Ho un blocco nella tesi di laurea e nella vita
Ho ventisei anni, ma mi sembra di non vivere da più due anni.
Mi guardo allo specchio e non mi riconosco.
Mi sento invecchiata.
Più di due anni fa sostenevo gli ultimi esami e i miei voti tendevano al massimo.
Vivevo per conto mio nella mia stanza in affitto, nella città in cui ho frequentato l'università.
Poi sono tornata a vivere dai miei genitori, dato che mi mancava solo la stesura della tesi e non avevo più scuse per rinnovare l'affitto.
Non mi sono ancora laureata, da allora avrò scritto all'incirca una trentina di pagine.
Non so cosa mi è successo.
L'argomento mi piace e l'ho scelto io.
Non so perché sto così male al solo pensiero di scrivere la tesi.
Stavo già male prima della pandemia, ma adesso sto molto peggio.
È come se non ne valesse più la pena, essendo finita fuoricorso.
Molte volte avrei voglia di fare la rinuncia agli studi, giusto per porre fine a questa sofferenza.
Ma so che i miei ci rimarrebbero troppo male e che il fantasma della laurea mancata mi perseguiterebbe.
Ogni giorno mi sembra uguale, ogni giorno mi sento più vuota, pazza e triste.
Mi sento in colpa perché ho fatto pagare due anni di tasse da fuoricorso ai miei genitori, e probabilmente adesso ne pagheranno anche un altro.
Ogni giorno spero di rinsavire, ogni giorno però non accade.
Ogni giorno provo vergogna.
Ho provato a chiedere un sostegno psicologico un anno fa, ma non mi sono trovata per niente bene.
Molti mesi fa, ho riprovato con un altro professionista, ma nuovamente non mi sono trovata bene, forse anche perché non riuscivo ad aprirmi e i soldi delle visite mi facevano sentire peggio.
Non riesco ad aprirmi davvero neanche adesso, nonostante l'anonimato.
Non so nemmeno perché sto scrivendo qui.
Mi guardo allo specchio e non mi riconosco.
Mi sento invecchiata.
Più di due anni fa sostenevo gli ultimi esami e i miei voti tendevano al massimo.
Vivevo per conto mio nella mia stanza in affitto, nella città in cui ho frequentato l'università.
Poi sono tornata a vivere dai miei genitori, dato che mi mancava solo la stesura della tesi e non avevo più scuse per rinnovare l'affitto.
Non mi sono ancora laureata, da allora avrò scritto all'incirca una trentina di pagine.
Non so cosa mi è successo.
L'argomento mi piace e l'ho scelto io.
Non so perché sto così male al solo pensiero di scrivere la tesi.
Stavo già male prima della pandemia, ma adesso sto molto peggio.
È come se non ne valesse più la pena, essendo finita fuoricorso.
Molte volte avrei voglia di fare la rinuncia agli studi, giusto per porre fine a questa sofferenza.
Ma so che i miei ci rimarrebbero troppo male e che il fantasma della laurea mancata mi perseguiterebbe.
Ogni giorno mi sembra uguale, ogni giorno mi sento più vuota, pazza e triste.
Mi sento in colpa perché ho fatto pagare due anni di tasse da fuoricorso ai miei genitori, e probabilmente adesso ne pagheranno anche un altro.
Ogni giorno spero di rinsavire, ogni giorno però non accade.
Ogni giorno provo vergogna.
Ho provato a chiedere un sostegno psicologico un anno fa, ma non mi sono trovata per niente bene.
Molti mesi fa, ho riprovato con un altro professionista, ma nuovamente non mi sono trovata bene, forse anche perché non riuscivo ad aprirmi e i soldi delle visite mi facevano sentire peggio.
Non riesco ad aprirmi davvero neanche adesso, nonostante l'anonimato.
Non so nemmeno perché sto scrivendo qui.
[#1]
Gentile utente,
lei è ancora iscritta all'università quindi può fruire della consulenza gratuita dello psicologo che tutte le università mettono a disposizione degli studenti; lo cerchi e si faccia seguire da lui/lei.
Lo psicologo che assiste gli studenti è divenuto un'istituzione proprio perché ciò che sta accadendo a lei non è insolito.
