Mi sento senza futuro

Buongiorno,

il mio problema è che alla mia età non ho una laurea, né una buona cultura, né in generale conoscenze tecniche o teoretiche.
Sono praticamente uno schiavo: le mie libertà di diritto non possono avere riscontro nei fatti.

Mi sento senza futuro e senza appigli per costruirmene uno.
Se dovessi dire quale sia per me la cosa più importante, direi che si tratta della conoscenza.
Penso spesso al senso della vita e non credo che si possa vivere senza pensarci, ma questo vuol dire che vivere senza studio e ricerca è come non vivere.
A cosa siamo destinati con la morte?
Non penso che il nostro destino sia, o meglio debba essere per forza, la totale dissoluzione.
La psiche non è riducibile né a meri meccanismi fisici né a "proprietà emergente" di funzioni biologiche, ma è connessa alla nostra dimensione di trascendenza.
Affermo questo con sicurezza, senza dilungarmi, ma ho delle basi per dirlo.
Ne consegue che il nostro destino nella morte è collegato alla forza e allo sviluppo della nostra psiche: quanto sono forti e capaci di sopravvivere i legami e i campi morfologici che danno luogo alla nostra conformazione psichica?
Da questo dipende l'opportunità di accedere alle Isole Beate o la condanna di finire fra i tormenti dell'Ade dimenticando tutto e smarrendosi.
Il problema è che una vita beata non può essere disconnessa dalla conoscenza.
Una visione frammentaria e parziale del mondo e della vita, come la mia, è una condanna.
Se solo mi fossi dedicato prima, già da bambino, allo studio sui libri... Mi sento una vittima: perché nessuno mi ha costretto a studiare da bambino?
Forse perché per la gioia delle persone acculturate c'è bisogno di una massa di incolti?
Quindi c'è stata una selezione e io ho perso.
Adesso è troppo tardi.
Come faccio a recuperare gli anni persi?
Gli impegni materiali e la stanchezza dell'invecchiamento si accumulano: non c'è più tempo per l'apprendimento.
Ora devo "applicare" (anche se non ho niente da applicare).
Non ho più un cervello fresco da formare.
Un'istruzione superiore mi è preclusa: quella è accessibile solo ai meritevoli e ai capaci, ma evidentemente se anche forse ero capace non sono e non sono stato meritevole.
Mi sento condannato alla mediocrità e all'oblio e non so che fare.
Vale la pena vivere così e "darsi da fare"?
Darmi da fare per cosa?
Per una vita di ignoranza con la pancia piena?
Fosse almeno una vita lussuosa! Darmi da fare per chi?
Devo sacrificare la mia dignità sull'altare dell'altruismo?
Come posso non essere invidioso e rancoroso?
Ormai non so nemmeno cosa volere e perché.
Nichilismo totale.
[#1]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
>>> Vale la pena vivere così e "darsi da fare"?
Darmi da fare per cosa?
>>>

Il bello (o il brutto, secondo i punti di vista) della vita è che non significa per forza qualcosa. Ha solo il significato che <tu> decidi di darle.

Perciò nessuno all'infuori di te può rispondere a questa domanda riguardo alla <tua> vita in particolare.

Te lo dico in modo un po' brutale, saltando gli pseudoragionamenti filosofici che ci stanno nel mezzo, perché tanto non servirebbero a nulla.

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

[#2]
Attivo dal 2022 al 2022
Ex utente
Grazie Dottor Santonocito per la risposta,

immagino che indipendentemente dalla scuola di riferimento (Freud, Lacan, Jung, oppure scuole cognitiviste, comportamentiste, pragmatiche, etc.) sia abbastanza difficile per un professionista del suo settore accettare l'idea dell'immortalità: se il concetto in questione non si scontra proprio con l'interpretazione di base della psiche (come "bioenergia", come attività elettrica del cervello o come campo epigenetico), è perlomeno in contrasto con il sentore di poter effettivamente operare in quel campo, sia a livello sperimentale, sia a livello medico. A mio avviso però il contrasto non è così netto e ci sono dei possibili punti d'incontro.

