La psicoterapia sembrava funzionare ma ora mi sento come prima
Buongiorno,
da sei mesi ho iniziato un percorso di psicoterapia.
Avevo sempre un umore 'molto depresso', vedevo le giornate tutte uguali, ansia, insicurezze, il nervoso e lo stress occupavano le mie giornate.
Stanco della situazione decisi di andare da uno psicoterapeuta per cercare di migliorare la mia situazione.
Non conoscevo quasi nulla di tutto questo e non sapevo bene cosa aspettarmi, inizialmente mi sembrava molto strano durante le sedute parlavo solo io, ma pensavo servisse per farmi aprire e per conoscermi.
Non capivo bene perchè questo accadeva lui mi rispondeva prontamente alle mie richieste dicendo che non doveva essere lui a darmi le risposte ecc.
Continuando con le sedute mi sembrava di star 'ingranando' facevo tutti i 'compiti' che mi dava, pensavo spesso ai contenuti delle sedute, mi sono aperto al massimo e dopo quattro mesi circa mi sembrava di iniziare a sentire un'aria di cambiamento, non stavo particolarmente meglio ma mi sembrava di star prendendo la strada giusta.
Dal mese scorso però mi sento come all'inizio, il mio umore è pessimo e sono davvero frustrato dalle sedute che sembrano non portarmi a nulla.
Spesso parlo dei miei sogni o esperienze passate ma non ricevo mai un feedback su nulla, ho capito che devo essere io a trovare le risposte ma non essere un minimo indirizzato mi sta rendendo molto frustrato anche dopo questa mia sorta di 'regressione'.
Ho affrontato la questione durante le ultime sedute ma non mi sembra di aver avuto una risposta convincente.
Non so bene cosa fare, mollare dopo un percorso che, anche se non lungo, è stato comunque fatto mi sembra un peccato.
Anche continuare così però mi sembra non mi porti da nessuna parte.
Non vedo come questa cosa possa davvero aiutare a superare la mia ansia e le mie insicurezze, non so veramente che pesci prendere, magari sono io a pormi male alla terapia però ripeto per un periodo mi sono sentito sulla strada del cambiamento, questo mi rendeva speranzoso ma ora mi sembra di nuovo tutto come prima.... e senza avere un minimo di indicazioni credo sia impossibile migliorare....
Volevo chiedere quindi se questa situazione potesse essere normale e pazientare ancora oppure no.
Grazie
da sei mesi ho iniziato un percorso di psicoterapia.
Avevo sempre un umore 'molto depresso', vedevo le giornate tutte uguali, ansia, insicurezze, il nervoso e lo stress occupavano le mie giornate.
Stanco della situazione decisi di andare da uno psicoterapeuta per cercare di migliorare la mia situazione.
Non conoscevo quasi nulla di tutto questo e non sapevo bene cosa aspettarmi, inizialmente mi sembrava molto strano durante le sedute parlavo solo io, ma pensavo servisse per farmi aprire e per conoscermi.
Non capivo bene perchè questo accadeva lui mi rispondeva prontamente alle mie richieste dicendo che non doveva essere lui a darmi le risposte ecc.
Continuando con le sedute mi sembrava di star 'ingranando' facevo tutti i 'compiti' che mi dava, pensavo spesso ai contenuti delle sedute, mi sono aperto al massimo e dopo quattro mesi circa mi sembrava di iniziare a sentire un'aria di cambiamento, non stavo particolarmente meglio ma mi sembrava di star prendendo la strada giusta.
Dal mese scorso però mi sento come all'inizio, il mio umore è pessimo e sono davvero frustrato dalle sedute che sembrano non portarmi a nulla.
Spesso parlo dei miei sogni o esperienze passate ma non ricevo mai un feedback su nulla, ho capito che devo essere io a trovare le risposte ma non essere un minimo indirizzato mi sta rendendo molto frustrato anche dopo questa mia sorta di 'regressione'.
Ho affrontato la questione durante le ultime sedute ma non mi sembra di aver avuto una risposta convincente.
Non so bene cosa fare, mollare dopo un percorso che, anche se non lungo, è stato comunque fatto mi sembra un peccato.
