Depressione rabbia e malessere fisico dovuto alla convivenza forzata con i suocera
Buongiorno,
mi trovo di nuovo qui a scrivere perché reputo ormai insostenibile la mia situazione e mi sento bloccata senza riuscire ad uscirne.
7anni fa il mio attuale compagno mi propose di convivere a casa sua, ovvero nell'appartamento ricavato dal rustico della villa di famiglia.
Avendo avuto modo di starci qualche volta, la mia risposta fu assolutamente no, perché avevo già visto che lo stile di vita dei suoi familiari era incompatibile per me, ci furono episodi specifici che mi turbarono fortemente, come, ad esempio, trovarmi la sorella, ben consapevole della mia presenza, in giro per casa la mattina presto, alla ricerca dei panni sporchi da lavare al fratello.
Mi giurò e spergiurò che era una situazione momentanea, il tempo necessario per rifarsi economicamente un gruzzolo di denaro.
Sono passarti 6 anni da quella promessa, e nonostante tutti i miei tentativi di far capire che per poter stare avevo bisogno che mettesse dei limiti alle intrusioni familiari, la situazione non è cambiata di una virgola, se non peggiorata dall'arrivo di mio figlio.
Questo ha scaturito in me una rabbia immensa, che si è trasformata anche in agiti fisici di violenza nei confronti del mio compagno, violenza sia fisica che verbale.
Dopo estremo malessere reciproco adesso si è deciso di voler acquistare casa, mosso soprattutto dal fatto che più di una volta ho sottolineato che la colpa della situazione è la sua, e che non ho alcuna intenzione di separarmi da mio figlio neanche per un secondo, cosa che una rottura di rapporto, a termini di legge, implicherebbe.
Ora però ammetto di essere terrorizzata dall'idea di andare a vivere altrove con lui.
È completamente dipendente dalla famiglia, sia economicamente che moralmente, ha permesso e permette intrusioni continue e fa prendere loro scelte che riguardano la nostra vita.
I genitori sono dei manipolatore e tengono entrambe i figli sottoscacco soprattutto con l'aspetto economico.
È chiaro al mio compagno il mio totale disprezzo per la sua famiglia, per lui.
Io ormai mi sento in trappola:ho la sensazione che questa ricerca di una nostra casa sia solo una fuga e questo ci sta portando a guardare robe che neanche si avvicinano a quello che desideravamo, ad un mio costante stato di rabbia e malessere fisico (ho la gastrite costante, non riesco a mangiare se non quando sono fuori casa) ed ho il terrore di non riuscire ad essere quella madre affettuosa e premurosa che mio figlio si meriterebbe.
Sto male da quando mi alzo la mattina a quando vado a dormire, cerco di starci con la testa per il mio piccolo, ma mi risulta tutto difficile.
Feci un percorso di terapia comportamentale per un anno da cui uscì fuori che la situazione di malessere era dovuta a questo quadro di convivenza frustrante.
Lui dice che mi ama, al punto da cercare casa con me, io ormai non ci credo più ma non voglio correre il rischio di dover rinunciare a mio figlio.
Chiedo aiuto perché davvero non ce la faccio più
mi trovo di nuovo qui a scrivere perché reputo ormai insostenibile la mia situazione e mi sento bloccata senza riuscire ad uscirne.
7anni fa il mio attuale compagno mi propose di convivere a casa sua, ovvero nell'appartamento ricavato dal rustico della villa di famiglia.
Avendo avuto modo di starci qualche volta, la mia risposta fu assolutamente no, perché avevo già visto che lo stile di vita dei suoi familiari era incompatibile per me, ci furono episodi specifici che mi turbarono fortemente, come, ad esempio, trovarmi la sorella, ben consapevole della mia presenza, in giro per casa la mattina presto, alla ricerca dei panni sporchi da lavare al fratello.
Mi giurò e spergiurò che era una situazione momentanea, il tempo necessario per rifarsi economicamente un gruzzolo di denaro.
Sono passarti 6 anni da quella promessa, e nonostante tutti i miei tentativi di far capire che per poter stare avevo bisogno che mettesse dei limiti alle intrusioni familiari, la situazione non è cambiata di una virgola, se non peggiorata dall'arrivo di mio figlio.
