Psicoterapia dannosa?

Salve! Ho sviluppato un forte disturbo d'ansia da oramai qualche mese e sotto consiglio di un paio di amici ho deciso di andare da uno psicologo.

Ho iniziato le sedute da qualche settimana e premetto che sono alla mia prima esperienza, ma ogni volta che ho la seduta esco sempre un po turbata, è normale?

Ma soprattutto ho constatato nelle ultime due sedute che non riesco molto a spiegarmi o esprimermi poiché il dottore sembra voler parlare più di me, interrompendomi nel bel mezzo dei discorsi.
Mi è capitato anche di essere criticata durante l'esposizione di una serie di dubbi/incertezze personali e devo ammettere di essere rimasta un po contrariata, soprattutto perché teoricamente da quel che so uno psicologo dovrebbe astenersi dal giudizio e far sentire il proprio paziente a suo agio.

Sinceramente non so che fare, non capisco se magari sono io che esagero e me la prendo per cose di poco conto o se effettivamente lo specialista che sto vedendo non fa per me.
Mi vergogno a parlarne, poiché vorrei evitare anche di creare attriti e compromettere la terapia.

Mi piacerebbe avere un confronto con alcuni di voi specialisti per capire come muovermi.
Grazie.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.3k 193
Gentile utente,
le terapie psicologiche si ispirano a diverse teorie di base e vengono quindi condotte con modalità differenti.
Sarebbe bene leggere sull'Albo degli psicologi l'orientamento e la specializzazione del terapeuta con cui si vuole iniziare un percorso, e nella prima seduta in genere è lui/lei stesso/a che annuncia a quale scuola si ispira e spiega a grandi linee in che modo intende procedere.
Molti hanno in mente uno psicologo da film, che sta seduto alle spalle del cliente (o paziente, anche questa denominazione dipende dalle scuole) e non parla, oppure gli fa vedere "strane macchie" e gli chiede cosa rappresentano, o lo ipnotizza e così via.
Alcune aspettative sono più radicate di altre e se non si verificano lasciano il paziente interdetto. Come esempi citerò quelli che lei scrive: "non riesco molto a spiegarmi o esprimermi poiché il dottore sembra voler parlare più di me, interrompendomi nel bel mezzo dei discorsi".
Esistono terapie basate sul "dialogo socratico", in cui lo psicologo confuta le idee irrazionali del paziente, il quale guarisce proprio perché si libera di una visione falsa della realtà. Questo non si concilia con l'idea del paziente di potere/dovere parlare a ruota libera, e produce l'effetto che lei cita nelle frasi seguenti: "Mi è capitato anche di essere criticata durante l'esposizione di una serie di dubbi/incertezze personali e devo ammettere di essere rimasta un po contrariata, soprattutto perché teoricamente da quel che so uno psicologo dovrebbe astenersi dal giudizio e far sentire il proprio paziente a suo agio".
Lo psicologo non deve "far sentire a suo agio" il paziente. Accoglierlo come essere umano, sì; non giudicarlo, certamente, perché quello che accogliamo in terapia è la sua sofferenza; ma non necessariamente si può metterlo a suo agio, perché la terapia è fatta per cambiare, con la sinergia del terapeuta e del paziente, e questo provoca resistenza e dolore.
Da questo dipende anche il fatto che uscendo dallo studio lei si senta turbata.
Infine, tutto questo spiega perché noi invitiamo sempre a chiedere direttamente al terapeuta perché fa certe azioni e perché ne omette altre: lui solo, conoscendo la propria scuola di riferimento e la strategia di cura adottata, può e deve spiegarlo, e questo dialogo con il paziente è parte essenziale della terapia.
Ciò premesso, e fatti i debiti approfondimenti col curante, il paziente è libero di decidere se quella terapia o quella persona non fanno per lui; a volte lo fa perché le sue "resistenze" sono più forti della volontà e necessità di cambiare, a volte perché davvero quel terapeuta non era adatto a lui.
Ci faccia sapere come procederanno le cose.
Auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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Utente
Utente
La ringrazio per la risposta, purtroppo il metodo usato dallo psicologo o la scuola di pensiero non mi è stata mostrata all'inizio. Magari può essere voluta come cosa? Non so
Per la questione dell'essere interrotta intendo proprio che mentre sto spiegando i miei punti di vista o le esperienze vissute non mi viene dato modo di finirle di raccontare perché lo psicologo mi vuole subito sovrastare con la sua visione mentre mi sto ancora a metà del discorso.
L'impressione che ho è che non mi venga data la possibilità di esprimermi e raccontarmi a pieno e questo mi genera un certo attrito nei confronti del terapeuta. Sento come se ciò che ho vissuto e che senta effettivamente non abbiano peso al fine della terapia, quindi per quale motivo continuare se niente sembra aver peso?
Anche oggi ad esempio non mi ha dato modo di spiegargli a meglio come funziona il mio lavoro dovendo necessariamente dirmi la sua appena iniziato a spiegarlo.
Questo modo di fare mi rende davvero difficile andare avanti con la terapia,mi innervosisce un po. Capisco che senza provare del disagio non si può migliorare e risolvere i propri conflitti ma cosi mi invoglia proprio a interrompere tutto
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.3k 193
Gentile utente,
come le avevo scritto, a volte siamo noi ad attuare resistenze alla terapia, e a volte incontriamo un curante poco adatto.
Nel suo caso, come si legge dal consulto precedente, sono stati più d'uno i tentativi di intraprendere una terapia. Non pensa che ci possa essere una sua aspettativa inidonea, una cattiva conduzione del dialogo col curante?
Vediamo con le sue parole: "il metodo usato dallo psicologo o la scuola di pensiero non mi è stata mostrata all'inizio. Magari può essere voluta come cosa?"
A quale scopo, secondo lei, ci sarebbe stato un silenzio volontario su questo?
Lei scrive: "mentre sto spiegando i miei punti di vista o le esperienze vissute non mi viene dato modo di finirle di raccontare".
Cosa le fa credere che punti di vista ed esperienze vissute vadano dettagliate?
Lei viene di nuovo interrotta mentre tenta "di spiegargli a meglio come funziona il mio lavoro".
Spesso il terapeuta deve ricondurre sui binari il paziente che si abbandona a discorsi estranei, alla replica infinita del passato, a "pestare l'acqua nel mortaio", come si suol dire.
Infine conclude: "Capisco che senza provare del disagio non si può migliorare e risolvere i propri conflitti".
Io non ho parlato di "disagio", ma di "resistenza e dolore", perché condurre un processo di cambiamento è un po' come fare un'operazione chirurgica senza anestesia.
Chi ci tiene a guarire trova il coraggio.
Chi ha troppa paura è combattuto tra la volontà di liberarsi dei sintomi egodistonici e la resistenza ad ammettere "questa mia idea, questo comportamento, perfino questo sentimento sono sbagliati, vanno riformulati".
Così per esempio lei scrive: "Ho iniziato le sedute da qualche settimana e premetto che sono alla mia prima esperienza"...
A chi può essere utile, questa notizia falsa?
Provi a parlarne col suo terapeuta.