Disordine alimentare in certe situazioni
Cari Dottori,
buongiorno e vi ringrazio in anticipo per il tempo che vorrete dedicare alla mia questione.
Cercherò di essere rapido, senza prenderla troppo alle larghe.
In pratica, ogni volta che mi trovo ad affrontare un cambiamento comunque importante, inizio ad accusare un malessere generale il cui sintomo capitale è un disturbo di tipo alimentare; infatti, mi capita di non riuscire più a mangiare, per quanto io mi sforzi, con tutte le conseguenze del caso.
Porterò adesso degli esempi a supporto per rendere la situazione più chiara.
Io sono uno studente 27enne, al termine dei miei studi universitari, originario di Siracusa.
La specialistica ho iniziato a svolgerla nel 2018 su Milano.
Ecco, una volta trasferitomi lì, un'angoscia pesantissima mi ha travolto, tanto che ho pianto per un paio di giorni e mangiato poco o nulla per altrettanti: la mia risposta adattiva in casi di questo genere è probabilmente pessima.
Poi col tempo passa, mi ambiento, tutto torna alla normalità, e ciò che diventa difficile è "scendere" a casa (al Sud).
Stessa cosa si è replicata l'anno scorso quando sarei dovuto partire in Erasmus: i primi giorni, angoscianti.
Volevo rientrare a Milano.
Ho lottato con tutto me stesso per rimanere e alla fine è stata l'esperienza migliore della mia vita.
Quest'anno è successo nuovamente, in una specifica occasione.
Inoltre, trascorsa la quarantena su al nord nel campus universitario, nel corso dei 4 mesi ho avuto qualche episodio acuto depressivo che si ripresenta innanzitutto sempre con lo stesso odiato sintomo: il mio apparato digestivo si blocca.
Non mangio più e, invero, faccio difficoltà pure a bere.
Questo, come al solito, dura un paio di giorni; poi, a poco a poco, la situazione si ristabilisce.
E' come se in me scattasse una reazione "attacco o fuga" davanti ad un qualche presunto tipo di pericolo; e, di fatto, quando noi dobbiamo attaccare o fuggire, di certo non è l'intestino l'organo a cui come macchina intelligente diamo priorità.
Insomma, non sono io a dover spiegare queste cose a voi.
Ad ogni modo, adesso vi scrivo perché fra circa 15 giorni partirò per lavoro (torno al nord) e sto riiniziando ad avvertire le prime avvisaglie di quel che potrà essere.
Un'ansia leggera sale dal fondo, e l'appetito a poco a poco inizia a venir meno.
Questa cosa mi causa particolari problemi perché ho sempre avuto una fissa per il mio aspetto fisico, storicamente sono magro, in adolescenza ho avuto molte insicurezze dettate da questa situazione, adesso in seguito ad un percorso di crescita a 360 gradi va di certo meglio e, grazie a un po' di palestra, ho anche un fisico tutto sommato normale (67kg circa per 179cm).
Ho una struttura di scheletro magra, ho una sorta di ossessione per il cibo, cerco sempre di mangiare.
Questo problema però si ripresenta ciclicamente e non so come affrontarlo.
Che consigli potete darmi?
Sono stato in terapia per tanto tempo, sono cresciuto molto come persona, questa problematica, però, non è stata risolta.
buongiorno e vi ringrazio in anticipo per il tempo che vorrete dedicare alla mia questione.
Cercherò di essere rapido, senza prenderla troppo alle larghe.
In pratica, ogni volta che mi trovo ad affrontare un cambiamento comunque importante, inizio ad accusare un malessere generale il cui sintomo capitale è un disturbo di tipo alimentare; infatti, mi capita di non riuscire più a mangiare, per quanto io mi sforzi, con tutte le conseguenze del caso.
Porterò adesso degli esempi a supporto per rendere la situazione più chiara.
Io sono uno studente 27enne, al termine dei miei studi universitari, originario di Siracusa.
La specialistica ho iniziato a svolgerla nel 2018 su Milano.
Ecco, una volta trasferitomi lì, un'angoscia pesantissima mi ha travolto, tanto che ho pianto per un paio di giorni e mangiato poco o nulla per altrettanti: la mia risposta adattiva in casi di questo genere è probabilmente pessima.
Poi col tempo passa, mi ambiento, tutto torna alla normalità, e ciò che diventa difficile è "scendere" a casa (al Sud).
Stessa cosa si è replicata l'anno scorso quando sarei dovuto partire in Erasmus: i primi giorni, angoscianti.
Volevo rientrare a Milano.
Ho lottato con tutto me stesso per rimanere e alla fine è stata l'esperienza migliore della mia vita.
Quest'anno è successo nuovamente, in una specifica occasione.
Inoltre, trascorsa la quarantena su al nord nel campus universitario, nel corso dei 4 mesi ho avuto qualche episodio acuto depressivo che si ripresenta innanzitutto sempre con lo stesso odiato sintomo: il mio apparato digestivo si blocca.
Non mangio più e, invero, faccio difficoltà pure a bere.
Questo, come al solito, dura un paio di giorni; poi, a poco a poco, la situazione si ristabilisce.
E' come se in me scattasse una reazione "attacco o fuga" davanti ad un qualche presunto tipo di pericolo; e, di fatto, quando noi dobbiamo attaccare o fuggire, di certo non è l'intestino l'organo a cui come macchina intelligente diamo priorità.
Insomma, non sono io a dover spiegare queste cose a voi.
Ad ogni modo, adesso vi scrivo perché fra circa 15 giorni partirò per lavoro (torno al nord) e sto riiniziando ad avvertire le prime avvisaglie di quel che potrà essere.
Un'ansia leggera sale dal fondo, e l'appetito a poco a poco inizia a venir meno.
Questa cosa mi causa particolari problemi perché ho sempre avuto una fissa per il mio aspetto fisico, storicamente sono magro, in adolescenza ho avuto molte insicurezze dettate da questa situazione, adesso in seguito ad un percorso di crescita a 360 gradi va di certo meglio e, grazie a un po' di palestra, ho anche un fisico tutto sommato normale (67kg circa per 179cm).
Ho una struttura di scheletro magra, ho una sorta di ossessione per il cibo, cerco sempre di mangiare.
Questo problema però si ripresenta ciclicamente e non so come affrontarlo.
Che consigli potete darmi?
Sono stato in terapia per tanto tempo, sono cresciuto molto come persona, questa problematica, però, non è stata risolta.
