Adolescente che si masturba in classe, come comportarsi?
Buonasera,
sono un'insegnante, a settembre in classe prima (media) arriverà una bimba che fin dalle scuole elementari si masturba in classe.
La bimba non ha diagnosi o certificazioni particolari.
Come è bene comportarsi in un caso del genere con la ragazzina, che ormai non è più tanto una bimba?
E intendo sia in classe durante un eventuale episodio, sia dopo (le si parla?
Le si spiega che un'aula non è il luogo adatto?)
E come dovremmo comportarci con i compagni (la maggior parte nuovi per lei) se se ne accorgono (perché se ne accorgeranno)?
Il timore ovviamente è che venga presa in giro e isolata.
Grazie
sono un'insegnante, a settembre in classe prima (media) arriverà una bimba che fin dalle scuole elementari si masturba in classe.
La bimba non ha diagnosi o certificazioni particolari.
Come è bene comportarsi in un caso del genere con la ragazzina, che ormai non è più tanto una bimba?
E intendo sia in classe durante un eventuale episodio, sia dopo (le si parla?
Le si spiega che un'aula non è il luogo adatto?)
E come dovremmo comportarci con i compagni (la maggior parte nuovi per lei) se se ne accorgono (perché se ne accorgeranno)?
Il timore ovviamente è che venga presa in giro e isolata.
Grazie
[#1]
Gentile utente,
sono stata insegnante nelle scuole di Stato per più di quarant'anni, per cui la sua domanda mi appare davvero singolare, non avendo mai sentito niente di simile.
Per la precisione, non è che non abbia mai sentito o visto che alcuni alunni possano masturbarsi in classe, ma non ho mai sentito che tale comportamento, divenuto evidentemente abitudine, venga annunciato in anticipo ai futuri insegnanti, specie associato al fatto che il soggetto in questione "non ha diagnosi o certificazioni particolari".
Allora in che modo, mi scusi, è venuta a sapere di questo comportamento della futura alunna?
E lo sa lei sola? In genere è l'intero consiglio di classe che viene investito della responsabilità del comportamento degli alunni, preside in testa.
Immagino che l'informazione sia stata fornita nel modulo d'iscrizione. Dai genitori o dai precedenti insegnanti? Ritengo che occorra acquisire elementi su come il "disturbo" è stato trattato nella precedente scuola, nella considerazione che opportuni modelli pedagogici siano noti e condivisi tra gli operatori del settore.
Lei scrive: "Il timore ovviamente è che venga presa in giro e isolata".
L'aspetto educativo dell'istituzione scolastica si esaurisce qui?
Ci faccia sapere di più e potremo meglio aiutarla.
sono stata insegnante nelle scuole di Stato per più di quarant'anni, per cui la sua domanda mi appare davvero singolare, non avendo mai sentito niente di simile.
Per la precisione, non è che non abbia mai sentito o visto che alcuni alunni possano masturbarsi in classe, ma non ho mai sentito che tale comportamento, divenuto evidentemente abitudine, venga annunciato in anticipo ai futuri insegnanti, specie associato al fatto che il soggetto in questione "non ha diagnosi o certificazioni particolari".
Allora in che modo, mi scusi, è venuta a sapere di questo comportamento della futura alunna?
E lo sa lei sola? In genere è l'intero consiglio di classe che viene investito della responsabilità del comportamento degli alunni, preside in testa.
Immagino che l'informazione sia stata fornita nel modulo d'iscrizione. Dai genitori o dai precedenti insegnanti? Ritengo che occorra acquisire elementi su come il "disturbo" è stato trattato nella precedente scuola, nella considerazione che opportuni modelli pedagogici siano noti e condivisi tra gli operatori del settore.
Lei scrive: "Il timore ovviamente è che venga presa in giro e isolata".
L'aspetto educativo dell'istituzione scolastica si esaurisce qui?
Ci faccia sapere di più e potremo meglio aiutarla.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#2]
Ex utente
Buonasera,
nella nostra scuola esiste un momento chiamato "passaggio informazioni" nel quale le maestre forniscono informazioni sui futuri alunni alla commissione classi (commissione formata dai docenti delle future prime) per poter fare appunto le classi (distribuire un numero equo di alunni in ogni sezione, distribuire in modo equo maschi e femmine, alunni bravi e in difficoltà, alunni con DSA o PEI ecc). Pertanto siamo un gruppo di docenti che è a conoscenza dei fatti. Non abbiamo un protocollo per casi del genere e la Dirigente è a conoscenza dei fatti.
Non l'ho specificato prima ma lo studente in questione è di sesso femminile e i compagni di classe non si sono mai accorti di nulla. Evidentemente sono decisamente impreparata sulla faccenda perché il comportamento della bambina non ci è stato presentato come "disturbo", nonostante lei abbia ben interpretato il fatto che il comportamento è consolidato (fin dalla scuola dell'infanzia). So che la domanda è sciocca, perché ovviamente è un comportamento anomalo fatto in presenza di altri alla sua età, ma mi chiarisce meglio perchè a primo acchito ha parlato subito di disturbo?
Come unica notizia data dallo psicologo che l'ha seguita per un po' (non abbiamo ulteriori informazioni) è stata: "Lo fa per estraniarsi da quello che viene fatto in classe". Le maestre erano decisamente perplesse sulla spiegazione, che non condividevano molto, nel senso che a loro non sembrava volersi estraniare dall'attività, perché gli episodi di amsturbazione capitavano anche durante momenti in cui sembrava partecipe e coinvolta e l'attività non era apparente stressante (es. attività ludico-manipolative). I genitori si sono dimostrati parecchio riluttanti a proseguire il percorso psicologico (diffidenza, sfiducia,negazione del problema? Tanto è una fase passerà? - Non lo sappiamo). Ciò non vuol dire che non si insisterà ancora.