Comunque ho già la risposta alla prima domanda: no, non ne vale la pena. La seconda domanda ha invece la seguente risposta: darmi da fare per cambiare la mia vita. Al che segue: cosa posso fare, realisticamente parlando, per cambiare la mia vita in meglio? La risposta realistica è: nulla, a parte ricominciare daccapo (il che non significa certo rimboccarmi le maniche). E mettere in atto l'unica soluzione realistica un po' mi spaventa, un po' cozza con i miei principii, ma soprattutto la vedo come una sconfitta, una vergogna, un insulto. Dopotutto se la mia vita è un fallimento, ciò è dovuto avvenire per il successo di altri: non sarebbe riparatore prendermi una vendetta il più possibile ampia contro gli altri? E come fare? Non ho mezzi per vendicarmi. Non so nemmeno cosa voglia da questo consulto. Sento solo il bisogno di chiedere, di parlare, di sapere cosa fare. Ormai ho perso ogni speranza di un cambiamento, in tutti i sensi.

Ma magari sto solo perdendo tempo a chiedere queste cose. Magari semplicemente riuscirò a raggiungere tutti i miei obiettivi e a sviluppare una conoscenza completa. Magari l'unico ostacolo alla mia realizzazione è questo inutile dubitare delle mie capacità. Però mi è venuta in mente una cosa: da dove mi vengono questi inutili dubbi, dottore? Poniamo che essi non siano affatto realistici, o che pur essendolo siano del tutto inutili: da dove mi viene questa tendenza a porli? Da un bisogno? Da che tipo di bisogno? Da un'aggressività? E in che modo posso "trasformare" queste tendenze per rendere l'acting out più funzionale alla mia persona? Oppure c'è qualcos'altro? Questi dubbi sono forse una maschera attraverso la quale nego ciò che veramente voglio? E perché lo nego? Che cosa voglio nel negare ciò che voglio? Ciò che veramente voglio è negare ciò che veramente voglio?
Ho letto nel suo curriculum che lei è specializzato in psicoterapia strategica breve, quindi magari queste riflessioni vagamente psicanalitiche non incontrano il suo gusto. Comunque sono domande che mi aiutano a definire il problema, e come insegna Nardone definire il problema viene prima ancora del concordare l'obiettivo e e del valutare le tentate soluzioni. Resta però il problema dei problemi insolubili: prendiamo a esempio Socrate. Si è poi capito in che modo uno che non sapeva nulla potesse essere il più sapiente di tutti? Il sapere di non sapere è una condanna, non una soluzione: infatti Socrate fu condannato. Non mi metterò a spiegare perché il problema di Socrate era irrisolvibile, sarebbe inutile. Però, anche se in questo caso si potrebbe obiettare (a mio avviso a torto) che siamo nell'ambito della letteratura, volevo solo fare un esempio relativo al fatto che ci sono problemi irrisolvibili. Chissà se anche Nardone lo sappia. Un giorno, se potrò permettermelo, mi pagherò un colloquio con lui solo per parlargli dell'enigma di Socrate. Oppure magari un giorno sarò abbastanza colto e accademicamente affermato da rendergli accettabile di parlare con me in un simposio. Sono sicuro che potremmo trovare un terreno d'incontro sul piano del rapporto fra magia, tecnica, tecnologia, psicologia e filosofia.
Emanuele Severino non sarebbe d'accordo con me su questo punto, o forse lo sarebbe solo per il fatto che anche il mio autocontraddittorio volere la negazione del mio volere la negazione del mio volere la negazione etc. etc. dev'essere, nella sua ottica, un "eterno". Anche questa soluzione severiniana dei miei problemi non è una soluzione: non concreta, almeno. Però magari incrociando i due autori, Nardone e Severino, può darsi che io ne ricavi qualcosa.

Sì, mi ha convinto, dottore: proverò a fare così. Basta che nel frattempo non mi distraiate con le guerre come avete fatto negli ultimi giorni.
[#3]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
>>> immagino [...] sia abbastanza difficile per un professionista del suo settore accettare l'idea dell'immortalità
>>>

A me l'idea dell'immortalità ha smesso d'interessare da decenni, a dire il vero.

Mettiamola così: avendo pienamente e profondamente accettato l'idea della mortalità, non ho più da preoccuparmi. E quindi vivo meglio di chi quest'idea non l'ha ancora accettata e che nel frattempo, come te, continua a buttare via il proprio tempo facendosi domande inutili, convinto che per imparare a vivere occorra pensare molto.

>>> Resta però il problema dei problemi insolubili

Per vivere decentemente non è importante se un problema è insolubile. È importante capire se è importante. E quello dell'immortalità non lo è, ad esempio, perché per vivere bene non occorre sapere cosa succede quando il corpo muore.

Non l'hai chiesto, ma ti do ugualmente il mio suggerimento: smetti di masturbarti mentalmente così tanto. Pensa di meno, agisci di più e inizia a costruire qualcosa. Ti costerà fatica, ma è fatica ben spesa.