[#1]
Gentile utente
Come prima cosa la ringrazio per la approfondita descrizione della situazione che sicuramente aiuta a capire la sua situazione e a capire il suo livello di conoscenze sul tema.
Se ho capito bene ogni volta che le succede un cambiamento improvviso o pianificato: ritorno a casa dalla sua famiglia, ripartire per Milano, la quarantena ecc. Tutte queste emozioni la colpiscono alla pancia, bloccandole lo stomaco fino a farla mangiare o bere a stento, per via dell'ansia che l'assale al pensiero del cambiamento, è corretto?
Oltre alla situazione sintomatologica, non ci ha parlato del lavoro che fa è della sua situazione relazione, penso che siano elementi importanti per avere una situazione più chiara.
Come prima cosa la ringrazio per la approfondita descrizione della situazione che sicuramente aiuta a capire la sua situazione e a capire il suo livello di conoscenze sul tema.
Se ho capito bene ogni volta che le succede un cambiamento improvviso o pianificato: ritorno a casa dalla sua famiglia, ripartire per Milano, la quarantena ecc. Tutte queste emozioni la colpiscono alla pancia, bloccandole lo stomaco fino a farla mangiare o bere a stento, per via dell'ansia che l'assale al pensiero del cambiamento, è corretto?
Oltre alla situazione sintomatologica, non ci ha parlato del lavoro che fa è della sua situazione relazione, penso che siano elementi importanti per avere una situazione più chiara.
Cordialmente
Dr. Gianfranco Fabiano
Specializzando in Psicoterapia Breve strategica
3407617782
[#2]
Non ha alcun disturbo alimentare ma soffre di ansia anticipatoria che non è stata trattata con la terapia precedente e non le ha fornito strumenti adatti ad affrontare le situazioni che via via si pongono sulla sua strada.
Probabilmente sono state affrontate tematiche più impellenti e meno evidenti come questa che oggi si pone come più importante.
Una visita psichiatrica consente di valutare e confermare tale condizione e fornire un trattamento specifico per il disturbo che si presenta ciclicamente.
Dr. F. S. Ruggiero
http://www.francescoruggiero.it
Probabilmente sono state affrontate tematiche più impellenti e meno evidenti come questa che oggi si pone come più importante.
Una visita psichiatrica consente di valutare e confermare tale condizione e fornire un trattamento specifico per il disturbo che si presenta ciclicamente.
Dr. F. S. Ruggiero
http://www.francescoruggiero.it
https://wa.me/3908251881139
https://www.instagram.com/psychiatrist72/
[#3]
Utente
Gentili Dottori,
grazie per gli immediati riscontri. Innanzitutto devo confermare le vostre previsioni, è corretto, è un'ansia, talora angoscia direi, che mi assale quelle volte che ci sia da vivere un cambiamento importante; in verità, non qualsiasi tipo di cambiamento, perlopiù oserei dire cambiamenti radicali, legati all'approdare in realtà differenti dal contesto abituale, anche solo per periodi brevi (sfortunatamente, anche nel caso di semplici viaggi, mi è capitato di star parecchio male). Direi che è proprio un'ansia anticipatoria; una "paura di aver paura".
E dico "paura di aver paura" perché vi assicuro che quando ti trovi a viverle quelle sensazioni, il disagio psichico e fisico è ai massimi livelli. Per prendere ad esempio l'ultima volta che è capitato, giusto due mesi fa, dovevo tornare qualche giorno nel campus in cui ho trascorso la quarantena; ecco, io credo che in quel caso lì mi abbia assalito la paura di rivivere le sensazioni saltuariamente vissute durante il lockdown. E, puntualmente, si sono ripetute: sono stati 5 giorni veramente pessimi, dove di fatto non dormivo, non mi nutrivo, ero pieno di dolori e tutto ciò mentre nel frattempo dovevo svolgere colloqui di lavoro, esami ed interviste nei confronti di importanti soggetti operanti presso primari fondi di investimento, a finalità di tesi. Credetemi, è invalidante. E psichicamente lo è ancora di più, rendendoti conto di cosa significa non mangiare, di quali sono le conseguenze a cui una tale (non) azione conduca.
La cosa che mi dispiace è che più volte ho sottoposto questo tipo di problema ai miei passati terapisti: non so se per incapacità di affrontarlo, o magari si cercava di risolverlo senza che io me ne accorgessi, per vie traverse; ma, fattostà, mi trovo oggi a dover affrontare ancora questa situazione, che può risultare molto limitante anche per le mie prospettive di carriera.
Rispondo adesso alla domanda del dottor Fabiano, che giustamente voleva capire di più sulla mia situazione generale: caro dottore, acquisirò la laurea magistrale il prossimo dicembre e, quello che inizierò a breve, sarà il mio primo vero impiego, al netto di un'esperienza di stage di 6 mesi svolta presso una piccola società di consulenza a Milano, perlopiù vissuta in smartworking. Sarà un lavoro da consulente finanziario presso un'importante banca italiana. Le dico la verità, il lavoro in sé non credo mi spaventi tanto: sono sempre stato molto bravo, dal punto di vista professionale e, anche gli esami universitari, non sono mai stati fonte di particolare ansia, per me (almeno, rispetto a quanto vedevo accadere nei miei colleghi).
Per il resto, ho un passato non semplice, sono finito la prima volta in terapia a circa vent'anni, per un abuso di droghe (cannabinoidi e cocaina) che mi ha portato a fare i conti con pesanti attacchi di panico; quindi ansia e depressione. Ho fatto terapia per lungo tempo, non mi sono tuttavia mai rivolto ad uno psichiatra. Ho fatto passi avanti enormi, sono riuscito a laurearmi, ho vissuto all'estero imparando una lingua nuova, sono passato dall'essere un fallito ad essere una persona potenzialmente di successo.
Oggi ho una vita tranquilla, i miei amici di sempre, la mia famiglia; sono cambiato molto nel corso nel tempo, una volta mi piaceva fare casino, oggi ho interesse per altre cose. Dovunque sono andato sono riuscito a costruirmi un buon circolo di amici e relazioni in generale.
Quanto alle relazioni con l'altro sesso, negli ultimi anni non ho mai avuto particolari problemi a portare a letto le donne. Ciò in verità succede di più quando mi trovo fuori; quando sono al Sud, mi dedico di più alla famiglia (sì, mi rendo conto di rientrare in una comfort zone; forse anche da questo, deriva ogni volta la paura del cambiamento).