Mi sembra che come Istituzione si presti molta attenzione al benessere psico-fisico dello studente e la mia preoccupazione come quella dei colleghi è sicuramente anche quella di non partire con il piede sbagliato, potremmo fare danni, se agiamo in maniera maldestra. Potrà sembrare riduttivo pensare a come dobbiamo comportarci in classe noi docenti, ma abbiamo assolutamente bisogno di sapere anche questo.
Le nostre riflessioni sono state:
1) Non si può fare finta di nulla
2) Non si può riprenderla davanti ai compagni attireremmo l'attenzione
3) Anche solo chiamarla attiriamo l'attenzione
Le maestre o le lanciavano sguardi significativi o le si avvicinavano.
Se il comportamento continuasse anche alle scuole medie, è il caso di prenderla da parte un momento e spiegarle che "esistono luoghi per fare ogni cosa?". Quali sono delle parole opportune per non metterla in difficoltà o in imbarazzo nel spiegarglielo? Dobbiamo chiedere consulto privato a uno psicologo esperto in questo tipo di comportamenti?
Come è meglio comportarsi quando si masturba in classe? E se i compegni se ne dovessero accorgere, quali sono le strategie da adottare. Cosa possiamo fare oltre che a insistere con i genitori per proseguire con un percorso psicologico?
Spero che le informazioni possano ora essere più esaustive.
Grazie intanto per la risposta.
nella nostra scuola esiste un momento chiamato "passaggio informazioni" nel quale le maestre forniscono informazioni sui futuri alunni alla commissione classi (commissione formata dai docenti delle future prime) per poter fare appunto le classi (distribuire un numero equo di alunni in ogni sezione, distribuire in modo equo maschi e femmine, alunni bravi e in difficoltà, alunni con DSA o PEI ecc). Pertanto siamo un gruppo di docenti che è a conoscenza dei fatti. Non abbiamo un protocollo per casi del genere e la Dirigente è a conoscenza dei fatti.
Non l'ho specificato prima ma lo studente in questione è di sesso femminile e i compagni di classe non si sono mai accorti di nulla. Evidentemente sono decisamente impreparata sulla faccenda perché il comportamento della bambina non ci è stato presentato come "disturbo", nonostante lei abbia ben interpretato il fatto che il comportamento è consolidato (fin dalla scuola dell'infanzia). So che la domanda è sciocca, perché ovviamente è un comportamento anomalo fatto in presenza di altri alla sua età, ma mi chiarisce meglio perchè a primo acchito ha parlato subito di disturbo?
Come unica notizia data dallo psicologo che l'ha seguita per un po' (non abbiamo ulteriori informazioni) è stata: "Lo fa per estraniarsi da quello che viene fatto in classe". Le maestre erano decisamente perplesse sulla spiegazione, che non condividevano molto, nel senso che a loro non sembrava volersi estraniare dall'attività, perché gli episodi di amsturbazione capitavano anche durante momenti in cui sembrava partecipe e coinvolta e l'attività non era apparente stressante (es. attività ludico-manipolative). I genitori si sono dimostrati parecchio riluttanti a proseguire il percorso psicologico (diffidenza, sfiducia,negazione del problema? Tanto è una fase passerà? - Non lo sappiamo). Ciò non vuol dire che non si insisterà ancora.
Mi sembra che come Istituzione si presti molta attenzione al benessere psico-fisico dello studente e la mia preoccupazione come quella dei colleghi è sicuramente anche quella di non partire con il piede sbagliato, potremmo fare danni, se agiamo in maniera maldestra. Potrà sembrare riduttivo pensare a come dobbiamo comportarci in classe noi docenti, ma abbiamo assolutamente bisogno di sapere anche questo.
Le nostre riflessioni sono state:
1) Non si può fare finta di nulla
2) Non si può riprenderla davanti ai compagni attireremmo l'attenzione
3) Anche solo chiamarla attiriamo l'attenzione
Le maestre o le lanciavano sguardi significativi o le si avvicinavano.
Se il comportamento continuasse anche alle scuole medie, è il caso di prenderla da parte un momento e spiegarle che "esistono luoghi per fare ogni cosa?". Quali sono delle parole opportune per non metterla in difficoltà o in imbarazzo nel spiegarglielo? Dobbiamo chiedere consulto privato a uno psicologo esperto in questo tipo di comportamenti?
Come è meglio comportarsi quando si masturba in classe? E se i compegni se ne dovessero accorgere, quali sono le strategie da adottare. Cosa possiamo fare oltre che a insistere con i genitori per proseguire con un percorso psicologico?
Spero che le informazioni possano ora essere più esaustive.
Grazie intanto per la risposta.
[#3]
Gentile utente,
se rilegge con cura la mia risposta precedente vedrà che ho insegnato nella scuola pubblica per oltre quarant'anni, quindi non ha bisogno di spiegare a un'ex collega l'ovvio, ossia che le informazioni si trasmettono tra scuole di diverso grado e come si devono formare le classi perché siano equilibrate.
Le avevo scritto: "Ritengo che occorra acquisire elementi su come il "disturbo" è stato trattato nella precedente scuola, nella considerazione che opportuni modelli pedagogici siano noti e condivisi tra gli operatori del settore".
Ossia, l'approccio a quella che è un'anomalia comportamentale (cioè un "disturbo", per ora tra virgolette) deve avvalersi di tutte le informazioni sulle modalità già tentate, valutandone il successo e l'insuccesso.
Infatti lei scrive "Le maestre o le lanciavano sguardi significativi o le si avvicinavano".
