Al terapeuta bisogna dire tutto, ma proprio tutto?
Premetto che rientro tra i pazienti più fastidiosi per qualunque terapeuta, quelli ossessivi.
Purtroppo il mio problema va avanti da molti anni (ansie che nascono per le suggestioni più ridicole e banali, diventando poi ossessioni che invalidano la mia vita lavorativa e di relazione) e mi impedisce da sempre di mettere a frutto sia la mia carriera che il mio tempo libero.
Tra le conseguenze più atroci del mio disturbo ci sono gli anni persi, la vita non vissuta.
Queste frustrazioni emergevano costantemente nel rapporto con la mia ex compagna: oscillavo continuamente tra l’affetto e il desiderio di renderla felice e le tentazioni a tratti compulsive di avere flirt ed esperienze con altre donne, che ho sempre frenato per via delle ossessioni da un lato, che mi causavano profonde insicurezze, e i sensi di colpa dall’altro.
Mesi fa ho deciso di darci un taglio e chiudere questa storia, anche per non sprecare ulteriormente il suo tempo.
Ora lei ha raggiunto un equilibrio, forse con un’altra persona, ed io sono roso dai sensi di colpa: ma sapevo che sarebbe successo.
Nella prima seduta il terapeuta diede ampio risalto a questa parte della mia storia, invitandomi a ricontattare la mia ex perché altrimenti il rimorso mi avrebbe consumato a vita.
Ma io ero in piena crisi depressiva e se l’avessi ricontattata in quel momento sarei sembrato un miserabile.
Spiegai le mie ragioni nella seduta successiva e da allora lui ha chiuso l’argomento, chiedendomi di voltare pagina (e il rimorso a vita?) e soffermarci sul miglioramento della mia ossessività e della mia depressione.
Ora: lo capisco dal punto di vista terapeutico ma trovo che alcuni suoi atteggiamenti siano irrispettosi, e non so se è il caso di parlargliene o meno.
In seduta mi ha definito più volte un piagnone, un narcisista che si crogiola nel fallimento e altre parole simili.
È arrivato al punto da scimmiottare il mio atteggiamento da vittima.
Gli dissi che se avessi dovuto aspettare di tornare alla normalità prima di ricontattare la mia ex, l’avrei probabilmente trovata con un figlio.
Lui mi ha risposto lo scopriremo tra nove mesi.
Io esco da queste sedute con le ossa rotte e l’autostima ancora più affossata, è normale?
Il sospetto: forse il terapeuta mi sta facendo capire in tutti i modi che non mi tollera più e che devo cambiare aria?
Oppure rientra tutto in una modalità terapeutica provocatoria al fine di spronarmi ad uscire dalla mia apatia?
Fargli notare queste cose, incluse alcuni suoi suggerimenti che non condivido, oppure stare in silenzio?
Purtroppo il mio problema va avanti da molti anni (ansie che nascono per le suggestioni più ridicole e banali, diventando poi ossessioni che invalidano la mia vita lavorativa e di relazione) e mi impedisce da sempre di mettere a frutto sia la mia carriera che il mio tempo libero.
Tra le conseguenze più atroci del mio disturbo ci sono gli anni persi, la vita non vissuta.
Queste frustrazioni emergevano costantemente nel rapporto con la mia ex compagna: oscillavo continuamente tra l’affetto e il desiderio di renderla felice e le tentazioni a tratti compulsive di avere flirt ed esperienze con altre donne, che ho sempre frenato per via delle ossessioni da un lato, che mi causavano profonde insicurezze, e i sensi di colpa dall’altro.
Mesi fa ho deciso di darci un taglio e chiudere questa storia, anche per non sprecare ulteriormente il suo tempo.
Ora lei ha raggiunto un equilibrio, forse con un’altra persona, ed io sono roso dai sensi di colpa: ma sapevo che sarebbe successo.
Nella prima seduta il terapeuta diede ampio risalto a questa parte della mia storia, invitandomi a ricontattare la mia ex perché altrimenti il rimorso mi avrebbe consumato a vita.
Ma io ero in piena crisi depressiva e se l’avessi ricontattata in quel momento sarei sembrato un miserabile.
Spiegai le mie ragioni nella seduta successiva e da allora lui ha chiuso l’argomento, chiedendomi di voltare pagina (e il rimorso a vita?) e soffermarci sul miglioramento della mia ossessività e della mia depressione.
