Vorrei capire se sbaglio a relazionarmi con i miei genitori/ consigli
Gentili dottori,
sono una donna di 34 anni, vivo in un piccolo paese e sono ancora a casa dei miei genitori con mia sorella.
Il periodo che sto affrontando non è semplice o forse sono io che non riesco a combattere come dovrei, anche se mi sento determinata.
Dopo la laurea ho fatto dei lavori che non mi piacevano.
A 32 anni finalmente dopo un colloquio sono stata scelta in un ruolo che mi piaceva a pochi km da casa.
Dovendo effettuare un lavoro su turni mi è stata offerta una camera e la possibilità di vivere lì durante i mesi di lavoro.
Per me era un sogno, ho accolto questa notizia con grande entusiasmo.
Mia madre molto meno, non si capacitava che sua figlia, potesse dormire fuori casa per tanto tempo.
Io non ho rinunciato al lavoro, che lei considerava anche al di sotto delle mie potenzialità.
I 2 anni di lavoro mi hanno dato grandi soddisfazioni ed ho dimostrato a me stessa e ai miei superiori di essere diventata una professionista.
I complimenti da parte degli ospiti e dei superiori non sono mancati.
Quando non ho confermato la terza stagione, il responsabile ha tentato di convincermi a tornare.
Mi voleva lì.
La forza interiore in me è cresciuta a dismisura.
Da circa 1 anno ho travato un lavoro PER TUTTO L'ANNO, volendo raggiungere altri obiettivi e soprattutto per rendermi autonoma economicamente.
Tutta la sicurezza acquisita mi ha portato a desiderare la mia indipendenza e l'uscita da casa che però ho represso sapendo che i miei non sarebbero stati d'accordo.
Ora però non riesco più a reprimere questo mio desiderio, in realtà ho deciso di uscire di casa e di costruire un posto mio.
Ho iniziato a fare qualche ricerca per vedere se ci fossero case in affitto nel mio paese oppure nei paesi limitrofi.
E qualcosa sul risparmio quando si vive fuori.
Mia madre ha beccato questi appunti sulla mia agenda e non mi ha parlato per 3 giorni.
Dopo una settimana insonne ho deciso di dirlo ai miei genitori, da premettere che in casa mio padre sta avendo un piccolo problema, risolvibile ma nulla di grave.
Credo di non aver fatto nulla di male nell'informarli della mia decisione.
C'è il momento giusto per dire qualcosa che non si vuole sentire dire?
Mia madre ha reagito accredendomi, dicendo che sono un'egoista (quando invece sono sempre stata disponibile tralasciando i miei impegni), dicendomi che dovrei vergognarmi.
Ed altre cose poco carine.
Che faccio le cose di nascosto, e questo solo per qualche ricerca on-line.
Che ho paura di non trovare un uomo che mi carichi.
Che ho paura di restare ancora in casa per il rischio di dover fare da badante a loro (i miei genitori non sono anziani).
Che non è questo il modo di fare.
Cosa avrei dovuto fare?
chiedere il permesso?
Ma si tratta della mia vita.
Capisco che possano essere preoccupati ma addirittura contrariati non credevo.
Non sono mai riuscita a spiegare le mie ragioni di una decisione se mia madre non la condivideva.
Io non vorrei rinunciare alla mia vita.
Vi saluto e spero nei vostri consigli.
Grazie
sono una donna di 34 anni, vivo in un piccolo paese e sono ancora a casa dei miei genitori con mia sorella.
Il periodo che sto affrontando non è semplice o forse sono io che non riesco a combattere come dovrei, anche se mi sento determinata.
Dopo la laurea ho fatto dei lavori che non mi piacevano.
A 32 anni finalmente dopo un colloquio sono stata scelta in un ruolo che mi piaceva a pochi km da casa.
Dovendo effettuare un lavoro su turni mi è stata offerta una camera e la possibilità di vivere lì durante i mesi di lavoro.
Per me era un sogno, ho accolto questa notizia con grande entusiasmo.