Avete chiesto con quale esito?
Lei aggiunge una frase che sarebbe stata pronunciata dallo "psicologo che l'ha seguita per un po' (non abbiamo ulteriori informazioni)", frase che in quanto riferita da terzi può non essere stata compresa. Se lo psicologo ha scoperto, attraverso test e colloquio clinico, una sindrome precisa, può aver ritenuto che il segreto professionale non gli permetta di comunicarla ad altri.
Questo dovrebbe rispondere ad una delle sue ultime domande: "Dobbiamo chiedere consulto privato a uno psicologo esperto in questo tipo di comportamenti?".
Immagino che abbiate un vostro psicologo scolastico; non esiste lo psicologo esperto in uno o altro comportamento atipico. Si può e si deve chiedere a lui/lei di illustrare al Collegio Docenti come riconoscere alcuni disturbi (per esempio quelli dell'umore, della disregolazione emotiva, del comportamento alimentare, i DSA etc.), e nei singoli consigli di classe si può chiedere di chiarire specifici problemi, meglio nel consiglio ristretto dei soli insegnanti.
Non si può ovviamente chiedergli di esaminare un alunno se non con il consenso dei genitori.
Le informazioni dalla scuola di provenienza invece vanno acquisite: era stato il consiglio di classe a suggerire ai genitori di inviare la bambina dallo psicologo?
Lei aggiunge: "I genitori si sono dimostrati parecchio riluttanti a proseguire il percorso psicologico (diffidenza, sfiducia,negazione del problema? Tanto è una fase passerà? - Non lo sappiamo).
Cara signora, ci sono genitori che resistono per ben più gravi motivi, specie quando un bambino piccolo manifesta anomalie nella sfera del comportamento sessuale.
Tuttavia, mentre con le colleghe e col dirigente della scuola d'origine è necessario acquisire dati certi, coi genitori un discorso che preceda i fatti sarebbe del tutto inopportuno.
Infine, lei rivolge a noi delle domande che sono specifiche di chi ha compiti pedagogici:
"è il caso di prenderla da parte un momento e spiegarle che "esistono luoghi per fare ogni cosa?". "Quali sono delle parole opportune per non metterla in difficoltà o in imbarazzo nel spiegarglielo?". "Come è meglio comportarsi quando si masturba in classe?". "E se i compegni se ne dovessero accorgere, quali sono le strategie da adottare".
Questo mi stupisce, perché condurre una classe, sul piano didattico e su quello pedagogico, richiede delle competenze precise, che se non acquisite prima, vanno formate o concordate nei singoli Collegi e tanto più nei singoli Consigli.
Queste competenze non possono essere demandate a nessuno psicologo.
La classe è un gruppo da considerare e gestire come non patologico, in cui vanno trasmesse con l'esempio, i rinforzi e le precise indicazioni, se fornite in pubblico o in privato sta alla sensibilità dell'insegnante valutare di volta in volta, certe modalità di comportamento idonee al benessere e alla crescita individuale e a quelli del gruppo. La classe non è il luogo dove prodursi in comportamenti dagli effetti scioccanti, eccitanti o violenti, che suscitino paura, attirino biasimo o attenzioni inopportune.
Ma questa è pedagogia pura e semplice. Ne fanno parte le indicazioni sul fatto che le regole devono essere sempre chiare, comprensibili, rispettate e fatte rispettare; che da parte dell'insegnante una parola gentile e un incoraggiamento hanno più effetto di qualunque rimprovero; che va evitato tutto ciò che possa offendere o deprimere; ma soprattutto che il contesto, specie se costituito di adolescenti, va tutelato quanto e più del singolo.
Tranquilla fermezza non vuol dire lassismo, o peggio. Mi chiedo cosa fareste se un alunno orinasse sui quaderni dei compagni, li afferrasse per il collo, si mettesse a palpare seni o genitali, defecasse in classe, rubasse, fumasse, vendesse droga, etc.
Esiste in una classe un'esigenza di tutela collettiva, ma soprattutto un costume che si vuole trasmettere alla collettività, anche in vista del futuro, e il grande Leonardo da Vinci diceva: "Chi non punisce il male, comanda di farlo". Ogni scuola dovrebbe avere un preciso decalogo, concordato con tutti i membri dei Consigli di Classe.
La sua ultima domanda era: "Cosa possiamo fare oltre che a insistere con i genitori per proseguire con un percorso psicologico?".
Semplificando, la risposta è di pertinenza del Dirigente Scolastico, il quale sa bene a chi ci si deve rivolgere in caso di grave inadempienza dei genitori nel loro ruolo educativo. Ma prima di questo ci sono tutte le strategie di ferma avvertenza e di rieducazione dei genitori stessi.
Auguri.
se rilegge con cura la mia risposta precedente vedrà che ho insegnato nella scuola pubblica per oltre quarant'anni, quindi non ha bisogno di spiegare a un'ex collega l'ovvio, ossia che le informazioni si trasmettono tra scuole di diverso grado e come si devono formare le classi perché siano equilibrate.
Le avevo scritto: "Ritengo che occorra acquisire elementi su come il "disturbo" è stato trattato nella precedente scuola, nella considerazione che opportuni modelli pedagogici siano noti e condivisi tra gli operatori del settore".
Ossia, l'approccio a quella che è un'anomalia comportamentale (cioè un "disturbo", per ora tra virgolette) deve avvalersi di tutte le informazioni sulle modalità già tentate, valutandone il successo e l'insuccesso.
Infatti lei scrive "Le maestre o le lanciavano sguardi significativi o le si avvicinavano".
Avete chiesto con quale esito?
