Mia madre vedova, depressa e alcolizzata
Salve,
Sono un' infermiera di 24 anni e vorrei chiedere un consiglio ad uno psicologo.
Ho un problema in famiglia ed è mia madre.
Da quando mio padre è morto in un incidente nel 2013 lei non é più la stessa.
Mia madre ha attualmente 46 anni, e da quando ne aveva 25 soffre di depressione bipolare (ha iniziato ad avere i primi sintomi con la morte di sua madre).
Premetto che mia madre ha anche vissuto con un padre alcolizzato, quindi la vita non è stata semplice.
Con mia madre ho un rappprto bellissimo, le confido tutto.
Dopo la morte di mio padre ha iniziato a bere.
Io avevo 17 anni e mio fratello 12.
All'inizio non avevamo capito il problema ma negli anni abbiamo trovato in casa bottiglie di birre, Vino, limoncello e superalcolici nascosti in ogni posto improbabile e in quantità industriali.
Ho sempre provato a parlare con mia madre perché per me è la persona più importante della mia vita, lei ogni volta mi ha promesso di smetterla ma puntualmente ci ricascava.
Solo qualche mese fa, dopo una telefonata disperata di mio fratello che ancora vive con lei, mi sono fatta coraggio e l'ho detto a mia zia che fino a quel momento non si era accorta di nulla.
Dopo il diploma, sono andata all'università lontano da casa, mi sono laureata nei tempi e ho trovato subito lavoro.
Ora vivo da sola da due anni e sono indipendente.
Tutto questo mi rende felice ma dentro di me sono consapevole di aver lasciato mia mamma da sola con questo grande problema e sento sempre un senso di incompletezza.
Da quando mia zia lo sa, mia madre sembra essersi calmata e lei sostiene di non bere.
Viene seguita da uno psichiatra che sa anche di questa problematica.
Per quanto riguarfa la depressione è stazionaria da più di 5 anni.
Sono tornata in vacanza a casa il mese scorso e ovviamente ho trovato bottiglie ovunque.
Mi rendo conto di essere arrivata al capolinea della mia pazienza e di non sopportare più questa situazione.
Ho consigliato a mia madre di andare da uno psicologo per aiutarla a risolvere questo problema e le ho anche detto che vorrei iniziare anche io un percorso psicoterapeutico.
Sento la necessitá di parlare con qualcuno di tutto quello che ho passato.
La mia paura più grande é quella che un domani che avrò una famiglia, io possa fare qualcosa che faccia male ai miei figli.
E soprattutto desidererei tanto togliermi questo senso di impotenza e di colpa che ho nei confronti di mia madre per averla "abbandonata" per costruirmi la mia vita nonostante sapessi del suo problema.
Spero di aver reso il concetto.
Ringrazio in anticipo
Sono un' infermiera di 24 anni e vorrei chiedere un consiglio ad uno psicologo.
Ho un problema in famiglia ed è mia madre.
Da quando mio padre è morto in un incidente nel 2013 lei non é più la stessa.
Mia madre ha attualmente 46 anni, e da quando ne aveva 25 soffre di depressione bipolare (ha iniziato ad avere i primi sintomi con la morte di sua madre).
Premetto che mia madre ha anche vissuto con un padre alcolizzato, quindi la vita non è stata semplice.
Con mia madre ho un rappprto bellissimo, le confido tutto.
Dopo la morte di mio padre ha iniziato a bere.
Io avevo 17 anni e mio fratello 12.
All'inizio non avevamo capito il problema ma negli anni abbiamo trovato in casa bottiglie di birre, Vino, limoncello e superalcolici nascosti in ogni posto improbabile e in quantità industriali.
Ho sempre provato a parlare con mia madre perché per me è la persona più importante della mia vita, lei ogni volta mi ha promesso di smetterla ma puntualmente ci ricascava.
Solo qualche mese fa, dopo una telefonata disperata di mio fratello che ancora vive con lei, mi sono fatta coraggio e l'ho detto a mia zia che fino a quel momento non si era accorta di nulla.
Dopo il diploma, sono andata all'università lontano da casa, mi sono laureata nei tempi e ho trovato subito lavoro.
Ora vivo da sola da due anni e sono indipendente.
Tutto questo mi rende felice ma dentro di me sono consapevole di aver lasciato mia mamma da sola con questo grande problema e sento sempre un senso di incompletezza.
Da quando mia zia lo sa, mia madre sembra essersi calmata e lei sostiene di non bere.
Viene seguita da uno psichiatra che sa anche di questa problematica.
Per quanto riguarfa la depressione è stazionaria da più di 5 anni.
Sono tornata in vacanza a casa il mese scorso e ovviamente ho trovato bottiglie ovunque.
Mi rendo conto di essere arrivata al capolinea della mia pazienza e di non sopportare più questa situazione.