Questo ha scaturito in me una rabbia immensa, che si è trasformata anche in agiti fisici di violenza nei confronti del mio compagno, violenza sia fisica che verbale.
Dopo estremo malessere reciproco adesso si è deciso di voler acquistare casa, mosso soprattutto dal fatto che più di una volta ho sottolineato che la colpa della situazione è la sua, e che non ho alcuna intenzione di separarmi da mio figlio neanche per un secondo, cosa che una rottura di rapporto, a termini di legge, implicherebbe.
Ora però ammetto di essere terrorizzata dall'idea di andare a vivere altrove con lui.
È completamente dipendente dalla famiglia, sia economicamente che moralmente, ha permesso e permette intrusioni continue e fa prendere loro scelte che riguardano la nostra vita.
I genitori sono dei manipolatore e tengono entrambe i figli sottoscacco soprattutto con l'aspetto economico.
È chiaro al mio compagno il mio totale disprezzo per la sua famiglia, per lui.
Io ormai mi sento in trappola:ho la sensazione che questa ricerca di una nostra casa sia solo una fuga e questo ci sta portando a guardare robe che neanche si avvicinano a quello che desideravamo, ad un mio costante stato di rabbia e malessere fisico (ho la gastrite costante, non riesco a mangiare se non quando sono fuori casa) ed ho il terrore di non riuscire ad essere quella madre affettuosa e premurosa che mio figlio si meriterebbe.
Sto male da quando mi alzo la mattina a quando vado a dormire, cerco di starci con la testa per il mio piccolo, ma mi risulta tutto difficile.
Feci un percorso di terapia comportamentale per un anno da cui uscì fuori che la situazione di malessere era dovuta a questo quadro di convivenza frustrante.
Lui dice che mi ama, al punto da cercare casa con me, io ormai non ci credo più ma non voglio correre il rischio di dover rinunciare a mio figlio.
Chiedo aiuto perché davvero non ce la faccio più
[#1]
Gentile utente,
dal Suo racconto la situazione appare come molto difficile e configura un "doppio legame" che formulo così:
*Con i suoceri non posso stare a causa del malessere che provo,
ma nemmeno senza i suoceri perchè mio marito dipende da loro.*
Come vede, Lei appare senza via d'uscita formulando in tale modo il problema.
Evidentemente occorre "cambiare gli occhiali" con cui si guarda la realtà, ma da soli non si riesce a farlo.
A tal proposito come mai è stata interrotta la psicoterapia? Al momento in cui "esce fuori" qualcosa riguardante le cause, proprio allora è il momento per proseguire con ancor maggiore determinazione,
non per interrompere.
Prima la casa, ora il figlio.
Mi riferisco ai motivi che Lei adduce a se stessa per rimanere in questa situazione difficile.
Della prima abbiamo già parlato, alla questione del figlio arriviamo ora: "..non voglio correre il rischio di dover rinunciare a mio figlio..", Lei dice.
E perchè mai?
Riguardo alla eventuale separazione e alla Sua credenza che Le tolgano il figlio, omai da tempo la legge è cambiata e non è aggiornato affermare che Lei debba (per usare le Sue parole)
"separarmi da mio figlio neanche per un secondo, cosa che una rottura di rapporto, a termini di legge, implicherebbe".
D'altra parte anche il "mammismo" non è una responsabilità lieve, se addirittura la Chiesa Cattolica lo indica come un elemento di nullità del matrimonio religioso.. https://www.medicitalia.it/news/psicologia/4386-il-mammismo-rende-nullo-il-matrimonio.html .
E dunque,
la situazione è sì difficile, ma dal Suo racconto sembra emergere che Lei stessa concorra inconsapevolmente a perpetuarla. Glielo dico con schiettezza, come se fossimo di persona,
affinchè Lei
possa guardare con maggiore realismo i fatti,
possa riprendere il percorso psicoterapeutico,
possa informarsi presso un legale sull'affidamento (condiviso) del figlio al fine di sconfiggere i pensieri distruttivi ma errati, che però Le fanno da alibi.
Noi purtroppo possiamo solo orientarLa sulla via da intraprendere.
Cordiali saluti.