Lei aggiunge una frase che sarebbe stata pronunciata dallo "psicologo che l'ha seguita per un po' (non abbiamo ulteriori informazioni)", frase che in quanto riferita da terzi può non essere stata compresa. Se lo psicologo ha scoperto, attraverso test e colloquio clinico, una sindrome precisa, può aver ritenuto che il segreto professionale non gli permetta di comunicarla ad altri.
Questo dovrebbe rispondere ad una delle sue ultime domande: "Dobbiamo chiedere consulto privato a uno psicologo esperto in questo tipo di comportamenti?".
Immagino che abbiate un vostro psicologo scolastico; non esiste lo psicologo esperto in uno o altro comportamento atipico. Si può e si deve chiedere a lui/lei di illustrare al Collegio Docenti come riconoscere alcuni disturbi (per esempio quelli dell'umore, della disregolazione emotiva, del comportamento alimentare, i DSA etc.), e nei singoli consigli di classe si può chiedere di chiarire specifici problemi, meglio nel consiglio ristretto dei soli insegnanti.
Non si può ovviamente chiedergli di esaminare un alunno se non con il consenso dei genitori.
Le informazioni dalla scuola di provenienza invece vanno acquisite: era stato il consiglio di classe a suggerire ai genitori di inviare la bambina dallo psicologo?
Lei aggiunge: "I genitori si sono dimostrati parecchio riluttanti a proseguire il percorso psicologico (diffidenza, sfiducia,negazione del problema? Tanto è una fase passerà? - Non lo sappiamo).
Cara signora, ci sono genitori che resistono per ben più gravi motivi, specie quando un bambino piccolo manifesta anomalie nella sfera del comportamento sessuale.
Tuttavia, mentre con le colleghe e col dirigente della scuola d'origine è necessario acquisire dati certi, coi genitori un discorso che preceda i fatti sarebbe del tutto inopportuno.
Infine, lei rivolge a noi delle domande che sono specifiche di chi ha compiti pedagogici:
"è il caso di prenderla da parte un momento e spiegarle che "esistono luoghi per fare ogni cosa?". "Quali sono delle parole opportune per non metterla in difficoltà o in imbarazzo nel spiegarglielo?". "Come è meglio comportarsi quando si masturba in classe?". "E se i compegni se ne dovessero accorgere, quali sono le strategie da adottare".
Questo mi stupisce, perché condurre una classe, sul piano didattico e su quello pedagogico, richiede delle competenze precise, che se non acquisite prima, vanno formate o concordate nei singoli Collegi e tanto più nei singoli Consigli.
Queste competenze non possono essere demandate a nessuno psicologo.
La classe è un gruppo da considerare e gestire come non patologico, in cui vanno trasmesse con l'esempio, i rinforzi e le precise indicazioni, se fornite in pubblico o in privato sta alla sensibilità dell'insegnante valutare di volta in volta, certe modalità di comportamento idonee al benessere e alla crescita individuale e a quelli del gruppo. La classe non è il luogo dove prodursi in comportamenti dagli effetti scioccanti, eccitanti o violenti, che suscitino paura, attirino biasimo o attenzioni inopportune.
Ma questa è pedagogia pura e semplice. Ne fanno parte le indicazioni sul fatto che le regole devono essere sempre chiare, comprensibili, rispettate e fatte rispettare; che da parte dell'insegnante una parola gentile e un incoraggiamento hanno più effetto di qualunque rimprovero; che va evitato tutto ciò che possa offendere o deprimere; ma soprattutto che il contesto, specie se costituito di adolescenti, va tutelato quanto e più del singolo.
Tranquilla fermezza non vuol dire lassismo, o peggio. Mi chiedo cosa fareste se un alunno orinasse sui quaderni dei compagni, li afferrasse per il collo, si mettesse a palpare seni o genitali, defecasse in classe, rubasse, fumasse, vendesse droga, etc.
Esiste in una classe un'esigenza di tutela collettiva, ma soprattutto un costume che si vuole trasmettere alla collettività, anche in vista del futuro, e il grande Leonardo da Vinci diceva: "Chi non punisce il male, comanda di farlo". Ogni scuola dovrebbe avere un preciso decalogo, concordato con tutti i membri dei Consigli di Classe.
La sua ultima domanda era: "Cosa possiamo fare oltre che a insistere con i genitori per proseguire con un percorso psicologico?".
Semplificando, la risposta è di pertinenza del Dirigente Scolastico, il quale sa bene a chi ci si deve rivolgere in caso di grave inadempienza dei genitori nel loro ruolo educativo. Ma prima di questo ci sono tutte le strategie di ferma avvertenza e di rieducazione dei genitori stessi.
Auguri.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#4]
Ex utente
La sua risposta mi stupisce, perché mi è sembrato più che altro un rimbrotto. Specifico che non volevo offenderla in alcun modo nello spiegare che l'informazione era stata data durante il passaggio informazioni, ho chiarito perché lo aveva chiesto e ho spiegato il passaggio ei dettagli per il fatto che anche altri suoi colleghi possono leggere la richiesta e quindi volevo essere chiara per tutti.
Lo so come si gestisce una classe e tutto ciò che ha scritto e riporto un pezzetto: "... le regole devono essere sempre chiare, comprensibili, rispettate e fatte rispettare; ... una parola gentile e un incoraggiamento hanno più effetto di qualunque rimprovero; che va evitato tutto ciò che possa offendere o deprimere" le so e visto l'affetto e stima che miei studenti mi dimostrano credo anche di averla ben interiorizzata. Il fatto è che in questo caso queste regole di massima mi aiutano fino ad un certo punto. Non nego che la situazione nella quale ci ritroveremo sarà imbarazzante e non nego nemmeno che non sono (siamo) così preparati per affrontarla. E' per quello che ho chiesto, nella speranza di avere spunti e consigli in più. Il "dovreste saperlo" perché è di vostra competenza non è d'aiuto. Ammessa la grave colpa di non sapere fare una cosa che dovrei sapere fare, cercherò di arrangiarmi.
