L'attaccamento è qualcosa di oggettivo?

Buongiorno, sarò grata a chi vorrà rispondermi.
Ho un disturbo di personalità per il quale sto svolgendo una cura farmacologica.
Avendo la curiosità di stabilire perché mi è venuto il disturbo suddetto ho letto due spiegazioni praticamente opposte.
Da una parte c'è chi dice che i futuri pazienti sono nati con un'indole insolitamente sensibile e difficile e che questo causa la difficoltà da parte dei genitori a legarsi al bambino e di conseguenza il bimbo a loro, oltre che uno stress aggiuntivo che va ad aggravare la loro già difficile situazione esistenziale.
Dall'altra c'è chi sostiene che le difficoltà già presenti nei genitori rendano difficile per loro occuparsi in maniera adeguata del bambino, che quindi non apprende come regolare le emozioni.
La spiegazione che mi confonde di più è quella "mista".
Capisco che si rischia di semplificare troppo, ma la mia esperienza anche con altri bambini di genitori "difficili" è che spesso sono descritti come bambini a loro volta "difficili" dai propri genitori e tranquilli, persino paurosi da altri esterni alla famiglia, e questo è il mio caso.
Non ricordo moltissimo dell'infanzia, ma non ricordo punizioni fuori dalla famiglia, anzi, piuttosto lodi alla mia precoce maturità.
Tuttavia potrei pensarla così per salvaguardare un'idea positiva di me e non crollare sotto il peso del senso di colpa.

A questo punto mi chiedo se il discorso dell'attaccamento possa essere considerato qualcosa di oggettivo per spiegare una malattia mentale o più probabilmente secondario, derivante da essa?
Spero di essere stata comprensibile, auguro a tutti una buona domenica.
[#1]
Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.6k 598
Gentile utente,

la sua domanda implica centinaia di ricerche e studi sull'argomento, iniziati già nel secolo scorso.
Sintetizzando grossolanamente, essi di schierano sulle due posizioni che Lei riporta.
Trattandosi dunque di ipotesi .. io raccomando ai miei pazienti di smettere la ricerca delle cause, alquanto aleatoria, per concentrarsi invece su quello che la persona può fare per sè, *oggi*. Ciò prescinde dalle cause, secondo il modello che io seguo e pratico.

Saluti cordiali.
Dott. Brunialti

Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/

[#2]
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 194
Gentile signora,
ho letto anche i suoi precedenti consulti e immagino quindi che lei sia seguita, come previsto in questi casi, non solo sotto il profilo farmacologico ma anche da uno psicoterapeuta.
Come lei sa certamente, la fiducia nel curante, che si stabilisce nel dialogo clinico, è parte essenziale del miglioramento/guarigione. Il quesito che lei ci rivolge troverebbe perciò nel curante: 1) la corretta interpretazione della sua richiesta; 2) la risposta che a questa richiesta si attaglia, difficile da ottenere da chi non la conosce e non può rivolgerle domande chiarificatrici; 3) infine, sarebbe un essenziale strumento di intervento per il suo percorso terapeutico.
La invito quindi a portare la sua email al curante e a discuterla con lui. La lettura autonoma su Internet, su siti non specialistici, confonde e mette in ansia il paziente.
Ciò detto, le fornisco qualche risposta, necessariamente imperfetta.
Il disturbo borderline e la personalità borderline sono costrutti relativamente recenti (uno dei maggiori teorici, Otto Kernberg, è tuttora vivente). La definizione è utile al fine della cura; non così la ricerca sull'origine, ancora in fieri: si parla di fattori ambientali, fattori genetici, multifattorialità.
In genere chi si scopre malato tende ad attribuirne la colpa alternativamente ad altri (genitori, caregiver) oppure, nei momenti di depressione acuta, a sé stesso.
Questa ricerca affannosa del "colpevole" è la spia della malattia, piuttosto che uno strumento utile per la cura; non perché il paziente non abbia il diritto di riconoscere i difetti della famiglia d'origine, bensì perché spesso l'esito in termini di sofferenza cronica del bambino non è stato deliberatamente cercato dai genitori, e soprattutto il rapporto causa/effetto non è mai diretto.
Comprendo profondamente il dolore di chi riandando al passato rivede sé stesso come un bambino trascurato o maltrattato, ma a parte la ristrutturazione continua e fallace dei ricordi, a questa attitudine consegue un grave danneggiamento dei rapporti familiari NEL PRESENTE, con aggravamento dei sintomi (dolore, rabbia, atteggiamento permanentemente immaturo, relazioni umane compromesse, accumulo di ulteriori traumi etc.).
Lei conclude: "A questo punto mi chiedo se il discorso dell'attaccamento possa essere considerato qualcosa di oggettivo per spiegare una malattia mentale o più probabilmente secondario, derivante da essa?".
La formulazione della domanda è ambigua. In ogni caso, di attaccamento come processo fondamentale parla John Bowlby; ne seguono gli studi della Ainsworth che apre la strada alla Infant Research. Gli studi sono interessanti, numerosi, talvolta contraddetti da altri studi, ma nulla che si possa raccogliere in una rapida formula. La definizione dei quattro stili di attaccamento, per esempio, è utile, ma non esaustiva e nemmeno univocamente predittiva.
Chi studia queste cose le applica nella loro complessità ai singoli casi umani che si trova davanti, ciascuno irriducibile alle formule anche più complesse; figuriamoci alle definizioni di poche righe su Internet!
Tutto questo per dirle che è il processo di guarigione che deve impegnare in un lavoro comune lei e il suo curante, non l'indagine sui colpevoli.
Auguri infiniti.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#3]
Attivo dal 2021 al 2022
Ex utente
Gentili D.sse Brunialti e Potenza,
grazie per le risposte. Entrambe giustamente concordate sul fatto che cercare le cause, magari per rovinare quel poco di rapporto con i genitori, non è funzionale alla guarigione.

