Psicoanalista inefficace? Le sedute non aggiungono materiale su cui riflettere
Buonasera,
premetto che è da aprile 2018 che faccio terapia psicoanalitica: fino a giugno 2020 con la mia prima terapeuta, poi con il secondo.
Prendo farmaci dal luglio 2019 per un disturbo ciclotimico.
La situazione attuale è molto sotto controllo ma i primi anni sono stati terribili.
La mia domanda è: come faccio a capire se sono io il problema o il mio terapeuta?
Già da tempo stavo cominciando a pensare che la terapia non andasse bene, e gli ho addirittura comunicato il mio sentirmi "in pericolo" per questa cosa.
Ma oggi ho addirittura che preferirei rompermi un ginocchio piuttosto che raccontargli la settimana prossima le cose che mi sono successe.
Lo so che tutti direte che ne devo parlare con lui ma io ho toccato il tema diverse volte e non sono più disposta a farlo perché non parliamo di nulla non ci soffermiamo su nulla.
L'unica cosa che fa è chiedermi se ho trovato un compagno e quando penso di andare a trovare i miei (che vivono a tre ore dalla mia città).
Ogni volta.
Tutti racconti sull'infanzia persi nell'etere... Talvolta pure i sogni, interpretati talvolta in maniera un po' approssimativa (lo so che non sono assolutamente possibili paragoni tra due sogni e due terapeuti ma ricordo una interpretazione della "carta d'identità" in termini di identità in un sogno passato da parte della mia vecchia terapeuta, lui si è limitato a dire che sognavo di dover prendere l'aereo perché nella vita reale avrei bisogno di una vacanza)... Oppure potrei riportare tristissime conversazioni in cui io racconto la fine della "relazione" con un ragazzo che avevo visto solo tre volte ma che mi piace molto e il terapeuta la cosa più alta che dice è "può trovare di meglio".
Lo so che è anche un po' un tagliare con l'accetta il lavoro di una persona, però davvero io non conservo assolutamente nulla di ciò che mi dice in seduta... Perché appunto non ragioniamo su niente o se parla non è altro un parafrasare ciò che ho elaborato e in quel momento comunicato.
Se si fosse trattato di un professionista qualunque mi sarei posta qualche dubbio in meno.
Ma per ciò che so è davvero competente.
Ma allora sbaglio io?
Sono molto confusa e mi sento molto male.
Vorrei capire se è possibile che l'analisi si possa fare anche così o se è importante che il terapeuta parli, o si soffermi, o guidi addirittura verso una strada... A me sembra di parlare tanto e di offrire mille spunti ma sono le cose che mi sono già detta da sola a casa, le sedute non aggiungono mai nulla alle mie riflessioni.
Niente su cui riflettere dopo.
premetto che è da aprile 2018 che faccio terapia psicoanalitica: fino a giugno 2020 con la mia prima terapeuta, poi con il secondo.
Prendo farmaci dal luglio 2019 per un disturbo ciclotimico.
La situazione attuale è molto sotto controllo ma i primi anni sono stati terribili.
La mia domanda è: come faccio a capire se sono io il problema o il mio terapeuta?
Già da tempo stavo cominciando a pensare che la terapia non andasse bene, e gli ho addirittura comunicato il mio sentirmi "in pericolo" per questa cosa.
Ma oggi ho addirittura che preferirei rompermi un ginocchio piuttosto che raccontargli la settimana prossima le cose che mi sono successe.
Lo so che tutti direte che ne devo parlare con lui ma io ho toccato il tema diverse volte e non sono più disposta a farlo perché non parliamo di nulla non ci soffermiamo su nulla.
L'unica cosa che fa è chiedermi se ho trovato un compagno e quando penso di andare a trovare i miei (che vivono a tre ore dalla mia città).
Ogni volta.
Tutti racconti sull'infanzia persi nell'etere... Talvolta pure i sogni, interpretati talvolta in maniera un po' approssimativa (lo so che non sono assolutamente possibili paragoni tra due sogni e due terapeuti ma ricordo una interpretazione della "carta d'identità" in termini di identità in un sogno passato da parte della mia vecchia terapeuta, lui si è limitato a dire che sognavo di dover prendere l'aereo perché nella vita reale avrei bisogno di una vacanza)... Oppure potrei riportare tristissime conversazioni in cui io racconto la fine della "relazione" con un ragazzo che avevo visto solo tre volte ma che mi piace molto e il terapeuta la cosa più alta che dice è "può trovare di meglio".
Lo so che è anche un po' un tagliare con l'accetta il lavoro di una persona, però davvero io non conservo assolutamente nulla di ciò che mi dice in seduta... Perché appunto non ragioniamo su niente o se parla non è altro un parafrasare ciò che ho elaborato e in quel momento comunicato.
Se si fosse trattato di un professionista qualunque mi sarei posta qualche dubbio in meno.
Ma per ciò che so è davvero competente.
Ma allora sbaglio io?
Sono molto confusa e mi sento molto male.
