È possibile che non riesca ad amare a causa del mio passato?
Gentilissimi, ho 37 anni e da 7 convivo col mio compagno col quale ho un bimbo di 2 anni.
Nella vita ho avuto diverse storie, le ultime due sono state profonde e impegnative.
Sono scivolata nella relazione col mio partner tradendo il mio ex e ora inizio a risentire le sensazioni che provavo allora.
A un certo punto arriva il momento in cui ovviamente non provo più le emozioni forti dei primi tempi e cerco prima evasioni mentali e poi reali, come se non riuscissi a prendere la decisione di calarmi completamente nella storia, rilassarmi e godermi la serenità di un rapporto stabile.
Mi sento irrequieta, vuota, immagino il mio futuro e mi sembra monotono, soffocante.
Sento di perdermi nel rapporto, ma in realtà esprimo abbastanza liberamente emozioni e volontà.
Quando tradisco risento emozioni forti (a cui mi sembra di non riuscire a rinunciare, né di avere voglia di risvegliarle nel mio rapporto) e sono finalmente viva e libera.
In questi anni inoltre l'esperienza della maternità l'ho percepita spesso come totalizzante e a volte mi trovo a pensare che sono anche altro: lo vorrei gridare.
Il mio partner mi sembra innamorato ma "seduto".
Credo fosse così da prima, ma aspetti di lui su cui sorvolavo, ora mi sembrano inaccettabili (un altro punto è la scarsa cura di sé: è sempre stato uno trasandato, ma da qualche anno cura poco anche la sua igiene personale: tempo fa gli ho parlato di questo aspetto, si offeso ed evito di riaprire l'argomento).
Naturalmente ho meno voglia di avvicinarmi a lui e per tre volte ho fatto l'amore con uomo che mi attrae molto e con cui ho un'ottima comunicazione (il mio compagno è chiuso e spesso ho la sensazione di "dover fare tutto io" da questo punto di vista).
Il punto è che mi pare di avvicinarmi alle persone per sentire determinate emozioni, mi sembra di "succhiare energia" dalla vita dell'altro, poi a un tratto il rapporto smette di stimolarmi e farmi crescere come vorrei.
Allora cerco altro.
Lo "strappo" del tradimento.
Le emozioni a fior di pelle.
L'incertezza dei primi tempi.
Quando ero piccola mio padre insultava mia madre (lei, con scarsa autostima, subiva) e urlava, anche contro di me.
Un giorno, quando avevo 2 anni, mia zia sentendo le urla di mio padre, stava per chiamare la polizia.
Durante l'adolescenza l'ho quasi odiato e abbiamo litigato molto.
Ora è diverso e sento di averlo capito e accettato.
Lui per primo ha sofferto: mia nonna da bambino lo picchiava e urlava contro di lui.
Lui poi ha fatto ciò che poteva.
Però temo di non aver lasciato andare quella bambina impaurita che voleva essere amata dal suo papà.
E mi domando: non riesco ad amare davvero per via di ciò che ho vissuto?
Se così fosse, non sarebbe meglio che stessi sola per qualche tempo e facessi un percorso di psicoterapia?
Inoltre ciò non significherebbe che per il mio partner non provo amore, ma mi sono avvicinata a lui per bisogno, a causa della mia ferita narcisistica?
Grazie infinite per l'attenzione.
Nella vita ho avuto diverse storie, le ultime due sono state profonde e impegnative.
Sono scivolata nella relazione col mio partner tradendo il mio ex e ora inizio a risentire le sensazioni che provavo allora.
A un certo punto arriva il momento in cui ovviamente non provo più le emozioni forti dei primi tempi e cerco prima evasioni mentali e poi reali, come se non riuscissi a prendere la decisione di calarmi completamente nella storia, rilassarmi e godermi la serenità di un rapporto stabile.
Mi sento irrequieta, vuota, immagino il mio futuro e mi sembra monotono, soffocante.
Sento di perdermi nel rapporto, ma in realtà esprimo abbastanza liberamente emozioni e volontà.
Quando tradisco risento emozioni forti (a cui mi sembra di non riuscire a rinunciare, né di avere voglia di risvegliarle nel mio rapporto) e sono finalmente viva e libera.