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

[#4]
Attivo dal 2022 al 2022
Ex utente
Credo anche all'immortalità del soma, se è quello il punto: a lei non sembra importante sapere a cosa si va incontro nella vita? Chiedo ciò anche indipendentemente dalla questione dell'immortalità; peraltro non è che la nozione di mortalità sia così priva di sfumature da escludere recisamente quella di immortalità, tutt'altro.
Quello che vorrei sapere è cosa costruire a questo punto, perché sono anni che cerco di costruire con fatica una carriera filosofica, ma a quanto pare non va bene e lei stesso afferma che più che un pensiero filosofico il risultato della mia fatica è una masturbazione mentale. Sarà stata una fatica ben spesa, anche se non ripagata? Anche questo è il punto: vale la pena, o è importante, compiere fatiche "ben spese", ma "mal retribuite"? Io agisco anche, non è che non lo faccia, ma come mai a ogni decisione che prendo e porto avanti mi ritrovo sempre immerso nel letame? Sarà che non so abbastanza bene a cosa vada incontro?
[#5]
Attivo dal 2022 al 2022
Ex utente
Un'alternativa sarebbe una vita lussuosa, ma forse progettare questo è anche più difficile e deludente di progettare una vita erudita.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.3k 193
Gentile utente,
mi permetto di intervenire su un elemento apparentemente marginale.
Lei scrive, rispondendo al dr Santonocito: "sono anni che cerco di costruire con fatica una carriera filosofica, ma a quanto pare non va bene e lei stesso afferma che più che un pensiero filosofico il risultato della mia fatica è una masturbazione mentale".
Intervengo perché sono, prima che psicologa, insegnante di filosofia.
Su tante cose si possono sollevare dubbi e avanzare opinioni che mancano inevitabilmente di prove (la mortalità di psiche e/o soma, per esempio; gli argomenti delle antinomie di Kant sulla natura del mondo, etc.), ma altre non sono oggetto di contenzioso, in quanto fanno parte di quelle che Leibniz chiama "verità di fatto". Tra queste si trova ciò che ci è stato tramandato attraverso testi scritti.
Noi possiamo ipotizzare che Socrate non sia mai esistito, e quindi che le narrazioni di Platone, Senofonte e Aristofane non siano altro che invenzioni, oppure falsificazioni e travisamenti.
Fior di studiosi hanno argomentato su questi dubbi.
Ma ecco la differenza con le sue affermazioni dell'email #2: nelle parole degli studiosi si avverte una specifica competenza. Delle opere che trattano di Socrate, di sicuro conoscono bene l'Apologia di Socrate, primo testo che leggono perfino gli alunni dei licei.
In lei, invece, c'è il deserto.
Dice molte parole, ma nessuna attinente alla realtà del personaggio Socrate, realmente esistito o invenzione letteraria poco importa. Del tutto evidente è che lei ignora ogni cosa di lui e del suo "sapere di non sapere". Ignora anche la sua severa prescrizione: "conosci te stesso". Tra le altre cose, ignora completamente il Fedone, l'opera in cui Socrate afferma l'immortalità dell'anima.
Il fatto è che lei parla di cose che non conosce. Nello stesso modo fa ipotesi sulle varie scuole terapeutiche, sulla posizione di fede o di ateismo dei terapeuti e così via.
Lei ha nella sua ignoranza un perfetto baluardo contro il rischio di doversi confrontare con una realtà esterna, quella del pensiero Altro dal suo.
Non posso sapere se sia anche la pigrizia, o la paura di scoprirsi inidoneo, con la conseguente costruzione di una "superiorità" compensatoria, che la tiene lontana dallo studio.
Nella prima email lei scrive: "Mi sento una vittima: perché nessuno mi ha costretto a studiare da bambino?".
Com'è facile buttare la colpa sugli altri! Senonché il desiderio e il piacere dello studio è nostro. Nessuno ce lo può dare, né togliere.
Se la sua età è davvero quella che dichiara, potrebbe benissimo iscriversi ad una scuola serale per un diploma, poi ad un'università, anche online, per la laurea. In alternativa, corsi di tutte le materie, filosofia compresa, si tengono nelle Università delle Tre Età, le Unitre.
Ma il problema è che tutto questo la sottrarrebbe alle sue elucubrazioni solitarie, al suo rimuginare su tematiche che il pensiero umano ha già risolto.
La sottrarrebbe al masturbarsi mentalmente, appunto, il perfetto analogo della masturbazione fisica, praticata spesso per non esporsi all'incontro con l'Altro da sé.
Spero di averle fornito qualche spunto di riflessione.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#7]
Attivo dal 2022 al 2022
Ex utente
Grazie per la risposta dottoressa Potenza,

sì, mi ha fornito diversi spunti.

