Relazioni Tossiche

Buongiorno a tutti,

scrivo per raccogliere un'opinione sulla situazione che sto vivendo in questo momento e che mi causa un forte disagio.

Vivo vicino ad una persona che ha un atteggiamento manipolatorio.
Nell'ultimo anno ho letto tutto quello che sono riuscita a trovare in merito a personalità narcisistiche perchè avevo riconosciuto uno schema nella mia infanzia basato sui ricatti emotivi e mi sono resa conto che alcuni di questi atteggiamenti che già mi erano inconsciamente familiari venivano riproposti anche da questa persona.

Abbiamo frequentazioni in comune e alcune persone che la incontrano restano affascinati dalla sua personalità che però nel tempo diventa spigolosa e difficile da approcciare.
Tuttavia le stesse persone che ne restano affascinate, quando queste spigolosità emergono, tengono a parlare di lei in termini di vittima e a giustificarne ogni atteggiamento e qualche volta addossano a me la responsabilità del nostro rapporto incrinato dicendo che manco di tolleranza e sono superba.
Ho trascorso molti anni di maldestri approcci altalenanti con lei: non mi sono mai relazionata con facilità con le persone e nel limite delle mie capacità, tentavo di avvicinarmi a lei e venivo respinta, poi mi chiudevo nel mio silenzio, poi la evitavo del tutto e infine facevo dei tentativi di riconciliazione in nome del quieto vivere - non per una reale mia esigenza, ma su richiesta di persone care ad entrambe.
Niente di eclatante, magari tentavo di salutare o di intavolare una conversazione, con l'esito di venire sempre bacchettata per avere delle convinzioni assurde e "istruita" sul modo giusto di fare le cose.
Un paio di anni fa c'è stato un episodio che ho trovato grottesco e da quel momento ho chiuso le relazioni, evitando qualsiasi forma di contatto.
Ha aggredito verbalmente mio marito nel cortile comune, prendendosela con il mio cane che abbaiava (il suo mi aveva morso), dicendo che educare il cane è come educare i figli, che non sappiamo come si fa e che abbiamo rovinato del tutto il rapporto con la sua famiglia già logorato - sempre naturalmente per causa nostra.
Mi vergogno, perchè non ho memoria - prima di lei- di aver mai tolto il saluto a nessuno.
Anzi, ho tempre ritenuto il saluto come la base di ogni relazione sociale anche superficiale, ma ogni volta che tento di approcciarla mi sento giudicata.
Se la salutavo, poteva ignorarmi come rispondermi sdegnosamente come non rispondere affatto.
Ho smesso di salutare per prima perché la risposta è sempre incerta.
Nel tempo ha vietato ai nostri figli di frequentarsi e ha definito le mie "le figlie di quell'altra", in alcuni casi denigrandole.
Da allora la evito.
Ora mi viene chiesto da persone a me care, per il bene dei bambini, di andarci d'accordo e di essere tollerante ma il pensiero di riallacciare la relazione mi mette in uno stato di panico e di ansia, che si traduce in vomito o dolori addominali o emicranie ad ogni incontro forzato.

Come si fa a recuperare questa situazione?
[#1]
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.3k 193
Gentile utente,
ho letto tutte le sue lettere.
Non ci dice se si è conclusa la sua psicoterapia, ma non sembra che abbia prodotto risultati del tutto soddisfacenti sulla sua sicurezza personale e sulla sua capacità di relazionarsi soprattutto con un certo genere di persone.
La donna che lei descrive non appare attenta a misurare le parole né a curarsi della sensibilità degli altri.
Lei, per parte sua, sembra la vittima designata di questo genere di persona, a causa della sua vulnerabilità, suscettibilità, e di quella che in una sua email ha chiamato l'incapacità di reagire.
Da questa sua ultima email mi sembra di capire che cerca ancora appoggio negli altri, e in pratica non lo trova.
Significative queste sue parole: "alcune persone che la incontrano restano affascinati dalla sua personalità che però nel tempo diventa spigolosa e difficile da approcciare. Tuttavia le stesse persone che ne restano affascinate, quando queste spigolosità emergono, tengono a parlare di lei in termini di vittima e a giustificarne ogni atteggiamento e qualche volta addossano a me la responsabilità del nostro rapporto incrinato dicendo che manco di tolleranza e sono superba".
Questa visione delle cose, certamente dolorosa per lei, andrebbe analizzata e smontata, ma non da qui, e non perché il colloquio di presenza sia sempre il migliore -non nel suo caso, a me pare- ma perché sarebbe necessaria una terapia a lei dedicata, piuttosto che indicazioni generiche.
Attraverso gli anni sono emerse le sue fragilità e le persone a lei vicine sembrano averle tolto l'appoggio, come spesso avviene a chi appare troppo problematico.
Per altro, lei ha ottime capacità di descrizione nella forma scritta, e forse sarebbe questa la strada da tentare in una terapia: la Scrittura Espressiva o la Scrittura Narrativa (tradurre in racconto alcune situazioni ha una funzione catartica); o infine una terapia di gruppo sull'assertività.
Se è ancora in contatto con la sua terapeuta, e ha risolto i dubbi di cui ci aveva scritto, provi a parlare con lei per cercare l'idonea strategia di resistenza alla persona di cui ci parla.
Auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#2]
Utente
Utente
Buongiorno Dottoressa Potenza,

