Non so come prendere una decisione, sono divisa in due
Buonasera,
Come dicevo dal titolo devo prendere una decisione importante ma sono completamente divisa in due.
Vi spiego il più brevemente possibile...
Lavoro ormai da 2 anni all’estero... faccio un lavoro che mi piace tanto, ho vissuto questi due anni praticamente solo lavorando e zero vita sociale.
Ma zero intendo che sono uscita penso 2/3 volte a cena con colleghi... per il resto non ho mai conosciuto nessuno.
Ma questo non mi ha mai pesato, 1 sono una persona molto solitaria e 2 sono talmente appagata dal mio lavoro che il resto non mi interessa.
Il mio contratto finisce a dicembre... quindi l’anno prossimo potrei tornare a casa alla mia vecchia vita, dai miei amici e tornare a lavorare nell’azienda di famiglia.
Però il mio capo mi ha già detto che se l’anno prossimo voglio restare mi tiene ancora...
Ora questo è il mio dilemma: torno a casa dove potrei tornare ad avere una vita normale con amici e famiglia o resto ancora a fare il lavoro dei miei sogni?
So che un giorno devo tornare in Italia perchè il sogno dei miei genitori è sempre stato vedermi a capo della loro azienda... quindi prima o poi mi tocca, però non so se sono pronta a farlo adesso oppure è proprio ora il momento di tornare?
Sono indecisa davvero... questa cosa mi provoca un’ansia terribile perchè la fine dell’anno si avvicina, cerco di non pensarci ma è un chiodo fisso ormai.
Quando sono al lavoro penso mi piace troppo stare qua, voglio ancora fare un anno
poi magari la sera arrivo a casa, stanca, sola e mi chiedo ma davvero vuoi passare un altro anno da sola?
Lavorando e basta?
Questa non è vita!
Non so davvero... come faccio a decidere?
È anche vero che se dovessi stare qua ancora un anno poi il problema si ripresenterà a fine 2021... quando sicuramente sarò ancora indecisa su cosa fare.
Torno e non ci penso più o rimando a dicembre 2021?
Come dicevo dal titolo devo prendere una decisione importante ma sono completamente divisa in due.
Vi spiego il più brevemente possibile...
Lavoro ormai da 2 anni all’estero... faccio un lavoro che mi piace tanto, ho vissuto questi due anni praticamente solo lavorando e zero vita sociale.
Ma zero intendo che sono uscita penso 2/3 volte a cena con colleghi... per il resto non ho mai conosciuto nessuno.
Ma questo non mi ha mai pesato, 1 sono una persona molto solitaria e 2 sono talmente appagata dal mio lavoro che il resto non mi interessa.
Il mio contratto finisce a dicembre... quindi l’anno prossimo potrei tornare a casa alla mia vecchia vita, dai miei amici e tornare a lavorare nell’azienda di famiglia.
Però il mio capo mi ha già detto che se l’anno prossimo voglio restare mi tiene ancora...
Ora questo è il mio dilemma: torno a casa dove potrei tornare ad avere una vita normale con amici e famiglia o resto ancora a fare il lavoro dei miei sogni?
So che un giorno devo tornare in Italia perchè il sogno dei miei genitori è sempre stato vedermi a capo della loro azienda... quindi prima o poi mi tocca, però non so se sono pronta a farlo adesso oppure è proprio ora il momento di tornare?
Sono indecisa davvero... questa cosa mi provoca un’ansia terribile perchè la fine dell’anno si avvicina, cerco di non pensarci ma è un chiodo fisso ormai.
Quando sono al lavoro penso mi piace troppo stare qua, voglio ancora fare un anno
poi magari la sera arrivo a casa, stanca, sola e mi chiedo ma davvero vuoi passare un altro anno da sola?
Lavorando e basta?
Questa non è vita!
Non so davvero... come faccio a decidere?
È anche vero che se dovessi stare qua ancora un anno poi il problema si ripresenterà a fine 2021... quando sicuramente sarò ancora indecisa su cosa fare.
Torno e non ci penso più o rimando a dicembre 2021?