Le vorrei proporre una nota relativa a ciò che Nietzsche scrisse in uno dei suoi frammenti postumi (non ricordo l'ubicazione precisa): "non esistono fatti, solo interpretazioni"; che si accosta ad altri due sulle interpretazioni morali dei fatti. La quale sentenza, se invero si può applicare con coerenza a qualsiasi fatto, a maggior ragione si può applicare alle tradizioni letterarie tramandate (tutto il lavoro di Nietzsche ha a che fare con le frodi in filologicis), che infatti abbisognano di un più o meno corposo lavoro ermeneutico.
Questo per dire che anche i fatti si possono, per dirla con Cartesio, revocare in dubbio. Volendo essere estremi - e io sono idealista (anche se non razionalista) - si potrebbe addirittura rovesciare la sua tesi (e propendo per una soluzione di questo tipo): vi sono "verità di ragione" incontrovertibili che non si possono revocare in dubbio (per esempio il principio di non contraddizione), al contrario dei fatti che, in quanto riferiti a orizzonti che oltrepassano quello trascendentale del nostro conoscere oggettivo "a priori", sono sempre dubbi; se portiamo all'estremo l'argomento kantiano, una conoscenza dei fatti ci è sempre preclusa, perché non possiamo trarre dall'apparenza una conoscenza a priori che oltrepassi il campo dell'esperienza possibile, il che significa che ogni nostra conoscenza empirica è sempre una generalizzazione di regolarità fenomeniche e mai una conoscenza di fatti singoli (per accedere ai quali occorrerebbe giungere fino alla cosa in sé). D'altro canto se non mi sbaglio anche Lacan (che sembra lei citi) - e le neuroscienze se la memoria non m'inganna dovrebbero aver dato una conferma di questo - affermava che da un punto di vista psicologico non si può distinguere un processo allucinatorio da un'esperienza reale e la differenza fra i due processi sarebbe quindi data da altri fattori. Quando lei mi dice che "parlo di cose che non conosco" in effetti porta lo stesso argomento che Fichte portò contro Kant: se la cosa in sé è inconoscibile, allora perché il signor Kant ne parla? Come fa a parlarne? Ma è davvero così facile muovere obiezioni allo scettico? Se per esempio ci riferiamo a Polanyi e alla nozione di conoscenza tacita possiamo sviluppare il tema oltre l'orizzonte antropologico e trovare una soluzione a questi argomenti gnoseologici.
Qui però non volevo discutere questo argomento classico per difendermi: mi sentivo solo di portarle queste osservazioni perché quando si sollevano questioni filosofiche ho "il grilletto facile".


"Lei ha nella sua ignoranza un perfetto baluardo contro il rischio di doversi confrontare con una realtà esterna, quella del pensiero Altro dal suo.
Non posso sapere se sia anche la pigrizia, o la paura di scoprirsi inidoneo, con la conseguente costruzione di una "superiorità" compensatoria, che la tiene lontana dallo studio."