In questi anni inoltre l'esperienza della maternità l'ho percepita spesso come totalizzante e a volte mi trovo a pensare che sono anche altro: lo vorrei gridare.
Il mio partner mi sembra innamorato ma "seduto".
Credo fosse così da prima, ma aspetti di lui su cui sorvolavo, ora mi sembrano inaccettabili (un altro punto è la scarsa cura di sé: è sempre stato uno trasandato, ma da qualche anno cura poco anche la sua igiene personale: tempo fa gli ho parlato di questo aspetto, si offeso ed evito di riaprire l'argomento).
Naturalmente ho meno voglia di avvicinarmi a lui e per tre volte ho fatto l'amore con uomo che mi attrae molto e con cui ho un'ottima comunicazione (il mio compagno è chiuso e spesso ho la sensazione di "dover fare tutto io" da questo punto di vista).
Il punto è che mi pare di avvicinarmi alle persone per sentire determinate emozioni, mi sembra di "succhiare energia" dalla vita dell'altro, poi a un tratto il rapporto smette di stimolarmi e farmi crescere come vorrei.
Allora cerco altro.
Lo "strappo" del tradimento.
Le emozioni a fior di pelle.
L'incertezza dei primi tempi.
Quando ero piccola mio padre insultava mia madre (lei, con scarsa autostima, subiva) e urlava, anche contro di me.
Un giorno, quando avevo 2 anni, mia zia sentendo le urla di mio padre, stava per chiamare la polizia.
Durante l'adolescenza l'ho quasi odiato e abbiamo litigato molto.
Ora è diverso e sento di averlo capito e accettato.
Lui per primo ha sofferto: mia nonna da bambino lo picchiava e urlava contro di lui.
Lui poi ha fatto ciò che poteva.
Però temo di non aver lasciato andare quella bambina impaurita che voleva essere amata dal suo papà.
E mi domando: non riesco ad amare davvero per via di ciò che ho vissuto?
Se così fosse, non sarebbe meglio che stessi sola per qualche tempo e facessi un percorso di psicoterapia?
Inoltre ciò non significherebbe che per il mio partner non provo amore, ma mi sono avvicinata a lui per bisogno, a causa della mia ferita narcisistica?
Grazie infinite per l'attenzione.
[#1]
Gentile utente,
ci chiede se
"..non riesco ad amare davvero per via di ciò che ho vissuto?
Se così fosse, non sarebbe meglio che stessi sola per qualche tempo e facessi un percorso di psicoterapia?.."
La ricerca delle cause ha bisogno di un lungo percorso psicologico: meccanismi dell'attaccamento, dinamiche nella coppia genitoriale, ed altro.
Ma mi chiedo anche se il Suo desiderio è veramente quello di "capire", e non piuttosto di "cambiare". Perchè è chiaro dall'esperienza comune che capire NON porta in automatico a cambiare. E il disagio (ma anche la lucidità) con cui descrive la propria esperienza propenderebbe per il secondo.
Considerato che il meccanismo da Lei descritto è ripetitivo, confermo la Sua ipotesi: un "percorso di psicoterapia" potrebbe giovarLe, per uscire da un loop consistente in una coazione a ripetere; tenendo però conto che solo di persona si può fare una diagnosi e dunque proporre una (psico)terapia.
Lo stare "sola per qualche tempo" non è necessario, e forse nemmeno utile.
Piuttosto,
perchè ritenere ed agire come se la maternità fosse "come totalizzante e a volte mi trovo a pensare che sono anche altro"?
L'esperienza della maternità è quello che si decide sia: per alcune donne totalizzante, per altre importante e significativa ma da accostare ad altro.
A suo tempo ho cercato di chiarire tale punto di vista in questo articolo:
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/3332-mamma-e-amante.html .
L'età dei due anni, quella che ha attualmente il Suo bambino, non implica certo più la presenza totalizzante della madre; il contatto con altri adulti e con i coetanei è ugualmente importante, arricchente e significativo.
E al contempo per la madre significa riprendersi una parte importante della propria vita.
Molti/e adulti/e ricordano con disagio una propria *madre .. totalizzata*, ma che ad un certo punto ha presentato il conto: "io ho fatto tutto per voi, ho speso la mia vita per voi, e voi adesso andate a lavorare lontano", ecc.
