Psicofarmaci dopo solo 5 mesi di psicoterapia?
Buongiorno,
mi sono rivolta ad una psicoterapeuta 5 mesi fa, ad oggi non ho ottenuto alcun risultato (si parla di "nucleo depressivo").
Durante l'ultima seduta mi è stata proposta l'idea di intraprendere un percorso farmacologico, per aiutare a sbloccarmi e far funzionare meglio la psicoterapia, che sembra non decollare.
Da una parte mi sto prendendo del tempo per riflettere, dall'altra mi chiedo se questo ricorrere ai farmaci non sia soltanto una sorta di ammissione di fallimento della terapeuta ed un aiuto più a lei che a me.
Del tipo "da sola non riesco a sbrogliare la situazione della paziente, mi aiuto con il farmaco".
È un dubbio legittimo o può essere normale indirizzare verso gli psicofarmaci anche dopo pochi mesi di terapia?
Non avessi problemi economici, avrei preso in considerazione l'idea di cambiar terapeuta, ma non posso fare altri mesi "di prova" per vedere con chi funziona e con chi no
mi sono rivolta ad una psicoterapeuta 5 mesi fa, ad oggi non ho ottenuto alcun risultato (si parla di "nucleo depressivo").
Durante l'ultima seduta mi è stata proposta l'idea di intraprendere un percorso farmacologico, per aiutare a sbloccarmi e far funzionare meglio la psicoterapia, che sembra non decollare.
Da una parte mi sto prendendo del tempo per riflettere, dall'altra mi chiedo se questo ricorrere ai farmaci non sia soltanto una sorta di ammissione di fallimento della terapeuta ed un aiuto più a lei che a me.
Del tipo "da sola non riesco a sbrogliare la situazione della paziente, mi aiuto con il farmaco".
È un dubbio legittimo o può essere normale indirizzare verso gli psicofarmaci anche dopo pochi mesi di terapia?
Non avessi problemi economici, avrei preso in considerazione l'idea di cambiar terapeuta, ma non posso fare altri mesi "di prova" per vedere con chi funziona e con chi no
[#1]
Gentile utente,
rispetto ai farmaci gli Psicologi non hanno impostazioni convergenti. E dunque Le rispondo in base al mio punto di vista.
Riguardo alla proposta della Sua Psicoterapeuta (ha verificato che sia abilitata alla psicoterapia?) di assumere *anche* psicofarmaci in parallelo alla psicoterapia,
non possiamo sapere sulla base di quali considerazioni sia scaturita.
Potrebbero però aver inciso delle linee di pensiero clinico ormai piuttosto conosciute e condivise, in particolare quando il disturbo depressivo dura da tempo come sembrerebbe dire Lei nella richiesta precedente. Le potrà leggere qui:
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/6285-depressione-psicoterapia-efficace-farmaci-periodo.html .
Non si tratta tanto di "sbloccare" attraverso i farmaci, quanto piuttosto di far sì che la persona possa/riesca ad assumersi la propria parte di responsabilità nella psicoterapia, cosa che può risultare difficile nella fase francamente depressiva. La psicoterapia infatti - e dunque il suo successo - la si fa in due, è un'opera a quattro mani.
Auspico di essere risultata chiara, l'argomento è piuttosto sfaccettato.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
rispetto ai farmaci gli Psicologi non hanno impostazioni convergenti. E dunque Le rispondo in base al mio punto di vista.
Riguardo alla proposta della Sua Psicoterapeuta (ha verificato che sia abilitata alla psicoterapia?) di assumere *anche* psicofarmaci in parallelo alla psicoterapia,
non possiamo sapere sulla base di quali considerazioni sia scaturita.
Potrebbero però aver inciso delle linee di pensiero clinico ormai piuttosto conosciute e condivise, in particolare quando il disturbo depressivo dura da tempo come sembrerebbe dire Lei nella richiesta precedente. Le potrà leggere qui:
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/6285-depressione-psicoterapia-efficace-farmaci-periodo.html .
Non si tratta tanto di "sbloccare" attraverso i farmaci, quanto piuttosto di far sì che la persona possa/riesca ad assumersi la propria parte di responsabilità nella psicoterapia, cosa che può risultare difficile nella fase francamente depressiva. La psicoterapia infatti - e dunque il suo successo - la si fa in due, è un'opera a quattro mani.
Auspico di essere risultata chiara, l'argomento è piuttosto sfaccettato.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
[#2]
Utente
Innanzitutto grazie per la risposta.