La pigrizia c'entra per circa il 10%. La paura di scoprirmi inidoneo per un altro 10%. Il restante 80% è stato dato dall'aver preso strade sbagliate, dall'aver seguito percorsi inidonei, dall'essermi affidato a indicazioni fuorvianti.
Ma questo riguarda il passato. Adesso il problema è un altro: come potrei, giunto alla mia età, non essere inidoneo? Alla mia età i grandi pensatori avevano già alle spalle un percorso di studi consolidato. Io a cosa potrei mai aspirare cominciando praticamente da zero così tardi? Agli avanzi di chi ha studiato. Solo a questo. Io ormai ho la certezza di scoprirmi inidoneo, non una semplice paura, e tutto questo è così umiliante che non so come conviverci: l'unica cosa che mi rasserena è pianificare una vendetta contro chi è migliore di me, ma poi comunque mi rendo conto di non essere nemmeno in grado di vendicarmi. Ancora più umiliante è l'idea di nutrirmi di avanzi, andando all'università della terza età per diventare lo zimbello di chi ha studiato veramente. Non che ora non lo sia, ma perlomeno ora non sono esposto. Sì, non voglio avere a che fare con l'Altro. Se l'Altro mi accogliesse, la sua non sarebbe che carità: ma in riferimento alla masturbazione fisica possiamo anche dire che è molto difficile che l'Altro mi accolga, così come è impossibile che una donna mi apprezzi. E qui veniamo a un altro punto: lei mi parla di apertura all'Altro, ma pone la questione come se tale apertura fosse una cosa che è in mio potere. Benissimo: ma se è una cosa che è in mio potere, allora in che senso l'Altro è altro? Se invece l'Altro è altro, come potrebbe essere in mio potere l'apertura a "esso"?
Io posso senz'altro "aprirmi", ma l'accesso alla sfera dell'altro non dipende da me: posso metterci tutto l'impegno che voglio, ma così come in passato il mio impegno non mi ha salvato dall'andare fuori strada, allo stesso modo non mi salverà ora dal fatto che per me è troppo tardi e dalla vita di mediocrità a cui sono condannato.
O magari mi sbaglio, ma nonostante le mie domande e richieste dallo "Altro" non arrivano risposte: arrivano solo moniti a responsabilizzarmi. Già. Ma a che mi serve responsabilizzarmi? E' questo quello che vorrei sapere: e se la risposta posso solo darmela da solo, ciò significa che non c'è alcun "Altro" al quale aprirmi.
[#8]
Attivo dal 2022 al 2022
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Aggiungo una cosa.
Ho fatto un paragone con i "grandi pensatori". Sì, ho idee grandiose e no, non penso che sia accettabile rinunciarvi: sarebbe solo patetico.
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Attivo dal 2022 al 2022
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Sto avendo una richiesta: esiste un campo della medicina o della scienza, un qualche tipo di professionista al quale rivolgermi, che mi permetta di "potenziare" le mie capacità mentali? Che mi permetta di procurarmi un vantaggio cognitivo sugli altri e di recuperare una forza mentale giovanile? Che mi permetta di diventare un erudito migliore degli altri, anche con l'ausilio di specifiche sessioni di allenamento e di inoculazione di composti chimici? Esistono professionisti che possano darmi queste cose o stimolare la neurogenesi? E per esempio dei potenziatori cognitivi basati sulle nanotecnologie?

Questa è la soluzione che mi serve, credo. Mi va bene anche un'indicazione di laboratori sperimentali in questo senso. Mi basta che sia possibile.
[#10]
Attivo dal 2022 al 2022
Ex utente
Ultima aggiunta.
Non sono d'accordo con lei sulla questione del buttare la colpa sugli altri. In pratica lei sta dicendo che sono un rifiuto umano nella mia intima essenza e non a causa di una educazione inadeguata. Io invece non sono d'accordo.
Per me non è giusto essere selezionati così sulla base delle "attitudini personali". Io che ne potevo sapere da bambino di come mi sarei sentito, una volta adulto, per le mie scelte? Niente. Questa conoscenza mi sarebbe dovuta essere inculcata con la forza.

