Situazione di stallo con la mia compagna

Gentili dott. sse e dottori,
torno a scrivervi dopo diverso tempo riguardo al rapporto con la mia compagna.
Parentesi, ai tempi mi era stato suggerito di rivolgermi ad una psicologa e così feci. Le varie sedute sono state utili per comprendere certi miei "punti deboli" e ad avere una maggiore consapevolezza di me stesso, tuttavia non sono riuscito ad attuare sostanziali modifiche alla mia personalità.
Spesso passiamo in breve tempo da momenti felici ad altri di totale scontro, in un susseguirsi di alti e bassi che in parte ci hanno logorato. Purtroppo le difficoltà di comunicazione sono sempre presenti e la modalità è identica a quando si discuteva per l'ex: per evitare problemi bisogna direttamente evitare il confronto e non toccare certi temi, viviamo bene solo se restiamo in questo limbo comunicativo.
La mia sensazione è che lei mi permetta di entrare nella sua modalità di vita concedendomi anche qualche aggiustamento, ma non oltre. Ad esempio, viviamo in un suo appartamento, che non sento come nostro (in diversi litigi mi ha intimato di andare via da casa). Questo vivere alle sue condizioni si ripercuote sul quotidiano.
Avrei piacere ad esempio di invitare la mia nipotina a casa, ma è vivace (in realtà mal sopporta tutti i bambini piccoli), per cui lei si oppone.
E' un' opposizione passiva, nel senso che dopo esserci scontrati alcune volte, so che parlare di questo argomento porterebbe a litigare, ai soliti toni, per cui evito e lei fa finta che non esista.
Un problema importante riguarda il progetto di diventare genitori. Mi dico che ormai siamo arrivati fin qua, il tempo stringe e sarebbe assurdo buttare tutto all'aria, eppure razionalmente temo che l'esperienza andrebbe male, proprio per i nostri caratteri contrastanti.
Per completezza devo aggiungere che abbiamo avuto una gravidanza non programmata, terminata spontaneamente dopo 3 mesi e che ha comportato tutta una serie di problematiche che in realtà temevo.
Entrambi spaesati, il suo malessere fisico e aggressività nel giro di poco la portarono a dire cose del tipo "se non te la senti lo crescerò da sola/te ne puoi andare/mi sei solo d'ostacolo.. "
Anche in quel caso, era come se il feto fosse qualcosa che riguardasse solo lei e io, se avessi voluto partecipare, avrei dovuto aderire alla sua visione e alle sue esigenze (come accadde con l'ex).
L'esperienza dell'aborto spontaneo, sembrava averci uniti nel dolore, in realtà passato qualche mese è tornato tutto come sempre.
La stimo certamente sotto alcuni punti di vista, mentre per altri aspetti la reputo totalmente diversa da me.
Viviamo in un equilibrio, che solitamente crolla di fronte alle difficoltà della vita.
Di natura sono una persona indecisa, temo di prendere decisioni e che più o meno inconsciamente delego ad altri il pallino decisionale e passo da giornate in cui sono speranzoso ad altre in cui vedo tutto nero.
So di non poter chiedere a voi cosa fare, ma vorrei avere un vostro parere professionale in merito.
Grazie
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Gentile utente,
verso la fine del consulto al link https://www.medicitalia.it/consulti/psicologia/610733-rapporto-con-ex.html lei ci scrisse di nuovo, un anno dopo la prima volta.
In quella email sembrava che avesse, finalmente, correttamente valutato gli abusi che stava subendo e la manipolazione di cui era oggetto.
Forse questo risveglio di consapevolezza dipendeva dal fatto che era ancora in corso la sua terapia, pur con i limiti che ci ha scritto: discontinua, attenzione rivolta più all'infanzia che ai problemi attuali, etc.
Infine ci ha scritto che la terapia non ha cambiato la sua personalità. E meno male! Si sperava però che cambiasse la sua visione di sé stesso e quella parte delle sue idee che sono inadeguate a farla vivere bene.