Negli ultimi periodi vissuti al nord ho conosciuto una ragazza, di cui penso di essermi innamorato: adesso, ritornando su, affrontare questa situazione, i miei sentimenti, è una delle cose che mi aspetta; forse, per me che ho sempre visto dei pericoli insiti nell'amore e nell'impegno a lungo termine, questa è una delle cose che più mi spaventa, contribuendo a ingigantire quel circolo d'ansia che, ad ogni nuova partenza, non mi dà tregua.
Felice di rispondere ad ulteriori vostre domande e curiosità.
Cordialmente
grazie per gli immediati riscontri. Innanzitutto devo confermare le vostre previsioni, è corretto, è un'ansia, talora angoscia direi, che mi assale quelle volte che ci sia da vivere un cambiamento importante; in verità, non qualsiasi tipo di cambiamento, perlopiù oserei dire cambiamenti radicali, legati all'approdare in realtà differenti dal contesto abituale, anche solo per periodi brevi (sfortunatamente, anche nel caso di semplici viaggi, mi è capitato di star parecchio male). Direi che è proprio un'ansia anticipatoria; una "paura di aver paura".
E dico "paura di aver paura" perché vi assicuro che quando ti trovi a viverle quelle sensazioni, il disagio psichico e fisico è ai massimi livelli. Per prendere ad esempio l'ultima volta che è capitato, giusto due mesi fa, dovevo tornare qualche giorno nel campus in cui ho trascorso la quarantena; ecco, io credo che in quel caso lì mi abbia assalito la paura di rivivere le sensazioni saltuariamente vissute durante il lockdown. E, puntualmente, si sono ripetute: sono stati 5 giorni veramente pessimi, dove di fatto non dormivo, non mi nutrivo, ero pieno di dolori e tutto ciò mentre nel frattempo dovevo svolgere colloqui di lavoro, esami ed interviste nei confronti di importanti soggetti operanti presso primari fondi di investimento, a finalità di tesi. Credetemi, è invalidante. E psichicamente lo è ancora di più, rendendoti conto di cosa significa non mangiare, di quali sono le conseguenze a cui una tale (non) azione conduca.
La cosa che mi dispiace è che più volte ho sottoposto questo tipo di problema ai miei passati terapisti: non so se per incapacità di affrontarlo, o magari si cercava di risolverlo senza che io me ne accorgessi, per vie traverse; ma, fattostà, mi trovo oggi a dover affrontare ancora questa situazione, che può risultare molto limitante anche per le mie prospettive di carriera.
Rispondo adesso alla domanda del dottor Fabiano, che giustamente voleva capire di più sulla mia situazione generale: caro dottore, acquisirò la laurea magistrale il prossimo dicembre e, quello che inizierò a breve, sarà il mio primo vero impiego, al netto di un'esperienza di stage di 6 mesi svolta presso una piccola società di consulenza a Milano, perlopiù vissuta in smartworking. Sarà un lavoro da consulente finanziario presso un'importante banca italiana. Le dico la verità, il lavoro in sé non credo mi spaventi tanto: sono sempre stato molto bravo, dal punto di vista professionale e, anche gli esami universitari, non sono mai stati fonte di particolare ansia, per me (almeno, rispetto a quanto vedevo accadere nei miei colleghi).
Per il resto, ho un passato non semplice, sono finito la prima volta in terapia a circa vent'anni, per un abuso di droghe (cannabinoidi e cocaina) che mi ha portato a fare i conti con pesanti attacchi di panico; quindi ansia e depressione. Ho fatto terapia per lungo tempo, non mi sono tuttavia mai rivolto ad uno psichiatra. Ho fatto passi avanti enormi, sono riuscito a laurearmi, ho vissuto all'estero imparando una lingua nuova, sono passato dall'essere un fallito ad essere una persona potenzialmente di successo.
Oggi ho una vita tranquilla, i miei amici di sempre, la mia famiglia; sono cambiato molto nel corso nel tempo, una volta mi piaceva fare casino, oggi ho interesse per altre cose. Dovunque sono andato sono riuscito a costruirmi un buon circolo di amici e relazioni in generale.
Quanto alle relazioni con l'altro sesso, negli ultimi anni non ho mai avuto particolari problemi a portare a letto le donne. Ciò in verità succede di più quando mi trovo fuori; quando sono al Sud, mi dedico di più alla famiglia (sì, mi rendo conto di rientrare in una comfort zone; forse anche da questo, deriva ogni volta la paura del cambiamento).
Negli ultimi periodi vissuti al nord ho conosciuto una ragazza, di cui penso di essermi innamorato: adesso, ritornando su, affrontare questa situazione, i miei sentimenti, è una delle cose che mi aspetta; forse, per me che ho sempre visto dei pericoli insiti nell'amore e nell'impegno a lungo termine, questa è una delle cose che più mi spaventa, contribuendo a ingigantire quel circolo d'ansia che, ad ogni nuova partenza, non mi dà tregua.
Felice di rispondere ad ulteriori vostre domande e curiosità.
Cordialmente
[#4]
Gentile utente, dal suo ulteriore approfondimento, sembrerebbe che abbia forte difficoltà a vivere le sue emozioni, ad accoglierle e trasformarle. Le emozioni sono una fonte preziosa di comunicazione. Spesso le paure che sorgono dal vissuto emozionale sono date da incertezze e insicurezze. Lei dice di sentirsi bravo sul lavoro, ma mi sembra che anche in quei contesti viva la tensione e l'ansia, un ansia non bloccante, ma pur sembra Che tipo di percorso ha fatto precedentemente? Qual'è stai il focus?
[#5]
Utente
Gentile Dottore,
lei ha ragione, io senz'altro credo che quello sia - o sicuramente sia stato - uno dei miei problemi. Non sono mai stato particolarmente bravo a gestire le emozioni. E le posso io stesso confermare che la mia adolescenza è stata caratterizzata da tante insicurezze, quindi da una certa fragilità. Incertezze che hanno determinato nella mia prima età adulta una certa chiusura, mi sono infatti costruito una sorta di corazza che a poco a poco sono riuscito a togliere, col tempo. Un processo che andava di pari passo con il superamento del problema del giudizio degli altri, che comunque, ancora oggi, immagino continui ad essere presente, seppur in forme meno pregiudizievoli. Forse ha ragione, anche l'immissione in un mondo nuovo come quello del lavoro mi spaventa poi; anche se, in verità, più che il lavoro in sé, credo a spaventarmi sia semplicemente l'adattarsi al nuovo contesto. I colleghi, la routine. Diciamo che tutto ciò che comporti un importante cambiamento, come dicevo in origine, mi è causa di turbamento, nonostante razionalmente sia convinto di effettuare determinate scelte.