Ho consigliato a mia madre di andare da uno psicologo per aiutarla a risolvere questo problema e le ho anche detto che vorrei iniziare anche io un percorso psicoterapeutico.
Sento la necessitá di parlare con qualcuno di tutto quello che ho passato.
La mia paura più grande é quella che un domani che avrò una famiglia, io possa fare qualcosa che faccia male ai miei figli.
E soprattutto desidererei tanto togliermi questo senso di impotenza e di colpa che ho nei confronti di mia madre per averla "abbandonata" per costruirmi la mia vita nonostante sapessi del suo problema.
Spero di aver reso il concetto.
Ringrazio in anticipo
[#1]
Gentile utente,
comprendo benissimo i Suoi sentimenti di impotenza e risentimento,
dovuti alle tante preoccupazioni che un genitore alcoldipendente causa nei figli. Come ogni dipendenza da sostanza, del resto.
Ma Lei sa anche che la dipendenza da alcol è una vera e propria malattia,
e non così facile da sconfiggere:
psicoterapia,
terapia farmacologica e
contemporaneamente il sostegno di un gruppo di auto-mutuo-aiuto rivolto sia al dipendente, sia ai famigliari conviventi
sono i pilastri del trattamento: ognuno preso singolarmente può non traggiungere l'obiettivo; tenga conto però che le ricadute sono prevedibili e previste.
E dunque occorre incoraggiare la mamma ad intraprendere tale percorso integrato, coinvolgendo sorella e figlio.
I Suoi sensi di colpa.
Qui si apre un altro capitolo, che riguarda Lei.
Non starò a dirLe che non hanno ragion d'essere,
dato che i sensi di colpa non nascono da colpe reali ma sono prodotti dalla psiche attraverso percorsi più articolati. Non sono su basi reali ma provocano ugualmente tanto dolore.
Riguardo ad essi e all' "altro" a cui Lei accenna, sì, concordo appieno con un "percorso psicoterapeutico".
Non solo per "la necessitá di parlare con qualcuno di tutto quello che ho passato" (per questo non occorre lo Specialista),
bensì per *elaborare*, digerire,
evitando proprio quello che Lei teme:
la ripetizione della storia.
Lo/a Specialista è lo/a Psicologo/a che sia anche Psicoterapeuta,
lo potrà verificare nell'Albo Nazionale Psicologi.
Auspico di essere risultata comprensibile in una tematica piuttosto complessa.
In caso di dubbi, chieda,
ci siamo.
Dott. Brunialti
comprendo benissimo i Suoi sentimenti di impotenza e risentimento,
dovuti alle tante preoccupazioni che un genitore alcoldipendente causa nei figli. Come ogni dipendenza da sostanza, del resto.
Ma Lei sa anche che la dipendenza da alcol è una vera e propria malattia,
e non così facile da sconfiggere:
psicoterapia,
terapia farmacologica e
contemporaneamente il sostegno di un gruppo di auto-mutuo-aiuto rivolto sia al dipendente, sia ai famigliari conviventi
sono i pilastri del trattamento: ognuno preso singolarmente può non traggiungere l'obiettivo; tenga conto però che le ricadute sono prevedibili e previste.
E dunque occorre incoraggiare la mamma ad intraprendere tale percorso integrato, coinvolgendo sorella e figlio.
I Suoi sensi di colpa.
Qui si apre un altro capitolo, che riguarda Lei.
Non starò a dirLe che non hanno ragion d'essere,
dato che i sensi di colpa non nascono da colpe reali ma sono prodotti dalla psiche attraverso percorsi più articolati. Non sono su basi reali ma provocano ugualmente tanto dolore.
Riguardo ad essi e all' "altro" a cui Lei accenna, sì, concordo appieno con un "percorso psicoterapeutico".
Non solo per "la necessitá di parlare con qualcuno di tutto quello che ho passato" (per questo non occorre lo Specialista),
bensì per *elaborare*, digerire,
evitando proprio quello che Lei teme:
la ripetizione della storia.
Lo/a Specialista è lo/a Psicologo/a che sia anche Psicoterapeuta,
lo potrà verificare nell'Albo Nazionale Psicologi.
Auspico di essere risultata comprensibile in una tematica piuttosto complessa.
In caso di dubbi, chieda,
ci siamo.
Dott. Brunialti
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
[#2]
Utente
La ringrazio vivamente per la risposta.
Sono speranzosa e fiduciosa che possa esserci una fine a questa malattia soltanto se mia madre venisse aiutata da degli specialisti. Ma mi rendo conto che è altrettanto difficile uscirne. Al momento sta lavorando e questo lavoro la tiene impegnata tutto il giorno. Ma sono convinta che non appena lei ricomincia a passare delle giornate intere chiusa a casa, ci ricasca.
