Tortura e morte
Salve, vi scrivo per tentare di capire un lato oscuro della mia personalità.
L'argomento é imbarazzante, e, ne sono consapevole, spregevole.
Va da sé che nessuno conosce questa mia malata e segreta fantasia.
Vengo subito al punto: provo una forma di soddisfazione, gratificazione, nel vedere gatti cuccioli torturati e uccisi.
Piú strillano e soffrono, maggiore é il piacere.
Non si tratta di piacere sessuale, né derivante da una forma di dominanza.
É da quando ho memoria che ho queste fantasie sui gatti cuccioli.
NB: solo i gatti e preferibmente cuccioli.
Senza nessuna pietà.
Per gli altri animali sono totalmente empatico e anzi soffro molto quando vedo un animale soffrire.
Quando ho potuto ho anche cercato di soccorrerli.
Naturalmente, consapevole della spregevolezza dell'atto e pure delle conseguenze penali, non ho mai messo in pratica le mie fantasie.
Peró da piccolo ho visto altri farlo, e ora esistono siti darkweb che mostrano gratuitamente video di questo tipo... che guardo e riguardo.
Questi video vengono passati come fetish... é pure una categoria consultabile su Wikipedia, ma ripeto che per me il sesso e il fetish non c'entrano proprio niente.
Insomma, é un lato veramente oscuro che non riesco a spiegare, di cui mi vergogno profondamente, ma di cui non riesco a fare a meno.
Soprattutto quando sono frustrato e arrabbiato mi trovo a fantasticare di questi atti di violenza gratuita e cosí specifica.
Io non riesco a capire.
Per il resto sono una persona normale, con sentimenti normali, un normale senso del dovere, affetto per i figli, per la compagna... anzi sono molto dolce, comprensivo ed empatico, mi si dice.
Mi sembra di provare quanto provano i serial killer che pur sembrando persone normali hanno questo "vizio" orribile di cui non possono fare a meno.
Anche se leggendo la letteratura al proposito, nella maggior parte dei casi sembra che la scintilla sia sessuale/predatoria per queste persone malate.
Da bambino sono stato picchiato e maltrattato dai miei genitori, soprattutto mio padre, che era nevrastenico e non mi sopportava e appena sgarravo me le dava, anche da piccolo piccolo.
Mi ricordo una notte che é venuto a picchiarmi poiché digrignavo i denti nel sonno.
O una mattina nella vasca da bagno seguito una reazione allergica avevo i genitali gonfi e tumefatti e gli avevo chiesto i miei giochini da bagno e lui me li ha tirati addosso proprio sul pisello facendomi urlare e spaventandomi.
É l'unico collegamento che trovo.
Mi sento malato, di qualcosa che non capisco assolutamente.
Mi aiutate a capire?
L'argomento é imbarazzante, e, ne sono consapevole, spregevole.
Va da sé che nessuno conosce questa mia malata e segreta fantasia.
Vengo subito al punto: provo una forma di soddisfazione, gratificazione, nel vedere gatti cuccioli torturati e uccisi.
Piú strillano e soffrono, maggiore é il piacere.
Non si tratta di piacere sessuale, né derivante da una forma di dominanza.
É da quando ho memoria che ho queste fantasie sui gatti cuccioli.
NB: solo i gatti e preferibmente cuccioli.
Senza nessuna pietà.
Per gli altri animali sono totalmente empatico e anzi soffro molto quando vedo un animale soffrire.
Quando ho potuto ho anche cercato di soccorrerli.
Naturalmente, consapevole della spregevolezza dell'atto e pure delle conseguenze penali, non ho mai messo in pratica le mie fantasie.
Peró da piccolo ho visto altri farlo, e ora esistono siti darkweb che mostrano gratuitamente video di questo tipo... che guardo e riguardo.
Questi video vengono passati come fetish... é pure una categoria consultabile su Wikipedia, ma ripeto che per me il sesso e il fetish non c'entrano proprio niente.
Insomma, é un lato veramente oscuro che non riesco a spiegare, di cui mi vergogno profondamente, ma di cui non riesco a fare a meno.