Per il resto, credo dica bene, il dottor Ruggiero, quando parla di ansia anticipatoria: i momenti, bruttissimi, di cui ho parlato sopra (quei blackout improvvisi che mi portano a non avere un funzionamento normale, neanche per quanto riguarda le funzioni vitali basilari), si sono tutti riproposti nella stessa maniera; e cioè, o in virtù di un cambiamento o meno, quello che probabilmente raffigurava l'elemento comune, era questa impressione, sensazione che nei giorni seguenti sarei stato male, in virtù di questo pesante fardello che già avvertivo dentro, e che so mi avrebbe condotto alle solite conseguenze, non mangiare, non stare bene, etc... cose che puntualmente si avveravano.
Mi viene male rispondere alla sua domanda circa il tipo di trattamento sino ad ora effettuato: nella mia esperienza, l'intervento psicologico mi è senz'altro tornato utile, tanto che raccomanderei sempre, anziché considerarla alla stregua di un taboo (come ancora, sfortunatamente, fanno in molti), una visita psicologica; nondimeno, devo purtroppo ravvisare questa cattiva abitudine (almeno per quanto è a me capitato) da parte degli psicoterapeuti di non dare un'indicazione precisa del tipo di percorso che andrà ad essere effettuato, né tantomeno della diagnosi del problema o dei tempi necessari a risolverlo.
Quello che le posso dire è che inizialmente ci si è dedicati a risolvere le emergenze legate all'ansia acuta e agli attacchi di panico che mi attanagliavano nei primi periodi della mia adultità, quindi si è passati alla gestione della mia crescita personale, attraverso un percorso che mi permettesse di capire i comportamenti errati della mia vita e le scelte che invece potevano essere più funzionali ad una mia realizzazione (è anche grazie alla psicoterapia, se mi sono iscritto all'università e ho conseguito la laurea). Un nuovo percorso è stato intrapreso al nord, in seguito alle difficoltà adattive cui sono andato incontro quando mi sono trasferito per svolgere la specialistica. Ho sentito di essere cresciuto tanto, in quel tempo. Poi, una volta partito per l'estero ho trovato delle nuove difficoltà, pensavo di essere ricaduto ma ho tenuto duro e sono andato avanti: dopo diversi giorni di angoscia e alcune settimane complicate, stavo finalmente bene, tanto da pensare che avevo finalmente svoltato. Mi sentivo forte, maturo, pensavo di aver ormai elaborato e superato ogni insicurezza passata, e che fosse questa una situazione definitiva. Ero una delle versioni migliori di me. Il ritorno in Italia, la quarantena, il crollo delle illusioni che mi ero forse costruito, hanno determinato una insoddisfazione di fondo e, la mia vita, non credo fosse più quella che avrei desiderato avere. Tornato al sud nei mesi estivi, mi rendevo così conto di quanto stessi in realtà mentalmente male: mi rivolgevo quindi di nuovo ad uno psicoterapeuta, con cui abbiamo elaborato i fatti degli ultimi mesi e cercato di analizzare le mie volontà future, così come i rapporti attuali all'interno della mia famiglia. E' stata una buona estate, sono stato bene, tanto dall'aver valutato di tentare di costruirmi una vita qui. Ho più volte sottoposto a questo terapeuta il mio problema qui descritto: devo constatare, ahimé, che non ho trovato troppo aiuto. Mi si dice di essere più lento, di respirare questa ansia, decifrarla, ma a me restano nozioni astratte che non trovano un seguito risolutivo utile.
Le chiederei quindi, in conclusione, quale può essere il percorso più appropriato per me e cosa mi suggerisce di fare nell'immediato (qualcosa che possa anche fare in autonomia, oltre a chiedere supporto a qualcuno di competenza), per trovare una soluzione a questo problema che, ormai da troppo tempo, mi causa un fastidio spesso invalidante.
Ringraziandola molto, le porgo distinti saluti
lei ha ragione, io senz'altro credo che quello sia - o sicuramente sia stato - uno dei miei problemi. Non sono mai stato particolarmente bravo a gestire le emozioni. E le posso io stesso confermare che la mia adolescenza è stata caratterizzata da tante insicurezze, quindi da una certa fragilità. Incertezze che hanno determinato nella mia prima età adulta una certa chiusura, mi sono infatti costruito una sorta di corazza che a poco a poco sono riuscito a togliere, col tempo. Un processo che andava di pari passo con il superamento del problema del giudizio degli altri, che comunque, ancora oggi, immagino continui ad essere presente, seppur in forme meno pregiudizievoli. Forse ha ragione, anche l'immissione in un mondo nuovo come quello del lavoro mi spaventa poi; anche se, in verità, più che il lavoro in sé, credo a spaventarmi sia semplicemente l'adattarsi al nuovo contesto. I colleghi, la routine. Diciamo che tutto ciò che comporti un importante cambiamento, come dicevo in origine, mi è causa di turbamento, nonostante razionalmente sia convinto di effettuare determinate scelte.
Per il resto, credo dica bene, il dottor Ruggiero, quando parla di ansia anticipatoria: i momenti, bruttissimi, di cui ho parlato sopra (quei blackout improvvisi che mi portano a non avere un funzionamento normale, neanche per quanto riguarda le funzioni vitali basilari), si sono tutti riproposti nella stessa maniera; e cioè, o in virtù di un cambiamento o meno, quello che probabilmente raffigurava l'elemento comune, era questa impressione, sensazione che nei giorni seguenti sarei stato male, in virtù di questo pesante fardello che già avvertivo dentro, e che so mi avrebbe condotto alle solite conseguenze, non mangiare, non stare bene, etc... cose che puntualmente si avveravano.
Mi viene male rispondere alla sua domanda circa il tipo di trattamento sino ad ora effettuato: nella mia esperienza, l'intervento psicologico mi è senz'altro tornato utile, tanto che raccomanderei sempre, anziché considerarla alla stregua di un taboo (come ancora, sfortunatamente, fanno in molti), una visita psicologica; nondimeno, devo purtroppo ravvisare questa cattiva abitudine (almeno per quanto è a me capitato) da parte degli psicoterapeuti di non dare un'indicazione precisa del tipo di percorso che andrà ad essere effettuato, né tantomeno della diagnosi del problema o dei tempi necessari a risolverlo.