Ora: lo capisco dal punto di vista terapeutico ma trovo che alcuni suoi atteggiamenti siano irrispettosi, e non so se è il caso di parlargliene o meno.
In seduta mi ha definito più volte un piagnone, un narcisista che si crogiola nel fallimento e altre parole simili.
È arrivato al punto da scimmiottare il mio atteggiamento da vittima.
Gli dissi che se avessi dovuto aspettare di tornare alla normalità prima di ricontattare la mia ex, l’avrei probabilmente trovata con un figlio.
Lui mi ha risposto lo scopriremo tra nove mesi.
Io esco da queste sedute con le ossa rotte e l’autostima ancora più affossata, è normale?
Il sospetto: forse il terapeuta mi sta facendo capire in tutti i modi che non mi tollera più e che devo cambiare aria?
Oppure rientra tutto in una modalità terapeutica provocatoria al fine di spronarmi ad uscire dalla mia apatia?
Fargli notare queste cose, incluse alcuni suoi suggerimenti che non condivido, oppure stare in silenzio?
[#1]
Gentilissimo,
ogni terapeuta è diverso dall'altro perché è frutto della sua formazione umana e professionale. Ma ogni rapporto terapeutico è diverso poiché diverse sono le persone. Lei deve fare notare al terapeuta ciò che sente nel bene e nel male: fa parte del percorso che state facendo. Serve a lei ed anche a lui. Aiuterà entrambi a capire dove siete e dove state andando nella terapia.
Cordialmente.
ogni terapeuta è diverso dall'altro perché è frutto della sua formazione umana e professionale. Ma ogni rapporto terapeutico è diverso poiché diverse sono le persone. Lei deve fare notare al terapeuta ciò che sente nel bene e nel male: fa parte del percorso che state facendo. Serve a lei ed anche a lui. Aiuterà entrambi a capire dove siete e dove state andando nella terapia.
Cordialmente.
Dr. Mario Canovi
Psicologo - Ipnologo
Trento - Volano (TN) - Padova - online
mail: info@mariocanovi.it
[#2]
Gentile utente,
intervengo per dimostrarle con un esempio quanto già scritto dal collega.
Il mio maestro di psicoterapia, il grande Cesare De Silvestri, faceva dell'umorismo uno strumento indispensabile della cura, al punto che gli aspiranti allievi venivano sottoposti a test preventivo: se non avevano senso dell'umorismo, niente da fare, non erano ammessi ai suoi corsi.
Questo perché il primo passo per smontare qualunque pensiero o comportamento disfunzionale è far vedere al paziente la sua assurdità; e quale modo è più gentile dell'umorismo per dire a qualcuno: "Stai facendoti male con delle sciocchezze"?
Lei stesso ha definito "ridicole e banali" le fissazioni che mutilano la sua vita. Non è forse il segno che la sua terapia sta funzionando meglio di quanto non si accorga?
Inoltre si sta ribellando con resistenze contraddittorie ai suggerimenti del terapeuta: quando la invita a contattare la ragazza risponde di no, perché è troppo depresso; ma poi accusa il terapeuta di non insistere abbastanza, prospettando l'idea che se aspetterà troppo troverà la sua ragazza già madre! Questa contraddizione non la fa sorridere?
Dice che esce dalle sedute con le ossa rotte e l'autostima affossata: non sarà piuttosto opportunamente scosso nelle sue convinzioni fisse ma infondate, e giustamente ricondotto ad una visione che le permette di ridimensionare le sue ansie e sorridere di sé stesso?
Per concludere, ribadisco con il collega dr Canovi che parlare con franchezza al curante è il cuore stesso della terapia.
Le regalo una delle canzoni che il dr De Silvestri aveva composto perché i pazienti le canticchiassero e imparassero a sorridere dei propri sintomi. Scelgo -non a caso- quella dedicata all'ansia, da cantare sull’aria del ritornello del Tango delle Capinere, che trova su Tou-tube.
L’ansia.
Siccome può accader
qualche disgrazia nera
Io ci devo pensar
dalla mattina a sera.
Devo pensare che
succede di sicuro
ed io solo potrò
batter la testa al muro.
Succederà così
nel modo più peggiore
e tutto finirà
nel più tremendo orrore!