[#1]
Gentile utente,
lo psicologo professionalmente aiuta il cliente ad osservare più a fondo e sotto angolature diverse sé stesso, la sua situazione, le sue idee, le sue emozioni e il suo comportamento, affinché possa fare le sue scelte su una base più ampia e con maggiore consapevolezza sia di quelli che sono gli elementi in gioco, sia del fatto che nessuna decisione può prendere in esame la totalità dei dati, compreso l'imponderabile futuro.
Ovviamente lo psicologo svolge tanto meglio il suo compito se ha incontrato il paziente abbastanza a lungo e gli ha sentito esporre diversi aspetti della sua vita.
Di lei abbiamo solo un'email, che provo ad analizzare.
Da due anni vive all'estero svolgendo un lavoro che le piace molto e non stringendo amicizie.
Scrive: "Ma questo non mi ha mai pesato, 1 sono una persona molto solitaria e 2 sono talmente appagata dal mio lavoro che il resto non mi interessa".
Non c'è per caso anche un punto 3? Esempio: "ho sempre considerato la mia situazione come transitoria, quindi ho evitato legami che sarei costretta a troncare"?
Infatti lei scrive anche, a smentire il precedente appagamento: "poi magari la sera arrivo a casa, stanca, sola e mi chiedo ma davvero vuoi passare un altro anno da sola? Lavorando e basta? Questa non è vita!"
Allora, quale delle due situazioni -o delle tre- sente come più vera? A volte, dove la ragione parla un certo linguaggio, la sfera emotiva dice altro, ma viene messa a tacere, soprattutto se la ragione ha messo dei rigidi paletti, che infatti troviamo nelle sue parole: "So che un giorno devo tornare in Italia perché il sogno dei miei genitori è sempre stato vedermi a capo della loro azienda... quindi prima o poi mi tocca".
Ma come? Deve tornare in Italia per realizzare i sogni di altri?
Allora il suo soggiorno all'estero, con il piacere del lavoro che svolge, è una specie di licenza-premio, una libertà condizionata?
A questo punto in genere un certo tipo di utente insorge, affrettandosi a protestare che vuol bene ai genitori, che è grato per quello che gli hanno dato, etc., senza accorgersi che questo è molto bello, ma non c'entra niente. La maggior gratitudine del mondo non ci rende proprietà di qualcun altro. Non siamo venuti al mondo per realizzare i sogni e i desideri altrui, nemmeno del partner più amato, meno che mai quelli dei genitori, i quali fanno i figli per il futuro, non per la perpetuazione del passato.
I genitori a volte sono preoccupati per i figli e vedono in una certa attività la soluzione più idonea per la loro vita; ma nel suo caso mi pare che lei se la cavi alla grande con le sue sole capacità, quindi dubito che tutti e due i suoi genitori la vogliano vedere per forza in un'altra condizione... a meno che non vogliano più bene all'azienda di famiglia che a lei!
Ma proprio la scelta fatta da loro quando era molto giovane, e forse l'impressione che nell'azienda di famiglia lei sarebbe guidata dai suoi, anziché semplicemente affiancata, potrebbero essere alla radice della sua scelta del lavoro all'estero. Allora il suo ritorno sarebbe un mettersi di nuovo alla catena?
Sorprende la sua frase: "torno a casa dove potrei tornare ad avere una vita normale con amici e famiglia o resto ancora a fare il lavoro dei miei sogni?".
Ma chi rinuncia davvero ai propri sogni, se non un masochista?
Lei forse ha già parzialmente mutilato la sua esperienza all'estero: perché non ha amici, nemmeno un'amica per un aperitivo dopo il lavoro? Perché non mostra nemmeno un po' di soddisfazione per l'apprezzamento che il suo datore di lavoro le dimostra? La sua casa, l'ha arredata con amore, mettendoci le cose che le sono comode e che ama, o anche quella dimostra il suo sentirsi fatalmente destinata ad un'altra realtà?
Spero di averle dato qualche spunto di riflessione.