Quello che le posso dire è che inizialmente ci si è dedicati a risolvere le emergenze legate all'ansia acuta e agli attacchi di panico che mi attanagliavano nei primi periodi della mia adultità, quindi si è passati alla gestione della mia crescita personale, attraverso un percorso che mi permettesse di capire i comportamenti errati della mia vita e le scelte che invece potevano essere più funzionali ad una mia realizzazione (è anche grazie alla psicoterapia, se mi sono iscritto all'università e ho conseguito la laurea). Un nuovo percorso è stato intrapreso al nord, in seguito alle difficoltà adattive cui sono andato incontro quando mi sono trasferito per svolgere la specialistica. Ho sentito di essere cresciuto tanto, in quel tempo. Poi, una volta partito per l'estero ho trovato delle nuove difficoltà, pensavo di essere ricaduto ma ho tenuto duro e sono andato avanti: dopo diversi giorni di angoscia e alcune settimane complicate, stavo finalmente bene, tanto da pensare che avevo finalmente svoltato. Mi sentivo forte, maturo, pensavo di aver ormai elaborato e superato ogni insicurezza passata, e che fosse questa una situazione definitiva. Ero una delle versioni migliori di me. Il ritorno in Italia, la quarantena, il crollo delle illusioni che mi ero forse costruito, hanno determinato una insoddisfazione di fondo e, la mia vita, non credo fosse più quella che avrei desiderato avere. Tornato al sud nei mesi estivi, mi rendevo così conto di quanto stessi in realtà mentalmente male: mi rivolgevo quindi di nuovo ad uno psicoterapeuta, con cui abbiamo elaborato i fatti degli ultimi mesi e cercato di analizzare le mie volontà future, così come i rapporti attuali all'interno della mia famiglia. E' stata una buona estate, sono stato bene, tanto dall'aver valutato di tentare di costruirmi una vita qui. Ho più volte sottoposto a questo terapeuta il mio problema qui descritto: devo constatare, ahimé, che non ho trovato troppo aiuto. Mi si dice di essere più lento, di respirare questa ansia, decifrarla, ma a me restano nozioni astratte che non trovano un seguito risolutivo utile.
Le chiederei quindi, in conclusione, quale può essere il percorso più appropriato per me e cosa mi suggerisce di fare nell'immediato (qualcosa che possa anche fare in autonomia, oltre a chiedere supporto a qualcuno di competenza), per trovare una soluzione a questo problema che, ormai da troppo tempo, mi causa un fastidio spesso invalidante.
Ringraziandola molto, le porgo distinti saluti
[#7]
Gentile utente,
ci chiede:
".. in conclusione ... quale può essere il percorso più appropriato per me e cosa mi suggerisce di fare nell'immediato (qualcosa che possa anche fare in autonomia, oltre a chiedere supporto a qualcuno di competenza), per trovare una soluzione a questo problema.". E torno al Suo titolo del Consulto.
A questo punto vorrei fare con Lei un ragionamento complessivo, considerato che il "Disordine alimentare in certe situazioni" (titolo) non è un sintomo affatto facile, nè nella diagnosi, nè nella cura.
Al punto che già da alcuni anni su tutto il territorio nazionale sono stati istituiti dei veri e propri *Centri per i disturbi del comportamento alimentare (CdA)* presso il Servizio Sanitario Nazionale (ASL/USL e dunque NON privati, non a pagamento).
Cosa hanno di speciale o di particolare tali Centri?
Una caratteristica fondamentale:
mettono in rete - e dunque in stretta collaborazione di persona - i vari e differenti Specialisti che si occupano di tale problematica,
dalla diagnosi alla cura.
Gli specialisti - nutrizionista, psicologo, psichiatra, endocrinologo, ecc. - sono cioè a disposizione in forma "integrata", cioè coordinati tra loro come potrà leggere qui, compresa la mappa:
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/6999-anoressia-bulimia-binge-eating-sconfiggere-dca.html .
I disturbi del comportamento alimentare infatti rappresentano problematiche COMPLESSE, che nessuno Specialista può illudersi di gestire da solo o per il proprio "pezzetto",
nè nella diagnosi nè nella terapia,
pena il fallimento, oppure trattamenti-tampone.
E non è una affermazione solo mia: "L’associazione del trattamento psicoterapeutico con quello nutrizionale trova la sua ragione nel fatto che questi disturbi sono il risultato di condizioni disfunzionali multidimensionali in cui operano diversi fattori fisici e psichici predisponenti, precipitanti e perpetuanti. Il trattamento combinato evita inoltre il rischio delle *guarigioni sintomatiche*, evenienza frequente se al cambiamento del comportamento alimentare patologico non corrisponde un cambiamento degli atteggiamenti psicologici profondi", è il Ministero della Salute a scriverlo (in http://www.salute.gov.it/portale/donna/dettaglioContenutiDonna.jsp?lingua=italiano&id=4470&area=Salute%20donna&menu=patologie ).
Tutto ciò per raccomandarLe di non affidare ad un Consulto online le sorti della Sua vita, del Suo benessere, della qualità del vivere.
Noi siamo qui per orientare, per indirizzare chi ci scrive verso la via corretta.
Oggi sempre più è fondamentale possedere le informazioni giuste, complete, non di parte, non necessariamente a pagamento.
Grazie alle nostre info qui molte persone hanno iniziato ad affrontare correttamente i problemi del comportamento alimentare rivolgendosi ai Centri specifici, dandocene poi gradito riscontro.
Per quanto riguarda poi le difficolà specificamente legate alla fase Covid-19, potrà documentarsi in
"Disturbi dell’alimentazione e COVID-19" dell'Istituto superiore della Sanità:
https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-dipendenze-disturbi-alimentazione
dato che la pandemia e le limitazioni ad essa collegate sono (state?) in grado di esacerbare situazioni già fragili.
Siamo lieti che si sia rivolto proprio a noi, Psicologi e Psicoterapeuti dell'area di Psicologia, in modo da poterLe fornire tali corrette e complete info.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
ci chiede:
".. in conclusione ... quale può essere il percorso più appropriato per me e cosa mi suggerisce di fare nell'immediato (qualcosa che possa anche fare in autonomia, oltre a chiedere supporto a qualcuno di competenza), per trovare una soluzione a questo problema.". E torno al Suo titolo del Consulto.
A questo punto vorrei fare con Lei un ragionamento complessivo, considerato che il "Disordine alimentare in certe situazioni" (titolo) non è un sintomo affatto facile, nè nella diagnosi, nè nella cura.
