Genitori ipercritici e inadeguatezza fisica e psicologica
Gentili dottori, sono una ragazza di 26 anni, espatriata all'estero da 3 anni e convivente con un coetaneo.
Ho un buon lavoro, assicurazione sanitaria, vivo una vita soddisfacente grazie ai miei sforzi e ai miei sacrifici.
Ma... Non sono felice.
Quando mi sono trasferita all'estero pensavo che fosse dovuto allo scopo di raggiungere i miei obiettivi lavorativi, ma piano piano ho realizzato di aver accettato la prima meta disponibile per fuggire dalla mia famiglia.
Ho compreso grazie alla terapia psicologica e il supporto del mio compagno di aver sempre vissuto in una bolla di criticità e commenti dispregiativi provenienti dalla mia famiglia.
La mia é una famiglia apparentemente unita, dove mia madre casalinga detiene le redini e mio padre provvede economicamente senza mai esprimersi al 100%, creando un senso di frustrazione generale che si é abbattuto su di me e mia sorella.
Soprattutto io, la maggiore, sono quella che ha subito maggiormente le conseguenze dovute alle continue critiche provenienti dai miei genitori, che mi considerano addirittura la 'pecora nera' dell'intera famiglia.
Questo aggettivo mi perseguita, mi infastidisce e nel corso del tempo mi ha fatto diventare sempre più ansiosa, ipercritica nei miei confronti e verso le altre persone, e insicura.
Nulla di cio' che faccio da soddisfazione alla mia famiglia, anzi, spesso penso di non aver mai fatto nulla di giusto.
Mia sorella mi vede come la causa dei suoi problemi (parole spesso pronunciate da mia madre che mi accusa di averla traumatizzata fin da bambina), mio padre si lamenta sempre e solo di me come se fossi la causa di ogni suo fallimento e mia madre sostiene che non valga la pena aver a che fare con me, in quanto "la mia testa non funziona" (per anni ho sofferto di una forte depressione, anoressia, bulimia ecc... causate da questo senso di inadeguatezza).
Alle mie lauree mai un sorriso accennato, all'ultima si sono presentati in ritardo e se ne sono andati prima dei festeggiamenti, i miei regali sono criticati perfino dall'impacchettamento e il mio lavoro... beh quello viene fatto passare per qualcosa che in realtà non esiste per suscitare invidie.
E ci sarebbe molto altro da dire, ma non bastano i caratteri.
Mi sento completamente destabilizzata, insicura e abbandonata.
Come superare queste emozioni?
Come posso fare per sentirmi meglio?
Distinti saluti
Ho un buon lavoro, assicurazione sanitaria, vivo una vita soddisfacente grazie ai miei sforzi e ai miei sacrifici.
Ma... Non sono felice.
Quando mi sono trasferita all'estero pensavo che fosse dovuto allo scopo di raggiungere i miei obiettivi lavorativi, ma piano piano ho realizzato di aver accettato la prima meta disponibile per fuggire dalla mia famiglia.
Ho compreso grazie alla terapia psicologica e il supporto del mio compagno di aver sempre vissuto in una bolla di criticità e commenti dispregiativi provenienti dalla mia famiglia.
La mia é una famiglia apparentemente unita, dove mia madre casalinga detiene le redini e mio padre provvede economicamente senza mai esprimersi al 100%, creando un senso di frustrazione generale che si é abbattuto su di me e mia sorella.
Soprattutto io, la maggiore, sono quella che ha subito maggiormente le conseguenze dovute alle continue critiche provenienti dai miei genitori, che mi considerano addirittura la 'pecora nera' dell'intera famiglia.
Questo aggettivo mi perseguita, mi infastidisce e nel corso del tempo mi ha fatto diventare sempre più ansiosa, ipercritica nei miei confronti e verso le altre persone, e insicura.
Nulla di cio' che faccio da soddisfazione alla mia famiglia, anzi, spesso penso di non aver mai fatto nulla di giusto.
Mia sorella mi vede come la causa dei suoi problemi (parole spesso pronunciate da mia madre che mi accusa di averla traumatizzata fin da bambina), mio padre si lamenta sempre e solo di me come se fossi la causa di ogni suo fallimento e mia madre sostiene che non valga la pena aver a che fare con me, in quanto "la mia testa non funziona" (per anni ho sofferto di una forte depressione, anoressia, bulimia ecc... causate da questo senso di inadeguatezza).