Auguri di cuore.
intervengo per dimostrarle con un esempio quanto già scritto dal collega.
Il mio maestro di psicoterapia, il grande Cesare De Silvestri, faceva dell'umorismo uno strumento indispensabile della cura, al punto che gli aspiranti allievi venivano sottoposti a test preventivo: se non avevano senso dell'umorismo, niente da fare, non erano ammessi ai suoi corsi.
Questo perché il primo passo per smontare qualunque pensiero o comportamento disfunzionale è far vedere al paziente la sua assurdità; e quale modo è più gentile dell'umorismo per dire a qualcuno: "Stai facendoti male con delle sciocchezze"?
Lei stesso ha definito "ridicole e banali" le fissazioni che mutilano la sua vita. Non è forse il segno che la sua terapia sta funzionando meglio di quanto non si accorga?
Inoltre si sta ribellando con resistenze contraddittorie ai suggerimenti del terapeuta: quando la invita a contattare la ragazza risponde di no, perché è troppo depresso; ma poi accusa il terapeuta di non insistere abbastanza, prospettando l'idea che se aspetterà troppo troverà la sua ragazza già madre! Questa contraddizione non la fa sorridere?
Dice che esce dalle sedute con le ossa rotte e l'autostima affossata: non sarà piuttosto opportunamente scosso nelle sue convinzioni fisse ma infondate, e giustamente ricondotto ad una visione che le permette di ridimensionare le sue ansie e sorridere di sé stesso?
Per concludere, ribadisco con il collega dr Canovi che parlare con franchezza al curante è il cuore stesso della terapia.
Le regalo una delle canzoni che il dr De Silvestri aveva composto perché i pazienti le canticchiassero e imparassero a sorridere dei propri sintomi. Scelgo -non a caso- quella dedicata all'ansia, da cantare sull’aria del ritornello del Tango delle Capinere, che trova su Tou-tube.
L’ansia.
Siccome può accader
qualche disgrazia nera
Io ci devo pensar
dalla mattina a sera.
Devo pensare che
succede di sicuro
ed io solo potrò
batter la testa al muro.
Succederà così
nel modo più peggiore
e tutto finirà
nel più tremendo orrore!
Auguri di cuore.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#3]
Utente
Gentile dott. Ssa potenza ho molto apprezzato la sua umanità e capacità di ascolto, ed ho molto riflettuto sulle sue parole. Ho provato difatti a guardare sotto un’altra luce i discorsi e certe battute del terapeuta, ma certe sue battute mi sembrano di cattivo gusto indipendentemente dalla mia problematica ossessiva. Soprattutto se riguardano la persona che in un modo o nell’altro mi ha accompagnato per dieci anni, che potrebbe forse considerarsi l’amore di una vita .
Magari cercherò di essere più chiaro quando dialogo col mio terapeuta facendo capire in modo trasparente ciò che può infastidirmi in quanto per me è una ferita ancora fresca.
Magari cercherò di essere più chiaro quando dialogo col mio terapeuta facendo capire in modo trasparente ciò che può infastidirmi in quanto per me è una ferita ancora fresca.
[#4]
Gentile utente,
sono lieta di esserle stata utile e ovviamente approvo la sua volontà di dialogo in sede terapeutica.
Per completezza d'informazione, devo dire che eventuali incomprensioni e indelicatezze sono senz'altro da correggere.
Il mio maestro Cesare De Silvestri ci teneva molto a distinguere l'umorismo (per cui si sorride assieme all'altro), l'ironia (per cui si ride senza l'altro) e il sarcasmo (per cui addirittura si ride dell'altro).
Solo l'umorismo era ammesso, rispettoso, benevolo, terapeutico.
Buone cose.
sono lieta di esserle stata utile e ovviamente approvo la sua volontà di dialogo in sede terapeutica.
Per completezza d'informazione, devo dire che eventuali incomprensioni e indelicatezze sono senz'altro da correggere.
Il mio maestro Cesare De Silvestri ci teneva molto a distinguere l'umorismo (per cui si sorride assieme all'altro), l'ironia (per cui si ride senza l'altro) e il sarcasmo (per cui addirittura si ride dell'altro).
Solo l'umorismo era ammesso, rispettoso, benevolo, terapeutico.
Buone cose.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 3.1k visite dal 18/02/2022.
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