è possibile gestire e ridurre la propria impulsività nelle relazioni?
Gentili dottori, scrivo questo messaggio perché sono un po' disorientato e amareggiato.
Mi ritrovo a fare un grande sforzo a esprimere il disaccordo sul lavoro in modo costruttivo, ma raramente ci riesco. A volte lo esprimo in modo negativo e naturalmente suscita reazioni che non vorrei. E' possibile imparare da soli ad affrontare tutto ciò, o è necessaria una guida?
I carichi lavorativi non sono pesanti, tutt'altro. Il lavoro è semplice e anche un pò noioso. L'ambiente è reso pesante dalla disorganizzazione derivante dall'assenza di coordinamento, linee guida e dalla continua ricerca di colpevoli per ogni minuzia (dal non trovare un oggetto, anche se è ordinato e al suo posto, al timore di parlare liberamente di cosa non ti piace e ritieni poco sensato, quando non addirittura contrario alle norme vigenti). La mia prospettiva tra 3 anni è di essere chiamato da una graduatoria di un concorso e di essere o al terzo o al secondo anno di università da studente lavoratore.
Questa sensazione si è sviluppata nelle esperienze lavorative degli ultimi 10 anni dopo l'ingresso nel mondo del lavoro.
Penso che ciò che ho sperimentato nei miei lavori sia stata della pioggia sul bagnato, perché ero appena uscito da scuola senza finirla e mi sentivo costantemente in difetto col mondo. Cercavo di essere perfetto, ma non ci riuscivo mai e un pò ne soffrivo, anche perché c'era chi di questa cosa se ne approfittava e per ridere di me con i colleghi e faceva un pò il bullo della situazione ledendo alla mia immagine davanti agli altri, ma non ero in grado di rispondere (l'età media del gruppo era il doppio della mia).
Cercavo le colpe solo nei miei comportamenti e dopo 2/3 anni ebbi attacchi di panico. Li risolsi con un professionista, ma da quel momento sono cambiato.
Nel tempo ho realizzato quante volte sia stato trattato ingiustamente ed in me è cresciuta oltre alla rabbia anche la tristezza, perché a 30 anni mi guardo indietro e mi sento di essere stato trattato spesso molto ingiustamente, quando volevo solo essere accettato, e non so. Ho sempre avuto i migliori intenti, ma non contavano un granché...
Oggi se devo affrontare una riunione di lavoro o ricevo una critica, spesso la accetto volentieri, ma se la ritengo posta male o inappropriata (***) risulto molto acido pure con chi in realtà mi aiuta, e come effetto ho che ho paura di sentirmi sempre più isolato... Investo su di me ora come ora, ma al mondo con un senso di sfiducia.
***Sul lavoro spesso penso di essere obiettivo e molto preciso, perché spesso se ho dubb ripasso quelli che ritengo essere punti cardine: mansionario, regole aziendali, formazione di base.
Mi ritrovo a fare un grande sforzo a esprimere il disaccordo sul lavoro in modo costruttivo, ma raramente ci riesco. A volte lo esprimo in modo negativo e naturalmente suscita reazioni che non vorrei. E' possibile imparare da soli ad affrontare tutto ciò, o è necessaria una guida?
I carichi lavorativi non sono pesanti, tutt'altro. Il lavoro è semplice e anche un pò noioso. L'ambiente è reso pesante dalla disorganizzazione derivante dall'assenza di coordinamento, linee guida e dalla continua ricerca di colpevoli per ogni minuzia (dal non trovare un oggetto, anche se è ordinato e al suo posto, al timore di parlare liberamente di cosa non ti piace e ritieni poco sensato, quando non addirittura contrario alle norme vigenti). La mia prospettiva tra 3 anni è di essere chiamato da una graduatoria di un concorso e di essere o al terzo o al secondo anno di università da studente lavoratore.
Questa sensazione si è sviluppata nelle esperienze lavorative degli ultimi 10 anni dopo l'ingresso nel mondo del lavoro.
Penso che ciò che ho sperimentato nei miei lavori sia stata della pioggia sul bagnato, perché ero appena uscito da scuola senza finirla e mi sentivo costantemente in difetto col mondo. Cercavo di essere perfetto, ma non ci riuscivo mai e un pò ne soffrivo, anche perché c'era chi di questa cosa se ne approfittava e per ridere di me con i colleghi e faceva un pò il bullo della situazione ledendo alla mia immagine davanti agli altri, ma non ero in grado di rispondere (l'età media del gruppo era il doppio della mia).
