Posso interrompere un percorso di psicoterapia?
salve, sono un ragazzo di 20 anni con un DOC molto lieve, per un breve periodo la mia sintomatologia si è aggravata a causa di una problematica depressiva che si è aggiunta al mio disturbo ossessivo.
Mia madre si sentiva in dovere di intervenire in qualche modo e quindi ho accettatto che facesse due chiacchere col mio psicologo (terapia cognitivo comportamentale).
Nello specifico ha chiesto allo psicologo che siccome non si ritiene in grado di relazionarsi con me, ci fosse bisogno di una psicologa relazionale.
Il mio psicologo ha risposto che l'intervento di un familiare nel DOC è di aiuto dicendole che sarebbe stata una sua collega (cognitivo comportamentale che lavora nello stesso centro del mio psicologo) a iniziare un percorso con mia madre SOLO E SOLTANTO SE IO AVESSI ACCETTATO LA COSA.
Inizialmente accettai la cosa dato che passavo molte ore al letto (per la depressione non per il DOC) e lasciai il permesso di andare a mia madre.
Adesso che sono migliorato non trovo necessario che mia madre collabori, poichè mandare anche lei in terapia lo trovo uno spreco di denaro e una cosa di troppo.
Mia madre si ostina a voler continuare non so bene per quale motivo (la psicologa le inventa che io devo controllare tutto e quindi non tollero che lei vada in terapia).
Trovo questo atteggiamento ingiusto e anche un pó presuntuoso poichè non mi sembra giusto che si parli di me senza il mio consenso e sopratutto se non lo ritengo necessario.
La prossima volta che mia madre andrà dalla psicologa le parleró e le faró presente il mio punto di vista.
Secondo voi è corretto che mia madre prosegua una psicoterapia incentrata su di me senza che io lo voglia?
aiutatemi non sopporto questa situazione e vorrei sapere cosa dire alla psicologa di mia mamma per essere il più convincente possibile e far interrompere il percorso di mia mamma.
Vi ringrazio in anticipo per la disponibilità.
Mia madre si sentiva in dovere di intervenire in qualche modo e quindi ho accettatto che facesse due chiacchere col mio psicologo (terapia cognitivo comportamentale).
Nello specifico ha chiesto allo psicologo che siccome non si ritiene in grado di relazionarsi con me, ci fosse bisogno di una psicologa relazionale.
Il mio psicologo ha risposto che l'intervento di un familiare nel DOC è di aiuto dicendole che sarebbe stata una sua collega (cognitivo comportamentale che lavora nello stesso centro del mio psicologo) a iniziare un percorso con mia madre SOLO E SOLTANTO SE IO AVESSI ACCETTATO LA COSA.
Inizialmente accettai la cosa dato che passavo molte ore al letto (per la depressione non per il DOC) e lasciai il permesso di andare a mia madre.
Adesso che sono migliorato non trovo necessario che mia madre collabori, poichè mandare anche lei in terapia lo trovo uno spreco di denaro e una cosa di troppo.
Mia madre si ostina a voler continuare non so bene per quale motivo (la psicologa le inventa che io devo controllare tutto e quindi non tollero che lei vada in terapia).
Trovo questo atteggiamento ingiusto e anche un pó presuntuoso poichè non mi sembra giusto che si parli di me senza il mio consenso e sopratutto se non lo ritengo necessario.
La prossima volta che mia madre andrà dalla psicologa le parleró e le faró presente il mio punto di vista.
Secondo voi è corretto che mia madre prosegua una psicoterapia incentrata su di me senza che io lo voglia?
aiutatemi non sopporto questa situazione e vorrei sapere cosa dire alla psicologa di mia mamma per essere il più convincente possibile e far interrompere il percorso di mia mamma.
Vi ringrazio in anticipo per la disponibilità.
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Gentile utente,
anche se da lontano non è facile capire esattamente il suo punto di vista, vorrei invitarla a riflettere su quello che ci scrive. Sua madre "ha chiesto allo psicologo che siccome non si ritiene in grado di relazionarsi con me, ci fosse bisogno di una psicologa relazionale".