Mia madre molto meno, non si capacitava che sua figlia, potesse dormire fuori casa per tanto tempo.
Io non ho rinunciato al lavoro, che lei considerava anche al di sotto delle mie potenzialità.
I 2 anni di lavoro mi hanno dato grandi soddisfazioni ed ho dimostrato a me stessa e ai miei superiori di essere diventata una professionista.
I complimenti da parte degli ospiti e dei superiori non sono mancati.
Quando non ho confermato la terza stagione, il responsabile ha tentato di convincermi a tornare.
Mi voleva lì.
La forza interiore in me è cresciuta a dismisura.
Da circa 1 anno ho travato un lavoro PER TUTTO L'ANNO, volendo raggiungere altri obiettivi e soprattutto per rendermi autonoma economicamente.
Tutta la sicurezza acquisita mi ha portato a desiderare la mia indipendenza e l'uscita da casa che però ho represso sapendo che i miei non sarebbero stati d'accordo.
Ora però non riesco più a reprimere questo mio desiderio, in realtà ho deciso di uscire di casa e di costruire un posto mio.
Ho iniziato a fare qualche ricerca per vedere se ci fossero case in affitto nel mio paese oppure nei paesi limitrofi.
E qualcosa sul risparmio quando si vive fuori.
Mia madre ha beccato questi appunti sulla mia agenda e non mi ha parlato per 3 giorni.
Dopo una settimana insonne ho deciso di dirlo ai miei genitori, da premettere che in casa mio padre sta avendo un piccolo problema, risolvibile ma nulla di grave.
Credo di non aver fatto nulla di male nell'informarli della mia decisione.
C'è il momento giusto per dire qualcosa che non si vuole sentire dire?
Mia madre ha reagito accredendomi, dicendo che sono un'egoista (quando invece sono sempre stata disponibile tralasciando i miei impegni), dicendomi che dovrei vergognarmi.
Ed altre cose poco carine.
Che faccio le cose di nascosto, e questo solo per qualche ricerca on-line.
Che ho paura di non trovare un uomo che mi carichi.
Che ho paura di restare ancora in casa per il rischio di dover fare da badante a loro (i miei genitori non sono anziani).
Che non è questo il modo di fare.
Cosa avrei dovuto fare?
chiedere il permesso?
Ma si tratta della mia vita.
Capisco che possano essere preoccupati ma addirittura contrariati non credevo.
Non sono mai riuscita a spiegare le mie ragioni di una decisione se mia madre non la condivideva.
Io non vorrei rinunciare alla mia vita.
Vi saluto e spero nei vostri consigli.
Grazie
[#1]
Gentile ragazza,
occorre intanto chiarire che lo psicologo non dà consigli, ma aiuta l'utente a vedere i problemi sotto un'angolatura diversa, al fine di aiutarlo a scegliere quella che per lui è la migliore soluzione.
Nel suo caso la domanda è nel titolo: "Vorrei capire se sbaglio a relazionarmi con i miei genitori".
Di seguito lei racconta la crescita e l'evoluzione di una donna sempre più matura, in possesso di titolo di studio, lavoro e stipendio, che però i genitori, a quanto pare, non vogliono riconoscere come adulta.
Da qui, noi non possiamo sapere da cosa nasce tutto questo.
Da una loro debolezza, per coltivare l'illusione di essere ancora giovani genitori di bambini?
Dall'idea poco verosimile che se la figlia resta nel ruolo della bimba conserverà anche lo stesso affetto cieco?
Da pregiudizi di paese, per cui la figlia che abbandona la casa paterna sarà considerata indegna di varcare la soglia della casa nuziale, creduta l'unica alternativa legittima?
Oppure da un'ingerenza grave nella sua vita, così antica che lei nemmeno si accorge che è indebita? A questo farebbe pensare il fatto che sua madre guardi la sua agenda o i siti Internet che lei esplora. Una persona discreta evita di fare questo anche con una bimba di dieci anni.