Non posso sapere se ha fatto con la sua psicologa la stessa esasperante "resistenza morbida" che attua con noi, e per questo non si è avvalso della terapia fino in fondo: infatti continua a non vedere l'egoismo, la natura capricciosa, la cecità affettiva della sua compagna; addirittura continua a progettare di fare un figlio con lei, che dichiaratamente non ama i bambini e gliene dà segni manifesti con la sua nipotina.
Se le rispondo è perché lei è riuscito a suscitare anche in me una certa dose di egoismo -quello che in terapia si chiamerebbe "contro-transfert"- e vorrei soltanto soddisfare una mia curiosità: ho riletto i suoi numerosi scritti, e tra le costanti mi sembra di avvertire una sua "assuefazione", forse di origine remota, ad una figura maltrattante.
C'è stato qualcuno -uomo o donna- che quando lei era piccolo si arrabbiava con lei, strepitava, gridava, le faceva prepotenze e prevaricazioni?
Ovviamente non ha alcun obbligo di rispondermi.
La ringrazio se vorrà farlo.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#2]
Utente
Utente
Buongiorno dott.ssa Potenza, la ringrazio per la risposta.
Probabilmente da quanto ho scritto, non emerge la mia consapevolezza sulla situazione, ma in realtà c'è. Ho presente che la mia compagna ha i difetti che ha elencato e non credo di provare piacere nel subire certi atteggiamenti, semplicemente vedo aspetti positivi e aspetti negativi, tuttavia mi fermo li, non riesco ad andare e oltre. Non riesco ad avere la sicurezza e la fermezza necessaria nel prendere decisioni, ho paura di sbagliare.
La psicologa mi diceva che anche non scegliere è comunque una scelta.
Il timore decisionale mi è sicuramente stato inculcato da mio padre (come l'ha inculcato in mia sorella), a causa del disappunto che esprimeva quando sbagliavo qualcosa. Era tutto vissuto in maniera tragica e pesante.
Per venire alla sua domanda, no ho subito particolari prepotenze durante l'infanzia, più che altro ho assorbito un clima di svalutazione e di scarsa attenzione, anche a causa di problemi famigliari che abbiamo vissuto.
Traevo "energia" dall'amore materno e quando è venuto a mancare, sono diventato "invisibile".
Non riuscendo a percepire il mio valore, faccio proprio fatica a capire cosa sia giusto tollerare e per quanto tempo, ma non cerco di proposito questo tipo di donna, tra l'altro il timore del distacco aumenta anche la difficoltà nel chiudere le relazioni.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Gentile utente,
lei dribbla sul tema "resistenza morbida", ossia la pervicace resistenza che oppone al cambiamento.
Dribbla anche sulla persona che quando era piccolo si arrabbiava con lei, ammettendo solo indirettamente che suo padre faceva così e anche peggio: nei momenti in cui non rimproverava, ignorava e svalutava.
Di cause ipotizzabili per il suo disagio ce ne sono diverse, ma non sempre è opportuno cercare le cause prima dei rimedi. Ci sono terapie che puntano subito a sconfiggere il sintomo, e guarda caso nel corso dell'esecuzione degli esercizi prescritti dal terapeuta si presentano improvvisamente al paziente i motivi delle sue resistenze, cercati (o mistificati) invano per anni.
Ma occorre voler attuare il cambiamento, perché questo si verifichi, e molti pazienti cercano nel terapeuta un "complice" per non dover cambiare nulla.
Tra le altre cose lei scrive: "Non riuscendo a percepire il mio valore, faccio proprio fatica a capire cosa sia giusto tollerare e per quanto tempo".
Qui c'è un bias cognitivo evidente (https://www.hce.university/blog/bias-cognitivi-la-guida-definitiva/#cosasono): lei vorrebbe attribuire agli esseri umani un "valore" e ritiene che da questo valore dipenda il loro diritto a tollerare.
Certamente questo bias è stato confutato dalla sua psicologa, così come le sarà stato spiegato che la bussola del nostro malessere o benessere siamo noi stessi, senza stare a guardare se ciò che vogliamo o da cui rifuggiamo sia giusto o sbagliato.