Buona giornata
Lo so come si gestisce una classe e tutto ciò che ha scritto e riporto un pezzetto: "... le regole devono essere sempre chiare, comprensibili, rispettate e fatte rispettare; ... una parola gentile e un incoraggiamento hanno più effetto di qualunque rimprovero; che va evitato tutto ciò che possa offendere o deprimere" le so e visto l'affetto e stima che miei studenti mi dimostrano credo anche di averla ben interiorizzata. Il fatto è che in questo caso queste regole di massima mi aiutano fino ad un certo punto. Non nego che la situazione nella quale ci ritroveremo sarà imbarazzante e non nego nemmeno che non sono (siamo) così preparati per affrontarla. E' per quello che ho chiesto, nella speranza di avere spunti e consigli in più. Il "dovreste saperlo" perché è di vostra competenza non è d'aiuto. Ammessa la grave colpa di non sapere fare una cosa che dovrei sapere fare, cercherò di arrangiarmi.
Buona giornata
[#5]
Gentile utente,
credo che stiamo parlando linguaggi diversi. Ne avevo avuto il sentore quando mi ha chiesto: "perchè a primo acchito ha parlato subito di disturbo?". Lei quale termine avrebbe usato? Abitudine? Vizio?
Mi spiace che si sia sentita rimbrottata, ma occorre capire come mai, pur convenendo sul fatto che "le regole devono essere sempre chiare, comprensibili, rispettate e fatte rispettare" e che le competenze pedagogiche sono il suo specifico professionale, lei conclude: "cercherò di arrangiarmi".
Sembrerebbe che nella vostra scuola queste regole non siano condivise, o peggio non esistano. Inoltre c'è qualcosa di più importante che ho scritto, ma lei non ha colto: "il contesto, specie se costituito di adolescenti, va tutelato quanto e più del singolo"; "Esiste in una classe un'esigenza di tutela collettiva, ma soprattutto un costume che si vuole trasmettere alla collettività, anche in vista del futuro".
Provi a riflettere su cosa potrebbe rispondere il coordinatore di classe o il Dirigente a quel genitore che venisse a lamentarsi perché il figlio o la figlia undicenne è rimasto turbato dai gesti di una compagna sprezzante delle regole elementari del comportamento da tenere in pubblico, che non è stata minimamente ripresa dagli insegnanti. Provi a chiedersi cosa fareste se i compagni di classe della bambina, lungi dall'isolarla, sentendo stimolare dai suoi gesti i propri ormoni adolescenti, approfittando della sua mancanza di pudore pensassero di poter compiere abusi nei suoi confronti.
Le avevo fatto una serie di esempi estremi sui comportamenti inaccettabili in una collettività unita in un percorso educativo. Scendo a domande più semplici: se i vostri alunni urlano, si danno spintoni, dicono parolacce, si mettono le dita nel naso, voi non intervenite? Correte dallo psicologo?
A me sembra di leggere, nei dubbi sulle indicazioni da dare a una bambina che si masturba in classe, un'eco di sessuofobia camuffata, capovolta: le dita nel naso non si può, ma le dita nella vagina sì, altrimenti vuol dire che non abbiamo capito i bisogni dei giovani.
Lasciamo perdere il fatto che alcuni segnali possono essere indice di gravi disagi, personali e familiari, e allora non si tratta di non offendere l'alunna, ma di non chiudere gli occhi.
Provi a riflettere in questo senso, e mi scusi se non riesco a farmi capire.
credo che stiamo parlando linguaggi diversi. Ne avevo avuto il sentore quando mi ha chiesto: "perchè a primo acchito ha parlato subito di disturbo?". Lei quale termine avrebbe usato? Abitudine? Vizio?
Mi spiace che si sia sentita rimbrottata, ma occorre capire come mai, pur convenendo sul fatto che "le regole devono essere sempre chiare, comprensibili, rispettate e fatte rispettare" e che le competenze pedagogiche sono il suo specifico professionale, lei conclude: "cercherò di arrangiarmi".
Sembrerebbe che nella vostra scuola queste regole non siano condivise, o peggio non esistano. Inoltre c'è qualcosa di più importante che ho scritto, ma lei non ha colto: "il contesto, specie se costituito di adolescenti, va tutelato quanto e più del singolo"; "Esiste in una classe un'esigenza di tutela collettiva, ma soprattutto un costume che si vuole trasmettere alla collettività, anche in vista del futuro".
Provi a riflettere su cosa potrebbe rispondere il coordinatore di classe o il Dirigente a quel genitore che venisse a lamentarsi perché il figlio o la figlia undicenne è rimasto turbato dai gesti di una compagna sprezzante delle regole elementari del comportamento da tenere in pubblico, che non è stata minimamente ripresa dagli insegnanti. Provi a chiedersi cosa fareste se i compagni di classe della bambina, lungi dall'isolarla, sentendo stimolare dai suoi gesti i propri ormoni adolescenti, approfittando della sua mancanza di pudore pensassero di poter compiere abusi nei suoi confronti.
Le avevo fatto una serie di esempi estremi sui comportamenti inaccettabili in una collettività unita in un percorso educativo. Scendo a domande più semplici: se i vostri alunni urlano, si danno spintoni, dicono parolacce, si mettono le dita nel naso, voi non intervenite? Correte dallo psicologo?