Alle mie lauree mai un sorriso accennato, all'ultima si sono presentati in ritardo e se ne sono andati prima dei festeggiamenti, i miei regali sono criticati perfino dall'impacchettamento e il mio lavoro... beh quello viene fatto passare per qualcosa che in realtà non esiste per suscitare invidie.
E ci sarebbe molto altro da dire, ma non bastano i caratteri.
Mi sento completamente destabilizzata, insicura e abbandonata.
Come superare queste emozioni?
Come posso fare per sentirmi meglio?
Distinti saluti
[#1]
Gentile utente,
ho letto anche le sue email precedenti.
A me sembra che la terapia psicologica condotta finora non sia stata sufficiente, forse per la causa che cita più volte: il comportamento familiare che l'ha lungamente vessata e che è ancora attivo dentro di lei. Che tipo di terapia era, e quanto è durata?
Una buona terapia dovrebbe valutare i danni subiti dalla sua sfera cognitiva ed emotiva, aiutarla a compiere il distacco psicologico dalla famiglia d'origine e attuare il ripristino di una sua visione sana, costruttiva e ottimista.
Questo richiede plurimi strumenti: penso alla Psicologia Positiva di Seligman e della Fredrickson, alla Consulenza Filosofica, alla REBT, ma soprattutto all'EMDR, metodo di elezione per guarire il disturbo da stress post traumatico.
Cerchi in rete questi metodi e i professionisti che li praticano, e abbia fiducia.
ho letto anche le sue email precedenti.
A me sembra che la terapia psicologica condotta finora non sia stata sufficiente, forse per la causa che cita più volte: il comportamento familiare che l'ha lungamente vessata e che è ancora attivo dentro di lei. Che tipo di terapia era, e quanto è durata?
Una buona terapia dovrebbe valutare i danni subiti dalla sua sfera cognitiva ed emotiva, aiutarla a compiere il distacco psicologico dalla famiglia d'origine e attuare il ripristino di una sua visione sana, costruttiva e ottimista.
Questo richiede plurimi strumenti: penso alla Psicologia Positiva di Seligman e della Fredrickson, alla Consulenza Filosofica, alla REBT, ma soprattutto all'EMDR, metodo di elezione per guarire il disturbo da stress post traumatico.
Cerchi in rete questi metodi e i professionisti che li praticano, e abbia fiducia.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#2]
Utente
Gentile Dott.ssa Potenza, intanto grazie per la sua risposta. E' stata la prima persona a consigliarmi l'EMDR al quale stavo seriamente pensando da tempo ormai, ma non so se il mio 'stress post traumatico' sia a livelli tali da poter effettivamente chiedere per la terapia (normalmente sono i soldati o persone vittime di violenze e stupri a farne ricorso). In questo momento seguo una terapia psicologica presso una psicoterapeuta locale, sfortunatamente in una lingua che non é la mia, cosa che, secondo me, crea già qualche problema nell'esprimere cosa senta davvero. Spesso infatti perdo più tempo a spiegare con giri di parole cose che in italiano sono esprimibili con una sola. Sono convinta che se solo riuscissi veramente a distaccarmi da tutto questo la mia vita prenderebbe una strada completamente diversa, e probabilmente sarei capace di uscire da questo stato letargico nel quale vivo da anni. Non é normale che a 26 anni si pensi che dormire sia la sola soluzione per immaginare qualcosa diverso dalla realtà quotidiana.
Con la psicologa parlo molto, esprimo tutti i miei pensieri, dai piu' tristi ai piu' aggressivi, e lei mi ha proposto l'ipnosi. Senza volerlo é da anni che applico la cosi' detta autoipnosi: modifico nel mio cervello momenti vissuti negativamente e li trasformo in falsi ma migliori ricordi positivi, ma a questo punto non so più cosa sia reale o no. So solo che vivo in un miscuglio di falsi ricordi e preferisco rifugiarmi nei miei sogni dove riesco a vivere la vita che, secondo me, mi é stata negata.
Lei cosa mi consiglia? Continuo con la psicoterapeuta o vado dritta per un trattamento EMDR?