Anche continuare così però mi sembra non mi porti da nessuna parte.
Non vedo come questa cosa possa davvero aiutare a superare la mia ansia e le mie insicurezze, non so veramente che pesci prendere, magari sono io a pormi male alla terapia però ripeto per un periodo mi sono sentito sulla strada del cambiamento, questo mi rendeva speranzoso ma ora mi sembra di nuovo tutto come prima.... e senza avere un minimo di indicazioni credo sia impossibile migliorare....
Volevo chiedere quindi se questa situazione potesse essere normale e pazientare ancora oppure no.
Grazie
[#1]
Gentile utente
so che alcuni colleghi potrebbero storcere il naso per questa mia risposta, però mi sembra anche eccessivamente "buonista" dover difendere a tutti i costi una terapia già intrapresa.
Credo di aver capito bene la tua domanda. Solitamente il consiglio che do a chi è già in terapia è quello di far presente i propri dubbi al terapeuta e farsi spiegare chiaramente quelli che sono gli obiettivi terapeutici intrapresi.
Mi sembra che questo passaggio sia già stato fatto con risultati non soddisfacenti.
Il mio consiglio è quello di esporre nuovamente i tuoi dubbi al terapeuta che ti ha in carico e se anche stavolta non fosse convincente, forse questa non è la terapia o il terapeuta giusto per te. Quindi potrebbe essere lui stesso ad inviarti a qualche altro collega.
Purtroppo un percorso terapeutico non è costituito da una ricetta standard che viene eseguita alla lettera, ma ci sono tante variabili che ne comportano la buona riuscita. Una di queste è ad esempio la relazione terapeutica, ma anche l'approccio che utilizza il tuo terapeuta potrebbe essere distante dalle tue aspettative. Dai pochi indizi che ci dai sembrerebbe un approccio psicanalitico o psicodinamico.
Per quello che è il mio modo di lavorare il paziente deve essere ben consapevole dell'obiettivo terapeutico, ma soprattutto deve avere la percezione di risultati nel breve periodo. Il mio approccio è strategico breve e da questo punto di vista è molto distante da tanti altri approcci. Con questo non voglio dare ad intendere che ci sia un approccio in senso assoluto migliore di un altro, ma che la cosa possa essere soggettiva a seconda del problema trattato e della persona. Io stesso avrei difficoltà a seguire certi approcci terapeutici.
Per completezza ti lascio un link in cui è spiegato anche il mio metodo così che tu possa ad esempio fare un confronto. Comunque, il mio consiglio principale rimane quello di far eun ulteriore tentativo di confronto con il tuo terapeuta prima di abbandonare un percorso già avviato da 6 mesi
https://francescobeligni.it/psicoterapia-breve-strategica-siena-arezzo-online/
Spero di essere stato d'aiuto
Cari saluti, resto a disposizione
so che alcuni colleghi potrebbero storcere il naso per questa mia risposta, però mi sembra anche eccessivamente "buonista" dover difendere a tutti i costi una terapia già intrapresa.
Credo di aver capito bene la tua domanda. Solitamente il consiglio che do a chi è già in terapia è quello di far presente i propri dubbi al terapeuta e farsi spiegare chiaramente quelli che sono gli obiettivi terapeutici intrapresi.
Mi sembra che questo passaggio sia già stato fatto con risultati non soddisfacenti.
Il mio consiglio è quello di esporre nuovamente i tuoi dubbi al terapeuta che ti ha in carico e se anche stavolta non fosse convincente, forse questa non è la terapia o il terapeuta giusto per te. Quindi potrebbe essere lui stesso ad inviarti a qualche altro collega.
Purtroppo un percorso terapeutico non è costituito da una ricetta standard che viene eseguita alla lettera, ma ci sono tante variabili che ne comportano la buona riuscita. Una di queste è ad esempio la relazione terapeutica, ma anche l'approccio che utilizza il tuo terapeuta potrebbe essere distante dalle tue aspettative. Dai pochi indizi che ci dai sembrerebbe un approccio psicanalitico o psicodinamico.