Certamente le frasi di sua madre, che riferisce, non sembrano all'altezza di una conversazione tra adulte, e non sembrano ispirate a rispetto e affetto per lei.
E suo padre come interviene in queste aggressioni? Sua sorella cosa dice?
Lei conclude: "Non sono mai riuscita a spiegare le mie ragioni di una decisione se mia madre non la condivideva".
Ma non sempre e non a tutti dobbiamo spiegare dettagliatamente cosa desideriamo fare della nostra vita. C'è un'età in cui perfino gli errori sono parte del vivere, leciti e auspicabili.
Può darsi che una certa aggressività materna paralizzi la vita familiare. Se il suo peso e la sua altezza sono quelli che ha scritto, che ci sia qualche problema è ipotizzabile.
Cerchi l'aiuto di una consulenza psicologica per essere supportata nelle sue scelte e per imparare a tutelare i suoi diritti, facendone strumenti di crescita anche per i suoi genitori, e non armi di distruzione di voi stessi e del vostro legame.
Auguri. Ci scriva ancora.
occorre intanto chiarire che lo psicologo non dà consigli, ma aiuta l'utente a vedere i problemi sotto un'angolatura diversa, al fine di aiutarlo a scegliere quella che per lui è la migliore soluzione.
Nel suo caso la domanda è nel titolo: "Vorrei capire se sbaglio a relazionarmi con i miei genitori".
Di seguito lei racconta la crescita e l'evoluzione di una donna sempre più matura, in possesso di titolo di studio, lavoro e stipendio, che però i genitori, a quanto pare, non vogliono riconoscere come adulta.
Da qui, noi non possiamo sapere da cosa nasce tutto questo.
Da una loro debolezza, per coltivare l'illusione di essere ancora giovani genitori di bambini?
Dall'idea poco verosimile che se la figlia resta nel ruolo della bimba conserverà anche lo stesso affetto cieco?
Da pregiudizi di paese, per cui la figlia che abbandona la casa paterna sarà considerata indegna di varcare la soglia della casa nuziale, creduta l'unica alternativa legittima?
Oppure da un'ingerenza grave nella sua vita, così antica che lei nemmeno si accorge che è indebita? A questo farebbe pensare il fatto che sua madre guardi la sua agenda o i siti Internet che lei esplora. Una persona discreta evita di fare questo anche con una bimba di dieci anni.
Certamente le frasi di sua madre, che riferisce, non sembrano all'altezza di una conversazione tra adulte, e non sembrano ispirate a rispetto e affetto per lei.
E suo padre come interviene in queste aggressioni? Sua sorella cosa dice?
Lei conclude: "Non sono mai riuscita a spiegare le mie ragioni di una decisione se mia madre non la condivideva".
Ma non sempre e non a tutti dobbiamo spiegare dettagliatamente cosa desideriamo fare della nostra vita. C'è un'età in cui perfino gli errori sono parte del vivere, leciti e auspicabili.
Può darsi che una certa aggressività materna paralizzi la vita familiare. Se il suo peso e la sua altezza sono quelli che ha scritto, che ci sia qualche problema è ipotizzabile.
Cerchi l'aiuto di una consulenza psicologica per essere supportata nelle sue scelte e per imparare a tutelare i suoi diritti, facendone strumenti di crescita anche per i suoi genitori, e non armi di distruzione di voi stessi e del vostro legame.
Auguri. Ci scriva ancora.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#2]
Utente
Grazie della sua risposta dottoressa Potenza.
Mia madre guarda con grande sofferenza una mia eventuale uscita di casa. Solo con degli appunti, le ho visto mettere il muso ed avere anche del malessere.
Mi ha ferita lei con le parole usate.Credo che il suo essere contraria derivi dal fatto che lei non abbia mai pensato che io potessi uscire da casa, non avendo un progetto di matrimonio. Nel nostro confronto animato mi ha detto "cosa penserebbe la gente se sapesse che te ne vai di casa per andare in un'altra casa nello stesso paese??? Non hai motivo per andare via". E' assurdo aver paura di parlare con la propria madre.