Come può notare, la Sua narrazione suscita molti spunti di approfondimento e molte piste di cambiamento,
che potrà condurre a buon fine dentro un percorso psicologico in presenza.
Se ritiene, ci tenga aggiornati.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
ci chiede se
"..non riesco ad amare davvero per via di ciò che ho vissuto?
Se così fosse, non sarebbe meglio che stessi sola per qualche tempo e facessi un percorso di psicoterapia?.."
La ricerca delle cause ha bisogno di un lungo percorso psicologico: meccanismi dell'attaccamento, dinamiche nella coppia genitoriale, ed altro.
Ma mi chiedo anche se il Suo desiderio è veramente quello di "capire", e non piuttosto di "cambiare". Perchè è chiaro dall'esperienza comune che capire NON porta in automatico a cambiare. E il disagio (ma anche la lucidità) con cui descrive la propria esperienza propenderebbe per il secondo.
Considerato che il meccanismo da Lei descritto è ripetitivo, confermo la Sua ipotesi: un "percorso di psicoterapia" potrebbe giovarLe, per uscire da un loop consistente in una coazione a ripetere; tenendo però conto che solo di persona si può fare una diagnosi e dunque proporre una (psico)terapia.
Lo stare "sola per qualche tempo" non è necessario, e forse nemmeno utile.
Piuttosto,
perchè ritenere ed agire come se la maternità fosse "come totalizzante e a volte mi trovo a pensare che sono anche altro"?
L'esperienza della maternità è quello che si decide sia: per alcune donne totalizzante, per altre importante e significativa ma da accostare ad altro.
A suo tempo ho cercato di chiarire tale punto di vista in questo articolo:
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/3332-mamma-e-amante.html .
L'età dei due anni, quella che ha attualmente il Suo bambino, non implica certo più la presenza totalizzante della madre; il contatto con altri adulti e con i coetanei è ugualmente importante, arricchente e significativo.
E al contempo per la madre significa riprendersi una parte importante della propria vita.
Molti/e adulti/e ricordano con disagio una propria *madre .. totalizzata*, ma che ad un certo punto ha presentato il conto: "io ho fatto tutto per voi, ho speso la mia vita per voi, e voi adesso andate a lavorare lontano", ecc.
Come può notare, la Sua narrazione suscita molti spunti di approfondimento e molte piste di cambiamento,
che potrà condurre a buon fine dentro un percorso psicologico in presenza.
Se ritiene, ci tenga aggiornati.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
[#2]
Utente
Gentilissima dottoressa, la ringrazio molto per la sua risposta.
Il bimbo va al nido, a volte sta coi nonni (anche se vivono nella nostra città, quindi non è possibile vederli sempre), noi stiamo in compagnia tutte le volte che possiamo. Sono io credo che vivo in questo modo una fase che altre donne forse affrontano facendo meno "sforzi", non so. O probabilmente c'entra anche il fatto che ancora allatto e sento di essere arrivata al limite.
Comunque le sensazioni e i comportamenti di cui le parlo c'erano già prima del figlio, quindi immagino che l'influenza della maternità sia limitata.
Mi domando se sia impossibile che provi veramente amore per il mio attuale partner... so che potrò capire soltanto attraverso un percorso lungo e profondo. E sì, mi piacerebbe capire ma anche cambiare perché voglio essere felice, non sentirmi divisa o combattuta e mi piacerebbe sentire che amo, amo davvero. Grazie ancora.
Il bimbo va al nido, a volte sta coi nonni (anche se vivono nella nostra città, quindi non è possibile vederli sempre), noi stiamo in compagnia tutte le volte che possiamo. Sono io credo che vivo in questo modo una fase che altre donne forse affrontano facendo meno "sforzi", non so. O probabilmente c'entra anche il fatto che ancora allatto e sento di essere arrivata al limite.
Comunque le sensazioni e i comportamenti di cui le parlo c'erano già prima del figlio, quindi immagino che l'influenza della maternità sia limitata.
Mi domando se sia impossibile che provi veramente amore per il mio attuale partner... so che potrò capire soltanto attraverso un percorso lungo e profondo. E sì, mi piacerebbe capire ma anche cambiare perché voglio essere felice, non sentirmi divisa o combattuta e mi piacerebbe sentire che amo, amo davvero. Grazie ancora.
