Mancanza di empatia
Salve, Sto insieme al mio compagno da 4 anni e abbiamo un figlio di 2 anni.
Da qualche mese ho notato, nel mio compagno, una quasi totale mancanza di empatia nei mie confronti.
Sembra quasi scocciato quando ho un problema, per lo più fisico, faccio un esempio per farmi capire meglio: soffro di secchezza oculare e mi capita delle volte di avere abrasioni corneali, questo ovviamente è una scocciatura, perché puntualmente devo correre al pronto soccorso, e lui mi deve accompagnare, insieme al bimbo e stare ore ad aspettare.
L'ultima volta mi ha fatto pesare talmente tanto la cosa che ho pianto, e ho pensato "come può non avere un minimo di compassione per me?
" È una cosa che mi porta parecchi disturbi questo fatto dell'occhio, a partire dal dolore che provo al fatto che non riesco a vedere bene con la benda ecc ecc... ma questo sembra non colpirlo minimamente, e mai ho sentito parole come "mi dispiace che tu stia così", mi sento sola in questo momento, perché proprio oggi gli parlavo del fatto che sento il bisogno di andare da uno psicologo, perché sono sicura che l'abbandono di mio padre mi ha causato non pochi problemi.
(A 8 anni è sparito dalla mia vita, ero la figlia indesiderata, avuta con l'amante, lui ha altre 2 figlie e questo mi ha portato a pensare spesso di non essere abbastanza) e lui ci ha fatto una battuta, dicendo che così forse capirò il perché mi piace tanto andare dai dottori... (io, come tutte le persone normali, se ho un problema mi faccio visitare!) Ora vedendo l' atteggiamento del mio compagno, che è scocciato, che si innervosisce per delle stupidaggini come per esempio usare il bagno in contemporanea, ovviamente mi fa stare male, come se la mia presenza in generale fosse di troppo a volte.
Lavora tanto e con il bimbo ci sta poco, io sto h24 con mio figlio.
So che parlarne qui non può risolvere tutto, so che devo affrontare alcune cose di persona, ma vorrei sapere se sono io a sbagliare, io mi chiudo perché non voglio dover chiedere attenzioni, o chiedere di essere capita o amata per quella che sono... mi sento non amata in questo modo, perché sembra che qualsiasi cosa io faccia, sia sbagliata.
È come se il fatto di chiedere spesso aiuto a lui lo innervosisca.
Ma non dovrebbe essere così in una famiglia?
Lui non chiede mai aiuto a me, e io non mi faccio problemi invece a chiedere aiuto a lui, e comunque anche se lui non chiede cerco di aiutarlo il più possibile.
Il problema potrebbe essere che io mi appoggio molto a lui?
Ma per me fare questo è normale, se lo facesse lui io lo supporterei.
E poi per vari motivi devo chiedere per forza a lui delle volte.
Da qualche mese ho notato, nel mio compagno, una quasi totale mancanza di empatia nei mie confronti.
Sembra quasi scocciato quando ho un problema, per lo più fisico, faccio un esempio per farmi capire meglio: soffro di secchezza oculare e mi capita delle volte di avere abrasioni corneali, questo ovviamente è una scocciatura, perché puntualmente devo correre al pronto soccorso, e lui mi deve accompagnare, insieme al bimbo e stare ore ad aspettare.
L'ultima volta mi ha fatto pesare talmente tanto la cosa che ho pianto, e ho pensato "come può non avere un minimo di compassione per me?
" È una cosa che mi porta parecchi disturbi questo fatto dell'occhio, a partire dal dolore che provo al fatto che non riesco a vedere bene con la benda ecc ecc... ma questo sembra non colpirlo minimamente, e mai ho sentito parole come "mi dispiace che tu stia così", mi sento sola in questo momento, perché proprio oggi gli parlavo del fatto che sento il bisogno di andare da uno psicologo, perché sono sicura che l'abbandono di mio padre mi ha causato non pochi problemi.
(A 8 anni è sparito dalla mia vita, ero la figlia indesiderata, avuta con l'amante, lui ha altre 2 figlie e questo mi ha portato a pensare spesso di non essere abbastanza) e lui ci ha fatto una battuta, dicendo che così forse capirò il perché mi piace tanto andare dai dottori... (io, come tutte le persone normali, se ho un problema mi faccio visitare!) Ora vedendo l' atteggiamento del mio compagno, che è scocciato, che si innervosisce per delle stupidaggini come per esempio usare il bagno in contemporanea, ovviamente mi fa stare male, come se la mia presenza in generale fosse di troppo a volte.
Lavora tanto e con il bimbo ci sta poco, io sto h24 con mio figlio.