Sì, ho controllato l'abilitazione e mi è stata consigliata da un conoscente psicoterapeuta che ha da poco aperto un suo studio, solo che il loro approccio è di tipo "comparato", non tcc.
Le considerazioni alla base di questa proposta sono principalmente il fatto che secondo lei ho come un rifiuto inconscio verso la terapia (anche questo a causa dell'autosabotaggio che metto in essere ogni volta che ho di fronte un cambiamento) che mi porta quindi a non essere parte attiva del percorso, come anche da lei consigliato. Il problema è che non riesco ad avere gli strumenti per poterlo fare, che era quello che mi aspettavo dalla terapeuta, non da un farmaco.
In terapia mi sento dire cose che già so di me (grazie ad anni di autoanalisi che però mi portano anche a mettermi in una posizione quasi di superiorità rispetto alla terapeuta, del tipo "ok, brava, sei riuscita a capire questo di me, ma io già c'ero arrivata prima") e finisco col tornare a casa non sapendo cosa farmene delle informazioni datemi in terapia. Non riesco a ragionarci sopra, sono come delle nozioni/consapevolezze che metto da parte come mere informazioni. Un "hai imparato attraverso tua madre che per evitare conflitti devi subire e quindi reprimi" equivale ad un "la Toscana confina con il Lazio". Dico "ah, ok" e finisce lì. Nemmeno ancora capisco a cosa mi serva sapere il perché delle cose (che al 90% già so) quando il mio problema è l'ora e l'adesso. Mi sento dire tu sei così/tu pensi questo/tu agisci in questo modo e rispondo "esatto, perfetto. E quindi? Da qui dove si va?" Ed è a questo nodo che siamo ferme da settimane. Lei mi dice che qui devo entrare in gioco anche io, io le dico che non ho idea di come entrarci, proprio fisicamente, praticamente. Lei mi dice che non riesco perché il senso di inutilità che provo nei confronti di qualsiasi cosa lo proietto anche nella terapia e nella terapeuta (vero, ho iniziato pensando "non mi servirà a nulla") io le rispondo "vero anche questo, il problema è che sto davvero riscontrando quanto sia inutile, visto che non ho avuto alcun risultato". È un cane che si morde la coda.
Per questo mi chiedo se questa rigidità è una mia esclusiva colpa, causata da anni di strascichi e costruzioni mentali disfunzionali o anche il frutto di un'incapacità della terapeuta che vuole agevolarsi il lavoro con un farmaco.
Sì, ho controllato l'abilitazione e mi è stata consigliata da un conoscente psicoterapeuta che ha da poco aperto un suo studio, solo che il loro approccio è di tipo "comparato", non tcc.
Le considerazioni alla base di questa proposta sono principalmente il fatto che secondo lei ho come un rifiuto inconscio verso la terapia (anche questo a causa dell'autosabotaggio che metto in essere ogni volta che ho di fronte un cambiamento) che mi porta quindi a non essere parte attiva del percorso, come anche da lei consigliato. Il problema è che non riesco ad avere gli strumenti per poterlo fare, che era quello che mi aspettavo dalla terapeuta, non da un farmaco.
In terapia mi sento dire cose che già so di me (grazie ad anni di autoanalisi che però mi portano anche a mettermi in una posizione quasi di superiorità rispetto alla terapeuta, del tipo "ok, brava, sei riuscita a capire questo di me, ma io già c'ero arrivata prima") e finisco col tornare a casa non sapendo cosa farmene delle informazioni datemi in terapia. Non riesco a ragionarci sopra, sono come delle nozioni/consapevolezze che metto da parte come mere informazioni. Un "hai imparato attraverso tua madre che per evitare conflitti devi subire e quindi reprimi" equivale ad un "la Toscana confina con il Lazio". Dico "ah, ok" e finisce lì. Nemmeno ancora capisco a cosa mi serva sapere il perché delle cose (che al 90% già so) quando il mio problema è l'ora e l'adesso. Mi sento dire tu sei così/tu pensi questo/tu agisci in questo modo e rispondo "esatto, perfetto. E quindi? Da qui dove si va?" Ed è a questo nodo che siamo ferme da settimane. Lei mi dice che qui devo entrare in gioco anche io, io le dico che non ho idea di come entrarci, proprio fisicamente, praticamente. Lei mi dice che non riesco perché il senso di inutilità che provo nei confronti di qualsiasi cosa lo proietto anche nella terapia e nella terapeuta (vero, ho iniziato pensando "non mi servirà a nulla") io le rispondo "vero anche questo, il problema è che sto davvero riscontrando quanto sia inutile, visto che non ho avuto alcun risultato". È un cane che si morde la coda.