Un altro bias grossolano, sempre sul tema del valore, lo trovai in un'altra sua lettera in cui affermava di porsi all'incirca questa domanda: "Mi chiedo: ho una fila di donne che si contendono i miei favori? No. Allora devo tenermi quello che ho".
Nella formulazione iperbolica, quindi assurda, della frase, è contenuta ancora una volta la sua autoprescrizione alla sofferenza.
Ma perché ha tanta paura di avere dei diritti?

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#4]
Utente
Utente
Buongiorno dott.ssa,
la ringrazio ancora per le sue riflessioni, molto interessanti.
Nel mio caso il cambiamento risiederebbe nel chiudere questa relazione e non è facile per me. Ho sempre faticato ad interrompere le relazioni, ci sono riuscito solo due volte e sempre grazie a nuovi incontri, preferisco eventualmente subire la scelta.
Cambiare gli aspetti di me che non mi piacciono è un'impresa ardua. Sono riuscito però in parte a seguire un consiglio della psicologa, quando la mia compagna cerca di "sovrastarmi", provo a mantenere la mia posizione. Cosa che ha dato qualche frutto.
Non è semplice descrivere questo rapporto, che alterna fasi in cui sto bene ad altre cariche delle problematiche di cui ho parlato. E' come se lei fosse la persona adatta a me sotto alcuni aspetti ma non sotto altri.
"Ma perché ha tanta paura di avere dei diritti?"
A questa domanda non saprei rispondere, però in effetti è così. Sicuramente penso che i diritti della mia compagnia (ma anche quelli dei colleghi di lavoro ad esempio) abbiano più ragion d'essere rispetto ai miei e farli valere mi crea disagio e ansia.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Gentile utente,
provi a pensare la cosa in altri termini: lei non deve lasciare la sua compagna, almeno finché non sarà "guarito", ma deve imparare a cambiare le regole del vostro rapporto.
In altre parole, le situazioni reali sono la palestra in cui ci alleniamo. Quello che lei ha fatto finora, cambiare una donna con un'altra, oltre ad essere, mi perdoni, un modo per squalificare col tradimento il rapporto mentre è ancora in piedi, non risolve nulla.
Il presupposto rimane nel fatto che lei vuol trovare nella partner certe qualità, ma non si sente in grado di pretendere un certo comportamento, di stabilire dei patti.
Ora, i comportamenti non sono frutto di "carattere" (parola ambigua che non a caso gli psicologi non usano) quanto di abitudini, scelte volontarie e situazioni relazionali.
Ma lei scrive: "Cambiare gli aspetti di me che non mi piacciono è un'impresa ardua".
Non le sembra che sia più scomodo tenerli in piedi? Valutiamo per esempio questa convinzione: "Sicuramente penso che i diritti della mia compagnia (ma anche quelli dei colleghi di lavoro ad esempio) abbiano più ragion d'essere rispetto ai miei".
Ma davvero? E subito dopo aggiunge: "farli valere mi crea disagio e ansia".
Quest'ultima affermazione è sia il motivo per cui non agisce per tutelarsi (troppa fatica, troppa rabbia e mortificazione impotente di fronte al ricordo/timore delle sconfitte), sia la conseguenza di un pensiero sotterraneo auto-svalutante ("chi sono io per poter pretendere", etc.) a cui nel tempo si è associata l'incapacità di essere assertivo: lei non ha imparato i modi gentili ma fermi per difendere la prima persona di cui deve prendersi cura, ossia lei stesso.
Si chieda come potrà un domani: 1) essere stimato e amato da una donna, con questi suoi modi mollicci; 2) difendere un figlio dal bullismo dei compagni e dalle aggressioni isteriche della madre; 3) continuare a tollerare ogni sorta di sopruso, rimpiangendo di non essere stato in grado di modificarsi quando era ancora giovane a aveva il coltello, per così dire, dalla parte del manico.