So che parlarne qui non può risolvere tutto, so che devo affrontare alcune cose di persona, ma vorrei sapere se sono io a sbagliare, io mi chiudo perché non voglio dover chiedere attenzioni, o chiedere di essere capita o amata per quella che sono... mi sento non amata in questo modo, perché sembra che qualsiasi cosa io faccia, sia sbagliata.
È come se il fatto di chiedere spesso aiuto a lui lo innervosisca.
Ma non dovrebbe essere così in una famiglia?
Lui non chiede mai aiuto a me, e io non mi faccio problemi invece a chiedere aiuto a lui, e comunque anche se lui non chiede cerco di aiutarlo il più possibile.
Il problema potrebbe essere che io mi appoggio molto a lui?
Ma per me fare questo è normale, se lo facesse lui io lo supporterei.
E poi per vari motivi devo chiedere per forza a lui delle volte.
[#1]
Gentile utente,
i problemi di cui ci parla sono numerosi e complessi, perciò è strano che lei non abbia ancora consultato un* psicolog*, mentre ce ne sono anche di gratuiti o quasi alle ASL, nei consultori, negli ospedali, a scuola, all'università.
Non le è mai venuta la curiosità, se non il bisogno, di sapere quali effetti possono avere sulla sua vita le vicende che hanno accompagnato la sua nascita?
Non ha piuttosto, fin qui, praticato una 'cecità volontaria', una fuga dalla conoscenza di sé stessa?
Ma come vede, i nodi che cerchiamo di sfuggire vengono al pettine, e certi suoi pensieri, emozioni, comportamenti possono nuocere al benessere suo, del suo partner, dei suoi figli. Forse la sua stessa malattia agli occhi è una trasposizione psicosomatica della volontà di non vedere.
Sembra dal suo scritto che lei ci chieda se sono "normali" una serie di idee, sentimenti e comportamenti sia suoi che del partner; ma non si può stabilire una 'normalità', specie quando elementi di fondo, a partire dalla sua sicurezza, sono stati turbati: "questo mi ha portato a pensare spesso di non essere abbastanza".
All'analisi della sua lettera devo premettere una raccomandazione: è bene che lei la stampi per portarla ad un* psicolog* (al Consultorio familiare o alle ASL, se le sue possibilità economiche di un percorso privato sono davvero limitate), perché la problematica che presenta va affrontata seriamente e sciogliendo i vari nodi.
Venendo al contenuto della sua lettera, da qui posso solo fornirle alcuni spunti di riflessione.
Lei lamenta la "quasi totale mancanza di empatia" del suo compagno, che presumibilmente è giovane, impegnato nel lavoro, vorrebbe un progetto di vita costruttivo, e non ha certo cercato una partner col desiderio di occuparsi della sua malattia cronica trascorrendo lunghe ore al pronto soccorso. L'amore non si costruisce sulla rinuncia e sulla compassione: lei stessa non ha scelto come partner un invalido. Ed ecco cosa scrive: "puntualmente devo correre al pronto soccorso, e lui mi deve accompagnare, insieme al bimbo e stare ore ad aspettare".
Questa le pare un'attività piacevole da offrire alle persone amate? E quale speranza sta dando al suo compagno di poter risolvere il problema? Difficilmente alla sua età una malattia non ha rimedio. Lei questo rimedio lo cerca davvero? Qual è la diagnosi del suo oculista?
Sembra invece che lei voglia offrire al suo compagno anche un'altra serie di disagi: "proprio oggi gli parlavo del fatto che sento il bisogno di andare da uno psicologo, perché sono sicura che l'abbandono di mio padre mi ha causato non pochi problemi".
Vada dallo psicologo, ma per guarire; per poter dire al suo compagno che è felice di stare con lui, non per cercare ancora di suscitare la sua pietà e di impegnarlo in un'assistenza da infermiere.
Lei scrive che è "scocciato" e che "si innervosisce per delle stupidaggini"... dopodiché, se ho ben capito quali sarebbero le "stupidaggini", sembra che lei voglia essere infantile e invadente, infatti scrive "per esempio usare il bagno in contemporanea".
Signora, il bagno è uno spazio privato. Perché imporre ad un uomo amato la vista di sé stessa mentre lo usa, o imporre a lui di rinunciare alla propria privacy?
Le sembra che l'intimità sessuale sia fatta di questo genere di attività? Farsi vedere mentre ci si lava o seduta sul WC le sembra davvero una manifestazione di sex appeal?
In pratica, se lei impone questo al suo uomo, lo sta considerando una specie di sorellina - e dimostra di non essere mai cresciuta.
Aggiunge: "io sto h24 con mio figlio". E perché non ha ancora ripreso a lavorare?
Poi scrive: "È come se il fatto di chiedere spesso aiuto a lui lo innervosisca. Ma non dovrebbe essere così in una famiglia?"