Al punto che già da alcuni anni su tutto il territorio nazionale sono stati istituiti dei veri e propri *Centri per i disturbi del comportamento alimentare (CdA)* presso il Servizio Sanitario Nazionale (ASL/USL e dunque NON privati, non a pagamento).
Cosa hanno di speciale o di particolare tali Centri?
Una caratteristica fondamentale:
mettono in rete - e dunque in stretta collaborazione di persona - i vari e differenti Specialisti che si occupano di tale problematica,
dalla diagnosi alla cura.
Gli specialisti - nutrizionista, psicologo, psichiatra, endocrinologo, ecc. - sono cioè a disposizione in forma "integrata", cioè coordinati tra loro come potrà leggere qui, compresa la mappa:
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/6999-anoressia-bulimia-binge-eating-sconfiggere-dca.html .
I disturbi del comportamento alimentare infatti rappresentano problematiche COMPLESSE, che nessuno Specialista può illudersi di gestire da solo o per il proprio "pezzetto",
nè nella diagnosi nè nella terapia,
pena il fallimento, oppure trattamenti-tampone.
E non è una affermazione solo mia: "L’associazione del trattamento psicoterapeutico con quello nutrizionale trova la sua ragione nel fatto che questi disturbi sono il risultato di condizioni disfunzionali multidimensionali in cui operano diversi fattori fisici e psichici predisponenti, precipitanti e perpetuanti. Il trattamento combinato evita inoltre il rischio delle *guarigioni sintomatiche*, evenienza frequente se al cambiamento del comportamento alimentare patologico non corrisponde un cambiamento degli atteggiamenti psicologici profondi", è il Ministero della Salute a scriverlo (in http://www.salute.gov.it/portale/donna/dettaglioContenutiDonna.jsp?lingua=italiano&id=4470&area=Salute%20donna&menu=patologie ).
Tutto ciò per raccomandarLe di non affidare ad un Consulto online le sorti della Sua vita, del Suo benessere, della qualità del vivere.
Noi siamo qui per orientare, per indirizzare chi ci scrive verso la via corretta.
Oggi sempre più è fondamentale possedere le informazioni giuste, complete, non di parte, non necessariamente a pagamento.
Grazie alle nostre info qui molte persone hanno iniziato ad affrontare correttamente i problemi del comportamento alimentare rivolgendosi ai Centri specifici, dandocene poi gradito riscontro.
Per quanto riguarda poi le difficolà specificamente legate alla fase Covid-19, potrà documentarsi in
"Disturbi dell’alimentazione e COVID-19" dell'Istituto superiore della Sanità:
https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-dipendenze-disturbi-alimentazione
dato che la pandemia e le limitazioni ad essa collegate sono (state?) in grado di esacerbare situazioni già fragili.
Siamo lieti che si sia rivolto proprio a noi, Psicologi e Psicoterapeuti dell'area di Psicologia, in modo da poterLe fornire tali corrette e complete info.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
[#8]
Utente
Gentile Dottoressa Brunialti,
anzitutto grazie per il puntuale riscontro. Lungi da me affidare la risoluzione del problema ad improbabili metodologie fai da te, non vorrei esser stato frainteso, Quando domandavo al Dottor Fabiano di poter essere indirizzato, intendevo proprio dire che mi venisse suggerita una tipologia di specialista cui rivolgermi; quindi, contestualmente, se potesse darmi dei suggerimenti immediati per tamponare la problematica (che non avrebbero assolutamente surrogare all'intervento del terapeuta).
Ciò che invece continua ahimè a lasciarmi spesso perplesso, è la poca uniformità d'intenti fra gli specialisti del settore. Mi sembra a volte che ognuno tenti di portare acqua al suo mulino. Forse sono io a non aver capito bene la difformità sussistente fra psicoterapia e psichiatria, forse ogni tipo di problema può essere affrontato bene sia con l'una che con l'altra. Sono stato contento di leggere, da parte del Dottor Ruggiero, che il mio tipo di problema non è legato alla sfera dei disturbi alimentari, bensì riconducibile ad un quadro di più semplice ansia anticipatoria; tuttavia, mi sono sorpreso che, ciononostante, venissi indirizzato verso una soluzione di tipo psichiatrico (dunque immagino, farmacologico) per il fronteggiamento del problema.
Vi ringrazio fortemente e mi scuso in anticipo se ho potuto ignorantemente urtare la sensibilità di qualcuno
anzitutto grazie per il puntuale riscontro. Lungi da me affidare la risoluzione del problema ad improbabili metodologie fai da te, non vorrei esser stato frainteso, Quando domandavo al Dottor Fabiano di poter essere indirizzato, intendevo proprio dire che mi venisse suggerita una tipologia di specialista cui rivolgermi; quindi, contestualmente, se potesse darmi dei suggerimenti immediati per tamponare la problematica (che non avrebbero assolutamente surrogare all'intervento del terapeuta).
Ciò che invece continua ahimè a lasciarmi spesso perplesso, è la poca uniformità d'intenti fra gli specialisti del settore. Mi sembra a volte che ognuno tenti di portare acqua al suo mulino. Forse sono io a non aver capito bene la difformità sussistente fra psicoterapia e psichiatria, forse ogni tipo di problema può essere affrontato bene sia con l'una che con l'altra. Sono stato contento di leggere, da parte del Dottor Ruggiero, che il mio tipo di problema non è legato alla sfera dei disturbi alimentari, bensì riconducibile ad un quadro di più semplice ansia anticipatoria; tuttavia, mi sono sorpreso che, ciononostante, venissi indirizzato verso una soluzione di tipo psichiatrico (dunque immagino, farmacologico) per il fronteggiamento del problema.
Vi ringrazio fortemente e mi scuso in anticipo se ho potuto ignorantemente urtare la sensibilità di qualcuno
[#9]
Gentile utente,
Non una "tipologia di specialista", bensì un approccio multiprofessionale.
Questo è quanto il Ministero della Salute raccomanda, e che io
- Professionista con non poca esperienza - condivido in toto.
Una Consulenza presso uno dei Centri indicati Le permetterà di conoscere diagnosi e proposte terapeutiche, multiprofessionali naturalmente;
superando così quella che Lei percepisce come "..poca uniformità d'intenti fra gli specialisti del settore".
Dott. Brunialti
Non una "tipologia di specialista", bensì un approccio multiprofessionale.
