente, fa effetto opposto.
Ho sempre e spesso condiviso questo disagio con la psicologa e non mi ha mai dato modo di tornare a far sedute in presenza.
Non è mai stata chiara in merito, a volte sembrava proprio non volesse toccare l’argomento se le chiedevo quando avrei potuto riprendere di persona con le sedute.
Prima dell’estate cercando su internet un’altra psicologa in un momento di rabbia ho scoperto che questa persona si è trasferita in un’altra città.
Capisco il non volermi dire i fatti suoi, per carità, ma dirmi chiaramente che non vi era alcuna possibilità di sedute live e magari propormi di continuare il percorso con qualcun altro perché no?!?
A quel punto mi sono talmente irritata che non l’ho più cercata, non ho fissato la seduta successiva, e lei non mi ha più cercata.
È corretto così da parte sua?
Io forse avrei dovuto dirle in faccia quanto mi rodeva, ma conoscendomi mi avrebbe destabilizzata troppo.
Mi sono sentita usata e presa in giro sinceramente.
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Gentile utente,
mi dispiace che lei nutra idee e stati d'animo così negativi verso una persona che ha avuto tanta parte nella sua vita: tre anni sono un percorso molto lungo. Tuttavia la conclusione: "Mi sono sentita usata e presa in giro", ossia l'idea che le provoca sofferenza, potrebbe scaturire da un'interpretazione esageratamente negativa o addirittura falsa di quello che è successo.
I fatti che racconta potrebbero avere diverse interpretazioni.
Lei dice che odia le sedute via Skype, che le ricordano fatti traumatici e le inibiscono una piena fruizione del colloquio terapeutico. Dice che ne ha parlato con la psicologa, la quale non le ha dato modo di tornare a far sedute in presenza, anzi sembrava eludere le sue richieste.
Dopodiché ha scoperto che la psicologa si è trasferita in un'altra città, e ne ha dedotto che l'abbia volutamente ingannata sull'impossibilità di tornare ai colloqui dal vivo.
Forse la deduzione non è esatta. Se le due città sono vicine, la sua curante potrebbe aver mantenuto il vecchio studio; molti psicologi hanno più di uno studio professionale in città diverse. E poi è sicura che la città di residenza non fosse la stessa anche all'epoca in cui avete cominciato le sedute?
Oppure la psicologa potrebbe non aver ripreso i contatti dal vivo perché ritiene utile per lei una pratica desensibilizzante, proprio per i vecchi traumi di cui ci ha scritto, o per altre ragioni legate alla terapia che stava attuando.
O ancora, potrebbe aver voluto creare un periodo di transizione prima di comunicarle il suo trasferimento o l'invio ad un altro curante.
Lei invece ha pensato subito di essere vittima di un raggiro; si è sentita addirittura "usata", non si comprende a quale scopo. Ecco la sua reazione: "Io forse avrei dovuto dirle in faccia quanto mi rodeva, ma conoscendomi mi avrebbe destabilizzata troppo".
Certamente la persona più idonea per discutere l'idea che si è fatta è ancora oggi la sua psicologa, per chiarezza e a scopo terapeutico.
Lascia perplessi il fatto che dopo tre anni di terapia lei gestisca così male le sue emozioni da parlare di "dirle in faccia quanto mi rodeva" e "mi avrebbe destabilizzata troppo", e prima aveva parlato di irritazione e di rabbia.
Posso chiederle qual era la diagnosi del disturbo per cui era in cura?
Tornando alla sua domanda, non doveva essere la professionista a cercarla: se il paziente per sue ragioni ha deciso di chiudere o di sospendere, il curante lo lascia ampiamente libero.
Per qualunque altro chiarimento, siamo qui.
mi dispiace che lei nutra idee e stati d'animo così negativi verso una persona che ha avuto tanta parte nella sua vita: tre anni sono un percorso molto lungo. Tuttavia la conclusione: "Mi sono sentita usata e presa in giro", ossia l'idea che le provoca sofferenza, potrebbe scaturire da un'interpretazione esageratamente negativa o addirittura falsa di quello che è successo.
I fatti che racconta potrebbero avere diverse interpretazioni.
Lei dice che odia le sedute via Skype, che le ricordano fatti traumatici e le inibiscono una piena fruizione del colloquio terapeutico. Dice che ne ha parlato con la psicologa, la quale non le ha dato modo di tornare a far sedute in presenza, anzi sembrava eludere le sue richieste.
Dopodiché ha scoperto che la psicologa si è trasferita in un'altra città, e ne ha dedotto che l'abbia volutamente ingannata sull'impossibilità di tornare ai colloqui dal vivo.
Forse la deduzione non è esatta. Se le due città sono vicine, la sua curante potrebbe aver mantenuto il vecchio studio; molti psicologi hanno più di uno studio professionale in città diverse. E poi è sicura che la città di residenza non fosse la stessa anche all'epoca in cui avete cominciato le sedute?
Oppure la psicologa potrebbe non aver ripreso i contatti dal vivo perché ritiene utile per lei una pratica desensibilizzante, proprio per i vecchi traumi di cui ci ha scritto, o per altre ragioni legate alla terapia che stava attuando.
O ancora, potrebbe aver voluto creare un periodo di transizione prima di comunicarle il suo trasferimento o l'invio ad un altro curante.
Lei invece ha pensato subito di essere vittima di un raggiro; si è sentita addirittura "usata", non si comprende a quale scopo. Ecco la sua reazione: "Io forse avrei dovuto dirle in faccia quanto mi rodeva, ma conoscendomi mi avrebbe destabilizzata troppo".
Certamente la persona più idonea per discutere l'idea che si è fatta è ancora oggi la sua psicologa, per chiarezza e a scopo terapeutico.
Lascia perplessi il fatto che dopo tre anni di terapia lei gestisca così male le sue emozioni da parlare di "dirle in faccia quanto mi rodeva" e "mi avrebbe destabilizzata troppo", e prima aveva parlato di irritazione e di rabbia.
Posso chiederle qual era la diagnosi del disturbo per cui era in cura?
Tornando alla sua domanda, non doveva essere la professionista a cercarla: se il paziente per sue ragioni ha deciso di chiudere o di sospendere, il curante lo lascia ampiamente libero.
Per qualunque altro chiarimento, siamo qui.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 1k visite dal 12/10/2022.
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