Per questo mi chiedo se questa rigidità è una mia esclusiva colpa, causata da anni di strascichi e costruzioni mentali disfunzionali o anche il frutto di un'incapacità della terapeuta che vuole agevolarsi il lavoro con un farmaco.
[#3]
Ci dice:
"mi chiedo se questa rigidità è una mia esclusiva colpa, causata da anni di strascichi e costruzioni mentali disfunzionali o anche il frutto di un'incapacità della terapeuta che vuole agevolarsi il lavoro con un farmaco."
Noi Psy non parliamo di colpe, bensì di cause, di responsabilità.
Il problema non è
- stabilire di chi è la responsabilità: Sua? della Terapeuta?
BENSI'
- decidere se LEI vuole sperimentare questa proposta di un duplice percorso terapeutico parellelo per cercare di guarire. Oppure se non accetta: per contrapposizione, per rimuginio, per altro.
Il farmaco non agevola il/la Psicoterapeuta, bensì eventualmente (se opportunamente prescritto) il paziente: è primariamente del pz. l'interesse nel guarire, non del Terapeuta. Il Terapeuta può essere sostituito, ma non si può scegliere di vivere con un altro SE'.
Purtroppo un eccesso di pensiero, di dubbio, di difficoltà nell'affidarsi da parte del pz., annulla le potenzialità sia della psicoterapia, sia della farmacoterapia.
Non ci dà feedback sul linkato...
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
"mi chiedo se questa rigidità è una mia esclusiva colpa, causata da anni di strascichi e costruzioni mentali disfunzionali o anche il frutto di un'incapacità della terapeuta che vuole agevolarsi il lavoro con un farmaco."
Noi Psy non parliamo di colpe, bensì di cause, di responsabilità.
Il problema non è
- stabilire di chi è la responsabilità: Sua? della Terapeuta?
BENSI'
- decidere se LEI vuole sperimentare questa proposta di un duplice percorso terapeutico parellelo per cercare di guarire. Oppure se non accetta: per contrapposizione, per rimuginio, per altro.
Il farmaco non agevola il/la Psicoterapeuta, bensì eventualmente (se opportunamente prescritto) il paziente: è primariamente del pz. l'interesse nel guarire, non del Terapeuta. Il Terapeuta può essere sostituito, ma non si può scegliere di vivere con un altro SE'.
Purtroppo un eccesso di pensiero, di dubbio, di difficoltà nell'affidarsi da parte del pz., annulla le potenzialità sia della psicoterapia, sia della farmacoterapia.
Non ci dà feedback sul linkato...
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
[#4]
Utente
"difficoltà nell'affidarsi da parte del pz., annulla le potenzialità sia della psicoterapia, sia della farmacoterapia."
Infatti anche questo è un problema. Se vado in terapia consapevole di dover migliorare la mia (nulla) capacità di affidamento e fiducia, ma la terapeuta non riesce ad aiutarmi in quel senso, torniamo al punto di partenza.
Non avevo dato un feedback perché nell'articolo si parla di terapia cognitivo comportamentale, mentre quella che sto seguendo io è di tipo comparato. Anzi, secondo la mia terapeuta la tcc non mi sarebbe d'aiuto perché ora come ora non sarei nemmeno in grado di fare gli esercizi o attuare consigli pratici (scrivi due pagine di tesi, fai una telefonata ad un'amica, manda un curriculum) che si ridurebbero a tamponare una situazione di stallo che poi si ripresenterebbe comunque.
Infatti anche questo è un problema. Se vado in terapia consapevole di dover migliorare la mia (nulla) capacità di affidamento e fiducia, ma la terapeuta non riesce ad aiutarmi in quel senso, torniamo al punto di partenza.
Non avevo dato un feedback perché nell'articolo si parla di terapia cognitivo comportamentale, mentre quella che sto seguendo io è di tipo comparato. Anzi, secondo la mia terapeuta la tcc non mi sarebbe d'aiuto perché ora come ora non sarei nemmeno in grado di fare gli esercizi o attuare consigli pratici (scrivi due pagine di tesi, fai una telefonata ad un'amica, manda un curriculum) che si ridurebbero a tamponare una situazione di stallo che poi si ripresenterebbe comunque.
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 1.4k visite dal 14/11/2021.
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