Si cura una nevrosi?

Buonasera,
sono in cura presso uno psicoterapeuta per una "nevrosi d'ansia depressiva".
Vorrei avere qualche delucidazione su quali possano essere le mie prospettive.
Da tale patologia si può guarire (e per guarire intendo tornare ad essere sano, una totale remissione della malattia) o è un qualcosa con cui dovrò convivere per tutta la mia vita?
Da questo punto di vista il mio psicoterapeuta è sempre stato vago.
Per questo chiedo ulteriori informazioni a voi.
Vi ringrazio in anticipo.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 194
Gentile utente,
come le avrà detto anche il suo terapeuta, ormai da tempo la medicina e più ancora la psicologia hanno acquisito il principio che si cura il malato, non la malattia.
Aggiungerò che dagli anni '60 del secolo scorso il malato stesso è considerato parte di un sistema, familiare, sociale etc., e dentro questo sistema va valutato, interpretato e curato il suo disagio psicologico.
Mettere tra virgolette una formula come "nevrosi d'ansia depressiva" come se fosse un morbo individuato in maniera certa e inequivocabile, con la sua eziogenesi, uno specifico protocollo terapeutico e una prognosi convalidata da numerose ricerche, non ha senso. Nemmeno il Covid è tanto prevedibile quanto lei vorrebbe che lo fosse la sua malattia.
Quello che sappiamo di lei, viste le numerose richieste che ha rivolto al nostro blog, specie negli ultimi giorni, è che ha abusato di sostanze pericolose, che è consapevole di condurre un'esistenza molto insoddisfacente e che è in cura da uno psicoterapeuta; di quale orientamento non ci ha mai chiarito.
Sempre dal numero e dal tono delle sue richieste sappiamo che un colloquio più franco con il suo curante sarebbe necessario per dare una svolta ai vari elementi problematici che mutilano il suo benessere.
Dai colleghi qui le è stato suggerito di rivolgersi anche ad altri specialisti. Le ricordo il centro pubblico per le dipendenze (il SERD), il Consultorio Giovani e il suo medico di famiglia, per una visita anche psichiatrica.
Dalle sue risposte sembra di poter sospettare che lei non sia maggiorenne: in che modo, infatti, i genitori potrebbero essere informati delle sue vicende da questi specialisti, tenuti al segreto professionale dall'art. 622 Codice Penale, se lei ha raggiunto la maggiore età?
A questo punto non è più il momento di esitare; è venuto quello di orientare i suoi sforzi verso la guarigione.
Auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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Utente
Utente
La ringrazio per la risposta. Non comprendo però il sospetto che sia minorenne: nello scorso consulto anzi sono stato io a dire di aver pensato di parlare del problema con i miei genitori. Forse, se lei ha letto il consulto precedente, si riferirà alla parte in cui parlavo dello psichiatra, ma nominavo i miei genitori soltanto perché non essendo economicamente indipendente, me lo dovranno pagare loro. In ogni caso più tardi vado dal mio terapeuta e gli parlerò di nuovo della situazione: il problema è però non è solo la cocaina, anzi probabilmente la cocaina è solo una conseguenza del vero problema (almeno per ora), quindi la situazione non è facile. Nel caso in cui il mio terapeuta non mi dia risposte adeguate e soddisfacenti, valuterò di intraprendere percorsi alternativi. Per quel che riguarda la domanda posta in questo consulto, pensavo che un decorso generico (o meglio, stimato su base statistica) fosse possibile: così come uno pneumologo potrà dirmi se un tumore è più o meno curabile (o quanto meno, se su base statistica, ho o non ho speranze concrete di sopravvivenza), così come potrà dirmi se la mia bronchite è acuta o cronica, pensavo che lo stesso fosse, sia pur con le dovute differenze, possibile anche in psicologia, la quale dovrebbe essere una scienza e le tecniche dovrebbero essere sperimentate e studiate appunto con metodo scientifico. Sarà vero che la medicina cura il malato e non la malattia,ma se chiedo un consulto sul diabete, mi diranno che ci dovrò convivere fino alla morte, mentre per altre malattie sarà possibile guarire definitivamente. Quindi, provo a riformulare la domanda: sulla base degli studi statistici e della sua esperienza, una patologia conosciuta da tempo come la nevrosi può essere sconfitta definitivamente ( c'è cioè possibilità di una totale remissione dei sintomi), o si tratta di una patologia con cui, nella maggior parte dei casi, si dovrà convivere per lunghi periodi ( anche se magari alternando periodi in cui si sta meglio a periodi in cui si sta peggio)? Ripeto che vorrei risposte basate su dati statistici. Grazie ancora.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 194
Gentile utente,
purtroppo per tutti i campi dello scibile c'è sempre un certo grado di incomprensione tra coloro che portano avanti certi gli studi, e i profani.