[#3]
Gentile utente,
Posso condividere con Lei che l'allattamento prolungato abbia la propria parte nel provare una sorta di "espropriazione di sè". Francamente comprendo con difficoltà il perchè molte donne si ostinino fino ad essere "arrivate al limite", e non è raro.
Proprio qui sulla piattaforma ho scritto al riguardo una riflessione che forse La farà pensare. Eccola:
"Vedo il bambino non solo nei rapporti con la madre, e nemmeno come il fruitore di quel latte che aumenterà le sue difese immunitarie (non viviamo nell'Africa nera, dove dicuramente le linee OMS hanno altro significato).
Vedo il bambino dentro il "sistema famiglia", che GIA' nel suo insieme subisce un importante scossone con l'allargamento al terzo.
In questo nuovo equilibrio il seno non è solamente un distributore di latte, è anche una importantissima zone erogena che per quella coppia ha GIA' una storia, fin da quando la coppia si è formata ed è iniziato quello scambio corporeo sessuale che lo distingue dall'amicizia.
Ho constatato che è molto difficile per la donna il "doppio uso" del seno, dedicandolo simultaneamente al figlio e al compagno. Al secondo si chiede spesso un 'sacrificio' temporaneo di rinuncia. Oppure è il neo-padre che si sente a disagio nell'avvicinarsi ad un'area corporea utilizzata poco prima dal proprio figlioletto succhiante.
Nel caso dell' "Allattamento oltre l'introduzione di cibi solidi" tutto ciò prosegue per mesi, talvolta fino ai tre anni del bimbo.
Non si riflette a sufficienza al fatto che è anche interesse del neonato crescere in una famiglia dove la coppia è serena, dove alle esigenze e ai desideri di ognuno si cerca di dare risposta; tale clima garantisce meglio la sua crescita psichica equilibrata.
Frequentemente sono proprio i desideri di intimità del partner che non vengono presi in considerazione dalla donna allattante, proprio per la difficoltà di 'tenere insieme' in un unico medium - il proprio corpo - accudimento al neonato e erotismo nella coppia.
La donna corre così il rischio di essere risucchiata nella maternità, proprio quando il suo compagno sarebbe in grado di salvare il suo femminile (Lacan).
Fin quando il compagno neo-padre resisterà?
In quale momento egli comincerà a percepire il figlio come colui che gli sta sottraendo la propria donna, ormai trasformata in madre allattante?
Fino a quando l'allattamento - specie on demand - spezzetterà di continuo i tempi e i modi della coppia?
Il bambino trarrà dei vantaggi dalla polarizzazione materna su di sè?
Ne parlo da Sessuologa clinica e Terapeuta di coppia e non sulla base di pregiudiziali teoriche. Proprio quella attenzione e preoccupazione dettate dall'esperienza clinica che parte dalla contatazione di quante difficoltà e tradimenti avvengono in questa delicata fase, resa ancora più complessa dall' "Allattamento oltre l'introduzione di cibi solidi".
Saluti cari!
Dott. Brunialti
Posso condividere con Lei che l'allattamento prolungato abbia la propria parte nel provare una sorta di "espropriazione di sè". Francamente comprendo con difficoltà il perchè molte donne si ostinino fino ad essere "arrivate al limite", e non è raro.
Proprio qui sulla piattaforma ho scritto al riguardo una riflessione che forse La farà pensare. Eccola:
"Vedo il bambino non solo nei rapporti con la madre, e nemmeno come il fruitore di quel latte che aumenterà le sue difese immunitarie (non viviamo nell'Africa nera, dove dicuramente le linee OMS hanno altro significato).
Vedo il bambino dentro il "sistema famiglia", che GIA' nel suo insieme subisce un importante scossone con l'allargamento al terzo.
In questo nuovo equilibrio il seno non è solamente un distributore di latte, è anche una importantissima zone erogena che per quella coppia ha GIA' una storia, fin da quando la coppia si è formata ed è iniziato quello scambio corporeo sessuale che lo distingue dall'amicizia.
Ho constatato che è molto difficile per la donna il "doppio uso" del seno, dedicandolo simultaneamente al figlio e al compagno. Al secondo si chiede spesso un 'sacrificio' temporaneo di rinuncia. Oppure è il neo-padre che si sente a disagio nell'avvicinarsi ad un'area corporea utilizzata poco prima dal proprio figlioletto succhiante.