Per quello che è il mio modo di lavorare il paziente deve essere ben consapevole dell'obiettivo terapeutico, ma soprattutto deve avere la percezione di risultati nel breve periodo. Il mio approccio è strategico breve e da questo punto di vista è molto distante da tanti altri approcci. Con questo non voglio dare ad intendere che ci sia un approccio in senso assoluto migliore di un altro, ma che la cosa possa essere soggettiva a seconda del problema trattato e della persona. Io stesso avrei difficoltà a seguire certi approcci terapeutici.
Per completezza ti lascio un link in cui è spiegato anche il mio metodo così che tu possa ad esempio fare un confronto. Comunque, il mio consiglio principale rimane quello di far eun ulteriore tentativo di confronto con il tuo terapeuta prima di abbandonare un percorso già avviato da 6 mesi
https://francescobeligni.it/psicoterapia-breve-strategica-siena-arezzo-online/
Spero di essere stato d'aiuto
Cari saluti, resto a disposizione
Dr. Francesco Beligni - PSICOLOGO PSICOTERAPEUTA
Riceve su Siena-Arezzo oppure ONLINE
www.francescobeligni.it
[#2]
Gentile utente,
vorrei aggiungere una riflessione più generale sul funzionamento della psicoterapia,
indipendente dall'approccio che ogni Psicoterapeuta sceglie di utilizzare.
E' frequente che, finito il classico periodo di "luna di miele" con l* propri* Psicoterapeuta, si entri un una fase più faticosa. Prima "..facevo tutti i 'compiti' che mi dava, pensavo spesso ai contenuti delle sedute, mi sono aperto al massimo..", poi il passo rallenta, si sente la fatica o il peso dell'appuntamento settimanale, si ci chiede se ne valga la pena.
Succede così in moltissime esperienze della vita del resto, se ben pensa: relazionali, professionali.
Nella psicoterapia come mai vi si giunge?
Per vari motivi.
Nel primo periodo:
.già solo la decisione di affrontare il problema fornisce una sua propria energia positiva, una speranza automotivante: "..dopo quattro mesi circa mi sembrava di iniziare a sentire un'aria di cambiamento, non stavo particolarmente meglio ma mi sembrava di star prendendo la strada giusta...", energia che poi va scemando quando si entra nella routine del percorso;
.la relazione interpersonale con l* propri* Psicoterapeuta esce dalla fase della idealizzazione data dalla novità, per rivelarne ora le eventuali ripetitività o inevitabili difettucci;
.ci si accorge che cambiare non è poi così facile e veloce come si sperava. Si insinua il dubbio;
.la determinazione al cambiamento - quella che porta a impegnarsi al massimo nei compiti/esercizi ricevuti - se non la si presidia attentamente va così a diminuire: gli esercizi si fanno, sì, ma stancamente e con minore convinzione.
Si assiste dunque ad una sorta di graduale dis/investimento affettivo rispetto a questa esperienza,
che va ad indebolire l'alleanza terapeutica base di ogni cambiamento.
Parlare con l* propri* Psicoterapeuta è fondamentale.
Ma 'parlare' in che modo?
Alcuni temono che il Terapeuta si 'offenda'. Niente di più errato; un* ver* Terapeuta (perchè tale deve essere per poter condurre un percorso di psicoterapia!) conosce le possibili situazioni di stallo, non le personalizza a sè, sa come aiutare i* pz. mettendo in atto certe modifiche, stimola a comprendere le dinamiche presenti, che sono spesso quelle che l* pz. mette in atto anche in altre relazioni. Certo che l* pz. deve essere chiar* nella propria richiesta, nell'esplicitare i propri bisogni.
Frequentemente tali graduali chiarimenti portano ad una ripresa di passo da parte di entrambi. E in ogni caso rimettono in circolo una comunicazione efficace che prende il posto del mugugno.
E' solo a questo punto, entrando in questa seconda fase, che si comprende *insieme* se il problema è rappresentato invece da "quello specifico approccio", se esso corrisponde o no alle aspettative/necessità del pz. che magari sente il bisogno di una modalità più operativa, o al contrario più riflessiva, ecc. (quante volte l* pz, a fronte della mia modalità 'breve/mansionale' mi ha chiesto un rallentamento di riflessione).