E tutte le chiacchiere sulla dignità umana sono sciocchezze. Io non ho alcuna dignità, e la colpa non è mia. La dignità mi è stata negata e mi è stata negata perché non mi è stata imposta. Così stanno le cose senza se e senza ma. E prima o poi le persone di successo, che spacciano per libertà la LORO libertà sui falliti come me, la pagheranno cara. Lo giuro.
[#11]
Attivo dal 2022 al 2022
Ex utente
La paura di risultare inidoneo... Ebbene, cosa dovrei fare se dovessi risultare tale? Come potrei sopportare il fatto di esserlo? Non potrei sopportarlo.
[#12]
Attivo dal 2022 al 2022
Ex utente
Vinciamo la tauromachia per decapitazione: se lei mi dice "è assolutamente certo che se lei supererà la paura di risultare inidoneo e si darà conseguentemente da fare, allora risulterà idoneo", allora ha un senso lavorare sul superamento di questa paura. Se lei invece mi dice "è certo che se supererà la paura di risultare inidoneo rimuoverà questo ostacolo, ma non è certo che rimuovendo quest'ostacolo e dandosi da fare lei risulti idoneo", allora non ha senso lavorare al superamento di questa paura, perché dovrei fondare il superamento di questa paura sull'incertezza della mia idoneità, il che è come superare la paura di cadere da un ponte attraverso la convinzione "che forse cadrò". Non ha senso, o mi sbaglio? Come posso non avere paura della minaccia X se resta aperta la possibilità della minaccia X?
[#13]
Attivo dal 2022 al 2022
Ex utente
Anche proprio da un punto di vista strettamente funzionale: guido una macchina, ma non ho paura di schiantarmi. Siamo sicuri che il non avere paura di schiantarmi sia funzionale al mio guidare la macchina? Non lo credo. Così è con la paura di risultare inidonei: ho già preso fin troppi pesci in faccia per non avere paura del confronto con gli altri. PRIMA devo studiare tutto lo scibile, POI potrò aprirmi agli altri, con i dovuti airbag e soprattutto con le giuste competenze di guida.
Buttarsi sugli altri a braccia aperte è un suicidio. Si finisce facilmente a fare i lavapiatti degli altri. Con rispetto per i lavapiatti (ma a questo punto meglio morire di fame).
[#14]
Attivo dal 2022 al 2022
Ex utente
E qui la questione diventa etica. E' giusto che io lavori per il lusso e la cultura degli altri? No. Qui non siamo più nel campo della psicologia e della psicoterapia. Per convincermi a darmi da fare altruisticamente sviluppando pulsioni sociali deve convincermi del fatto che è giusto sacrificarmi per gli altri. E non me ne può convincere senza andare oltre il processo terapeutico: non è giusto. Che gli uomini di cultura e gli imprenditori facciano anche gli operai, gli uomini delle pulizie, etc. ! E lascino ricchezze e cultura anche a noi immeritevoli e incapaci! Questo è giusto: essere alla pari.
Non è giusto che lei sappia più cose di me e NON è una mia responsabilità, ma una SUA responsabilità: tanto più se come dice fa l'insegnante, dovrebbe imporre la cultura ai suoi studenti, non "lasciarli liberi" di essere ignoranti e quindi di non essere liberi; questo è semplice sfruttamento. Però ripeto: qui siamo fuori dal campo della terapia. Non mi sembra il caso di metterla su questo piano.

Occorre tornare nei ranghi delle soluzioni concrete per me: per esempio quelle relative al potenziamento cognitivo, che al momento è l'unico mezzo che io ho per rimettermi in paro. Sul perché voglia rimettermi in paro, ho già detto che si tratta di una questione etica. Poi magari possiamo discutere della questione etica, ma si tratta di discuterne.
[#15]
Attivo dal 2022 al 2022
Ex utente
Metterei all'indice Agazzi e Montessori. L'educazione fa schifo per colpa di quei metodi educativi.
Come può chiedermi di aprirmi all'alterità? La cultura che NON mi è stata data gratuitamente com'era giusto che fosse non merita da me altro che odio. Le persone colte e di successo non meritano da me altro che odio. Non voglio "aprirmi" a loro: voglio sconfiggerli. Voglio schiacciarli in basso come loro hanno schiacciato me con i loro falsi metodi educativi. Voglio che mi puliscano il bagno mentre io studio i libri. E ciò riguarda anche lei e chiunque abbia avuto successo. Non c'è compromesso. Non c'è "dialogo". C'è solo la mia vittoria e la vostra sconfitta.
[#16]
Attivo dal 2022 al 2022
Ex utente
"Ma il problema è che tutto questo la sottrarrebbe alle sue elucubrazioni solitarie, al suo rimuginare su tematiche che il pensiero umano ha già risolto."

Quali sono queste tematiche? E quali le soluzioni? Me le dica! Me le spieghi! Perché nessuno me le ha spiegate? Come faccio a non fare elucubrazioni se nessuno mi dice le cose? Sono diplomato al liceo classico: non dovrei già sapere tutto quello che mi serve? Perché non lo so? Perché sono ignorante? "Per colpa mia" non è una risposta. E' uno scaricabarile di voi detentori del PRIVILEGIO IMMERITATO della conoscenza. Voglio anch'io questo privilegio e non farò niente di buono per l'umanità finché non l'avrò. E non è qualcosa che "mi devo guadagnare": no, è qualcosa che VOI mi dovete dare, con le buone o con le cattive. Convincerò anche altri a non lavorare, a non darsi da fare, a PRETENDERE quello che è legittimo pretendano da VOI. Non avrete più chi lavora per voi e non avrete più un luogo sicuro in cui vivere. Noi saremo ovunque per avere quello che ci spetta di diritto: conoscenza, cultura, lusso. E non colpiremo imprenditori, politici, banchieri. Colpiremo VOI, che siete gli unici veri ladri, voi persone acculturate. Solo dopo colpiremo anche gli altri e prenderemo il posto che ci spetta: SOPRA DI VOI.