Dott. Brunialti
dal Suo racconto la situazione appare come molto difficile e configura un "doppio legame" che formulo così:
*Con i suoceri non posso stare a causa del malessere che provo,
ma nemmeno senza i suoceri perchè mio marito dipende da loro.*
Come vede, Lei appare senza via d'uscita formulando in tale modo il problema.
Evidentemente occorre "cambiare gli occhiali" con cui si guarda la realtà, ma da soli non si riesce a farlo.
A tal proposito come mai è stata interrotta la psicoterapia? Al momento in cui "esce fuori" qualcosa riguardante le cause, proprio allora è il momento per proseguire con ancor maggiore determinazione,
non per interrompere.
Prima la casa, ora il figlio.
Mi riferisco ai motivi che Lei adduce a se stessa per rimanere in questa situazione difficile.
Della prima abbiamo già parlato, alla questione del figlio arriviamo ora: "..non voglio correre il rischio di dover rinunciare a mio figlio..", Lei dice.
E perchè mai?
Riguardo alla eventuale separazione e alla Sua credenza che Le tolgano il figlio, omai da tempo la legge è cambiata e non è aggiornato affermare che Lei debba (per usare le Sue parole)
"separarmi da mio figlio neanche per un secondo, cosa che una rottura di rapporto, a termini di legge, implicherebbe".
D'altra parte anche il "mammismo" non è una responsabilità lieve, se addirittura la Chiesa Cattolica lo indica come un elemento di nullità del matrimonio religioso.. https://www.medicitalia.it/news/psicologia/4386-il-mammismo-rende-nullo-il-matrimonio.html .
E dunque,
la situazione è sì difficile, ma dal Suo racconto sembra emergere che Lei stessa concorra inconsapevolmente a perpetuarla. Glielo dico con schiettezza, come se fossimo di persona,
affinchè Lei
possa guardare con maggiore realismo i fatti,
possa riprendere il percorso psicoterapeutico,
possa informarsi presso un legale sull'affidamento (condiviso) del figlio al fine di sconfiggere i pensieri distruttivi ma errati, che però Le fanno da alibi.
Noi purtroppo possiamo solo orientarLa sulla via da intraprendere.
Cordiali saluti.
Dott. Brunialti
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
[#2]
Utente
La ringrazio della risposta e del tempo dedicato i. La terapia fu interrotta dalla psicologa che reputò terminato il percorso all'epoca, invitandomi cmq a ricontattarla per qualsiasi necessità. Per ciò che riguarda la mia paura di non volermi separare da mio figlio, mi riferisco alle leggi di affifo congiunto. Il bimbo a 11 mesi è vorrei evitare di fargli vivere i natali alternati, weekend a singhiozzo e via dicendo... Ammetto che è anche una mia necessità. È vero mi sento incastrata in questa situazione soprattutto per la paura di trovarmi a vivere con una persona che possa rinfacciarmi il fatto che l'ho portato via dalla famiglia... Forse così sono stata più chiara nel descrivere il quadro della situazione
[#3]
La paura non è una buona consigliera.
Per paura dei Natali *alternati* Lei garantirebbe a Suo figlio *tutti* i Natali di malessere...
Per timore di essere rinfacciata *talvolta* dal marito, tiene in piedi con i suoceri una compresenza *costante* che la fa stare male...
Ma la vita è Sua.
Noi qui Le abbiamo fornito alcuni strumenti di lettura della situazione (per quanto è fattibile online) e indicazioni di un possibile percorso;
il resto tocca a Lei di persona e in presenza.
Il numero di telefono della Sua Psy c’è l’ha.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Per paura dei Natali *alternati* Lei garantirebbe a Suo figlio *tutti* i Natali di malessere...
Per timore di essere rinfacciata *talvolta* dal marito, tiene in piedi con i suoceri una compresenza *costante* che la fa stare male...
Ma la vita è Sua.
Noi qui Le abbiamo fornito alcuni strumenti di lettura della situazione (per quanto è fattibile online) e indicazioni di un possibile percorso;
il resto tocca a Lei di persona e in presenza.
Il numero di telefono della Sua Psy c’è l’ha.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 7.8k visite dal 22/09/2020.
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