A me sembra di leggere, nei dubbi sulle indicazioni da dare a una bambina che si masturba in classe, un'eco di sessuofobia camuffata, capovolta: le dita nel naso non si può, ma le dita nella vagina sì, altrimenti vuol dire che non abbiamo capito i bisogni dei giovani.
Lasciamo perdere il fatto che alcuni segnali possono essere indice di gravi disagi, personali e familiari, e allora non si tratta di non offendere l'alunna, ma di non chiudere gli occhi.
Provi a riflettere in questo senso, e mi scusi se non riesco a farmi capire.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#6]
Ex utente
Buonasera,
gli ultimi tre anni scolastici sono stati particolarmente faticosi e l'ultimo è stato veramente sfibrante per tutta una serie di motivi legati a incomprensioni tra colleghi e di punti di vista diametralmente opposti su questioni importanti che hanno incrinato quella serenità e coesione che c'era prima della pandemia. A tutto ciò si aggiunge il fatto che negli ultimi 4 anni abbiamo avuto 3 dirigenti diversi, quest'anno una reggenza e quindi con un Dirigente decisamente assente. Un po' di confusione pertanto regna. Ho concluso con "cercherò di arrangiarmi" perché effettivamente non ho ottenuto risposte chiare da nessuno e come han trattato la questione le maestre non mi convince del tutto. Convengo con lei che tutti i ragazzini vadano tutelati anche i compagni di classe. Sicuramente non la lasceremo fare, mi chiedo perché non le sia stato chiarito prima che il suo comportamento era inacettabile in pubblico. Le maestre hanno parlato con lo psicologo e ho immaginato (veramente lo abbiamo immaginato tutti) che avessero concordato un "piano d'azione", forse i miei dubbi nascono da una comunicazione incompleta avvenuta con le maestre o più banalmene da una loro mala gestione.
Lei ad un certo punto mi scrive che dietro i miei dubbi sente nascondersi "un'eco di sessuofobia camuffata, capovolta", le rispondo: speriamo proprio di no, sempre che io abbia ben compreso cosa intende. Non credo anche perché in classe terza gli alunni fanno educazione sessuale e io in quanto insegnante di scienze faccio, come richiesto dagli operatori dell'USL, la parte di anatomia dell'apparato riproduttore maschile e femminile e di norma i ragazzi si sentono parecchio a loro agio (non tutti per carità, ma molti sì) e mi fanno anche domande relative al sesso. Il fatto che si sentano a loro agio a chiedere mi dà l'idea di non essere, perdoni il termine, è solo per capirsi, una "bacchettona". Lei prosegue dicendo: "Le dita nel naso no, nella vagina sì?". Beh ovviamente no a tutti e due, non era quello che intendevo dire. Lo so perfettamente che bisogna insegnare a questa ragazzina che la masturbazione non è un comportamento da tenere in pubblico, ma rispetto alle dita nel naso mi sembra un argomento più delicato, intimo e che possa mettere in forte imbarazzo (sempre più abbiamo ragazzini "delicati" e genitori agguerriti). Il mio problema è il come. Mentre non ho problemi ha dire ad un ragazzino: "Via le dita dal naso!", sono certa che: "Smettila di masturbarti" non sia la frase giusta da dire in classe. E' la prima volta che capita e siamo tutti un po' perplessi sul da farsi, forse anche per il fatto che (a detta delle maestre) non è una cosa così "plateale" come, e prendo a prestito un suo esempio, il defecare sul banco ... che per altro mi prenderebbe comunque un attimino alla sprovvista. Nel caso comunque mi trovassi di fronte ad un caso del genere la frase: "Pierino, ma che cosa stai facendo?" non la riterrei inopportuna, mentre nel caso della fanciullina in questione sì. Non trovo il modo giusto. Ribadisco solo che la mia preoccupazione era quella di non fare danni né da una parte né dall'altra, forse il mio è solo un eccesso di zelo, che sicuramente devo imparare a gestire meglio. Comunque ho afferrato il concetto, non era la sede giusta a cui chiedere, la ringrazio per avermi dedicato il suo tempo, mi spiace se gliel'ho fatto perdere.
gli ultimi tre anni scolastici sono stati particolarmente faticosi e l'ultimo è stato veramente sfibrante per tutta una serie di motivi legati a incomprensioni tra colleghi e di punti di vista diametralmente opposti su questioni importanti che hanno incrinato quella serenità e coesione che c'era prima della pandemia. A tutto ciò si aggiunge il fatto che negli ultimi 4 anni abbiamo avuto 3 dirigenti diversi, quest'anno una reggenza e quindi con un Dirigente decisamente assente. Un po' di confusione pertanto regna. Ho concluso con "cercherò di arrangiarmi" perché effettivamente non ho ottenuto risposte chiare da nessuno e come han trattato la questione le maestre non mi convince del tutto. Convengo con lei che tutti i ragazzini vadano tutelati anche i compagni di classe. Sicuramente non la lasceremo fare, mi chiedo perché non le sia stato chiarito prima che il suo comportamento era inacettabile in pubblico. Le maestre hanno parlato con lo psicologo e ho immaginato (veramente lo abbiamo immaginato tutti) che avessero concordato un "piano d'azione", forse i miei dubbi nascono da una comunicazione incompleta avvenuta con le maestre o più banalmene da una loro mala gestione.