Vorrei capire se è possibile che l'analisi si possa fare anche così o se è importante che il terapeuta parli, o si soffermi, o guidi addirittura verso una strada... A me sembra di parlare tanto e di offrire mille spunti ma sono le cose che mi sono già detta da sola a casa, le sedute non aggiungono mai nulla alle mie riflessioni.
Niente su cui riflettere dopo.
[#1]
Buongiorno
grazie per la sua condivisione
Non è facile rispondere alla sua domanda. Mi spiego.
Durante un percorso terapeutico esistono e sono addirittura previste e citate nella nostra deontologia possibili periodi di "stagnazione" della terapia.
Alcuni approcci, come certamente avviene per quello psicodinamico - psicoanalitico, talvolta considerano questa stessa fase di stasi come anch'essa terapeutica.
Qui nasce una prima difficoltà: come capire se questa stagnazione fa parte del processo sopracitato o se effettivamente ci si trova a un punto morto da troppo tempo?
Questo deve essere in grado di capirlo il terapeuta.
Potrebbe darsi che lui consideri questa fase come parte integrante e produttiva della sua terapia.
Riferisce che lui non si sofferma su aspetti che possono essere importanti per lei.
Potrebbe rappresentare un tentativo di portare la sua attenzione su altri aspetti, o di abbattere alcune sue resistenze inconsce (tematica piuttosto ricorrente in questo tipo di approccio terapeutico), ma è difficile stabilirlo.
Il fatto che in qualche modo lei abbia avuto feedback positivi sulla sua competenza è certamente di valore; ciò non toglie che, al di là della professionalità e degli approcci, evidenze scientifiche solide sono concordi sul definire la relazione terapeutica lo strumento più potente e prezioso per il buon esito del percorso terapeutico.
La parola "relazione" racchiude al suo interno il senso di uno scambio tra due persone, e dato il numero infinito di variabili in gioco non è detto che lo stesso terapeuta vada bene per tutti, al di là della sua competenza.
Dalle sue parole emerge una mancanza di fiducia nei suoi confronti, e questo mi porta a pensare a una mancanza nell'instaurarsi di questa relazione.
Ma purtroppo per comprendere la complessità spesso si deve aggiungere altra complessità, e mi chiedo se questa fase di "mancata fiducia" non sia anche questa una parte di terapia attraverso cui, ad esempio, lei stia "mettendo alla prova" o "somministrando test" al suo terapeuta.
Si è sempre sentita così con lui? O a fasi alterne ha percepito una maggior fiducia nei suoi confronti?
"Lo so che è anche un po' un tagliare con l'accetta il lavoro di una persona, però davvero io non conservo assolutamente nulla di ciò che mi dice in seduta... Perché appunto non ragioniamo su niente o se parla non è altro un parafrasare ciò che ho elaborato e in quel momento comunicato."
Anche qui, non è semplice capire e interpretare.
Personalmente mi capita di lavorare con pazienti che a un certo punto esperiscono questo stesso suo vissuto. Lato mio so che le tematiche toccate non sono vane, e che porre questi "semi di riflessione" all'interno di un paziente avrà senso nel momento in cui il paziente stesso sarà in grado di coltivare e far crescere dentro di sè questi concetti.
Non creda al fatto che ciò che non si ricorda, o che sfugge alla sua coscienza, non lavori dentro di lei.
Non mi sento (nè ne avrei gli strumenti, ed inoltre non è deontologicamente corretto) di esprimermi sulla qualità del suo terapeuta. Diffidi da questo tipo di conclusioni se le sono offerte. Le certezze sono comode e seducenti, ma allontanano dalla riflessione.
L'unica cosa che posso suggerirle è quella di rendere maggior dignità a tutti questi suoi vissuti con il suo terapeuta, sottolineargli la sua mancanza di fiducia, e cercare di capire con lui se è pienamente al corrente della situazione (ossia se queste fasi fanno parte del piano terapeutico) o se si sentirà di proporle un invio ad altri.
Senza ulteriori informazioni (che difficilmente possono emergere in questa sede) è difficile esporsi in qualsiasi altra direzione.
Spero di esserle stato d'aiuto
un caro saluto
grazie per la sua condivisione
Non è facile rispondere alla sua domanda. Mi spiego.
Durante un percorso terapeutico esistono e sono addirittura previste e citate nella nostra deontologia possibili periodi di "stagnazione" della terapia.
Alcuni approcci, come certamente avviene per quello psicodinamico - psicoanalitico, talvolta considerano questa stessa fase di stasi come anch'essa terapeutica.
Qui nasce una prima difficoltà: come capire se questa stagnazione fa parte del processo sopracitato o se effettivamente ci si trova a un punto morto da troppo tempo?
Questo deve essere in grado di capirlo il terapeuta.
Potrebbe darsi che lui consideri questa fase come parte integrante e produttiva della sua terapia.
Riferisce che lui non si sofferma su aspetti che possono essere importanti per lei.
Potrebbe rappresentare un tentativo di portare la sua attenzione su altri aspetti, o di abbattere alcune sue resistenze inconsce (tematica piuttosto ricorrente in questo tipo di approccio terapeutico), ma è difficile stabilirlo.