Questo è quanto il Ministero della Salute raccomanda, e che io
- Professionista con non poca esperienza - condivido in toto.
Una Consulenza presso uno dei Centri indicati Le permetterà di conoscere diagnosi e proposte terapeutiche, multiprofessionali naturalmente;
superando così quella che Lei percepisce come "..poca uniformità d'intenti fra gli specialisti del settore".
Dott. Brunialti
[#11]
Deve consultare la mappa in https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/6999-anoressia-bulimia-binge-eating-come-sconfiggere-i-dca.html , cliccando sul link Centri nazionali per la cura dei disturbi alimentari,
e contattare direttamente il Centro prescelto.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
e contattare direttamente il Centro prescelto.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
[#12]
Gentile utente
Anche se la Dottoressa Brunialti, le ha risposto abbondante ai suoi diversi quesiti, dato che mi ha rivolto una domanda specifica (Dottor Fabiano di poter essere indirizzato, intendevo proprio dire che mi venisse suggerita una tipologia di specialista cui rivolgermi) e dato che ha fatto una giusta osservazione, cercherò con la premessa di chiarire la sua osservazione(Ciò che invece continua ahimè a lasciarmi spesso perplesso, è la poca uniformità d'intenti fra gli specialisti del settore).
1) c'è una differenza di base nella formazione tra psicologi e psichiatri, cioè i primi studiando psicologia con una integrazione della fisiologia e quindi aspetti medici. Mentre al contrario gli psichiatri sono dei medici che hanno scelto la specializzazione in psichiatra, approfondendo l'utilizzo farmacologico per la cura dei disagi mentali. Questo fa si che si parta da punti di vista diversi sull'individuo, entrambi utile in determinate situazioni, spesso di pericolo per se o altri o altre casistiche complesse, non entro nello specifico. Per uno psicologo per diventare psicoterapeuta deve fare una scuola di specializzazione di 4 anni, mentre uno psichiatra è già considerato psicoterapeuta, anche se spesso fanno ulteriori specializzazioni.
2) Come dicevo anche i differenti punti di vista e di approccio come psicoterapeuti creano differenze sulla modalità di presa in carico, strumenti, strategie ecc ecc.
3) Attualmente sia la psichiatria che la psicologia si stanno concentrando nel capire cosa serve per risolvere i "differenti problemi ". Come tutte le scienze queste hanno processi di sviluppo.
Detto questo concordo con la Dottoressa Brunialti che affidarsi, in casi complessi come ad esempio un disturbo alimentare (ma ce ne sono molti altri) ad un équipe di professionisti non è solo un indicazione del ministro, ma un dato di fatto, una necessità.
Fatte tutte queste premesse, doverose per non generare ulteriore confusione in lei, passo al mio punto di vista che le espongo di seguito.
Prima dovrà rivolgersi ad un professionista: psicologo, psichiatra o psicoterapeuta abilitati alla professione (pubblico o privato in base alle sue economie). La scelta del professionista, va fatta in base a cosa ritiene più appropriato per lei e per la sua salute (c'è la libertà di scelta della cura). Fatti ciò con il professionista, dovrà comprendere con lui/lei se questo suo disturbo possa essere un disturbo di tipo alimentare o di tipo ansioso, entrambi plausibili, senza poterla conoscere personalmente.
Con il professionista, al di la del suo indirizzo potrà comprendere se sia il primo o il secondo caso e quindi sciogliere il dubbio.
Questo e cosa dovrebbe fare.
Poi se mi chiede quale indirizzo (essendo uno psicologo la posso orientare su ciò che conosco), le dico con sincerità che per le manifestazioni ansiose e per i disturbi alimentari, gli approcci da letteratura più efficaci, sono la psicoterapia Cognitivo Comportamentale e la psicoterapia Breve ad Approccio Strategico. Queste hanno delle differenze sostanziali anche se utilizzano strumenti molto simili, ma con finalità differenti. La prima lavoro a livello logico e quindi capacità di controllo e gestione. Mentre la seconda lavora sul vissuto emozionale correttivo, quindi far vivere emozioni differenti. Ovviamente se è un disturbo alimentare entrambi lavoreranno in équipe con altri professionisti (così come indicato dalla Dottoressa Brunialti) se invece è un disturbo d'ansia di solito si lavora con uno o due professionisti, principalmente uno psicologo o psicoterapeuta e/o psichiatra, quando il primo ne ritiene la necessità (può essere lo psichiatra che richiede la psicoterapia i viceversa).
Detto questo spero di aver chiarito la sua perplessità e risposto in parte alle sue domande. Il resto dipenderà da lei.
Anche se la Dottoressa Brunialti, le ha risposto abbondante ai suoi diversi quesiti, dato che mi ha rivolto una domanda specifica (Dottor Fabiano di poter essere indirizzato, intendevo proprio dire che mi venisse suggerita una tipologia di specialista cui rivolgermi) e dato che ha fatto una giusta osservazione, cercherò con la premessa di chiarire la sua osservazione(Ciò che invece continua ahimè a lasciarmi spesso perplesso, è la poca uniformità d'intenti fra gli specialisti del settore).
1) c'è una differenza di base nella formazione tra psicologi e psichiatri, cioè i primi studiando psicologia con una integrazione della fisiologia e quindi aspetti medici. Mentre al contrario gli psichiatri sono dei medici che hanno scelto la specializzazione in psichiatra, approfondendo l'utilizzo farmacologico per la cura dei disagi mentali. Questo fa si che si parta da punti di vista diversi sull'individuo, entrambi utile in determinate situazioni, spesso di pericolo per se o altri o altre casistiche complesse, non entro nello specifico. Per uno psicologo per diventare psicoterapeuta deve fare una scuola di specializzazione di 4 anni, mentre uno psichiatra è già considerato psicoterapeuta, anche se spesso fanno ulteriori specializzazioni.
2) Come dicevo anche i differenti punti di vista e di approccio come psicoterapeuti creano differenze sulla modalità di presa in carico, strumenti, strategie ecc ecc.
3) Attualmente sia la psichiatria che la psicologia si stanno concentrando nel capire cosa serve per risolvere i "differenti problemi ". Come tutte le scienze queste hanno processi di sviluppo.
Detto questo concordo con la Dottoressa Brunialti che affidarsi, in casi complessi come ad esempio un disturbo alimentare (ma ce ne sono molti altri) ad un équipe di professionisti non è solo un indicazione del ministro, ma un dato di fatto, una necessità.