Cordiali Saluti
Con la psicologa parlo molto, esprimo tutti i miei pensieri, dai piu' tristi ai piu' aggressivi, e lei mi ha proposto l'ipnosi. Senza volerlo é da anni che applico la cosi' detta autoipnosi: modifico nel mio cervello momenti vissuti negativamente e li trasformo in falsi ma migliori ricordi positivi, ma a questo punto non so più cosa sia reale o no. So solo che vivo in un miscuglio di falsi ricordi e preferisco rifugiarmi nei miei sogni dove riesco a vivere la vita che, secondo me, mi é stata negata.
Lei cosa mi consiglia? Continuo con la psicoterapeuta o vado dritta per un trattamento EMDR?
Cordiali Saluti
[#3]
Gentile utente,
se la psicoterapia che sta effettuando produce effetti, non vedo perché abbandonarla.
Il problema è la lingua: è importante sapere che si è stati compresi, ma altrettanto comprendere la replica e le indicazioni del terapeuta.
Lei sa che il covid ha reso possibile la terapia online, quindi nulla le vieta di cercare un terapeuta italiano. Non per l'EMDR, però: che io sappia non siamo ancora arrivati alla stimolazione bilaterale online.
Quanto all'EMDR, non è nata per curare lo stress post traumatico dei reduci. L'ha inventata -o forse scoperta- Francine Shapiro, laureata a quel tempo in letteratura inglese, verificando su sé stessa le conseguenze sorprendenti dei movimenti oculari in un momento di sofferenza acuta; più tardi ne sono stati verificati gli effetti sul cervello mediante strumenti di neuro-imaging.
Quello che è stato scoperto grazie agli interventi massicci che si sono resi necessari sui reduci dal Vietnam è il cosiddetto PTSD, Disturbo da Stress Post Traumatico, ma nei quarant'anni dalla prima scoperta è stato possibile rimodulare la diagnosi e scoprire questo disturbo, variamente articolato, in molti altri casi; talvolta transitorio, talvolta pervasivo e permanente.
Da molte sue parole ho l'impressione che lei "resista" al cambiamento terapeutico.
E' normale, soprattutto quando la ferita che ci condiziona deriva dai primi affetti familiari, per cui abbiamo creato un'immagine interiore e sentiamo che ci destabilizza e ci provoca dolore il fatto di cambiarla.
Il paziente, in questo caso, è come lo scalatore che giunto ad un difficile passaggio sulla roccia non osa fare il pericoloso passo avanti, ma non può nemmeno tornare indietro. Il capo-cordata che garantisce la salvezza dovrebbe essere il terapeuta... purché ci si fidi di lui, purché si sia compreso che la terapia non culla come una droga, ma passa attraverso il dolore e la perdita.
Se la sua terapeuta le suggerisce l'ipnosi, non si illuda che lei stia praticando la medesima ipnosi da anni: la sua autoipnosi è quella della fuga anestetica, funzionale al non vedere e al non sapere: quella proposta dalla terapeuta dovrebbe schiuderle al contrario nuovi ricordi e nuove visioni della realtà.
Non mi ha scritto che tipo di terapia ha fatto in passato e quale sta facendo adesso.
Ci tenga aggiornati, se può esserle utile. Auguri.
se la psicoterapia che sta effettuando produce effetti, non vedo perché abbandonarla.
Il problema è la lingua: è importante sapere che si è stati compresi, ma altrettanto comprendere la replica e le indicazioni del terapeuta.
Lei sa che il covid ha reso possibile la terapia online, quindi nulla le vieta di cercare un terapeuta italiano. Non per l'EMDR, però: che io sappia non siamo ancora arrivati alla stimolazione bilaterale online.
Quanto all'EMDR, non è nata per curare lo stress post traumatico dei reduci. L'ha inventata -o forse scoperta- Francine Shapiro, laureata a quel tempo in letteratura inglese, verificando su sé stessa le conseguenze sorprendenti dei movimenti oculari in un momento di sofferenza acuta; più tardi ne sono stati verificati gli effetti sul cervello mediante strumenti di neuro-imaging.
Quello che è stato scoperto grazie agli interventi massicci che si sono resi necessari sui reduci dal Vietnam è il cosiddetto PTSD, Disturbo da Stress Post Traumatico, ma nei quarant'anni dalla prima scoperta è stato possibile rimodulare la diagnosi e scoprire questo disturbo, variamente articolato, in molti altri casi; talvolta transitorio, talvolta pervasivo e permanente.