Se l* Terapeuta si renderà conto a questo punto di non riuscire ad essere efficace con quell* pz. in quella fase, come da nostro Codice Deontologico potrà aiutare *l pz. a individuare un altr* Collega più adatto.
E a questo punto ci si saluta con serenità. Se ci si incontrerà per la strada, si potrà prendere insieme un caffè.
Spero di essere riuscita a rappresentare la complessità del 'momento terapeutico' che Lei - come molte altere persone - sta attraversando,
facendo attenzione ad evitare semplificazioni e personalizzazioni, sempre criticabili.
Ho cercato anche di evidenziare la bellezza della trasparenza del processo' terapeutico, che è ugualmente importante per ognuno dei due protagonisti, terapeuta e pz., e che va ben al di là dei differenti approcci teorici.
Ho scritto questo approfondimento anche a vantaggio delle tante persone che leggono le nostre risposte qui sulla piattaforma e che desiderano trovare in esse chiarimenti che vadano oltre lo specifico caso.
Le porgo saluti cordiali.
Dott. Brunialti
vorrei aggiungere una riflessione più generale sul funzionamento della psicoterapia,
indipendente dall'approccio che ogni Psicoterapeuta sceglie di utilizzare.
E' frequente che, finito il classico periodo di "luna di miele" con l* propri* Psicoterapeuta, si entri un una fase più faticosa. Prima "..facevo tutti i 'compiti' che mi dava, pensavo spesso ai contenuti delle sedute, mi sono aperto al massimo..", poi il passo rallenta, si sente la fatica o il peso dell'appuntamento settimanale, si ci chiede se ne valga la pena.
Succede così in moltissime esperienze della vita del resto, se ben pensa: relazionali, professionali.
Nella psicoterapia come mai vi si giunge?
Per vari motivi.
Nel primo periodo:
.già solo la decisione di affrontare il problema fornisce una sua propria energia positiva, una speranza automotivante: "..dopo quattro mesi circa mi sembrava di iniziare a sentire un'aria di cambiamento, non stavo particolarmente meglio ma mi sembrava di star prendendo la strada giusta...", energia che poi va scemando quando si entra nella routine del percorso;
.la relazione interpersonale con l* propri* Psicoterapeuta esce dalla fase della idealizzazione data dalla novità, per rivelarne ora le eventuali ripetitività o inevitabili difettucci;
.ci si accorge che cambiare non è poi così facile e veloce come si sperava. Si insinua il dubbio;
.la determinazione al cambiamento - quella che porta a impegnarsi al massimo nei compiti/esercizi ricevuti - se non la si presidia attentamente va così a diminuire: gli esercizi si fanno, sì, ma stancamente e con minore convinzione.
Si assiste dunque ad una sorta di graduale dis/investimento affettivo rispetto a questa esperienza,
che va ad indebolire l'alleanza terapeutica base di ogni cambiamento.
Parlare con l* propri* Psicoterapeuta è fondamentale.
Ma 'parlare' in che modo?
Alcuni temono che il Terapeuta si 'offenda'. Niente di più errato; un* ver* Terapeuta (perchè tale deve essere per poter condurre un percorso di psicoterapia!) conosce le possibili situazioni di stallo, non le personalizza a sè, sa come aiutare i* pz. mettendo in atto certe modifiche, stimola a comprendere le dinamiche presenti, che sono spesso quelle che l* pz. mette in atto anche in altre relazioni. Certo che l* pz. deve essere chiar* nella propria richiesta, nell'esplicitare i propri bisogni.
Frequentemente tali graduali chiarimenti portano ad una ripresa di passo da parte di entrambi. E in ogni caso rimettono in circolo una comunicazione efficace che prende il posto del mugugno.
E' solo a questo punto, entrando in questa seconda fase, che si comprende *insieme* se il problema è rappresentato invece da "quello specifico approccio", se esso corrisponde o no alle aspettative/necessità del pz. che magari sente il bisogno di una modalità più operativa, o al contrario più riflessiva, ecc. (quante volte l* pz, a fronte della mia modalità 'breve/mansionale' mi ha chiesto un rallentamento di riflessione).