Nel mio caso specifico però credo sia diverso. Io conservo un rapporto civile con mia madre, lei non ha mai partecipato al mio percorso terapeutico, mentre io ho partecipato fin da giovanissima al suo. Una volta adulta, il suo psichiatra mi chiese se fossi disposta ad occuparmene ed io fui costretta a dirgli che essendo anche io in trattamento non potevo farlo, e lui comprese molto bene. Non si tratta quindi di mantenere un buon rapporto con mia madre.

Ho invece il grosso problema di capire quanto mi posso fidare del mio istinto nel rapporto con gli altri. Se si parte dal presupposto che sono io ad essere troppo sensibile (per usare un'espressione di mia madre), troppo esigente o a fraintendere le cose, allora è ovvio che non posso fidarmi di me stessa nelle relazioni e che debbo analizzare le interazioni con gli altri alla ricerca di errori o esagerazioni. Diventa a volte così oscuro per me capire se "ci sto con la testa" da limitarmi a dire poche parole nel timore di mostrare questi miei aspetti di ipersensibilità, specie nel luogo di lavoro. Senza contare che sono invasa dal senso di colpa, un senso di colpa paralizzante che mi ha messo nei guai a volte, perché di fronte a palesi aggressioni stavo lì a domandami se non avessi fatto qualcosa per meritarle ed è stato solo col feedback di altri che mi sono resa conto che non poteva essere così.

Per finire se sono io a distorcere la realtà, ha molto senso puntare fi più sulla farmacoterapia.

Spero che voi apprezziate il risvolto pratico della mia domanda e io apprezzerò molto le vostre risposte.
[#4]
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 194
Gentile utente,
non posso che ripetere quanto le ho già scritto: le sue domande potrebbero trovare risposte pertinenti e utili solo nel dialogo terapeutico.
Ogni concetto che lei ha scritto andrebbe discusso con il suo curante.
Sottrarsi alla psicoterapia, come sembra adombrare la sua frase: "Per finire se sono io a distorcere la realtà, ha molto senso puntare di più sulla farmacoterapia" (oltretutto falsa), e intanto lanciare online delle domande a chi non la conosce, è limitare o precludersi una terapia risolutiva.
Ovviamente per noi psicologi non è opportuno assecondarla in questa direzione: "Primum non nocere", recita la regola principale di ogni terapeuta.
Ancora auguri.
[#5]
Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.6k 598
Gentile utente,

una certa intellettualizzazione sembra caratterizzare il Suo modo di porsi; quasi a voler trasformare in concetti e ragionamenti le proprie esperienze affettive ed emotive allo scopo di controllarle.
Forse è questo uno dei motivi per cui resiste al consiglio del Suo Psichiatra di iniziare una psicoterapia, perchè La metterebbe a contatto diretto con le Sue emozioni.

Come già la Collega ha scritto sopra, un consulto online non riesce ad aiutarLa purtroppo.
Appoggiamo l'indicazione dello Psichiatra che l'ha visitata di persona verso un percorso psicologico di cura.

Dott. Brunialti
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