Paura della morte

Gentili dottori,
Da un anno a questa parte non riesco più a vivere la mia vita in modo sereno.
Lo scorso settembre, mentre guidavo, ho avuto un forte attacco di panico e ho rischiato di perdere il controllo della mia macchina.
Mi sono fermata in una piazzola e poi, non volendo chiamare nessuno per orgoglio, mi sono rimessa in auto e ho guidato il resto del tragitto in uno stato di forte tensione.
Da quel giorno ho cominciato a soffrire di una serie di disturbi psicosomatici da cui non sono riuscita a guarire: spasmi muscolari soprattutto.
Dagli esami medici risulto sana.
Ma soprattutto mi è rimasta una forte paura della morte.
Non riesco più a godere di niente perché tanto penso che deve finire.
A volte non prendo sonno perché temo di non svegliarmi.
Il disagio alla guida è rimasto, ma solo in autostrada, in città non ho problemi.
Non riesco a sentirmi meglio in nessun modo, penso sempre alla morte.
Il momento della giornata in cui mi sento peggio in assoluto è dopo pranzo.
Se mi stendo per riposare, appena ho l'impressione di addormentarmi, sobbalzo.
So che mi consiglierete uno specialista, ma volevo dirvi che finora la psicoterapia non mi porta alcun beneficio.
A che serve parlare di mia mamma e mio padre o del mio partner?
La terapeuta in questione non mi suggerisce concretamente cosa potrei fare per stare meglio.
Mi sapreste dire che cos'ho e se, magari, dovrei rivolgermi proprio a uno psichiatra e prendere farmaci?
Uso il tavor, ogni tanto, ma ottiene solo l'effetto di farmi sentire rincoglionita e farmi svolgere le mie attività con ancora più fatica.
Antidepressivi non voglio prenderne perché non penso la mia sia depressione ma ansia bella forte.
Si può curare o faccio prima a vivere prendendo atto che ho l'ansia e tenermela?
Tanto comunque dobbiamo morire tutti, la differenza è che io lo percepisco ogni singolo istante.

Grazie a chi è arrivato a leggere fin qui
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Dr. Daniele Rondanini Psicologo, Psicoterapeuta 111 4
Parlare di sua mamma, suo padre, del suo partner non è, nel contesto psicoterapeutico, un chiacchiericcio, o un andare fuori tema. E' utile perché lascia emergere, grazie a un ascolto attento e profondo del terapeuta, quelle aree complessuali che molto verosimilmente sono all'origine dei suoi attuali disturbi. Che questa condizione interna e inconscia emerga alla coscienza, anche e soprattutto con il carico emotivo che porta con sé, serve alla comprensione e allo scioglimento dei complessi stessi. Questo richiede tempo.

Dr. DANIELE RONDANINI- Dirig. Psicologo ASL RM 2- Psicoterapeuta - Psicoanalista Junghiano Didatta e Supervisore- Docente - CIPA Roma
3384703937

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Attivo dal 2014 al 2024
Ex utente
Gentile dott. Rondanini,
Capisco quello che dice, ma questo lavoro del parlare di mia mamma, padre e partner è andato avanti per un paio d'anni, ma i miei disturbi sono solo peggiorati. A che serve tutto questo parlare? Tanto non cambia comunque niente. Sono consapevole delle cause che magari sono all'origine del mio malessere. Ok, ma una volta che le so?
Forse dovrei cambiare terapeuta o semplicemente valutare che la vita fa schifo e accettarlo.
La ringrazio comunque per la sua risposta1
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Dr. Daniele Rondanini Psicologo, Psicoterapeuta 111 4
Ha ragione nell'affermare che sapere le cause del malessere non comporta automaticamente superarlo. In effetti l'analisi non consiste nella spiegazione intellettuale delle cose, non è un corso di formazione. L'analisi è un'esperienza speciale, una relazione ove la cura è nella stessa sapiente relazione che il terapeuta accetta di intraprendere e di governare con la sua competenza. Tale esperienza avvia nel paziente una trasformazione in direzione della sua autenticità equilibrio e benessere. Dopo due anni dovrebbe avvertire dei cambiamenti anche parziali.