Se l* Terapeuta si renderà conto a questo punto di non riuscire ad essere efficace con quell* pz. in quella fase, come da nostro Codice Deontologico potrà aiutare *l pz. a individuare un altr* Collega più adatto.
E a questo punto ci si saluta con serenità. Se ci si incontrerà per la strada, si potrà prendere insieme un caffè.
Spero di essere riuscita a rappresentare la complessità del 'momento terapeutico' che Lei - come molte altere persone - sta attraversando,
facendo attenzione ad evitare semplificazioni e personalizzazioni, sempre criticabili.
Ho cercato anche di evidenziare la bellezza della trasparenza del processo' terapeutico, che è ugualmente importante per ognuno dei due protagonisti, terapeuta e pz., e che va ben al di là dei differenti approcci teorici.
Ho scritto questo approfondimento anche a vantaggio delle tante persone che leggono le nostre risposte qui sulla piattaforma e che desiderano trovare in esse chiarimenti che vadano oltre lo specifico caso.
Le porgo saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
[#3]
Utente
Buongiorno,
grazie per le risposte tempestive.
Purtroppo i dubbi che ho su questo approccio che viene seguito durante le mie sedute li ho avuti subito. Ho comunque cercato di avere pazienza perchè non si può chiaramente volere tutto e subito e conoscevo nulla della cosa. Mi sembra però che otterrei gli stessi risultati parlando di queste cose da solo davanti a un muro. Magari avrei i benefici dello sfogo ma non sarebbe costruttivo e non penso mi farebbe migliorare.
Ripeto, magari sono io che mi sto ponendo male alla terapia e non dandole in questo momento abbastanza fiducia come spiegato nei commenti precedenti. Però è anche vero che non credo di essere io che mi sto disinteressando e lasciando diminuire il mio impegno. La cosa che mi preoccupa e il sentirmi di nuovo come all'inizio ed è già qualche settimana così, le mie speranze che sia solo una cosa passeggera dovuta, come dicevate, al fatto della routine delle sedute stanno vacillando. Ed è questo che mi rende perplesso.
Ripeto ho posto diverse volte i miei dubbi ma ogni volta la risposta è che in qualche modo mi approccio in maniera troppo 'razionale' o almeno così mi è stato detto. Il fatto che non ricevo un suggerimento sulle questioni che porto durante le sedute (es. sogni) non lo capisco proprio. E' un continuo 'la ascolto...', 'lei cosane pensa...' ripeto ho capito molto bene che devo arrivare da solo alle risposte ma è anni che penso ai miei problemi da solo e non sono mai riuscito a venirne a capo e non vedo come ora possa cambiare. In fondo sto andando da uno specialista proprio per quello! Anche su questo fatto ho posto i miei dubbi ma mi è stato detto che l'importane è quello che succede durante le sedute.
A me va bene un approccio lento, ho vissuto la mia vita sempre di fretta e mi rendo conto che per colpa di questa mia cattiva abitudine ho sbagliato molte volte... penso che questo sia un po' alla base della mia ansia, del mio umore grigio (per non dire nero) e soprattutto delle mie insicurezze.
Però mi sembra che così non ne uscirò mai.
Grazie ancora
grazie per le risposte tempestive.
Purtroppo i dubbi che ho su questo approccio che viene seguito durante le mie sedute li ho avuti subito. Ho comunque cercato di avere pazienza perchè non si può chiaramente volere tutto e subito e conoscevo nulla della cosa. Mi sembra però che otterrei gli stessi risultati parlando di queste cose da solo davanti a un muro. Magari avrei i benefici dello sfogo ma non sarebbe costruttivo e non penso mi farebbe migliorare.
Ripeto, magari sono io che mi sto ponendo male alla terapia e non dandole in questo momento abbastanza fiducia come spiegato nei commenti precedenti. Però è anche vero che non credo di essere io che mi sto disinteressando e lasciando diminuire il mio impegno. La cosa che mi preoccupa e il sentirmi di nuovo come all'inizio ed è già qualche settimana così, le mie speranze che sia solo una cosa passeggera dovuta, come dicevate, al fatto della routine delle sedute stanno vacillando. Ed è questo che mi rende perplesso.