Parlando del campo medico lei fa affermazioni che oggi non sono affatto categoriche come sembra credere, nemmeno riguardo al tumore, figuriamoci alla bronchite o al diabete. La stessa attuale variabilità degli esiti del Covid dovrebbe fornirle qualche dubbio.
Venendo alla psicologia, l'ansia o la depressione sono costrutti che acquistano senso relativamente a uno specifico soggetto ansioso o depresso; per questo la diagnosi non può che essere uno strumento indicativo.
Addirittura -si regga forte- il termine "nevrosi", che così largo impiego ha avuto per più di un secolo, e che nelle sue parole sembra scolpito nel marmo, dopo il DSM 3 tramonta del tutto, almeno per chi si avvale dei Manuali Statistico-Diagnostici.
Dunque cosa resta di quel genere di scientificità che la concezione positivistica prescriveva per la nostra disciplina? L'attendibilità delle costruzioni teoriche e l'evidenza dei risultati. Se mi sta chiedendo se ho visto guarire degli ansioso/depressi, le dirò senz'altro di sì.
Le dirò anche che non tutti i metodi sono efficaci per tutti i malati, non a caso ne esistono diversi, e nessun terapeuta è oggi così ortodosso -o ostinato- da non maneggiare, nell'interesse del paziente, gli strumenti di più di un metodo.
Le dirò anche che non ogni relazione terapeutica, elemento importantissimo, assieme agli strumenti, si sviluppa da subito in maniera ottimale. Tali relazioni possono partire male o guastarsi, possono essere aggiustate in corso d'opera, a volte con grande vantaggio, ma in certi casi il nostro stesso codice deontologico prescrive allo psicologo, che senta vani i suoi sforzi, di inviare ad altro specialista il paziente.
Infine le dirò la cosa fondamentale: nessun paziente guarisce se non vuole guarire, e questo con qualunque tipo di patologia, medica o psicologica che sia. Certe tipologie di pazienti sono resistenti alla cura, a volte transitoriamente, altre per sempre.
Sarebbe interessante, anche perché questi scambi non rimangano generici, conoscere l'orientamento metodologico del terapeuta al quale si è affidato.
Per completare da parte nostra l'informazione, le ribadisco che la visita psichiatrica si ottiene gratuitamente o al costo di ticket nei centri del Servizio Sanitario Nazionale che le sono stati più volte indicati.
Auguri ancora.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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Utente
Utente
La ringrazio per la risposta e mi scuso se posso essere sembrato aggressivo o arrogante precedentemente. Forse a volte cerco solo un po' di conforto, non lo so. La parola psichiatra spaventa me in primis e mi spaventa ancor di più che ne possano venire a conoscenza amici e parenti. So che probabilmente questo è un luogo comune sbagliato, ma purtroppo ho un po' paura. Che poi se ci penso è assurdo aver paura di un medico e drogarsi, ennesima contraddizione che mi caratterizza. In ogni caso, ripeto il termine nevrosi perché così il mio psicoterapeuta definisce la mia patologia, affermando che l'ansia e la depressione sono sintomi. Descrivere la mia situazione e le mie problematiche non è semplice, per questo ricorro ad un termine specifico Oggi sono stato dallo psicologo, con cui effettuo una terapia cognitivo comportamentale da luglio, 2 sedute la settimana. Lui è un tipo estremamente schietto e "violento" nei termini. Non si fa problemi ad insultarmi. Questo da un lato può "spronarmi" , dall'altro mi crea difficoltà a dire tutto ciò che penso. Quando a luglio mi sono rivolto a lui stavo malissimo; oggi va un po' meglio, almeno dal punto di vista dei sintomi. La mia vita sta diventando più sopportabile, ma mi rendo conto che il traguardo ( ossia la guarigione/lo star bene, non so neanche io come definirlo) è ancora lontano. Da lui a volte ho l'impressione di non riuscire a dire tutto, oppure di dire cose per "compiacerlo". Le faccio un esempio: tra poco dovrei laurearmi (questo è uno dei miei problemi, ossia che mi è venuto un blocco sullo studio). Più volte abbiamo parlato di cosa mi vorrei far regalare per la laurea ed ho detto che mi piacerebbe farmi comprare una moto. Il fatto è che lui è un appassionato di motociclette, quindi probabilmente la mia risposta non è stata sincera, ma l'ho detta facendomi condizionare da una sua passione. Allo stesso modo, ho detto che mi piacerebbe prendere la moto per farmi un giro con una ragazza dietro: anche qui la affermazione probabilmente