Lei ad un certo punto mi scrive che dietro i miei dubbi sente nascondersi "un'eco di sessuofobia camuffata, capovolta", le rispondo: speriamo proprio di no, sempre che io abbia ben compreso cosa intende. Non credo anche perché in classe terza gli alunni fanno educazione sessuale e io in quanto insegnante di scienze faccio, come richiesto dagli operatori dell'USL, la parte di anatomia dell'apparato riproduttore maschile e femminile e di norma i ragazzi si sentono parecchio a loro agio (non tutti per carità, ma molti sì) e mi fanno anche domande relative al sesso. Il fatto che si sentano a loro agio a chiedere mi dà l'idea di non essere, perdoni il termine, è solo per capirsi, una "bacchettona". Lei prosegue dicendo: "Le dita nel naso no, nella vagina sì?". Beh ovviamente no a tutti e due, non era quello che intendevo dire. Lo so perfettamente che bisogna insegnare a questa ragazzina che la masturbazione non è un comportamento da tenere in pubblico, ma rispetto alle dita nel naso mi sembra un argomento più delicato, intimo e che possa mettere in forte imbarazzo (sempre più abbiamo ragazzini "delicati" e genitori agguerriti). Il mio problema è il come. Mentre non ho problemi ha dire ad un ragazzino: "Via le dita dal naso!", sono certa che: "Smettila di masturbarti" non sia la frase giusta da dire in classe. E' la prima volta che capita e siamo tutti un po' perplessi sul da farsi, forse anche per il fatto che (a detta delle maestre) non è una cosa così "plateale" come, e prendo a prestito un suo esempio, il defecare sul banco ... che per altro mi prenderebbe comunque un attimino alla sprovvista. Nel caso comunque mi trovassi di fronte ad un caso del genere la frase: "Pierino, ma che cosa stai facendo?" non la riterrei inopportuna, mentre nel caso della fanciullina in questione sì. Non trovo il modo giusto. Ribadisco solo che la mia preoccupazione era quella di non fare danni né da una parte né dall'altra, forse il mio è solo un eccesso di zelo, che sicuramente devo imparare a gestire meglio. Comunque ho afferrato il concetto, non era la sede giusta a cui chiedere, la ringrazio per avermi dedicato il suo tempo, mi spiace se gliel'ho fatto perdere.
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Gentile utente,
premetto che apprezzo la sua volontà di riflettere, anche lì dove lamenta la tendenza degli insegnanti ad accapigliarsi anziché decidere una linea comune, come richiederebbero i loro compiti di educatori.
Credo che vi sarebbe utile scrivere un decalogo di regole condivise, meglio se dopo aver letto tutti insieme, in ogni consiglio di classe, anche un solo manualetto di pedagogia applicata; valutare il pensiero altrui aiuta a riflettere e a chiarire il proprio, anche quando non lo si condivide.
In genere in ogni scuola c'è uno psicologo; in caso contrario si può invitare quello delle ASL o del Consultorio, le cui parole nascono da una competenza diversa, che va poi tradotta nei gesti della pedagogia. Del resto lei scrive di "operatori delle USL" con i quali collabora per l'educazione sessuale nelle terze. Perché non chiedete a loro un parere?
Lei scrive: "Sicuramente non la lasceremo fare, mi chiedo perché non le sia stato chiarito prima che il suo comportamento era inacettabile in pubblico".
Forse perché all'inizio era troppo piccolina? Forse invece anche tra le maestre ci sono stati comportamenti diversi, e voi ne conoscete solo alcuni?
Come ho cercato di dirle, il comportamento della bambina può adombrare trascuratezza da parte dei genitori nell'educarla, ma anche malattie mentali o abusi subiti. Per questo la cautela è necessaria, ma una ferma indicazione su comportamenti corretti, sul piano dell'igiene e della buona educazione, va data.
Lei dice: "Mentre non ho problemi ha dire ad un ragazzino: "Via le dita dal naso!", sono certa che: "Smettila di masturbarti" non sia la frase giusta da dire in classe".
E infatti qui lei usa indebitamente due formule diverse. La parola "masturbarsi" presuppone un'intenzione. Perché non dire: "non si toccano le parti intime, non è igienico e non è educato"?
Nascerà nella bambina imbarazzo? Forse una reazione va provocata, anziché ratificare il suo comportamento col silenzio.
Ma eccoci al puntum dolens della scuola italiana: "sempre più abbiamo ragazzini "delicati" e genitori agguerriti".
A parte che certi ragazzini sono "delicati" proprio perché hanno genitori inopportunamente e falsamente tutelanti (non occorre essere psicologi per sapere che i genitori che strepitano più di tutti sono quelli che non sanno gestire i propri figli, anzi giungono ai maltrattamenti e agli abusi, anche sessuali), solo da noi agli insegnanti viene precluso il compito di educare, con gli effetti perversi che si riverberano sui ragazzi: chi viene da una famiglia deprivata non si riscatta mai, e la scuola lo tollera, ma poi il mondo del lavoro ne fa polpette.
Ecco che la coesione del corpo docente, e un dirigente consapevole, aiutano i ragazzi in primis, poi le loro famiglie... quando non vadano denunciate, altro compito che solo insegnanti coraggiosi si assumono.
Perché non organizzate corsi pomeridiani per le famiglie sulla gestione degli adolescenti? Ha idea di quante sofferenze, perfino suicidi potreste prevenire? Se pensate che due ore a settimana per tre mesi ad un genitore risultino troppo gravose, provate a pensare se le stesse persone non impiegherebbero ben altro tempo di preparazione se volessero allevare conigli, o galline.
Parliamo anche della sessuofobia camuffata, male endemico degli italiani. Non si tratta di essere "bacchettoni": prendere le vicende sessuali con sdegno o con strana, eccessiva indulgenza, non sono che due facce della stessa medaglia. Lei scrive che nel caso un alunno defecasse sul banco "la frase: 'Pierino, ma che cosa stai facendo?' non la riterrei inopportuna, mentre nel caso della fanciullina in questione sì".