Se guarda tra i consulti pervenuti a Medicitalia leggerà di molti studenti che dopo essere partiti in quarta e aver conseguito risultati brillanti si sono arenati, non riescono a fare l'ultimo esame, o lo fanno e vengono più volte bocciati, non si sentono il "cervello funzionante", non credono più nella laurea, si vergognano di conseguire risultati meno brillanti di quelli attesi, di deludere sé stessi e gli altri, e così via.
Le motivazioni che ho elencato sono quelle che loro stessi prospettano. In realtà ce ne sono altre, sommerse, leggermente diverse per ognuno. Uno psicologo specializzato in questo ramo la aiuterà a trovare le sue. Io gliene prospetto qualcuna.
La laurea viene generalmente avvertita come il vero ingresso nel mondo degli adulti. Conseguire il diploma di maturità è segno di una crescita esaltante, ma ancora sotto tutela. Gli anni dell'università sono una libertà condizionata: si è adulti, sessualmente liberi, però mantenuti, protetti, in fondo ancora sorretti dai genitori. E' con la laurea che si va verso il lavoro, l'autonomia economica e abitativa, eventualmente il matrimonio e la creazione di una famiglia, insomma la fine della spensieratezza e la vera prova delle proprie capacità di fronteggiare l'esistenza.
Ci vogliamo meravigliare che questo faccia paura?
Aggiungiamo che gli anni dell'università sono spensierati, pieni di solidarietà tra colleghi e di piccole rivalità stuzzicanti, di scambi tra adulti/non adulti che possono vivere emozioni simili ad un gioco, quali sono le sessioni di esame col loro frizzante alternarsi di periodi affannosi e momenti di soddisfatto relax. Rispetto a questo, la vita dell'adulto appare una solitaria distesa grigia monotona e in salita.
Veniamo poi ad un altro elemento: il perfezionismo, l'ansia da prestazione che crescono alla fine di una carriera universitaria brillante. Vorremmo coronare i precedenti successi mantenendo alta la media, conseguendo il massimo dei voti.
E' normale che aspettative molto alte si traducano in un freno potente. La paura, non dico di un fallimento, ma di un abbassamento di livello, diventa paralizzante.
Veniamo infine alla tesi. Agli esami si va tutti insieme, si sperimenta il calore della solidarietà, ma nel compilare la tesi si è soli. E' la prima prova in cui ci si scontra con le nostre capacità faccia a faccia. Chi è abituato ad arrabattarsi se la può sbrigare anche elaborando rimasugli di idee altrui; chi invece ha scelto una tesi che dovrebbe esprimere il suo pensiero e testimoniare le sue capacità, si trova di fronte a difficoltà molto maggiori.
In questo caso il significato attribuito alla tesi è enorme, ci sovrasta, ci schiaccia. Sembra che il cervello fugga via da quelle pagine che all'inizio erano tanto chiare nella nostra mente.
Cominciamo a pensare delle assurdità, per esempio di rinunciare a laurearci per la sola tesi, con una serie di ragionamenti del tutto inverosimili tipo "non sono capace di scrivere", "ho il cervello vuoto", "di sicuro farò una figuraccia al momento della discussione", fino ad arrivare ad elaborare tortuose falsità come "tanto oggigiorno la laurea non conta nulla", "con la mia laurea si può solo pulire i pavimenti" oppure "non mi piace lavorare nel campo dei miei studi" e infine "ho sbagliato facoltà".
Lascio a lei la confutazione di questi assurdi.
Quanto alle soluzioni pratiche, occorre dedicare al lavoro un certo numero di ore al giorno, con certosina pazienza all'inizio, e con metodo, se il lavoro non vuole proprio fluire di getto: prima la scaletta, poi la compilazione della bibliografia e della sitografia, scrivendo poche righe di riassunto per ciascuno dei testi presi in considerazione, poi le proprie osservazioni e così via.
Anche se non si riesce a spremere altro, a fine mese una trentina di pagine si avranno, sia pure da ristrutturare o in gran parte da buttare. In dieci mesi sono trecento pagine, il triplo di una buona tesi magistrale. Direi che qualcosa dovrebbe riuscire a ricavarne, non crede? Dovrebbe ricavarne una laurea, che non è poco.