La ringrazio per la Sua risposta e per aver trovato il tempo di leggere anche le mie lettere precedenti. In effetti il problema delle relazioni con gli altri è presente da tempo e ci sto ancora lavorando. Ho fatto un breve percorso con una terapeuta nel 2016 perchè volevo migliorare le mie modalità di relazione con un approccio più assertivo. All'epoca gli obiettivi non erano chiari nemmeno a me, purtroppo, e ho affrontato la terapia come se potesse darmi delle tecniche spiccie per affrontare le situazioni che mi creavano disagio. La terapeuta e io non siamo entrate in sintonia, pur avendo segnalato che non mi faceva sentire a mio agio che sbagliasse il mio nome, spesso guardava il cellulare durante le sedute e io ho preferito interrompere alla decima seduta, che era il nostro punto di controllo. Devo dire che avrei potuto interrompere meglio, ora lo farei diversamente. All'epoca ho accampato delle scuse per problemi di orari e non ho più proseguito. Nel 2018 ho fatto un altro breve percorso sempre di una decina di sedute, per avere supporto su un problema molto specifico. Quell'anno ho avuto un cambio di mansione sul lavoro. Il lavoro per me è sempre stato un enorme paracadute, è sempre stata la mia comfort zone perchè professionalmente non mi sento inadeguata: so di essere una persona preparata e competente e conosco i miei punti di forza e i miei punti di debolezza. Nel caso specifico mi era stata preferita un altra persona con meno meriti e la sicurezza che provavo professionalmente si è sgretolata sotto i miei piedi e ho perso l'unica zona neutra in cui non temevo la relazione con gli altri perchè ero in grado di affrontarla con sicurezza e consapevolezza. Questo cambio di mansione mi ha destabilizzato, ed è diventato tutto un grigio pantano relazionale. Ho trovato una brava terapeuta che mi è stata di grande aiuto. Dopo una decina di incontri, mi ha indirizzato verso un collega per la mappatura delle competenze, e infine mi ha detto che ritiene di poter interrompere la terapia. Io avrei voluto proseguire, ma di nuovo sono entrata nel solito loop relazionale in cui io mi sono sentita rifiutata e sono fuggita. Da allora ho letto molto, in particolare sulle relazioni disfunzionali e ho iniziato a scrivere un diario e fatto luce sulla natura e sulla causa dei miei stati d'animo e sulle mie modalità di reazione e di relazione. Ora sono più consapevole, indubbiamente. Leggendo le mie lettere precedenti avrà senz'altro visto che alla nascita della mia prima figlia ho avuto un momento di grande stress e ho dubitato della relazione con mio marito. In realtà, grazie anche ai consigli che ho ricevuto qui, con mio marito ho una relazione molto bella. Non sempre semplice, ma molto genuina e aperta. A volte sarebbe più facile piantare il muso e arrabbiarsi reciprocamente, ma abbiamo nel tempo elaborato un nostro modo di rendere il conflitto produttivo senza che questo metta in discussione l'affetto di fondo che ci lega - con grande e reciproca fatica, ma con altrettanta soddisfazione. Mio marito è anche il mio migliore amico, senza ombra di dubbio. Ho un paio di amicizie strette con cui mi apro quasi senza timore e alcune conoscenze più superficiali. Non ho le amicizie fraterne e indistruttibili di certi film, ma in genere sono contenta delle mie relazioni. Mi sono scoperta molto empatica, soprattutto dopo il cambio di mansione del 2019 che mi ha "costretto" ad entrare in relazione con molte persone e fatico a schermarmi, partecipo emotivamente molto alle situazioni delle persone che incontro e nel tempo - per autodifesa - ho costruito una faccia da poker che mi fa sembrare fredda. Nelle relazioni famigliari invece continuo a sentirmi fragile perchè mi sento scoperta e non posso indossare la mia maschera di distacco. Quella di cui ho parlato nella mia richiesta fa parte della cerchia delle relazioni famigliari. Ciò che mi destabilizza in questa relazione è il fatto che le modalità di interazione sono perfettamente sovapponibili a quelle della mia infanzia e adolescenza nella mia famiglia di origine, da cui ho imparato a difendermi riconoscendole e prendendone le distanze. In questo caso purtroppo non posso superare la vicinanza fisica perchè incalzata continuamente dalla famiglia di mio marito e come mi accadeva da piccola nella mia famiglia di origine, il comportamento assurdo di questa persona viene "accettato" e "giustificato" e la mancata armonia diventa "colpa mia" che non faccio abbastanza per andare d'accordo con lei. Nell'ultimo anno in cui avevo costruito il mio muro invisibile di distacco da questa persona, somatizzavo meno (meno emicranie e meno dermatiti) e sinceramente, mi sembrava di aver trovato un mio equilibrio. Ora la famiglia di origine di mio marito insiste nel dire che devo frequentare questa persona per il bene comune, per i bambini e per il quieto vivere. Io sono andata in panico perchè mi sembra di dover buttare via tutto il lavoro fatto finora su di me in nome di una presunta armonia che altro non è che l'ennesimo ricatto, per accontentare persone che poco interesse hanno verso di me e verso la mia famiglia e che mi chiedono un sacrificio emotivo enorme. Ho provato a parlarne con la famiglia di mio marito, ma nulla, prendono le difese di questa persona e io francamente, mi sento smarrita.