Provi a mettersi nei suoi panni, a immaginare come vede lui la sua malattia, le lunghe ore al pronto soccorso, il lamento sul passato, la mancanza di proposte divertenti e di un progetto di vita sano, il lavoro che pesa unicamente sulle sue spalle, e l'intimità con la partner degradata all'andare in bagno insieme.
Non è così in una famiglia se non nei casi particolari e non auspicabili in cui qualcosa va male, signora. Ma sarebbe bene costruirsi una vita in cui questi casi siano pochi, e soprattutto ci sia l'intenzione di affrontarli per risolverli.
Questa volontà rappresenta l'amore per gli altri, e prima di tutto il fondamentale amore verso sé stessi.
Buone cose.
i problemi di cui ci parla sono numerosi e complessi, perciò è strano che lei non abbia ancora consultato un* psicolog*, mentre ce ne sono anche di gratuiti o quasi alle ASL, nei consultori, negli ospedali, a scuola, all'università.
Non le è mai venuta la curiosità, se non il bisogno, di sapere quali effetti possono avere sulla sua vita le vicende che hanno accompagnato la sua nascita?
Non ha piuttosto, fin qui, praticato una 'cecità volontaria', una fuga dalla conoscenza di sé stessa?
Ma come vede, i nodi che cerchiamo di sfuggire vengono al pettine, e certi suoi pensieri, emozioni, comportamenti possono nuocere al benessere suo, del suo partner, dei suoi figli. Forse la sua stessa malattia agli occhi è una trasposizione psicosomatica della volontà di non vedere.
Sembra dal suo scritto che lei ci chieda se sono "normali" una serie di idee, sentimenti e comportamenti sia suoi che del partner; ma non si può stabilire una 'normalità', specie quando elementi di fondo, a partire dalla sua sicurezza, sono stati turbati: "questo mi ha portato a pensare spesso di non essere abbastanza".
All'analisi della sua lettera devo premettere una raccomandazione: è bene che lei la stampi per portarla ad un* psicolog* (al Consultorio familiare o alle ASL, se le sue possibilità economiche di un percorso privato sono davvero limitate), perché la problematica che presenta va affrontata seriamente e sciogliendo i vari nodi.
Venendo al contenuto della sua lettera, da qui posso solo fornirle alcuni spunti di riflessione.
Lei lamenta la "quasi totale mancanza di empatia" del suo compagno, che presumibilmente è giovane, impegnato nel lavoro, vorrebbe un progetto di vita costruttivo, e non ha certo cercato una partner col desiderio di occuparsi della sua malattia cronica trascorrendo lunghe ore al pronto soccorso. L'amore non si costruisce sulla rinuncia e sulla compassione: lei stessa non ha scelto come partner un invalido. Ed ecco cosa scrive: "puntualmente devo correre al pronto soccorso, e lui mi deve accompagnare, insieme al bimbo e stare ore ad aspettare".
Questa le pare un'attività piacevole da offrire alle persone amate? E quale speranza sta dando al suo compagno di poter risolvere il problema? Difficilmente alla sua età una malattia non ha rimedio. Lei questo rimedio lo cerca davvero? Qual è la diagnosi del suo oculista?
Sembra invece che lei voglia offrire al suo compagno anche un'altra serie di disagi: "proprio oggi gli parlavo del fatto che sento il bisogno di andare da uno psicologo, perché sono sicura che l'abbandono di mio padre mi ha causato non pochi problemi".
Vada dallo psicologo, ma per guarire; per poter dire al suo compagno che è felice di stare con lui, non per cercare ancora di suscitare la sua pietà e di impegnarlo in un'assistenza da infermiere.
Lei scrive che è "scocciato" e che "si innervosisce per delle stupidaggini"... dopodiché, se ho ben capito quali sarebbero le "stupidaggini", sembra che lei voglia essere infantile e invadente, infatti scrive "per esempio usare il bagno in contemporanea".
Signora, il bagno è uno spazio privato. Perché imporre ad un uomo amato la vista di sé stessa mentre lo usa, o imporre a lui di rinunciare alla propria privacy?
Le sembra che l'intimità sessuale sia fatta di questo genere di attività? Farsi vedere mentre ci si lava o seduta sul WC le sembra davvero una manifestazione di sex appeal?
In pratica, se lei impone questo al suo uomo, lo sta considerando una specie di sorellina - e dimostra di non essere mai cresciuta.
Aggiunge: "io sto h24 con mio figlio". E perché non ha ancora ripreso a lavorare?
Poi scrive: "È come se il fatto di chiedere spesso aiuto a lui lo innervosisca. Ma non dovrebbe essere così in una famiglia?"
Provi a mettersi nei suoi panni, a immaginare come vede lui la sua malattia, le lunghe ore al pronto soccorso, il lamento sul passato, la mancanza di proposte divertenti e di un progetto di vita sano, il lavoro che pesa unicamente sulle sue spalle, e l'intimità con la partner degradata all'andare in bagno insieme.