Rifletta per ora su questo e ci faccia sapere.
In bocca al lupo!
lei è ancora iscritta all'università quindi può fruire della consulenza gratuita dello psicologo che tutte le università mettono a disposizione degli studenti; lo cerchi e si faccia seguire da lui/lei.
Lo psicologo che assiste gli studenti è divenuto un'istituzione proprio perché ciò che sta accadendo a lei non è insolito.
Se guarda tra i consulti pervenuti a Medicitalia leggerà di molti studenti che dopo essere partiti in quarta e aver conseguito risultati brillanti si sono arenati, non riescono a fare l'ultimo esame, o lo fanno e vengono più volte bocciati, non si sentono il "cervello funzionante", non credono più nella laurea, si vergognano di conseguire risultati meno brillanti di quelli attesi, di deludere sé stessi e gli altri, e così via.
Le motivazioni che ho elencato sono quelle che loro stessi prospettano. In realtà ce ne sono altre, sommerse, leggermente diverse per ognuno. Uno psicologo specializzato in questo ramo la aiuterà a trovare le sue. Io gliene prospetto qualcuna.
La laurea viene generalmente avvertita come il vero ingresso nel mondo degli adulti. Conseguire il diploma di maturità è segno di una crescita esaltante, ma ancora sotto tutela. Gli anni dell'università sono una libertà condizionata: si è adulti, sessualmente liberi, però mantenuti, protetti, in fondo ancora sorretti dai genitori. E' con la laurea che si va verso il lavoro, l'autonomia economica e abitativa, eventualmente il matrimonio e la creazione di una famiglia, insomma la fine della spensieratezza e la vera prova delle proprie capacità di fronteggiare l'esistenza.
Ci vogliamo meravigliare che questo faccia paura?
Aggiungiamo che gli anni dell'università sono spensierati, pieni di solidarietà tra colleghi e di piccole rivalità stuzzicanti, di scambi tra adulti/non adulti che possono vivere emozioni simili ad un gioco, quali sono le sessioni di esame col loro frizzante alternarsi di periodi affannosi e momenti di soddisfatto relax. Rispetto a questo, la vita dell'adulto appare una solitaria distesa grigia monotona e in salita.
Veniamo poi ad un altro elemento: il perfezionismo, l'ansia da prestazione che crescono alla fine di una carriera universitaria brillante. Vorremmo coronare i precedenti successi mantenendo alta la media, conseguendo il massimo dei voti.
E' normale che aspettative molto alte si traducano in un freno potente. La paura, non dico di un fallimento, ma di un abbassamento di livello, diventa paralizzante.
Veniamo infine alla tesi. Agli esami si va tutti insieme, si sperimenta il calore della solidarietà, ma nel compilare la tesi si è soli. E' la prima prova in cui ci si scontra con le nostre capacità faccia a faccia. Chi è abituato ad arrabattarsi se la può sbrigare anche elaborando rimasugli di idee altrui; chi invece ha scelto una tesi che dovrebbe esprimere il suo pensiero e testimoniare le sue capacità, si trova di fronte a difficoltà molto maggiori.
In questo caso il significato attribuito alla tesi è enorme, ci sovrasta, ci schiaccia. Sembra che il cervello fugga via da quelle pagine che all'inizio erano tanto chiare nella nostra mente.
Cominciamo a pensare delle assurdità, per esempio di rinunciare a laurearci per la sola tesi, con una serie di ragionamenti del tutto inverosimili tipo "non sono capace di scrivere", "ho il cervello vuoto", "di sicuro farò una figuraccia al momento della discussione", fino ad arrivare ad elaborare tortuose falsità come "tanto oggigiorno la laurea non conta nulla", "con la mia laurea si può solo pulire i pavimenti" oppure "non mi piace lavorare nel campo dei miei studi" e infine "ho sbagliato facoltà".
Lascio a lei la confutazione di questi assurdi.