Fatte tutte queste premesse, doverose per non generare ulteriore confusione in lei, passo al mio punto di vista che le espongo di seguito.
Prima dovrà rivolgersi ad un professionista: psicologo, psichiatra o psicoterapeuta abilitati alla professione (pubblico o privato in base alle sue economie). La scelta del professionista, va fatta in base a cosa ritiene più appropriato per lei e per la sua salute (c'è la libertà di scelta della cura). Fatti ciò con il professionista, dovrà comprendere con lui/lei se questo suo disturbo possa essere un disturbo di tipo alimentare o di tipo ansioso, entrambi plausibili, senza poterla conoscere personalmente.
Con il professionista, al di la del suo indirizzo potrà comprendere se sia il primo o il secondo caso e quindi sciogliere il dubbio.
Questo e cosa dovrebbe fare.
Poi se mi chiede quale indirizzo (essendo uno psicologo la posso orientare su ciò che conosco), le dico con sincerità che per le manifestazioni ansiose e per i disturbi alimentari, gli approcci da letteratura più efficaci, sono la psicoterapia Cognitivo Comportamentale e la psicoterapia Breve ad Approccio Strategico. Queste hanno delle differenze sostanziali anche se utilizzano strumenti molto simili, ma con finalità differenti. La prima lavoro a livello logico e quindi capacità di controllo e gestione. Mentre la seconda lavora sul vissuto emozionale correttivo, quindi far vivere emozioni differenti. Ovviamente se è un disturbo alimentare entrambi lavoreranno in équipe con altri professionisti (così come indicato dalla Dottoressa Brunialti) se invece è un disturbo d'ansia di solito si lavora con uno o due professionisti, principalmente uno psicologo o psicoterapeuta e/o psichiatra, quando il primo ne ritiene la necessità (può essere lo psichiatra che richiede la psicoterapia i viceversa).
Detto questo spero di aver chiarito la sua perplessità e risposto in parte alle sue domande. Il resto dipenderà da lei.
[#13]
Utente
Buonasera cari dottori. Volevo darvi un piccolo aggiornamento rispetto alla mia situazione.
Come vi dicevo iniziavo a sentire quell'ansia che si avvicinava in vista della nuova partenza ergo cambiamento da affrontare. In realtà le cose sono cambiate, non sono più dovuto partire in quanto la banca mi ha comunicato che sarà possibile lavorare in smartworking. Comunque quella piccola ansia si è tramutata in qualcosa di più, ed è sfociata in un brutto episodio depressivo. Ho fatto fatica a mangiare per giorni, una sera ho addirittura rigurgitato tutto. Nel frattempo umore disperato e, in una di queste brutte giornate, ricordo una sera di essermi intorpidito sul divano alle 22 per risvegliarmi l'indomani mattina alle 8, rimanendo tuttavia immobile nella medesima posizione fino alle 12. Non avevo la forza, la voglia, l'interesse; l'unica cosa da fare mi sembrava star lì coricato in attesa di trovare un briciolo di energia e/o motivazione.
Ad ogni modo ho contattato un medico che potesse essere d'aiuto nella mia situazione. Mi è stato prescritto il Cipralex, secondo una terapia a scalare progressiva (una goccia il primo giorno, due gocce per i due giorni a venire, tre gocce per i tre giorni ancora successivi... e così via fino a raggiungere le dieci gocce, che andranno poi a diminuire inversamente secondo lo stesso schema allorché sarà il momento di uscire dalla terapia) della durata di 6 mesi.
Nel frattempo mi è stato indicato uno psicoterapeuta cognitivo-comportamentale cui andrò domani per la prima volta.
Ho iniziato a prendere le gocce martedì scorso, sono ancora a 4 gocce giornaliere e a prescindere da ciò mi è stato detto ci vogliono almeno 15 giorni per sentire i primi effetti.
Comunque sto poco meglio, sono in risalita per fortuna, da quell'episodio maledetto. Spero adesso di poter trovare un equilibrio con la cura farmacologica integrata alla terapia.
Vi ringrazio per il supporto fornito.
Lieto di ricevere vostre ulteriori considerazioni in merito a quanto scritto.
Cordialità
Come vi dicevo iniziavo a sentire quell'ansia che si avvicinava in vista della nuova partenza ergo cambiamento da affrontare. In realtà le cose sono cambiate, non sono più dovuto partire in quanto la banca mi ha comunicato che sarà possibile lavorare in smartworking. Comunque quella piccola ansia si è tramutata in qualcosa di più, ed è sfociata in un brutto episodio depressivo. Ho fatto fatica a mangiare per giorni, una sera ho addirittura rigurgitato tutto. Nel frattempo umore disperato e, in una di queste brutte giornate, ricordo una sera di essermi intorpidito sul divano alle 22 per risvegliarmi l'indomani mattina alle 8, rimanendo tuttavia immobile nella medesima posizione fino alle 12. Non avevo la forza, la voglia, l'interesse; l'unica cosa da fare mi sembrava star lì coricato in attesa di trovare un briciolo di energia e/o motivazione.
Ad ogni modo ho contattato un medico che potesse essere d'aiuto nella mia situazione. Mi è stato prescritto il Cipralex, secondo una terapia a scalare progressiva (una goccia il primo giorno, due gocce per i due giorni a venire, tre gocce per i tre giorni ancora successivi... e così via fino a raggiungere le dieci gocce, che andranno poi a diminuire inversamente secondo lo stesso schema allorché sarà il momento di uscire dalla terapia) della durata di 6 mesi.
Nel frattempo mi è stato indicato uno psicoterapeuta cognitivo-comportamentale cui andrò domani per la prima volta.
Ho iniziato a prendere le gocce martedì scorso, sono ancora a 4 gocce giornaliere e a prescindere da ciò mi è stato detto ci vogliono almeno 15 giorni per sentire i primi effetti.
Comunque sto poco meglio, sono in risalita per fortuna, da quell'episodio maledetto. Spero adesso di poter trovare un equilibrio con la cura farmacologica integrata alla terapia.
Vi ringrazio per il supporto fornito.
Lieto di ricevere vostre ulteriori considerazioni in merito a quanto scritto.
Cordialità
Questo consulto ha ricevuto 15 risposte e 2k visite dal 03/11/2020.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Approfondimento su DCA: Disturbi del Comportamento Alimentare
I disturbi alimentari (DCA), come anoressia, bulimia e binge eating, sono patologie legate a un comportamento disfunzionale verso il cibo. Sintomi, cause, cura.