Soprattutto quando sono frustrato e arrabbiato mi trovo a fantasticare di questi atti di violenza gratuita e cosí specifica.
Io non riesco a capire.
Per il resto sono una persona normale, con sentimenti normali, un normale senso del dovere, affetto per i figli, per la compagna... anzi sono molto dolce, comprensivo ed empatico, mi si dice.
Mi sembra di provare quanto provano i serial killer che pur sembrando persone normali hanno questo "vizio" orribile di cui non possono fare a meno.
Anche se leggendo la letteratura al proposito, nella maggior parte dei casi sembra che la scintilla sia sessuale/predatoria per queste persone malate.
Da bambino sono stato picchiato e maltrattato dai miei genitori, soprattutto mio padre, che era nevrastenico e non mi sopportava e appena sgarravo me le dava, anche da piccolo piccolo.
Mi ricordo una notte che é venuto a picchiarmi poiché digrignavo i denti nel sonno.
O una mattina nella vasca da bagno seguito una reazione allergica avevo i genitali gonfi e tumefatti e gli avevo chiesto i miei giochini da bagno e lui me li ha tirati addosso proprio sul pisello facendomi urlare e spaventandomi.
É l'unico collegamento che trovo.
Mi sento malato, di qualcosa che non capisco assolutamente.
Mi aiutate a capire?
[#1]
Possedere un lato sadico, fortunatamente solo fantasticato, significa avere parti non risolte riguardo la rabbia e il dolore interiore. Lei lo ha specificato ma nel leggerla avevo immaginato maltrattamenti infantili.
Risolverà il suo problema se metabolizza meglio il suo dolore profondo. Ne ricaveranno un giovamento anche le sue relazioni, di cui lei non parla ma che potrebbero risentire di un certo grado di sfiducia nei confronti del prossimo, di un non permettere a sè stesso e agli altri una vera vicinanza emotiva e di esprimere, a volte, una rabbiosità molto controllata ma sufficiente a creare un disagio relazionale.
Non so se le cose stiano come le descrivo perchè mi sto basando si situazioni simili alle sue che ben conosco restando consapevole che ogni persona ha la propria storia.
Se riscontra quanto ho affermato più che considerarsi malato deve considerarsi prigioniero di un passato doloroso che non le permette un apertura verso il presente e il futuro, lasciando sempre un senso di solitudine non risolto.
Risolverà il suo problema se metabolizza meglio il suo dolore profondo. Ne ricaveranno un giovamento anche le sue relazioni, di cui lei non parla ma che potrebbero risentire di un certo grado di sfiducia nei confronti del prossimo, di un non permettere a sè stesso e agli altri una vera vicinanza emotiva e di esprimere, a volte, una rabbiosità molto controllata ma sufficiente a creare un disagio relazionale.
Non so se le cose stiano come le descrivo perchè mi sto basando si situazioni simili alle sue che ben conosco restando consapevole che ogni persona ha la propria storia.
Se riscontra quanto ho affermato più che considerarsi malato deve considerarsi prigioniero di un passato doloroso che non le permette un apertura verso il presente e il futuro, lasciando sempre un senso di solitudine non risolto.
Dr. gino aldi
[#2]
Ex utente
La ringrazio dottore per la risposta.
Ovviamente non me ne intendo di queste cose (sono ingegnere, molto lontano, per formazione, dalle questioni psicologiche e umanistiche), ma devo dire che lei ha centrato il punto su diverse manifestazioni.
Per esempio il rapporto con l'altro sesso. É vero che sono empatico, comprensivo, gentile ecc. ma se per esempio ritengo che questa cosa non venga corrisposta a dovere, lentamente mi indurisco e divento gelido, diffidente e silenzioso. Le tengo a distanza. Si sviluppa anche un certo fastidio, o astio, perché ritengo ingiusto dare e non ricevere ció che penso sia il corrispettivo. Stato che si puó protrarre addirittura per anni fino a far naufragare la relazione. É successo eccome.
E la solitudine, anche. Tutti i miei affetti sono a distanza e alla fine mi ritrovo sempre da solo. Mia madre (che i maltrattamenti li applicava/applica psicologicamente, piú che fisicamente) ancora oggi non perde occasione per darmi del fallito, di quello che non vale niente, e del buffone (accuse peraltro che giudico infondate). Quindi nemmeno a lei posso rivolgermi: sono solo.