Quanto alle soluzioni pratiche, occorre dedicare al lavoro un certo numero di ore al giorno, con certosina pazienza all'inizio, e con metodo, se il lavoro non vuole proprio fluire di getto: prima la scaletta, poi la compilazione della bibliografia e della sitografia, scrivendo poche righe di riassunto per ciascuno dei testi presi in considerazione, poi le proprie osservazioni e così via.
Anche se non si riesce a spremere altro, a fine mese una trentina di pagine si avranno, sia pure da ristrutturare o in gran parte da buttare. In dieci mesi sono trecento pagine, il triplo di una buona tesi magistrale. Direi che qualcosa dovrebbe riuscire a ricavarne, non crede? Dovrebbe ricavarne una laurea, che non è poco.
Rifletta per ora su questo e ci faccia sapere.
In bocca al lupo!
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#2]
Ex utente
Gentile dottoress Potenza,
mi rivedo in quello che dice, almeno in parte: il perfezionismo mi blocca, probabilmente anche la sindrome dell'impostora che è in me e mi fa credere che i miei voti alti non rispecchino le mie capacità, come dimostra il mio fallimento nella stesura della tesi.
Avevo dimenticato di scrivere che avevo provato, invano, a contattare la psicologa del consultorio universatario: purtroppo la mia è un'università grande, la richiesta è molta, la lista d'attesa è infinita. Non sono, infatti, mai stata ricontattata (non che la professionista si sia rivolta a me con molto tatto, a dire il vero). Per gli altri due tentativi di cui ho parlato: con la prima non so perché mentivo o non portavo a termine alcuni compiti che mi erano stati dati (si trattava di terapia cognitivo-comportamentale), le sedute erano diventate una nuovo fonte di ansia e sensi di colpa; con il secondo, invece, mi sentivo costantemente a disagio, la sofferenza veniva sminuita o ridicolizzata da frasi del tipo "se non dormi dovresti mangiare carboidrati".
Non avevo neppure precisato che sono laureanda in un corso di laurea magistrale, cosa rilevante perché in teoria dovrei sapere come si scrive una tesi. Alla triennale non ho incontrato difficoltà, anzi: ho scritto velocemente, preparando un altro esame e riuscendo a laurearmi nei tempi previsti.
Annaspo. Vorrei tanto scrivere una tesi (non interessante, non perfetta: una tesi), ma non ci riesco. Le scadenze dell'imminente sessione mi paralizzano. Da mesi non tocco i libri, la sola vista mi nausea. So che mi basterebbe mettermi a lavorare di buona lena per scriverla in poco tempo. In passato, riuscivo a preparare gli esami in poco tempo e con eccellenti risultati. Ma non funziono più così. Non so perché so cosa dovrei fare e non lo faccio.
Mi sembra di vivere un eterno giorno della marmotta.
mi rivedo in quello che dice, almeno in parte: il perfezionismo mi blocca, probabilmente anche la sindrome dell'impostora che è in me e mi fa credere che i miei voti alti non rispecchino le mie capacità, come dimostra il mio fallimento nella stesura della tesi.
Avevo dimenticato di scrivere che avevo provato, invano, a contattare la psicologa del consultorio universatario: purtroppo la mia è un'università grande, la richiesta è molta, la lista d'attesa è infinita. Non sono, infatti, mai stata ricontattata (non che la professionista si sia rivolta a me con molto tatto, a dire il vero). Per gli altri due tentativi di cui ho parlato: con la prima non so perché mentivo o non portavo a termine alcuni compiti che mi erano stati dati (si trattava di terapia cognitivo-comportamentale), le sedute erano diventate una nuovo fonte di ansia e sensi di colpa; con il secondo, invece, mi sentivo costantemente a disagio, la sofferenza veniva sminuita o ridicolizzata da frasi del tipo "se non dormi dovresti mangiare carboidrati".
Non avevo neppure precisato che sono laureanda in un corso di laurea magistrale, cosa rilevante perché in teoria dovrei sapere come si scrive una tesi. Alla triennale non ho incontrato difficoltà, anzi: ho scritto velocemente, preparando un altro esame e riuscendo a laurearmi nei tempi previsti.