Mi dispiace del lunghissimo post.
Grazie ancora per il suo tempo.
[#3]
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.3k 193
Gentile utente,
tutto quello che scrive conferma quanto abbiamo già detto.
Alcuni punti focali andrebbero analizzati per valutare un diverso approccio in futuro. Ecco qualche esempio.
Con la prima terapeuta avevate fissato la decima seduta come "punto di controllo", mi pare di capire.
Se non ricordo male, il "controllo" (in genere si fa un test) non ci fu. Da qui il suo interrompere le sedute con una scusa, di cui adesso si rammarica.
Questo è un vivo esempio della sua modalità procedurale: essendo dalla parte della ragione, lei si mette dalla parte del torto, e si sente pure in colpa.
Non chiede con un sorriso e con animo sereno quello che è un suo diritto concordato e una legittima aspettativa: fugge, invece, come se fosse lei ad aver sbagliato.
Altro esempio, in cui non oso entrare troppo, perché so quanto è doloroso: quello che le è successo al lavoro. Di ingiustizie, nel campo lavorativo, ce n'è di così terribili che molti grandi psicologi se ne sono occupati; Adam ha dedicato i suoi studi alla "ingiustizia percepita" come causa di grandi sofferenze. Purtroppo se ne conoscono esiti anche tragici, e lei è stata molto brava a resistere e ad affrontare bene la situazione... ma occorre rispettare il dolore e il disagio che questa le ha provocato.
E' stata in grado di chiedere supporto sul lavoro stesso e in famiglia, o ha fatto come al solito la "pokerista" anche di fronte a una cattiveria così grande? Anche sapersi leccare le ferite è un balsamo che dobbiamo a noi stessi. Temo invece che lei abbia abituato tutti a chiedere di più, anche quando è stata messa a terra.
Infine, terzo caso, quello per cui ci ha scritto.
Avevo capito benissimo chi è la persona che la opprime, ce ne parlava fin dalla sua prima lettera. Gli altri premono su di lei, e non su quella persona, perché lei è il punto di minor resistenza. Non si deve attendere giustizia ed eque valutazioni: in una famiglia ciascuno salvaguarda il proprio quieto vivere, e l'aggressore vince sul troppo sensibile.
Benissimo il suo scrivere il diario. Cominci a studiare, oltre ai manipolatori, anche i tratti caratteriali che può avere la vittima, ossia lei.
Mi sembra che la seconda terapeuta abbia fatto un buon lavoro.
Le ripeto di prendere in considerazione anche corsi di gruppo: ora, col sistema online, può raggiungere tutta l'Italia.
Auguri e complimenti per il cammino già fatto.
[#4]
Utente
Utente
Grazie Dottoressa Potenza per la Sua risposta.
Mi saprebbe indirizzare verso qualche studio o associazione o collega che potrebbe supportarmi con la Scrittura Espressiva o la Scrittura Narrativa o con una terapia di gruppo? Vorrei approfondire, se possibile.

Grazie di nuovo e Buona Giornata
[#5]
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.3k 193
Gentile utente,
può guardare in rete o tra i professionisti di Medicitalia.
Una persona a cui chiedere potrebbe essere la sua seconda terapeuta.
Buone cose.