Ossia, sua madre ha espresso una difficoltà nel rapporto con lei e ha richiesto una terapia; stabilire che sia di tipo relazionale, e su quali argomenti si debba incentrare, sarà cura del terapeuta e interesse del paziente.
Tradotto in termini più semplici: se sua madre ha una sofferenza, a partire da una difficoltà col figlio (lei), e se ha anche altri problemi che desidera trattare con uno psicologo, a che titolo lei vorrebbe intervenire? Cosa le dà il diritto di decidere se sua madre deve andare in terapia o no?
In effetti sembra che lei sia "controllante" in maniera fuori misura. Peggio ancora, sembra che creda di essere l'unico argomento dei discorsi di chi le sta vicino.
A mio parere ci sono stati dei fraintendimenti iniziali da chiarire col suo terapeuta.
Le citerò solo quello che lei riporta a tutte maiuscole, secondo cui il terapeuta le avrebbe detto che sua madre poteva iniziare la propria terapia "SOLO E SOLTANTO SE IO AVESSI ACCETTATO LA COSA".
Il suo curante, per delicatezza, forse ha chiesto il suo consenso per far frequentare a sua madre il suo stesso centro professionale; ma sua madre può andare da qualunque psicologo a sua scelta senza chiedere il permesso a nessuno, e naturalmente parlare di qualunque argomento, compreso il rapporto con lei.
In ogni caso, il suo psicologo e la psicologa di sua madre non si scambiano certo informazioni su di voi, perché il segreto professionale non lo permette.
Si faccia dunque spiegare bene dal suo psicologo le parole che hanno determinato in lei un'impressione a mio parere erronea, e rifletta se davvero lei, o chiunque altro, può avere il diritto di negare ad una persona di accedere alla terapia psicologica.
Buone cose.
anche se da lontano non è facile capire esattamente il suo punto di vista, vorrei invitarla a riflettere su quello che ci scrive. Sua madre "ha chiesto allo psicologo che siccome non si ritiene in grado di relazionarsi con me, ci fosse bisogno di una psicologa relazionale".
Ossia, sua madre ha espresso una difficoltà nel rapporto con lei e ha richiesto una terapia; stabilire che sia di tipo relazionale, e su quali argomenti si debba incentrare, sarà cura del terapeuta e interesse del paziente.
Tradotto in termini più semplici: se sua madre ha una sofferenza, a partire da una difficoltà col figlio (lei), e se ha anche altri problemi che desidera trattare con uno psicologo, a che titolo lei vorrebbe intervenire? Cosa le dà il diritto di decidere se sua madre deve andare in terapia o no?
In effetti sembra che lei sia "controllante" in maniera fuori misura. Peggio ancora, sembra che creda di essere l'unico argomento dei discorsi di chi le sta vicino.
A mio parere ci sono stati dei fraintendimenti iniziali da chiarire col suo terapeuta.
Le citerò solo quello che lei riporta a tutte maiuscole, secondo cui il terapeuta le avrebbe detto che sua madre poteva iniziare la propria terapia "SOLO E SOLTANTO SE IO AVESSI ACCETTATO LA COSA".
Il suo curante, per delicatezza, forse ha chiesto il suo consenso per far frequentare a sua madre il suo stesso centro professionale; ma sua madre può andare da qualunque psicologo a sua scelta senza chiedere il permesso a nessuno, e naturalmente parlare di qualunque argomento, compreso il rapporto con lei.
In ogni caso, il suo psicologo e la psicologa di sua madre non si scambiano certo informazioni su di voi, perché il segreto professionale non lo permette.
Si faccia dunque spiegare bene dal suo psicologo le parole che hanno determinato in lei un'impressione a mio parere erronea, e rifletta se davvero lei, o chiunque altro, può avere il diritto di negare ad una persona di accedere alla terapia psicologica.
Buone cose.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 1.2k visite dal 22/03/2021.
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