Condizionamento psicoterapeuta
Salve.
Seguo da anni il mio psicoterapeuta.
Ho fatto un percorso di circa due anni di psicoterapia cognitivo comportamentale per attacchi di panico prima del matrimonio.
Sono una personalità con attaccamento evitante, e nonostante tutto ho superato parecchi conflitti interiori è raggiunto ottimo risultati, soprattutto in ambito lavorativo.
Purtroppo, ad oggi sono solo e separato con una figlia.
Il problema nasce nel momento in cui ho conosciuto una donna a sua volta separata e con figli.
Il mio psicoterapeuta l’ha conosciuta in un paio d’incontri mentre era in fase di separazione.
Successivamente non l’ha più seguita poiché seguiva me.
Il conflitto interiore in me è nato nel momento in cui mi ha fatto presente che questa donna è pericolosa per la mia personalità in quanto secondo lui eccessivamente marcante il territorio e stritolante per la mia personalità legata alla libertà.
Il problema è che i miei sentimenti non dicono questi, e sono in totale nevrosi fra quello che sento nella volontà di frequentarla è quello che mi ha detto il mio psicoterapeuta, del quale mi fido ma che mi ha prescritto un compito arduo, quello di impormi un distacco con relativa elaborazione del lutto di una persona in vita con no conctact e 6 mesi di sofferenze.
Sto malissimo e mi sento pressato e in nevrosi fra cuore ed emotività e testa e razionalità.
Mi chiedo se ciò dia normale e se le prossime persone che dovrò frequentare, al posto di invitarle al cinema o a cena, dovrò presentarle al mio psicoterapeuta.
Sinceramente non riesco a capire se ciò sia normale e se un professionista possa valutare una persona in due incontri sporadici.
Non so che fare.
Sono fermo e sto male.
Mi sono sempre fidati ad occhi chiusi del professionista al quale mi rivolgo da anni, ma questa volta è davvero dura.
Gradirei ricevere un parere con possibilità di maggiori approfondimenti, anche tramite sedute in videoconferenza con relativo compenso.
Grazie.
Seguo da anni il mio psicoterapeuta.
Ho fatto un percorso di circa due anni di psicoterapia cognitivo comportamentale per attacchi di panico prima del matrimonio.
Sono una personalità con attaccamento evitante, e nonostante tutto ho superato parecchi conflitti interiori è raggiunto ottimo risultati, soprattutto in ambito lavorativo.
Purtroppo, ad oggi sono solo e separato con una figlia.
Il problema nasce nel momento in cui ho conosciuto una donna a sua volta separata e con figli.
Il mio psicoterapeuta l’ha conosciuta in un paio d’incontri mentre era in fase di separazione.
Successivamente non l’ha più seguita poiché seguiva me.
Il conflitto interiore in me è nato nel momento in cui mi ha fatto presente che questa donna è pericolosa per la mia personalità in quanto secondo lui eccessivamente marcante il territorio e stritolante per la mia personalità legata alla libertà.
Il problema è che i miei sentimenti non dicono questi, e sono in totale nevrosi fra quello che sento nella volontà di frequentarla è quello che mi ha detto il mio psicoterapeuta, del quale mi fido ma che mi ha prescritto un compito arduo, quello di impormi un distacco con relativa elaborazione del lutto di una persona in vita con no conctact e 6 mesi di sofferenze.
Sto malissimo e mi sento pressato e in nevrosi fra cuore ed emotività e testa e razionalità.
Mi chiedo se ciò dia normale e se le prossime persone che dovrò frequentare, al posto di invitarle al cinema o a cena, dovrò presentarle al mio psicoterapeuta.
Sinceramente non riesco a capire se ciò sia normale e se un professionista possa valutare una persona in due incontri sporadici.
Non so che fare.
Sono fermo e sto male.
Mi sono sempre fidati ad occhi chiusi del professionista al quale mi rivolgo da anni, ma questa volta è davvero dura.
Gradirei ricevere un parere con possibilità di maggiori approfondimenti, anche tramite sedute in videoconferenza con relativo compenso.
Grazie.
[#1]
Gentile utente,
acquisire un altro parere, in una seduta di persona oppure online (non una videoconferenza ma un colloquio clinico) è senza dubbio possibile. Mi chiedo però se sia la soluzione adatta al suo caso.
Se lei è al punto da obbedire al diktat un po' insolito del suo terapeuta, e tuttavia non ha stabilito con lui l'alleanza terapeutica necessaria per potergli esprimere il suo dissenso e far valere la sua autonomia, mi chiedo se far intervenire un altro specialista, che non la conosce, non complichi ulteriormente le cose.