Annaspo. Vorrei tanto scrivere una tesi (non interessante, non perfetta: una tesi), ma non ci riesco. Le scadenze dell'imminente sessione mi paralizzano. Da mesi non tocco i libri, la sola vista mi nausea. So che mi basterebbe mettermi a lavorare di buona lena per scriverla in poco tempo. In passato, riuscivo a preparare gli esami in poco tempo e con eccellenti risultati. Ma non funziono più così. Non so perché so cosa dovrei fare e non lo faccio.
Mi sembra di vivere un eterno giorno della marmotta.
[#3]
Gentile utente,
era chiaro che la tesi era della laurea magistrale: è questa che appare il varco del Rubicone, il confine fatale verso la vita adulta.
Le sue ulteriori precisazioni mi confermano nell'ipotesi che lei si stia autosabotando. Perfezionismo - sindrome dell'impostora - profezia autoavverantesi: "Sono un'incapace, tant'è vero che non riesco a laurearmi".
Talvolta in questi casi c'è perfino il dispetto inconsciamente fatto ad altri che non hanno favorito la nostra autostima o che l'hanno danneggiata: "Tu non mi hai apprezzata, ed ecco, io mi abbandono al fallimento per darti ragione. Sei contento, adesso?".
Mi preoccupa molto di più la sua resistenza reattiva a ben tre psicologi. Questo mi fa pensare che la mancata laurea nasconda qualcosa di molto significativo, un autolesionismo profondo.
Che dirle? Solo l'aiuto di un professionista a cui affidare la ricostruzione del passato e la gestione del futuro, ossia la sua laurea, forse potrebbe aiutarla, visto che le strategie che le ho suggerito nell'email precedente non sembrano averla mossa dalla sua resistenza.
Se però non è ancora determinata ad affidarsi ad un percorso psicologico, provi a tentare per una settimana di scrivere la sua tesi, dandosi un preciso orario e compilando il diarietto degli stati d'animo che si oppongono; penso che glielo abbia già fornito la terapeuta cognitivo/comportamentale. Dopo una settimana, ci scriva ancora, se intanto non ha risolto.
Una curiosità: perché scrive che col secondo curante "la sofferenza veniva sminuita o ridicolizzata da frasi del tipo "se non dormi dovresti mangiare carboidrati"?
I carboidrati sono un casalingo suggerimento dietetico contro l'insonnia: perché le sembrava una presa in giro?
Auguri.
era chiaro che la tesi era della laurea magistrale: è questa che appare il varco del Rubicone, il confine fatale verso la vita adulta.
Le sue ulteriori precisazioni mi confermano nell'ipotesi che lei si stia autosabotando. Perfezionismo - sindrome dell'impostora - profezia autoavverantesi: "Sono un'incapace, tant'è vero che non riesco a laurearmi".
Talvolta in questi casi c'è perfino il dispetto inconsciamente fatto ad altri che non hanno favorito la nostra autostima o che l'hanno danneggiata: "Tu non mi hai apprezzata, ed ecco, io mi abbandono al fallimento per darti ragione. Sei contento, adesso?".
Mi preoccupa molto di più la sua resistenza reattiva a ben tre psicologi. Questo mi fa pensare che la mancata laurea nasconda qualcosa di molto significativo, un autolesionismo profondo.
Che dirle? Solo l'aiuto di un professionista a cui affidare la ricostruzione del passato e la gestione del futuro, ossia la sua laurea, forse potrebbe aiutarla, visto che le strategie che le ho suggerito nell'email precedente non sembrano averla mossa dalla sua resistenza.
Se però non è ancora determinata ad affidarsi ad un percorso psicologico, provi a tentare per una settimana di scrivere la sua tesi, dandosi un preciso orario e compilando il diarietto degli stati d'animo che si oppongono; penso che glielo abbia già fornito la terapeuta cognitivo/comportamentale. Dopo una settimana, ci scriva ancora, se intanto non ha risolto.
Una curiosità: perché scrive che col secondo curante "la sofferenza veniva sminuita o ridicolizzata da frasi del tipo "se non dormi dovresti mangiare carboidrati"?
I carboidrati sono un casalingo suggerimento dietetico contro l'insonnia: perché le sembrava una presa in giro?
Auguri.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 16.7k visite dal 19/01/2022.
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