Mio padre evita di intervenire per non peggiorare le cose, ma ha chiesto a mia madre se io non stessi bene a casa e se ci fossero problemi. Non a me.
Mia sorella comprende il mio desiderio e crede che sia giusto. Lei interviene difendendo le mie motivazioni e indicando a mia madre di smetterla in quanto esagerata nelle espressioni usate ed anche ingiuste nei miei confronti. Ma quando poi ci viene intimato di andare in camera e che siamo contro di lei, io perdo qualsiasi speranza. Credevo di poter affrontare la cosa in maniera matura. Solo che non voglio rinunciare alla mia vita...
Mia madre guarda con grande sofferenza una mia eventuale uscita di casa. Solo con degli appunti, le ho visto mettere il muso ed avere anche del malessere.
Mi ha ferita lei con le parole usate.Credo che il suo essere contraria derivi dal fatto che lei non abbia mai pensato che io potessi uscire da casa, non avendo un progetto di matrimonio. Nel nostro confronto animato mi ha detto "cosa penserebbe la gente se sapesse che te ne vai di casa per andare in un'altra casa nello stesso paese??? Non hai motivo per andare via". E' assurdo aver paura di parlare con la propria madre.
Mio padre evita di intervenire per non peggiorare le cose, ma ha chiesto a mia madre se io non stessi bene a casa e se ci fossero problemi. Non a me.
Mia sorella comprende il mio desiderio e crede che sia giusto. Lei interviene difendendo le mie motivazioni e indicando a mia madre di smetterla in quanto esagerata nelle espressioni usate ed anche ingiuste nei miei confronti. Ma quando poi ci viene intimato di andare in camera e che siamo contro di lei, io perdo qualsiasi speranza. Credevo di poter affrontare la cosa in maniera matura. Solo che non voglio rinunciare alla mia vita...
[#3]
Gentile utente,
l'errore fondamentale sta nell'assecondare sua madre in quella che è una volontà prevaricatrice, forse frutto di alterazione mentale.
Come altro si possono interpretare parole, aspettative, ordini ("ci viene intimato di andare in camera") che non sono idonei a chi ha passato i trent'anni?
Suo padre non si oppone e a lei viene riferito (ma da chi? dalla mamma stessa, inaffidabile?) che avrebbe chiesto se lei "non sta bene a casa".
Un adulto non sta bene in casa d'altri. Se vuol mangiare, dormire, uscire ad orari suoi, può farlo liberamente a casa dei genitori? Se vuol ricevere amici o amiche, fare delle feste, convivere, può farlo a casa dei genitori?
In genere per un adulto è perfino difficile svolgere una conversazione riservata con un amico, in queste circostanze; e nessuno ha il diritto di negare queste libertà, oggi, a chi può permettersele di tasca propria.
Lei però sembra ancorata alla bambina che era un tempo, e non si accorge di aver quasi raddoppiato l'età in cui è diventata maggiorenne. Certe libertà adulte non vanno contrattate e nemmeno discusse, con nessuno. Non può essere sua madre a dirle se lei deve sposarsi o avere un'infinità di relazioni, e se queste devono essere etero, omo oppure miste.
Ma dentro di lei non è ancora maturata la certezza che l'affetto non vuol dire perdita della libertà, ma al contrario profondo rispetto.
Per questo la invito di nuovo a rivolgersi ad un consulente: il carattere e le idee di sua madre hanno profondamente plasmato la famiglia, a quanto pare.
Pensa di farcela ad uscirne da sola? O vuole "lasciar correre", col rischio di non risolvere mai e contribuire a peggiorare il rapporto perverso con sua madre?
Rifletta.
l'errore fondamentale sta nell'assecondare sua madre in quella che è una volontà prevaricatrice, forse frutto di alterazione mentale.
Come altro si possono interpretare parole, aspettative, ordini ("ci viene intimato di andare in camera") che non sono idonei a chi ha passato i trent'anni?