Ci scriva ancora, se può esserle utile.
lo psicologo professionalmente aiuta il cliente ad osservare più a fondo e sotto angolature diverse sé stesso, la sua situazione, le sue idee, le sue emozioni e il suo comportamento, affinché possa fare le sue scelte su una base più ampia e con maggiore consapevolezza sia di quelli che sono gli elementi in gioco, sia del fatto che nessuna decisione può prendere in esame la totalità dei dati, compreso l'imponderabile futuro.
Ovviamente lo psicologo svolge tanto meglio il suo compito se ha incontrato il paziente abbastanza a lungo e gli ha sentito esporre diversi aspetti della sua vita.
Di lei abbiamo solo un'email, che provo ad analizzare.
Da due anni vive all'estero svolgendo un lavoro che le piace molto e non stringendo amicizie.
Scrive: "Ma questo non mi ha mai pesato, 1 sono una persona molto solitaria e 2 sono talmente appagata dal mio lavoro che il resto non mi interessa".
Non c'è per caso anche un punto 3? Esempio: "ho sempre considerato la mia situazione come transitoria, quindi ho evitato legami che sarei costretta a troncare"?
Infatti lei scrive anche, a smentire il precedente appagamento: "poi magari la sera arrivo a casa, stanca, sola e mi chiedo ma davvero vuoi passare un altro anno da sola? Lavorando e basta? Questa non è vita!"
Allora, quale delle due situazioni -o delle tre- sente come più vera? A volte, dove la ragione parla un certo linguaggio, la sfera emotiva dice altro, ma viene messa a tacere, soprattutto se la ragione ha messo dei rigidi paletti, che infatti troviamo nelle sue parole: "So che un giorno devo tornare in Italia perché il sogno dei miei genitori è sempre stato vedermi a capo della loro azienda... quindi prima o poi mi tocca".
Ma come? Deve tornare in Italia per realizzare i sogni di altri?
Allora il suo soggiorno all'estero, con il piacere del lavoro che svolge, è una specie di licenza-premio, una libertà condizionata?
A questo punto in genere un certo tipo di utente insorge, affrettandosi a protestare che vuol bene ai genitori, che è grato per quello che gli hanno dato, etc., senza accorgersi che questo è molto bello, ma non c'entra niente. La maggior gratitudine del mondo non ci rende proprietà di qualcun altro. Non siamo venuti al mondo per realizzare i sogni e i desideri altrui, nemmeno del partner più amato, meno che mai quelli dei genitori, i quali fanno i figli per il futuro, non per la perpetuazione del passato.
I genitori a volte sono preoccupati per i figli e vedono in una certa attività la soluzione più idonea per la loro vita; ma nel suo caso mi pare che lei se la cavi alla grande con le sue sole capacità, quindi dubito che tutti e due i suoi genitori la vogliano vedere per forza in un'altra condizione... a meno che non vogliano più bene all'azienda di famiglia che a lei!
Ma proprio la scelta fatta da loro quando era molto giovane, e forse l'impressione che nell'azienda di famiglia lei sarebbe guidata dai suoi, anziché semplicemente affiancata, potrebbero essere alla radice della sua scelta del lavoro all'estero. Allora il suo ritorno sarebbe un mettersi di nuovo alla catena?
Sorprende la sua frase: "torno a casa dove potrei tornare ad avere una vita normale con amici e famiglia o resto ancora a fare il lavoro dei miei sogni?".
Ma chi rinuncia davvero ai propri sogni, se non un masochista?
Lei forse ha già parzialmente mutilato la sua esperienza all'estero: perché non ha amici, nemmeno un'amica per un aperitivo dopo il lavoro? Perché non mostra nemmeno un po' di soddisfazione per l'apprezzamento che il suo datore di lavoro le dimostra? La sua casa, l'ha arredata con amore, mettendoci le cose che le sono comode e che ama, o anche quella dimostra il suo sentirsi fatalmente destinata ad un'altra realtà?
Spero di averle dato qualche spunto di riflessione.
Ci scriva ancora, se può esserle utile.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 1.1k visite dal 22/08/2020.
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