Nel caso dell' "Allattamento oltre l'introduzione di cibi solidi" tutto ciò prosegue per mesi, talvolta fino ai tre anni del bimbo.
Non si riflette a sufficienza al fatto che è anche interesse del neonato crescere in una famiglia dove la coppia è serena, dove alle esigenze e ai desideri di ognuno si cerca di dare risposta; tale clima garantisce meglio la sua crescita psichica equilibrata.
Frequentemente sono proprio i desideri di intimità del partner che non vengono presi in considerazione dalla donna allattante, proprio per la difficoltà di 'tenere insieme' in un unico medium - il proprio corpo - accudimento al neonato e erotismo nella coppia.
La donna corre così il rischio di essere risucchiata nella maternità, proprio quando il suo compagno sarebbe in grado di salvare il suo femminile (Lacan).
Fin quando il compagno neo-padre resisterà?
In quale momento egli comincerà a percepire il figlio come colui che gli sta sottraendo la propria donna, ormai trasformata in madre allattante?
Fino a quando l'allattamento - specie on demand - spezzetterà di continuo i tempi e i modi della coppia?
Il bambino trarrà dei vantaggi dalla polarizzazione materna su di sè?
Ne parlo da Sessuologa clinica e Terapeuta di coppia e non sulla base di pregiudiziali teoriche. Proprio quella attenzione e preoccupazione dettate dall'esperienza clinica che parte dalla contatazione di quante difficoltà e tradimenti avvengono in questa delicata fase, resa ancora più complessa dall' "Allattamento oltre l'introduzione di cibi solidi".
Saluti cari!
Dott. Brunialti
[#4]
Utente
Non mi sono spiegata bene forse. Con "limite" intendo che è arrivato il momento in cui il piacere di allattare sta diventando memo rispetto al mio bisogno di distacco in questo senso. Infatti a breve smetterò. Finora è stata una decisione motivata dal fatto che per entrambi era un bel momento di coccola e dolcezza. Non vedo cosa c'entri il fatto che non viviamo nell'Africa nera: chiaramente a quest'età non è più un bisogno legato al nutrimento. Non capisco che senso abbia l'averlo sottolineato nel suo scritto, né l'aver espresso il suo parere (giudizio) sul fatto che non capisce le scelte di alcune madri, né in ultimo l'aver spostato l'argomento in una direzione per me non utile, dal momento che le ho scritto che questi miei pensieri e atteggiamenti c'erano anche prima di aver vissuto l'esperienza della maternità.
[#5]
Gentile utente,
Attaverso le e-mail di un consulto online è possibile giungere a non essere correttamente compresi, nè lo Specialista che risponde, nè io scrivente;
ad es. "l'Africa nera" si riferiva alle raccomandazioni peraltro citate dell'OMS Organizzazione Mondiale della Salute sull'allattamento al seno.
Talvolta invece non risultano chiare a noi che stiamo qui le intenzioni dello/a scrivente;
sul perchè l'utente apra di sua spontanea volontà una nuova porta in una replica (in questo caso la problematica sull'allattamento) e come mai poi si indispettisca se, nella risposta, si oltrepassa tale porta peraltro aperta.
La comunicazione online presenta dei limiti.
Per questi motivi rimandiamo all'approfondimento in presenza.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Attaverso le e-mail di un consulto online è possibile giungere a non essere correttamente compresi, nè lo Specialista che risponde, nè io scrivente;
ad es. "l'Africa nera" si riferiva alle raccomandazioni peraltro citate dell'OMS Organizzazione Mondiale della Salute sull'allattamento al seno.
Talvolta invece non risultano chiare a noi che stiamo qui le intenzioni dello/a scrivente;
sul perchè l'utente apra di sua spontanea volontà una nuova porta in una replica (in questo caso la problematica sull'allattamento) e come mai poi si indispettisca se, nella risposta, si oltrepassa tale porta peraltro aperta.
La comunicazione online presenta dei limiti.
Per questi motivi rimandiamo all'approfondimento in presenza.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Questo consulto ha ricevuto 5 risposte e 1.9k visite dal 31/10/2021.
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