Cercavo le colpe solo nei miei comportamenti e dopo 2/3 anni ebbi attacchi di panico. Li risolsi con un professionista, ma da quel momento sono cambiato.
Nel tempo ho realizzato quante volte sia stato trattato ingiustamente ed in me è cresciuta oltre alla rabbia anche la tristezza, perché a 30 anni mi guardo indietro e mi sento di essere stato trattato spesso molto ingiustamente, quando volevo solo essere accettato, e non so. Ho sempre avuto i migliori intenti, ma non contavano un granché...
Oggi se devo affrontare una riunione di lavoro o ricevo una critica, spesso la accetto volentieri, ma se la ritengo posta male o inappropriata (***) risulto molto acido pure con chi in realtà mi aiuta, e come effetto ho che ho paura di sentirmi sempre più isolato... Investo su di me ora come ora, ma al mondo con un senso di sfiducia.
***Sul lavoro spesso penso di essere obiettivo e molto preciso, perché spesso se ho dubb ripasso quelli che ritengo essere punti cardine: mansionario, regole aziendali, formazione di base.
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Gentile utente,
ho scorso le altre sue email quindi sarò breve: lei ha già un suo terapeuta e i miei colleghi di Medicitalia l'hanno già validamente supportata in vari momenti difficili.
Scrive del suo lavoro: "L'ambiente è reso pesante dalla disorganizzazione derivante dall'assenza di coordinamento, linee guida e dalla continua ricerca di colpevoli per ogni minuzia".
Ottima analisi. Un giovane avvocato si è recentemente laureato anche in Psicologia con una tesi sul burnout, in cui dimostra che non c'è peggior causa di stress di un lavoro disorganizzato.
Dovrebbe riportare la stessa analisi che ha fatto qui durante le riunioni aziendali, ma citando date, fatti, episodi. Lei al momento non è in grado di parlare agli altri in maniera idonea; cominci a fare per sé l'elenco delle magagne organizzative, sospenda l'espressione di ogni giudizio in ufficio, e intanto legga il bel libro di Dale Carnegie: "Come trattare gli altri e farseli amici".
C'è una parte della sua lettera che dovrebbe far prendere in considerazione alla sua terapeuta (fossi in lei, gliela farei leggere tutta). E' questa: "Nel tempo ho realizzato quante volte sia stato trattato ingiustamente ed in me è cresciuta oltre alla rabbia anche la tristezza, perché a 30 anni mi guardo indietro e mi sento di essere stato trattato spesso molto ingiustamente, quando volevo solo essere accettato, e non so. Ho sempre avuto i migliori intenti, ma non contavano un granché..."
Si può condurre un buon lavoro terapeutico su questo, unito alle condizioni di sofferenza che ha sperimentato nell'adolescenza e non ha ancora metabolizzato.
Auguri.
ho scorso le altre sue email quindi sarò breve: lei ha già un suo terapeuta e i miei colleghi di Medicitalia l'hanno già validamente supportata in vari momenti difficili.
Scrive del suo lavoro: "L'ambiente è reso pesante dalla disorganizzazione derivante dall'assenza di coordinamento, linee guida e dalla continua ricerca di colpevoli per ogni minuzia".
Ottima analisi. Un giovane avvocato si è recentemente laureato anche in Psicologia con una tesi sul burnout, in cui dimostra che non c'è peggior causa di stress di un lavoro disorganizzato.
Dovrebbe riportare la stessa analisi che ha fatto qui durante le riunioni aziendali, ma citando date, fatti, episodi. Lei al momento non è in grado di parlare agli altri in maniera idonea; cominci a fare per sé l'elenco delle magagne organizzative, sospenda l'espressione di ogni giudizio in ufficio, e intanto legga il bel libro di Dale Carnegie: "Come trattare gli altri e farseli amici".
C'è una parte della sua lettera che dovrebbe far prendere in considerazione alla sua terapeuta (fossi in lei, gliela farei leggere tutta). E' questa: "Nel tempo ho realizzato quante volte sia stato trattato ingiustamente ed in me è cresciuta oltre alla rabbia anche la tristezza, perché a 30 anni mi guardo indietro e mi sento di essere stato trattato spesso molto ingiustamente, quando volevo solo essere accettato, e non so. Ho sempre avuto i migliori intenti, ma non contavano un granché..."
Si può condurre un buon lavoro terapeutico su questo, unito alle condizioni di sofferenza che ha sperimentato nell'adolescenza e non ha ancora metabolizzato.
Auguri.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 900 visite dal 11/01/2021.
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