Ripeto ho posto diverse volte i miei dubbi ma ogni volta la risposta è che in qualche modo mi approccio in maniera troppo 'razionale' o almeno così mi è stato detto. Il fatto che non ricevo un suggerimento sulle questioni che porto durante le sedute (es. sogni) non lo capisco proprio. E' un continuo 'la ascolto...', 'lei cosane pensa...' ripeto ho capito molto bene che devo arrivare da solo alle risposte ma è anni che penso ai miei problemi da solo e non sono mai riuscito a venirne a capo e non vedo come ora possa cambiare. In fondo sto andando da uno specialista proprio per quello! Anche su questo fatto ho posto i miei dubbi ma mi è stato detto che l'importane è quello che succede durante le sedute.
A me va bene un approccio lento, ho vissuto la mia vita sempre di fretta e mi rendo conto che per colpa di questa mia cattiva abitudine ho sbagliato molte volte... penso che questo sia un po' alla base della mia ansia, del mio umore grigio (per non dire nero) e soprattutto delle mie insicurezze.
Però mi sembra che così non ne uscirò mai.
Grazie ancora
[#4]
Gentile utente,
desidero dirle che apprezzo molto la sua capacità di ricorrere ad un professionista per migliorare il suo benessere psicologico e apprezzo anche la sua volontà di analizzare il percorso che sta facendo.
Le è stato ampiamente illustrato il rapporto che si istaura col proprio terapeuta e le sono stati chiariti alcuni meccanismi che determinano le resistenze al cambiamento non appena finisce la fase che la dott.ssa Brunialti ha chiamato di "luna di miele".
Entrambi i miei colleghi le hanno segnalato la necessità di discutere i suoi dubbi in terapia, dal momento che questi dubbi sono il cuore del rapporto terapeutico, quindi dell'auspicato cambiamento, e questa necessità desidero ribadire anch'io.
Voglio però aggiungere che lettere come la sua fanno comprendere come a distanza non sia possibile fornire pareri che vadano oltre gli aspetti più generali della nostra competenza; infatti ignoriamo dati essenziali sia di lei stesso, sia del suo curante.
Cerco di spiegarmi traendo spunto dalle sue due email: "inizialmente mi sembrava molto strano durante le sedute parlavo solo io [...] Non capivo bene perchè questo accadeva lui mi rispondeva prontamente alle mie richieste dicendo che non doveva essere lui a darmi le risposte ecc.".
Il curante le ha spiegato perché non doveva darle lui le risposte, immagino. Questa procedura è comune a molte psicoterapie e la ragione viene esplicitata, in maniera adeguata alla comprensione del paziente, che è sempre più in grado di partecipare consapevolmente a ciò che si sta facendo a suo vantaggio.
Per la stessa ragione immagino lei sappia qual è l'approccio terapeutico che il curante segue, informazione per lo più già esplicitata sull'albo degli psicologi della sua regione, e le è stato certo spiegato quali procedure di volta in volta il curante integra nel metodo base.
Nelle sue email leggo: "facevo tutti i 'compiti' che mi dava".
Di solito sono le terapie cognitivo/comportamentali ad assegnare compiti al paziente, anche se non è escluso che lo facciano terapie differenti. Di che genere di compiti si trattava? Può fornirci qualche esempio? Le viene ogni volta illustrato lo scopo di questi compiti, immagino.
Vediamo altre sue frasi: "Spesso parlo dei miei sogni o esperienze passate ma non ricevo mai un feedback su nulla, ho capito che devo essere io a trovare le risposte".
Quello che ci dice non rimanda alla psicoanalisi, che del passato e dei sogni si interessa molto.
Tuttavia non sembra, la sua, nemmeno una psicoterapia cognitivo/comportamentale, quando aggiunge: "ma non essere un minimo indirizzato mi sta rendendo molto frustrato" e inoltre: "senza avere un minimo di indicazioni credo sia impossibile migliorare".