Solo una cosa della sua risposta non mi é chiara, quando dice " non così facile da sconfiggere:
psicoterapia,
terapia farmacologica e
contemporaneamente il sostegno di un gruppo di auto-mutuo-aiuto rivolto sia al dipendente, sia ai famigliari conviventi
sono i pilastri del trattamento: ognuno preso singolarmente può non traggiungere l'obiettivo". Questo significa che io, mia zia e mio fratello dovremmo frequentare dei gruppi d'aiuto? Io vivo purtroppo lontana dalla mia famiglia.
In ogni caso troverò uno psicologo psicoterapeuta che possa aiutarmi ad elaborare questa situazione.
La ringrazio di cuore.
Sono speranzosa e fiduciosa che possa esserci una fine a questa malattia soltanto se mia madre venisse aiutata da degli specialisti. Ma mi rendo conto che è altrettanto difficile uscirne. Al momento sta lavorando e questo lavoro la tiene impegnata tutto il giorno. Ma sono convinta che non appena lei ricomincia a passare delle giornate intere chiusa a casa, ci ricasca.
Solo una cosa della sua risposta non mi é chiara, quando dice " non così facile da sconfiggere:
psicoterapia,
terapia farmacologica e
contemporaneamente il sostegno di un gruppo di auto-mutuo-aiuto rivolto sia al dipendente, sia ai famigliari conviventi
sono i pilastri del trattamento: ognuno preso singolarmente può non traggiungere l'obiettivo". Questo significa che io, mia zia e mio fratello dovremmo frequentare dei gruppi d'aiuto? Io vivo purtroppo lontana dalla mia famiglia.
In ogni caso troverò uno psicologo psicoterapeuta che possa aiutarmi ad elaborare questa situazione.
La ringrazio di cuore.
[#3]
Sì,
significa che la frequenza dei famigliari anche a gruppi di questo tipo,
ma rivolto unicamente ad essi (anche in altre sedi, distanti)
li fornisce di ulteriori capacità di comprensione e di competenze relazionali che prima non possedevano e che aiutano notevolmente loro stessi e l'ammalato.
Inoltre la condivisione in gruppo con altri figli e fratelli che hanno lo stesso problema li toglie dal silenzio, vergogna, segreto e permette di condividere il peso e lo scoraggiamento delle inevitabili ricadute.
Questo prevede ad es. il metodo Hudolin (v. Wikipedia, club alcologici territoriali),
ma non è da prendere come un "dovremmo" frequentare, quanto come una opportunità in più.
Forse si meraviglierà per l'utilizzo del termine "ammalato" riferito a Sua madre,
ma da DSM-5 l' *uso problematico di alcol*, è una malattia cronica, recidivante e potenzialmente mortale. E' un disturbo caratterizzato dall'incapacità, da parte del bevitore, di astenersi dal consumare alcolici. Purtroppo ancor oggi comunemente viene definito *vizio*..., e questo condiziona negativamente il soggetto, i famigliari, la cura stessa.
Se ritiene, ci tenga al corrente,
noi ci siamo.
Vivissimi auguri e saluti cari.
Dott. Brunialti
significa che la frequenza dei famigliari anche a gruppi di questo tipo,
ma rivolto unicamente ad essi (anche in altre sedi, distanti)
li fornisce di ulteriori capacità di comprensione e di competenze relazionali che prima non possedevano e che aiutano notevolmente loro stessi e l'ammalato.
Inoltre la condivisione in gruppo con altri figli e fratelli che hanno lo stesso problema li toglie dal silenzio, vergogna, segreto e permette di condividere il peso e lo scoraggiamento delle inevitabili ricadute.
Questo prevede ad es. il metodo Hudolin (v. Wikipedia, club alcologici territoriali),
ma non è da prendere come un "dovremmo" frequentare, quanto come una opportunità in più.
Forse si meraviglierà per l'utilizzo del termine "ammalato" riferito a Sua madre,
ma da DSM-5 l' *uso problematico di alcol*, è una malattia cronica, recidivante e potenzialmente mortale. E' un disturbo caratterizzato dall'incapacità, da parte del bevitore, di astenersi dal consumare alcolici. Purtroppo ancor oggi comunemente viene definito *vizio*..., e questo condiziona negativamente il soggetto, i famigliari, la cura stessa.
Se ritiene, ci tenga al corrente,
noi ci siamo.
Vivissimi auguri e saluti cari.
Dott. Brunialti
Questo consulto ha ricevuto 5 risposte e 4.1k visite dal 01/09/2020.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Approfondimento su Disfunzione erettile
La disfunzione erettile è la difficoltà a mantenere l'erezione. Definita anche impotenza, è dovuta a varie cause. Come fare la diagnosi? Quali sono le cure possibili?