non è genuina, perché dato che uno dei miei problemi è la sessualità, gli avrò detto ciò perché "era quello che si voleva sentire dire". Poi lui a volte dice che sono malato, altre volte si rimangia il termine, e ciò mi genera confusione. Sono abbastanza confuso anche sulle possibilità reali di risolvere il problema e su ciò che effettivamente significhi voler guarire: il fatto che io vada 2 volte la settimana di mia spontanea volontà a sottopormi a terapie che a tratti diventano (oggi di meno, in passato di più) un'ora di insulti vari non significa che un po' di volontà ce l'ho? Mentre poi il fatto che ripeta gli stessi errori, fa parte della malattia o è assenza di volontà? Se gli faccio queste domande mi definisce come un idiota e poiché sono un po' permaloso non gliele faccio. Me ne sono sentite dire di tutte i colori da lui, più volte avrei dovuto rispondere ma non ho avuto la forza. Le volte che mi ha mortificato di più sono state quando mi ha detto che gente come me è un peso per la società, che graviamo sullo stato e che la gente ci aiuta solo perchè cosi si sentono meglio (che poi gli avrei voluto dire, ma non ho avuto il coraggio, che io non gravo su nessuno se non sui miei genitori e che anzi lui non fa uno straccio di fattura quindi quello che fa un danno allo stato è lui). Il fatto è che continuo comunque ad andarci. Forse perché sto un po' meglio, forse perché non ho il coraggio di lasciarlo, forse per entrambe le cose. La ringrazio ancora e mi scuso per il tempo che le sto facendo perdere.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 194
Gentile utente,
è insolito che una terapia cognitivo-comportamentale richieda due incontri settimanali, così come è insolito, oggi, che una depressione conclamata non venga curata combinando psicoterapia e terapia farmacologica. Certamente in tutti questi mesi avete effettuato, col terapeuta, dei test e delle verifiche sull'efficacia del procedimento. Come mai non è ancora emerso che lei fa delle affermazioni non genuine, che vuole compiacere il terapeuta, etc.?
Sulle possibilità reali di risolvere il problema, e in quanto tempo, nessuno meglio del suo terapeuta può dirglielo, con diretto riferimento al suo caso specifico, se la diagnosi è stata fatta correttamente e sono state eseguite le verifiche di cui sopra.
Inoltre lei scrive: "il fatto che io vada 2 volte la settimana di mia spontanea volontà a sottopormi a terapie che a tratti diventano (oggi di meno, in passato di più) un'ora di insulti vari non significa che un po' di volontà ce l'ho?"
Mi meraviglia che lei voglia identificare la volontà di guarire con l'esporsi ad una terapia dolorosa e sgradevole. Questo ricorda la vecchia frase punitiva: "per essere belle bisogna soffrire", e certi trattamenti che usavano ferri roventi per arricciare i capelli, cere bollenti per togliere i peli, violente strizzature dei pori per "pulire la pelle", e mandavano a casa l'utente gonfia, rossa e con l'aria di chi è stata picchiata.
Lei di seguito scrive che a certe sue domande non viene data altra risposta oltre il definirla un idiota, e infine che quando le è stato detto che "gente come [lei] è un peso per la società, che graviamo sullo stato e che la gente ci aiuta solo perchè cosi si sentono meglio", avrebbe voluto rispondere "io non gravo su nessuno se non sui miei genitori e che anzi lui non fa uno straccio di fattura quindi quello che fa un danno allo stato è lui".
Gentile utente, l'intera relazione non sembra ispirata a quella fiduciosa alleanza terapeutica che nasce dalla volontà di attuare insieme un percorso di guarigione.
Io qui posso riferirmi soltanto alle sue parole, che potrebbero essere travisamenti o addirittura invenzioni. Quello che dalle sue parole emerge è una sorta di rapporto sadomasochistico, che nulla ha a che vedere coi normali percorsi di psicoterapia. Tanto più il parere di un altro specialista, per esempio uno psichiatra, ma anche uno psicoterapeuta anche lui cognitivo-comportamentale, potrebbe esserle utile.
Buone cose.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#6]
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 194
Gentile utente,
a completamento di quanto detto sopra potrebbe leggere l'articolo al seguente link:
https://www.giuseppesantonocito.com/art_psicoterapia.htm
Ci tenga al corrente, se le è utile.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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