Da molte sue parole ho l'impressione che lei "resista" al cambiamento terapeutico.
E' normale, soprattutto quando la ferita che ci condiziona deriva dai primi affetti familiari, per cui abbiamo creato un'immagine interiore e sentiamo che ci destabilizza e ci provoca dolore il fatto di cambiarla.
Il paziente, in questo caso, è come lo scalatore che giunto ad un difficile passaggio sulla roccia non osa fare il pericoloso passo avanti, ma non può nemmeno tornare indietro. Il capo-cordata che garantisce la salvezza dovrebbe essere il terapeuta... purché ci si fidi di lui, purché si sia compreso che la terapia non culla come una droga, ma passa attraverso il dolore e la perdita.
Se la sua terapeuta le suggerisce l'ipnosi, non si illuda che lei stia praticando la medesima ipnosi da anni: la sua autoipnosi è quella della fuga anestetica, funzionale al non vedere e al non sapere: quella proposta dalla terapeuta dovrebbe schiuderle al contrario nuovi ricordi e nuove visioni della realtà.
Non mi ha scritto che tipo di terapia ha fatto in passato e quale sta facendo adesso.
Ci tenga aggiornati, se può esserle utile. Auguri.
[#4]
Utente
Gentile Dott.ssa Potenza, intanto la ringrazio per la super spiegazione che mi ha fornito. L'ho trovata interessante e stimolante e trovo anche che abbia compreso il passaggio più ostico della mia situazione: la resistenza alla terapia. Non so se lo faccia di proposito o il mio cervello ha semplicemente deciso di opporvisi lungi dal mio desiderio di farla, ma vi resisto. Quando penso di aver fatto un buon consulto, di aver scavato a sufficienza, PUM, ricado nel mio stato letargico e tutto ritorna come prima. Non ho un buon rapporto con le terapie psicologiche a dire il vero: fin da adolescente, tra che sono stata obbligata da alcuni insegnanti a seguirla, tra che ci sono andata io di spontanea volontà ma sono stata terribilmente delusa. Beh, credo che lei possa comprendere da dove derivi questa ostilità verso la terapia. Avevo una brava psichiatra ai tempi dell'università, mi ha seguita, parlato, aiutato a superare il break-down e i problemi alimentari e ha riconosciuto che uno dei miei problemi fosse effettivamente la mia famiglia (ha conosciuto mia mamma dal vivo ed é rimasta senza parole dal suo modo di fare, suggerendomi di andarmene il prima possibile da casa). Mi ha messo sotto cura (Efexor) ma poi mi sono trasferita. Lei anche si é trasferita senza lasciarmi con un back-up. Insomma e' stato tragico. Ero e continuo ad essere sotto farmaci, non controllata (non ho uno psichiatra), e ora seguo questa terapista locale che mi sta suggerendo la terapia ipnosi. Ho provato una volta a farla, ma non riesco a 'mettermi comoda': la mia testa continua a vagare dove vuole lei, e mi scusi il termine, FREGANDOSENE della terapista. Per questo pensavo all'EMDR: la terapia funziona anche se il mio caso non é una situazione isolata? Mi spiego: i miei genitori continuano ad esistere, mi chiamano e mi parlano, e facendo la terapia riportando alla mente episodi passati e presenti, risentendo i miei genitori, non rischierei di annullare gli effetti della terapia precedente? Sono molto indecisa, ma anche estremamente testarda, critica verso tutto, e quando il mondo esterno non basta, lo divento cotro di me. E' come se avessi due personalità: una é mia madre, aggressiva, critica, arrogante e 'bacchettona', dall'altra me stessa da bambina, piccolina, insignificante, insicura, impaurita e isolata.
Ho bisogno di eliminare la prima, o almeno ridurla.
Grazie delle sue indicazioni e risposte
Cordiali Saluti
Ho bisogno di eliminare la prima, o almeno ridurla.
Grazie delle sue indicazioni e risposte
Cordiali Saluti
[#5]
Cara ragazza,
la sua resistenza si manifesta soprattutto col meccanismo di difesa che Freud chiama "razionalizzazione".