Globalmente mi pare, quale che sia l'approccio terapeutico, che lei avverta la mancanza di quell'accoglienza empatica che è presupposto di tutte le terapie; ma in tutte le relazioni sono appunto le persone in relazione tra loro che devono fare i passi per comprendersi: in questo caso, lei e il suo curante.
Sul nostro blog può leggere le indicazioni generali sulle psicoterapie, e le consiglio di farlo; ma la qualità, il colore, il calore della sua terapia non può che chiederle lei stesso al suo terapeuta, anche facendogli leggere le sue email, per esempio, e le nostre risposte.
Buone cose.
desidero dirle che apprezzo molto la sua capacità di ricorrere ad un professionista per migliorare il suo benessere psicologico e apprezzo anche la sua volontà di analizzare il percorso che sta facendo.
Le è stato ampiamente illustrato il rapporto che si istaura col proprio terapeuta e le sono stati chiariti alcuni meccanismi che determinano le resistenze al cambiamento non appena finisce la fase che la dott.ssa Brunialti ha chiamato di "luna di miele".
Entrambi i miei colleghi le hanno segnalato la necessità di discutere i suoi dubbi in terapia, dal momento che questi dubbi sono il cuore del rapporto terapeutico, quindi dell'auspicato cambiamento, e questa necessità desidero ribadire anch'io.
Voglio però aggiungere che lettere come la sua fanno comprendere come a distanza non sia possibile fornire pareri che vadano oltre gli aspetti più generali della nostra competenza; infatti ignoriamo dati essenziali sia di lei stesso, sia del suo curante.
Cerco di spiegarmi traendo spunto dalle sue due email: "inizialmente mi sembrava molto strano durante le sedute parlavo solo io [...] Non capivo bene perchè questo accadeva lui mi rispondeva prontamente alle mie richieste dicendo che non doveva essere lui a darmi le risposte ecc.".
Il curante le ha spiegato perché non doveva darle lui le risposte, immagino. Questa procedura è comune a molte psicoterapie e la ragione viene esplicitata, in maniera adeguata alla comprensione del paziente, che è sempre più in grado di partecipare consapevolmente a ciò che si sta facendo a suo vantaggio.
Per la stessa ragione immagino lei sappia qual è l'approccio terapeutico che il curante segue, informazione per lo più già esplicitata sull'albo degli psicologi della sua regione, e le è stato certo spiegato quali procedure di volta in volta il curante integra nel metodo base.
Nelle sue email leggo: "facevo tutti i 'compiti' che mi dava".
Di solito sono le terapie cognitivo/comportamentali ad assegnare compiti al paziente, anche se non è escluso che lo facciano terapie differenti. Di che genere di compiti si trattava? Può fornirci qualche esempio? Le viene ogni volta illustrato lo scopo di questi compiti, immagino.
Vediamo altre sue frasi: "Spesso parlo dei miei sogni o esperienze passate ma non ricevo mai un feedback su nulla, ho capito che devo essere io a trovare le risposte".
Quello che ci dice non rimanda alla psicoanalisi, che del passato e dei sogni si interessa molto.
Tuttavia non sembra, la sua, nemmeno una psicoterapia cognitivo/comportamentale, quando aggiunge: "ma non essere un minimo indirizzato mi sta rendendo molto frustrato" e inoltre: "senza avere un minimo di indicazioni credo sia impossibile migliorare".
Globalmente mi pare, quale che sia l'approccio terapeutico, che lei avverta la mancanza di quell'accoglienza empatica che è presupposto di tutte le terapie; ma in tutte le relazioni sono appunto le persone in relazione tra loro che devono fare i passi per comprendersi: in questo caso, lei e il suo curante.
Sul nostro blog può leggere le indicazioni generali sulle psicoterapie, e le consiglio di farlo; ma la qualità, il colore, il calore della sua terapia non può che chiederle lei stesso al suo terapeuta, anche facendogli leggere le sue email, per esempio, e le nostre risposte.
Buone cose.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 4.7k visite dal 20/02/2022.
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