Suo padre non si oppone e a lei viene riferito (ma da chi? dalla mamma stessa, inaffidabile?) che avrebbe chiesto se lei "non sta bene a casa".
Un adulto non sta bene in casa d'altri. Se vuol mangiare, dormire, uscire ad orari suoi, può farlo liberamente a casa dei genitori? Se vuol ricevere amici o amiche, fare delle feste, convivere, può farlo a casa dei genitori?
In genere per un adulto è perfino difficile svolgere una conversazione riservata con un amico, in queste circostanze; e nessuno ha il diritto di negare queste libertà, oggi, a chi può permettersele di tasca propria.
Lei però sembra ancorata alla bambina che era un tempo, e non si accorge di aver quasi raddoppiato l'età in cui è diventata maggiorenne. Certe libertà adulte non vanno contrattate e nemmeno discusse, con nessuno. Non può essere sua madre a dirle se lei deve sposarsi o avere un'infinità di relazioni, e se queste devono essere etero, omo oppure miste.
Ma dentro di lei non è ancora maturata la certezza che l'affetto non vuol dire perdita della libertà, ma al contrario profondo rispetto.
Per questo la invito di nuovo a rivolgersi ad un consulente: il carattere e le idee di sua madre hanno profondamente plasmato la famiglia, a quanto pare.
Pensa di farcela ad uscirne da sola? O vuole "lasciar correre", col rischio di non risolvere mai e contribuire a peggiorare il rapporto perverso con sua madre?
Rifletta.
[#4]
Utente
In realtà è difficile sentirsi adulti se le persone più vicine non ti considerano tale. Nel mondo del lavoro sono ormai avviata e rispettata, poi rientro a casa e mi sembra di tornare nel passato. Grazie a lei sto prendendo coscienza del fatto che la situazione sia più grave di quanto pensassi.
Mi scusi dottoressa, ho letto e riletto questa frase, "Ma dentro di lei non è ancora maturata la certezza che l'affetto non vuol dire perdita della libertà, ma al contrario profondo rispetto.". Ma non riesco ad afferrarne il significato.
Per il consiglio di rivolgermi ad un consulente, lei cosa mi suggerirebbe, uno psicologo oppure uno psicoterapeuta?
Io la ringrazio per il tempo che mi dedica.
Mi scusi dottoressa, ho letto e riletto questa frase, "Ma dentro di lei non è ancora maturata la certezza che l'affetto non vuol dire perdita della libertà, ma al contrario profondo rispetto.". Ma non riesco ad afferrarne il significato.
Per il consiglio di rivolgermi ad un consulente, lei cosa mi suggerirebbe, uno psicologo oppure uno psicoterapeuta?
Io la ringrazio per il tempo che mi dedica.
[#5]
Gentile utente,
gli psicoterapeuti, in Italia, sono psicologi oppure medici i quali hanno compiuto un particolare percorso di specializzazione quadriennale in uno o altro ramo dell'intervento clinico sul paziente: per fare qualche esempio, terapia cognitiva, psicoanalitica, funzionale, sistemica, etc.
In caso di malattia psichiatrica, il medico può prescrivere anche farmaci, lo psicologo no.
In un caso come il suo occorre uno psicologo, purché esperto, se ha la sua fiducia.
Infatti al processo di cambiamento che lei dovrà attuare si oppone sempre una grande resistenza interna, e anche dei familiari: occorre quindi tenacia da parte del curante, fiducia e forte motivazione da parte sua.
Veniamo al significato della frase: "Ma dentro di lei non è ancora maturata la certezza che l'affetto non vuol dire perdita della libertà, ma al contrario profondo rispetto".
Lei si comporta, e valuta sé stessa, come una bambina. Fa sorridere la frase: "è difficile sentirsi adulti se le persone più vicine non ti considerano tale". Vuol dire che il giudizio che ha di sé, più che trentenne, dipende da quello che hanno gli altri?