Tenga conto che una buona terapia passa per forza attraverso la confutazione delle idee irrazionali, quali che sia la strada che vuole percorrere. Ci sono terapie direttamente mirate all'assertività; se lei si trova bene con la sua psicologa, se sta facendo un vero percorso regolare e non sporadici incontri che servono solo a cullare e a tenere al calduccio la malattia, le dica che è pronto al cambiamento.
Mi sembra di capire, tra l'altro, che lei è in lieve sovrappeso. Spesso curarsi di questo aspetto con un'alimentazione sana e una moderata attività sportiva bastano a rinforzare il carattere.
Le faccio tanti auguri e tengo aperto il consulto ancora per la sua eventuale replica.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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Utente
Utente
Buongiorno dott.ssa,
molto interessanti anche queste sue riflessioni, che, ahimè, mi calzano piuttosto bene.
È vero, cerco partner con certe qualità, poi però non riesco a pretendere un certo comportamento. Inizio a riempirmi di dubbi (sarò eccessivo? Sto sbagliando?..) e mi faccio condurre, per poi sbottare di tanto in tanto, anche in modo rabbioso, per poi tornare al mio posto.
Con la psicologa ho anche provato ad affrontare il sentimento di "rabbia" che in sottofondo provo verso la mia compagna per quanto vissuto con l'ex, anche perché la mia compagna ritiene di non aver sbagliato nulla e il discorso con lei non si può affrontare.
Anche questo aspetto è singolare, se io e lei parliamo di fatti riguardanti altre persone, siamo spesso in sintonia, usiamo la stessa logica. Parlando di situazioni che riguardano la nostra coppia invece tutto cambia. Non c'è verso di pensarla alla stessa maniera quasi su nulla. A me appare incoerente e contraddittoria.
Ed è vero, mi reco dalla psicologa al "bisogno", non sono mai riuscito ad affrontare un percorso regolare come mi aveva proposto, in parte per un lavoro impegnativo che mi permette scarsa regolarità, in parte forse, per timore di affrontare fino in fondo i miei limiti.
Tuttavia di sedute ne ho fatte molte in questi anni e sicuramente alcune mie condotte sono legate alla mia infanzia.
Aggiungo un ultimo punto, per quanto riguarda la percezione del mio valore, ho vissuto diversi anni una precedente relazione con una donna che mi rimproverava il fatto di non essere abbastanza "stronzo" e che mi raccontava di aver avuto un grande amore in un certo senso superiore al nostro.
Con la mia compagna tutta la vicissitudine con l'ex irrinunciabile e irraggiungibile. Tutto questo ha forse consolidato in me l'idea che in effetti, se gli altri non mi ritengono abbastanza, probabilmente è davvero così, eppure non ho mai cercato compagne che preferissero altri a me.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Gentile utente,
eccoci al nodo cruciale: lei fin qui ha adoperato lo psicologo come alibi per non cambiare, e lo stesso effetto rischia di avere questo suo rivolgersi a noi senza mai decidersi ad un lavoro personale di cambiamento.
Scrive di una precedente relazione con una donna che la rimproverava di non essere abbastanza "stronzo"; anche l'attuale compagna preferisce un tipo deciso, "irrinunciabile e irraggiungibile".
Lei non risponde a quello che le ho chiesto in #5 : come potrà essere stimato e amato da una donna, con questi suoi modi mollicci?
Si guarda bene dal valutare e cambiare questi modi e butta l'onere del giudizio sulle spalle altrui: "se gli altri non mi ritengono abbastanza, probabilmente è davvero così". Ha anche avanzato il "timore di affrontare fino in fondo i miei limiti".
I SUOI limiti? In genere quello che si teme di aprire, affrontando la propria infanzia, è il vaso di Pandora dei limiti dei propri genitori. E forse anche per questo lei ha scelto delle donne poco empatiche, gendarmi isterici più che figure accoglienti, che avrebbero potuto schiudere la porta della sua tenerezza, della sua fragilità, e dei suoi ricordi.
Se vuole continuare così, buona fortuna.
Per adesso questo consulto ha completato le sue possibilità, e lo chiudo.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com