Non posso e non voglio appoggiarmi a partner e amici perché sarebbe troppo pesante. Ho due bambini, ai lati opposti dell'Italia, e gli voglio molto bene...li tratto al contrario di come sono stato trattato io: complimenti, incitamenti, spinta a migliorare, mai alzare la voce seppur avendo una certa fermezza, renderli sicuri di sé stessi...e mai MAI alzare le mani.
Per dire: devo essere forte anche per loro. Ma appunto sono solo.
La domanda é: come faccio a metabolizzare questo dolore irrisolto?
C'é un modo per farlo da soli, senza supporto?
(E sa una cosa? Quando ho provato da adulto ad affrontare questo argomento coi miei genitori, su come sono stato trattato, entrambi sminuiscono, negano, si appellano a metodi educativi "vecchio stile", e con mia madre si arriva addirittura a litigare perché secondo lei dovrei pure esserle grato per questa educazione e tutte le cose che ha fatto per me - che francamente mi paiono il minimo sindacale, per un figlio. Io invece grato non sono, anzi divento una belva ed enumero i problemi e danni che mi hanno provocato...anche meramente "esterni" come il tentare di convincermi che non sarei mai riuscito a laurearmi in ingegneria, o tutti i consigli reboanti e ignoranti sulla mia carriera - che ho dovuto aggiustare da solo...insomma, per loro il problema non esiste. É comunque colpa mia.)
Ovviamente non me ne intendo di queste cose (sono ingegnere, molto lontano, per formazione, dalle questioni psicologiche e umanistiche), ma devo dire che lei ha centrato il punto su diverse manifestazioni.
Per esempio il rapporto con l'altro sesso. É vero che sono empatico, comprensivo, gentile ecc. ma se per esempio ritengo che questa cosa non venga corrisposta a dovere, lentamente mi indurisco e divento gelido, diffidente e silenzioso. Le tengo a distanza. Si sviluppa anche un certo fastidio, o astio, perché ritengo ingiusto dare e non ricevere ció che penso sia il corrispettivo. Stato che si puó protrarre addirittura per anni fino a far naufragare la relazione. É successo eccome.
E la solitudine, anche. Tutti i miei affetti sono a distanza e alla fine mi ritrovo sempre da solo. Mia madre (che i maltrattamenti li applicava/applica psicologicamente, piú che fisicamente) ancora oggi non perde occasione per darmi del fallito, di quello che non vale niente, e del buffone (accuse peraltro che giudico infondate). Quindi nemmeno a lei posso rivolgermi: sono solo.
Non posso e non voglio appoggiarmi a partner e amici perché sarebbe troppo pesante. Ho due bambini, ai lati opposti dell'Italia, e gli voglio molto bene...li tratto al contrario di come sono stato trattato io: complimenti, incitamenti, spinta a migliorare, mai alzare la voce seppur avendo una certa fermezza, renderli sicuri di sé stessi...e mai MAI alzare le mani.
Per dire: devo essere forte anche per loro. Ma appunto sono solo.
La domanda é: come faccio a metabolizzare questo dolore irrisolto?
C'é un modo per farlo da soli, senza supporto?
(E sa una cosa? Quando ho provato da adulto ad affrontare questo argomento coi miei genitori, su come sono stato trattato, entrambi sminuiscono, negano, si appellano a metodi educativi "vecchio stile", e con mia madre si arriva addirittura a litigare perché secondo lei dovrei pure esserle grato per questa educazione e tutte le cose che ha fatto per me - che francamente mi paiono il minimo sindacale, per un figlio. Io invece grato non sono, anzi divento una belva ed enumero i problemi e danni che mi hanno provocato...anche meramente "esterni" come il tentare di convincermi che non sarei mai riuscito a laurearmi in ingegneria, o tutti i consigli reboanti e ignoranti sulla mia carriera - che ho dovuto aggiustare da solo...insomma, per loro il problema non esiste. É comunque colpa mia.)
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 3.6k visite dal 06/09/2020.
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