Sono stata vittima di manipolazione?
Da 6 anni frequento un'Associazione dove sono arrivata tramite un'amica perché desideravo iniziare un percorso di psicoterapia per disturbi di ansia.
Dopo 6 anni non so a che punto è il mio percorso a livello "clinico", un percorso che nel tempo è sempre più diventato percorso di evoluzione e crescita personale.
Tanto che sono arrivata a frequentare anche le classi di yoga e meditazione tenute dalla stessa Associazione.
Se prima partecipare mi faceva stare bene, nell'ultimo anno, molte cose hanno iniziato a farmi storcere il naso e il mio intuito mi fa sentire che dovrei lasciare tutto.
Mi sono sentita spesso giudicata per un pensiero politico diverso, mi sono sentita "etichettata" durante un seminario intensivo anche se con ironia dal guru del gruppo, mi sono sentita pilotata dalla mia psicologa che di fronte alla mia scelta di non prendere più parte alle sue classi di yoga, mi ha detto, con tono anche di rimprovero (come fossi una bambina che si comporta male) che sentiva che mi stavo ritirando.
Sono a un punto in cui vorrei trovare il coraggio di staccare e metterci un punto, ma mi sento frustrata.
E se fosse paranoia?
Se non fossi del tutto lucida nel vedere le cose?
Come faccio a riconoscere segnali di manipolazione?
Grazie per gli spunti che potrete darmi.
A.
Dopo 6 anni non so a che punto è il mio percorso a livello "clinico", un percorso che nel tempo è sempre più diventato percorso di evoluzione e crescita personale.
Tanto che sono arrivata a frequentare anche le classi di yoga e meditazione tenute dalla stessa Associazione.
Se prima partecipare mi faceva stare bene, nell'ultimo anno, molte cose hanno iniziato a farmi storcere il naso e il mio intuito mi fa sentire che dovrei lasciare tutto.
Mi sono sentita spesso giudicata per un pensiero politico diverso, mi sono sentita "etichettata" durante un seminario intensivo anche se con ironia dal guru del gruppo, mi sono sentita pilotata dalla mia psicologa che di fronte alla mia scelta di non prendere più parte alle sue classi di yoga, mi ha detto, con tono anche di rimprovero (come fossi una bambina che si comporta male) che sentiva che mi stavo ritirando.
Sono a un punto in cui vorrei trovare il coraggio di staccare e metterci un punto, ma mi sento frustrata.
E se fosse paranoia?
Se non fossi del tutto lucida nel vedere le cose?
Come faccio a riconoscere segnali di manipolazione?
Grazie per gli spunti che potrete darmi.
A.
[#1]
Gentile utente,
è significativo che affidata a degli specialisti da ben sei anni, lei chieda preoccupata: "E se fosse paranoia? Se non fossi del tutto lucida nel vedere le cose?"
Mentre un professionista la sta curando, pensa che debba essere lei stessa a fare ipotesi sulla sua condizione psicologica?
Se si è affidata al curante per un problema preciso, dovrebbe aver ricevuto da tempo una diagnosi, un piano terapeutico, una previsione di tempi e di spesa, tutte cose che la legge prescrive ai professionisti.
Inoltre il nostro codice deontologico, che può trovare online, indica allo psicologo che si trova in stallo con un paziente di inviarlo senz'altro ad un collega che possa sbloccare la situazione, e sei anni mi sembrano troppi perfino per una psicoanalisi classica, ai nostri giorni.
Lei invece si sente trattenuta? Scrive: "Sono a un punto in cui vorrei trovare il coraggio di staccare e metterci un punto, ma mi sento frustrata".
Ma si è presentata con un problema definito, l'ansia? Se è così, lascia perplessa una terapia che si protrae da sei anni senza valutazioni intermedie e senza prognosi.
Gentile utente, io spero prima di tutto che abbia appurato i titoli professionali delle persone da cui si sta facendo curare. Cerchi il loro nome e cognome, online, sull'Albo Nazionale Psicologi; saprà se sono davvero psicologi e se sono anche psicoterapeuti.
Un'altra prova di serietà è la regolare ricevuta, che per i professionisti è obbligo di legge rilasciare ed è necessaria al paziente per le detrazioni fiscali.
Tuttavia, pur in presenza di titoli di abilitazione e adempimenti fiscali ineccepibili, ci possono essere orientamenti professionali non adatti a curare determinate tipologie di paziente. Altrettanto si può dire delle richieste del paziente stesso, che se all'inizio sono nebulose e non si definiscono mai neanche in seguito, possono tradursi in un percorso infinito di "crescita personale" e "sostegno".
L'indicazione è sempre quella di discutere i propri dubbi e le proprie richieste con il curante, il quale, da psicologo avveduto, si adopererà per mettere il paziente a proprio agio e aiutarlo a trovare le idonee spiegazioni.
Le faccio molti auguri. Le sarò grata se vorrà tenerci al corrente, anche a vantaggio degli altri utenti che ci seguono.
è significativo che affidata a degli specialisti da ben sei anni, lei chieda preoccupata: "E se fosse paranoia? Se non fossi del tutto lucida nel vedere le cose?"
Mentre un professionista la sta curando, pensa che debba essere lei stessa a fare ipotesi sulla sua condizione psicologica?
Se si è affidata al curante per un problema preciso, dovrebbe aver ricevuto da tempo una diagnosi, un piano terapeutico, una previsione di tempi e di spesa, tutte cose che la legge prescrive ai professionisti.
Inoltre il nostro codice deontologico, che può trovare online, indica allo psicologo che si trova in stallo con un paziente di inviarlo senz'altro ad un collega che possa sbloccare la situazione, e sei anni mi sembrano troppi perfino per una psicoanalisi classica, ai nostri giorni.
Lei invece si sente trattenuta? Scrive: "Sono a un punto in cui vorrei trovare il coraggio di staccare e metterci un punto, ma mi sento frustrata".
Ma si è presentata con un problema definito, l'ansia? Se è così, lascia perplessa una terapia che si protrae da sei anni senza valutazioni intermedie e senza prognosi.
Gentile utente, io spero prima di tutto che abbia appurato i titoli professionali delle persone da cui si sta facendo curare. Cerchi il loro nome e cognome, online, sull'Albo Nazionale Psicologi; saprà se sono davvero psicologi e se sono anche psicoterapeuti.
Un'altra prova di serietà è la regolare ricevuta, che per i professionisti è obbligo di legge rilasciare ed è necessaria al paziente per le detrazioni fiscali.
Tuttavia, pur in presenza di titoli di abilitazione e adempimenti fiscali ineccepibili, ci possono essere orientamenti professionali non adatti a curare determinate tipologie di paziente. Altrettanto si può dire delle richieste del paziente stesso, che se all'inizio sono nebulose e non si definiscono mai neanche in seguito, possono tradursi in un percorso infinito di "crescita personale" e "sostegno".
L'indicazione è sempre quella di discutere i propri dubbi e le proprie richieste con il curante, il quale, da psicologo avveduto, si adopererà per mettere il paziente a proprio agio e aiutarlo a trovare le idonee spiegazioni.
Le faccio molti auguri. Le sarò grata se vorrà tenerci al corrente, anche a vantaggio degli altri utenti che ci seguono.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 948 visite dal 24/08/2021.
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