Pensi se questa situazione si estendesse fuori dalla cerchia familiare. Se un datore di lavoro le dicesse che lei è un'incapace e ruba lo stipendio, o un partner l'accusasse di tradirlo, lei accetterebbe passivamente questi "giudizi", o li riconoscerebbe per quello che sono: insulti e calunnie?
In famiglia però agisce diversamente. La sua dipendenza da sua madre non investe solo la sfera affettiva, ma anche quella cognitiva: lei pensa quasi che sua madre abbia ragione. Questa visione è alterata, perché idonea ad un'età mentale sotto gli otto anni.
Forse pensa che il rispetto debba esistere da una parte sola e in un'unica modalità: dal bambino verso i genitori, espresso esclusivamente con l'obbedienza, col non ribattere mai alle loro argomentazioni.
Ovviamente, il rispetto dovrebbe esistere dalle due parti da subito, ma nel tempo ne mutano le forme: ad un figlio di sei mesi non si fa scegliere se vuole farsi cambiare il pannolino, ed è rispetto verso di lui il fatto di nutrirlo e accudirlo; alla figlia di trenta non si dovrebbe mai dire: "stai facendo le cose di nascosto", "hai paura di non trovare un uomo", "vattene in camera tua".
Ugualmente da parte del figlio, a sei anni non ha gli strumenti per confutare le richieste dei genitori (sempre se non sono genitori abusanti), ma a diciotto comincia ad averli e a trenta ne ha in abbondanza.
Il figlio adulto manifesta rispetto col fatto che non grida contro i genitori e non li insulta, anche quando è ormai chiaro che non sono infallibili come li riteneva da bambino, anzi a volte lo esasperano. Li aiuta a maturare e li corregge con dolcezza se appaiono arenati in una visione inidonea della realtà, specie nel campo minato dei rapporti reciproci.
In questo settore si gioca infatti non solo la sana evoluzione della vita, del figlio come dei genitori, ma l'affetto reciproco, che inevitabilmente si può mantenere solo se da tutte e due le parti non lo si demolisce a picconate.
Un genitore che impedisce al figlio di vivere la sua vita, in effetti non lo rispetta e non lo ama. Non lo sta convincendo a stargli vicino: lo sta forzando a scappare.
Può farlo per scarsa sensibilità, egoismo o malattia, ma il risultato non cambia: prima o poi finirà per alienarsi l'amore del figlio.
Il figlio che ci tiene a mantenere il legame dovrà dunque adoperarsi per aprire gli occhi ai genitori, non per tollerare troppo a lungo e infine mollarli per sempre.
Ecco il significato della frase "dentro di lei non è ancora maturata la certezza che l'affetto non vuol dire perdita della libertà, ma al contrario profondo rispetto".
Rispettare i suoi non vuol dire scappare in camera non appena sua madre si abbandona alle sue crisi isteriche, ma ribadire il principio dei suoi diritti adulti, con pazienza e dolcezza, segnalando il rischio che questi atteggiamenti comportano.
Provi a leggere il libro di Althea Horner "Essere e amare". Spiega come tra il primo e il secondo anno di vita si può far credere a un bambino che se vuol bene alla mamma deve rinunciare ad esistere come individuo. Questo segnerà, tra l'altro, la sua vita adulta, creandogli difficoltà col partner, ma non migliorerà certo la relazione con la madre.
Ci pensi.
gli psicoterapeuti, in Italia, sono psicologi oppure medici i quali hanno compiuto un particolare percorso di specializzazione quadriennale in uno o altro ramo dell'intervento clinico sul paziente: per fare qualche esempio, terapia cognitiva, psicoanalitica, funzionale, sistemica, etc.
In caso di malattia psichiatrica, il medico può prescrivere anche farmaci, lo psicologo no.
In un caso come il suo occorre uno psicologo, purché esperto, se ha la sua fiducia.
Infatti al processo di cambiamento che lei dovrà attuare si oppone sempre una grande resistenza interna, e anche dei familiari: occorre quindi tenacia da parte del curante, fiducia e forte motivazione da parte sua.