Il fatto che in qualche modo lei abbia avuto feedback positivi sulla sua competenza è certamente di valore; ciò non toglie che, al di là della professionalità e degli approcci, evidenze scientifiche solide sono concordi sul definire la relazione terapeutica lo strumento più potente e prezioso per il buon esito del percorso terapeutico.
La parola "relazione" racchiude al suo interno il senso di uno scambio tra due persone, e dato il numero infinito di variabili in gioco non è detto che lo stesso terapeuta vada bene per tutti, al di là della sua competenza.
Dalle sue parole emerge una mancanza di fiducia nei suoi confronti, e questo mi porta a pensare a una mancanza nell'instaurarsi di questa relazione.
Ma purtroppo per comprendere la complessità spesso si deve aggiungere altra complessità, e mi chiedo se questa fase di "mancata fiducia" non sia anche questa una parte di terapia attraverso cui, ad esempio, lei stia "mettendo alla prova" o "somministrando test" al suo terapeuta.
Si è sempre sentita così con lui? O a fasi alterne ha percepito una maggior fiducia nei suoi confronti?
"Lo so che è anche un po' un tagliare con l'accetta il lavoro di una persona, però davvero io non conservo assolutamente nulla di ciò che mi dice in seduta... Perché appunto non ragioniamo su niente o se parla non è altro un parafrasare ciò che ho elaborato e in quel momento comunicato."
Anche qui, non è semplice capire e interpretare.
Personalmente mi capita di lavorare con pazienti che a un certo punto esperiscono questo stesso suo vissuto. Lato mio so che le tematiche toccate non sono vane, e che porre questi "semi di riflessione" all'interno di un paziente avrà senso nel momento in cui il paziente stesso sarà in grado di coltivare e far crescere dentro di sè questi concetti.
Non creda al fatto che ciò che non si ricorda, o che sfugge alla sua coscienza, non lavori dentro di lei.
Non mi sento (nè ne avrei gli strumenti, ed inoltre non è deontologicamente corretto) di esprimermi sulla qualità del suo terapeuta. Diffidi da questo tipo di conclusioni se le sono offerte. Le certezze sono comode e seducenti, ma allontanano dalla riflessione.
L'unica cosa che posso suggerirle è quella di rendere maggior dignità a tutti questi suoi vissuti con il suo terapeuta, sottolineargli la sua mancanza di fiducia, e cercare di capire con lui se è pienamente al corrente della situazione (ossia se queste fasi fanno parte del piano terapeutico) o se si sentirà di proporle un invio ad altri.
Senza ulteriori informazioni (che difficilmente possono emergere in questa sede) è difficile esporsi in qualsiasi altra direzione.
Spero di esserle stato d'aiuto
un caro saluto
Dr. Gian Andrea Gatto
https://www.drgianandreagatto.com/
https://www.instagram.com/gian_andrea_gatto_psicologo/
[#2]
Utente
Grazie dottore.
Ho preso un po' spunto dalle sue parole e questa mattina gli ho comunicato con un messaggio la mia decisione dandone dettagliate motivazioni. La sua risposta è stata semplicemente un "ne prendo atto". Sto cercando qualcunaltro adesso ma ne sto risentendo molto emotivamente e fisicamente.
Grazie mille per i suoi consigli.
Ho preso un po' spunto dalle sue parole e questa mattina gli ho comunicato con un messaggio la mia decisione dandone dettagliate motivazioni. La sua risposta è stata semplicemente un "ne prendo atto". Sto cercando qualcunaltro adesso ma ne sto risentendo molto emotivamente e fisicamente.
Grazie mille per i suoi consigli.
[#3]
Buonasera,
mi dispiace che le mie parole abbiano offerto questo spunto. La volontà era, al contrario, quella di trasmettere un messaggio di "attesa, condivisione e valutazione", piuttosto che prendere una decisione così drastica.
Ma nessuno può e deve scegliere per lei, ha fatto la scelta che ha ritenuto più opportuna.
Diffidi dalle vie brevi, mi sento di dirle solo questo.
Un caro saluto
mi dispiace che le mie parole abbiano offerto questo spunto. La volontà era, al contrario, quella di trasmettere un messaggio di "attesa, condivisione e valutazione", piuttosto che prendere una decisione così drastica.
Ma nessuno può e deve scegliere per lei, ha fatto la scelta che ha ritenuto più opportuna.
Diffidi dalle vie brevi, mi sento di dirle solo questo.
Un caro saluto
Dr. Gian Andrea Gatto
https://www.drgianandreagatto.com/
https://www.instagram.com/gian_andrea_gatto_psicologo/
[#4]
Utente
No ma forse mi sono spiegata male. Nel mio messaggio ero disposta ad un confronto, nonostante comunicavo di avere ormai maturato una decisione. Le sue parole sono state utili appunto a questo, a descrivere in maniera ancora più esplicita e ancora più dialettica quello che provavo. So bene che non mi stava consigliando di chiudere il rapporto terapeutico.
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 910 visite dal 03/04/2022.
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