Non è così in una famiglia se non nei casi particolari e non auspicabili in cui qualcosa va male, signora. Ma sarebbe bene costruirsi una vita in cui questi casi siano pochi, e soprattutto ci sia l'intenzione di affrontarli per risolverli.
Questa volontà rappresenta l'amore per gli altri, e prima di tutto il fondamentale amore verso sé stessi.
Buone cose.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#2]
Utente
Dottoressa grazie per la risposta. Ha ragione devo andare da uno psicologo, io ho 26 anni e mio marito 39, forse anche la differenza di età fa tanto. Le cose che ha detto sul fatto della mia malattia agli occhi, sono andata da vari oculisti e nessuno fino a poco fa è riuscito ha trovare mai nulla. Sono riuscita finalmente a trovare un dottore che veramente vuole andare a fondo al mio problema, sto aspettando che torni dalle ferie, in più le dico che non è che io sto perennemente male, ma in 5 anni almeno una volta l'anno mi capita di andare al pronto soccorso, detto questo so perfettamente che è una rottura ma non posso fare altro che chiedere aiuto a lui in quei momenti. Il mio compagno lavora molto perché ha due attività, e parte spesso nel weekend e in estate parte per un mese intero, io non lavoro perché il contratto mi è scaduto e io sono rimasta incinta l'ultimo anno, non mi hanno rinnovato il contratto perché ho avuto un figlio, non abbiamo nonni o altri parenti vicino a noi che possono aiutarci con il bimbo, per questo io ancora non lavoro, e poi con il fatto che il mio compagno parte spesso mi è un pò complicato cercare qualcosa, ma voglio farlo appena mio figlio andrà al nido. Per il fatto del bagno lui stesso ha sempre tenuto la porta aperta, questo mi ha dato la "liberta" di poter entrare e magari di lavare i denti mentre lui è in bagno.
Volevo solo chiarire questo, comunque presto andrò da qualcuno.
Grazie
Volevo solo chiarire questo, comunque presto andrò da qualcuno.
Grazie
[#3]
Sarei contenta di essere riuscita davvero a farle comprendere la necessità e l'urgenza di un consulto psicologico, nel quale rivalutare tutta una serie di idee e comportamenti disfunzionali al suo benessere e a quello dei suoi familiari.
Le faccio tanti auguri, anche per il disturbo agli occhi. Nella sua città esiste il centro Bietti per i disturbi oculari (ospedale Britannico, dietro il San Giovanni) o il prof. Filippo Cruciani, un vero luminare. Ma anche la lubrificazione artificiale dovrebbe evitarle le corse al Pronto Soccorso.
Le faccio tanti auguri, anche per il disturbo agli occhi. Nella sua città esiste il centro Bietti per i disturbi oculari (ospedale Britannico, dietro il San Giovanni) o il prof. Filippo Cruciani, un vero luminare. Ma anche la lubrificazione artificiale dovrebbe evitarle le corse al Pronto Soccorso.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#4]
Utente
Grazie mille davvero! L'oculista che devo vedere mi ha dato nel frattempo una cura per lubrificare meglio l'occhio. Vorrei solo chiederle un altro consiglio se posso, ho trovato uno psicologo che dice di usare il metodo ad orientamento sistemico relazionale, ma non so bene cosa significa, secondo lei può andare bene per il problema che ho? Se non dovesse andare bene mi può consigliare lei a chi rivolgermi? La ringrazio ancora.
[#5]
Gentile utente,
il metodo del terapeuta da lei preso in considerazione potrebbe essere uno dei più indicati per il suo caso.
Dico "potrebbe" perché la conoscenza di sé stessi e il cambiamento in positivo della propria vita sono condizionati da due fattori: la scelta del curante, non tanto per la sua formazione quanto per la fiducia che sviluppiamo verso di lui/lei, e la ferma volontà di guarire, accettando anche i momenti di sofferenza e quelli in cui ci sembra di non andare avanti.
Le faccio tanti auguri, e le ricordo che chi intraprende un cammino è già più vicino alla meta di chi rimane fermo.
il metodo del terapeuta da lei preso in considerazione potrebbe essere uno dei più indicati per il suo caso.
Dico "potrebbe" perché la conoscenza di sé stessi e il cambiamento in positivo della propria vita sono condizionati da due fattori: la scelta del curante, non tanto per la sua formazione quanto per la fiducia che sviluppiamo verso di lui/lei, e la ferma volontà di guarire, accettando anche i momenti di sofferenza e quelli in cui ci sembra di non andare avanti.
Le faccio tanti auguri, e le ricordo che chi intraprende un cammino è già più vicino alla meta di chi rimane fermo.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 7 risposte e 6.1k visite dal 23/08/2022.
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