E' proprio in questa distinzione l'attenzione mal riposta alla sfera sessuale.
Infine, per concludere con le indicazioni sul caso pedagogico di cui si sta occupando, le riporto il contributo della dott.ssa Brunialti, stimata collega attiva su questa piattaforma: "A quanto hai già risposto aggiungerei che il comportamento sessuale in oggetto potrebbe configurare il reato di atti osceni , la cui responsabilità ricade sugli adulti presenti e responsabili - i docenti - trattandosi di minore. Talvolta i docenti non pensano a sufficienza agli aspetti giuridico-legali, a doverosa tutela degli altri".
Questo dovrebbe tagliare corto con ogni possibile rimostranza dei genitori, che poi, quali argomenti potrebbero opporre alla serena osservazione: "Siamo costretti ad insegnare noi ciò che i ragazzi non hanno imparato a casa"?
Auguri, e ci tenga al corrente.
premetto che apprezzo la sua volontà di riflettere, anche lì dove lamenta la tendenza degli insegnanti ad accapigliarsi anziché decidere una linea comune, come richiederebbero i loro compiti di educatori.
Credo che vi sarebbe utile scrivere un decalogo di regole condivise, meglio se dopo aver letto tutti insieme, in ogni consiglio di classe, anche un solo manualetto di pedagogia applicata; valutare il pensiero altrui aiuta a riflettere e a chiarire il proprio, anche quando non lo si condivide.
In genere in ogni scuola c'è uno psicologo; in caso contrario si può invitare quello delle ASL o del Consultorio, le cui parole nascono da una competenza diversa, che va poi tradotta nei gesti della pedagogia. Del resto lei scrive di "operatori delle USL" con i quali collabora per l'educazione sessuale nelle terze. Perché non chiedete a loro un parere?
Lei scrive: "Sicuramente non la lasceremo fare, mi chiedo perché non le sia stato chiarito prima che il suo comportamento era inacettabile in pubblico".
Forse perché all'inizio era troppo piccolina? Forse invece anche tra le maestre ci sono stati comportamenti diversi, e voi ne conoscete solo alcuni?
Come ho cercato di dirle, il comportamento della bambina può adombrare trascuratezza da parte dei genitori nell'educarla, ma anche malattie mentali o abusi subiti. Per questo la cautela è necessaria, ma una ferma indicazione su comportamenti corretti, sul piano dell'igiene e della buona educazione, va data.
Lei dice: "Mentre non ho problemi ha dire ad un ragazzino: "Via le dita dal naso!", sono certa che: "Smettila di masturbarti" non sia la frase giusta da dire in classe".
E infatti qui lei usa indebitamente due formule diverse. La parola "masturbarsi" presuppone un'intenzione. Perché non dire: "non si toccano le parti intime, non è igienico e non è educato"?
Nascerà nella bambina imbarazzo? Forse una reazione va provocata, anziché ratificare il suo comportamento col silenzio.
Ma eccoci al puntum dolens della scuola italiana: "sempre più abbiamo ragazzini "delicati" e genitori agguerriti".
A parte che certi ragazzini sono "delicati" proprio perché hanno genitori inopportunamente e falsamente tutelanti (non occorre essere psicologi per sapere che i genitori che strepitano più di tutti sono quelli che non sanno gestire i propri figli, anzi giungono ai maltrattamenti e agli abusi, anche sessuali), solo da noi agli insegnanti viene precluso il compito di educare, con gli effetti perversi che si riverberano sui ragazzi: chi viene da una famiglia deprivata non si riscatta mai, e la scuola lo tollera, ma poi il mondo del lavoro ne fa polpette.
Ecco che la coesione del corpo docente, e un dirigente consapevole, aiutano i ragazzi in primis, poi le loro famiglie... quando non vadano denunciate, altro compito che solo insegnanti coraggiosi si assumono.
Perché non organizzate corsi pomeridiani per le famiglie sulla gestione degli adolescenti? Ha idea di quante sofferenze, perfino suicidi potreste prevenire? Se pensate che due ore a settimana per tre mesi ad un genitore risultino troppo gravose, provate a pensare se le stesse persone non impiegherebbero ben altro tempo di preparazione se volessero allevare conigli, o galline.
Parliamo anche della sessuofobia camuffata, male endemico degli italiani. Non si tratta di essere "bacchettoni": prendere le vicende sessuali con sdegno o con strana, eccessiva indulgenza, non sono che due facce della stessa medaglia. Lei scrive che nel caso un alunno defecasse sul banco "la frase: 'Pierino, ma che cosa stai facendo?' non la riterrei inopportuna, mentre nel caso della fanciullina in questione sì".
E' proprio in questa distinzione l'attenzione mal riposta alla sfera sessuale.
Infine, per concludere con le indicazioni sul caso pedagogico di cui si sta occupando, le riporto il contributo della dott.ssa Brunialti, stimata collega attiva su questa piattaforma: "A quanto hai già risposto aggiungerei che il comportamento sessuale in oggetto potrebbe configurare il reato di atti osceni , la cui responsabilità ricade sugli adulti presenti e responsabili - i docenti - trattandosi di minore. Talvolta i docenti non pensano a sufficienza agli aspetti giuridico-legali, a doverosa tutela degli altri".
Questo dovrebbe tagliare corto con ogni possibile rimostranza dei genitori, che poi, quali argomenti potrebbero opporre alla serena osservazione: "Siamo costretti ad insegnare noi ciò che i ragazzi non hanno imparato a casa"?
Auguri, e ci tenga al corrente.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 7 risposte e 24.2k visite dal 10/06/2022.
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