In poche parole, del suo terapeuta lei si fida, o no?
Può parlargli a cuore aperto di qualunque argomento?
Si sente autonomo rispetto al suo giudizio, tanto da poter sperimentare una relazione d'amore a rischio, oppure per essere curato da lui deve vivere sotto una campana di vetro?
Io direi che il primo passo è proprio riflettere se è una sana alleanza terapeutica quella che la lega al suo curante, ed esprimergli le sue perplessità.
Altrimenti sembra che la persona "eccessivamente marcante il territorio e stritolante la sua personalità" sia il suo terapeuta stesso!
Mi colpisce poi un giudizio così dettagliato dato su un'altra paziente, verso la quale corre l'obbligo del segreto professionale, sempre, anche se la terapia si è interrotta. Altrettanto mi colpisce che una terapia cognitivo comportamentale si prolunghi per anni, si avvalga di termini come "attaccamento evitante", appartenenti al pensiero psicodinamico, e infine, ancora di più, che un uomo che dovrebbe essere ormai guarito, in virtù della lunga terapia, venga poi considerato inidoneo a correre qualche rischio in campo sentimentale.
Ci pensi e ne parli con il curante. Eventuali paure e timidezze sarebbero indice di qualcosa che non va. Lo psicologo non è il nostro guardiano, né il nostro censore. Può segnalarci quali situazioni, quali persone non favoriscono il nostro benessere, ma non imporci di rinunciare ad esse.
Auguri.
acquisire un altro parere, in una seduta di persona oppure online (non una videoconferenza ma un colloquio clinico) è senza dubbio possibile. Mi chiedo però se sia la soluzione adatta al suo caso.
Se lei è al punto da obbedire al diktat un po' insolito del suo terapeuta, e tuttavia non ha stabilito con lui l'alleanza terapeutica necessaria per potergli esprimere il suo dissenso e far valere la sua autonomia, mi chiedo se far intervenire un altro specialista, che non la conosce, non complichi ulteriormente le cose.
In poche parole, del suo terapeuta lei si fida, o no?
Può parlargli a cuore aperto di qualunque argomento?
Si sente autonomo rispetto al suo giudizio, tanto da poter sperimentare una relazione d'amore a rischio, oppure per essere curato da lui deve vivere sotto una campana di vetro?
Io direi che il primo passo è proprio riflettere se è una sana alleanza terapeutica quella che la lega al suo curante, ed esprimergli le sue perplessità.
Altrimenti sembra che la persona "eccessivamente marcante il territorio e stritolante la sua personalità" sia il suo terapeuta stesso!
Mi colpisce poi un giudizio così dettagliato dato su un'altra paziente, verso la quale corre l'obbligo del segreto professionale, sempre, anche se la terapia si è interrotta. Altrettanto mi colpisce che una terapia cognitivo comportamentale si prolunghi per anni, si avvalga di termini come "attaccamento evitante", appartenenti al pensiero psicodinamico, e infine, ancora di più, che un uomo che dovrebbe essere ormai guarito, in virtù della lunga terapia, venga poi considerato inidoneo a correre qualche rischio in campo sentimentale.
Ci pensi e ne parli con il curante. Eventuali paure e timidezze sarebbero indice di qualcosa che non va. Lo psicologo non è il nostro guardiano, né il nostro censore. Può segnalarci quali situazioni, quali persone non favoriscono il nostro benessere, ma non imporci di rinunciare ad esse.
Auguri.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#2]
Utente
Grazie dottoressa. È stata molto chiara ed esaustiva. No, avverto un malessere come se fossi imprigionato e giudicato. Non mi sento libero e sono in totale nevrosi. Mi sento come se vivessi una trappola della severità. Non mi stare tutto bene questo è mi sta creando angoscia. Qualcosa in me si sta ribellando. Non mi sento libero di essere me stesso e mi sto facendo male da un po’ di mesi a questa parte sulla questione di dover non vivere e rinunciare a questa persona a cui voglio bene. Magari vivendola , avvertirò che non è la persona giusta , ma impormi a priori, con un diktat di vivere un lutto imposto mi fa impazzire. Non riesco ad uscirne, sono agitato, in ansia e avverto di essere condizionato. Come se qualcosa dentro di me si ribellasse. La ringrazio e spero di venirne a capo. Questa situazione non mi rende sereno a tal punto da non dormire quasi più. Inoltre la persona a cui mi ero legato ha capito e si è allontanata. Lei stessa mi faceva notare qualcosa di anomalo avendo anche lei intrapreso consulti con la sua psicologa e intuendo qualcosa di anomalo . Grazie . Spero di essere stato chiaro.
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 1.4k visite dal 06/01/2021.
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