Lei vorrebbe far quadrare il cerchio, diciamo: sapere tutto anche prima di metterlo in pratica.
Dove non sa, inventa. Ed è ovvio che non sappia: letture, spiegazioni, percorsi terapeutici non sostituiscono la competenza specialistica, specie perché questa ha il vantaggio del distacco dal problema personale.
Come le viene in mente che l'EMDR potrebbe essere inficiata dal fatto di sentire i suoi genitori, di mantenere il contatto con loro?
Allo stesso titolo, che aiuto terapeutico può essere quello di una curante che "ha conosciuto mia mamma dal vivo ed é rimasta senza parole dal suo modo di fare, suggerendomi di andarmene il prima possibile da casa"?
Posso benissimo immaginare il magma ribollente di sentimenti contraddittori che si agita dentro di lei, ma penso che capisca da sola che il sentimento confuso di dolorosa privazione, mischiato al desiderio di giustizia, perfino di vendetta, non trova appagamento nel semplice andarsene.
Ancora una volta, lei non dice che tipo di terapia ha fatto fin qui. Certe sue parole mi fanno sospettare una terapia di tipo psicoanalitico, più o meno correttamente condotta: "Quando penso di aver fatto un buon consulto, di aver scavato a sufficienza, PUM, ricado nel mio stato letargico e tutto ritorna come prima".
Ma cosa deve scavare, e a cosa servirebbe? Vuol fare il minatore dei suoi sentimenti, delle sue vicende infelici? Non è così che si rintraccia e si cura quella sofferenza che è già fin troppo a portata di mano.
Io credo che debba trovare in sé stessa la forza di abbandonarsi alla terapia, quella di riconoscere: "Ho sofferto tanto e sto ancora male. Vediamo come uscirne. Tutto il resto, la scoperta dei colpevoli e la loro punizione, e al termine il lieto fine, ossia la luce di un po' d'amore in fondo al tunnel, li troverò assieme alla mia terapeuta... se non avrò troppa paura di cercarli".
Le faccio con tutto il cuore i migliori auguri.
la sua resistenza si manifesta soprattutto col meccanismo di difesa che Freud chiama "razionalizzazione".
Lei vorrebbe far quadrare il cerchio, diciamo: sapere tutto anche prima di metterlo in pratica.
Dove non sa, inventa. Ed è ovvio che non sappia: letture, spiegazioni, percorsi terapeutici non sostituiscono la competenza specialistica, specie perché questa ha il vantaggio del distacco dal problema personale.
Come le viene in mente che l'EMDR potrebbe essere inficiata dal fatto di sentire i suoi genitori, di mantenere il contatto con loro?
Allo stesso titolo, che aiuto terapeutico può essere quello di una curante che "ha conosciuto mia mamma dal vivo ed é rimasta senza parole dal suo modo di fare, suggerendomi di andarmene il prima possibile da casa"?
Posso benissimo immaginare il magma ribollente di sentimenti contraddittori che si agita dentro di lei, ma penso che capisca da sola che il sentimento confuso di dolorosa privazione, mischiato al desiderio di giustizia, perfino di vendetta, non trova appagamento nel semplice andarsene.
Ancora una volta, lei non dice che tipo di terapia ha fatto fin qui. Certe sue parole mi fanno sospettare una terapia di tipo psicoanalitico, più o meno correttamente condotta: "Quando penso di aver fatto un buon consulto, di aver scavato a sufficienza, PUM, ricado nel mio stato letargico e tutto ritorna come prima".
Ma cosa deve scavare, e a cosa servirebbe? Vuol fare il minatore dei suoi sentimenti, delle sue vicende infelici? Non è così che si rintraccia e si cura quella sofferenza che è già fin troppo a portata di mano.
Io credo che debba trovare in sé stessa la forza di abbandonarsi alla terapia, quella di riconoscere: "Ho sofferto tanto e sto ancora male. Vediamo come uscirne. Tutto il resto, la scoperta dei colpevoli e la loro punizione, e al termine il lieto fine, ossia la luce di un po' d'amore in fondo al tunnel, li troverò assieme alla mia terapeuta... se non avrò troppa paura di cercarli".
Le faccio con tutto il cuore i migliori auguri.
Questo consulto ha ricevuto 5 risposte e 7.8k visite dal 29/12/2020.
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