Veniamo al significato della frase: "Ma dentro di lei non è ancora maturata la certezza che l'affetto non vuol dire perdita della libertà, ma al contrario profondo rispetto".
Lei si comporta, e valuta sé stessa, come una bambina. Fa sorridere la frase: "è difficile sentirsi adulti se le persone più vicine non ti considerano tale". Vuol dire che il giudizio che ha di sé, più che trentenne, dipende da quello che hanno gli altri?
Pensi se questa situazione si estendesse fuori dalla cerchia familiare. Se un datore di lavoro le dicesse che lei è un'incapace e ruba lo stipendio, o un partner l'accusasse di tradirlo, lei accetterebbe passivamente questi "giudizi", o li riconoscerebbe per quello che sono: insulti e calunnie?
In famiglia però agisce diversamente. La sua dipendenza da sua madre non investe solo la sfera affettiva, ma anche quella cognitiva: lei pensa quasi che sua madre abbia ragione. Questa visione è alterata, perché idonea ad un'età mentale sotto gli otto anni.
Forse pensa che il rispetto debba esistere da una parte sola e in un'unica modalità: dal bambino verso i genitori, espresso esclusivamente con l'obbedienza, col non ribattere mai alle loro argomentazioni.
Ovviamente, il rispetto dovrebbe esistere dalle due parti da subito, ma nel tempo ne mutano le forme: ad un figlio di sei mesi non si fa scegliere se vuole farsi cambiare il pannolino, ed è rispetto verso di lui il fatto di nutrirlo e accudirlo; alla figlia di trenta non si dovrebbe mai dire: "stai facendo le cose di nascosto", "hai paura di non trovare un uomo", "vattene in camera tua".
Ugualmente da parte del figlio, a sei anni non ha gli strumenti per confutare le richieste dei genitori (sempre se non sono genitori abusanti), ma a diciotto comincia ad averli e a trenta ne ha in abbondanza.
Il figlio adulto manifesta rispetto col fatto che non grida contro i genitori e non li insulta, anche quando è ormai chiaro che non sono infallibili come li riteneva da bambino, anzi a volte lo esasperano. Li aiuta a maturare e li corregge con dolcezza se appaiono arenati in una visione inidonea della realtà, specie nel campo minato dei rapporti reciproci.
In questo settore si gioca infatti non solo la sana evoluzione della vita, del figlio come dei genitori, ma l'affetto reciproco, che inevitabilmente si può mantenere solo se da tutte e due le parti non lo si demolisce a picconate.
Un genitore che impedisce al figlio di vivere la sua vita, in effetti non lo rispetta e non lo ama. Non lo sta convincendo a stargli vicino: lo sta forzando a scappare.
Può farlo per scarsa sensibilità, egoismo o malattia, ma il risultato non cambia: prima o poi finirà per alienarsi l'amore del figlio.
Il figlio che ci tiene a mantenere il legame dovrà dunque adoperarsi per aprire gli occhi ai genitori, non per tollerare troppo a lungo e infine mollarli per sempre.
Ecco il significato della frase "dentro di lei non è ancora maturata la certezza che l'affetto non vuol dire perdita della libertà, ma al contrario profondo rispetto".
Rispettare i suoi non vuol dire scappare in camera non appena sua madre si abbandona alle sue crisi isteriche, ma ribadire il principio dei suoi diritti adulti, con pazienza e dolcezza, segnalando il rischio che questi atteggiamenti comportano.
Provi a leggere il libro di Althea Horner "Essere e amare". Spiega come tra il primo e il secondo anno di vita si può far credere a un bambino che se vuol bene alla mamma deve rinunciare ad esistere come individuo. Questo segnerà, tra l'altro, la sua vita adulta, creandogli difficoltà col partner, ma non migliorerà certo la relazione con la madre.
Ci pensi.
Questo consulto ha ricevuto 7 risposte e 5.7k visite dal 06/10/2020.
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