Cosa c'è in me che non va?

Salve a tutti, mi ritrovo ancora una volta a scrivere su questo sito.
Dall'ultima volta che ho scritto non è cambiato nulla, nel senso che dopo aver abbandonato l'università (scelta fatta perchè l'ansia era arrivata a livelli stratosferici e non riuscivo neanche più a seguire cosa dicesse il professore in classe) sono rimasto a casa e per oltre tre anni non ho nè lavorato ne studiato.
Perchè non riesco a fare le cose normali che fanno tutti gli altri?
Studiare, lavorare, avere relazioni soddisfacenti.
riuscire a essere un pò sereni e stare bene?
Sono entrato in un buco nero, sempre da solo e chiuso in me stesso.
Negli ultimi tre anni sono andato da uno psicologo ma non so neanchè più su cosa stiamo lavorando o qual era il problema iniziale.
L'unica cosa che so per certo è che quando ho iniziato a affacciarmi al mondo degli adulti avevo in mente un sacco di cose belle da fare ma alla fine non ho combinato nulla.
Sono sempre stato assalito da ansia, insicurezze, sensi di colpa, paura di fare qualcosa di sbagliato.
Ora sono arrivato al punto che sto sempre in casa e mi andrebbe bene stare così a vita, chiuso in casa dei miei genitori per sempre.
Forse sono io che non voglio cambiare?
Dallo psicologo ci si va se si vuole cambiare le cose, no?
Quindi visto che io in questo momento non ho voglia di fare nulla, anzi, non ho proprio voglia di vivere, forse vuol dire che non le voglio cambiare, e dovrei smettere di andarci.
E poi ci sono tanti altri aspetti del problema, ad esempio da quando due anni fa sono morti mio zio e i miei nonni, mi viene sempre l'ansia per ogni piccolo dolorino che ho e inizio ad avere pensieri ossessivi.
Inoltre sono sempre arrabbiato con la mia psicologa e non so neanch'io perchè.
Ho 26 anni e non capisco come sia possibile che mi dia più piacere stare in casa a fare stare male i miei genitori e "vendicarsi" per ogni piccola stupidaggine, rispetto a alla vita esterna.
Perchè gli altri ragazzi sono normali e io sono diverso?
Perchè sono così?
Cosa c'è che non va in me?
Scusate lo sfogo, ma veramente spero che qualcuno riesca a illuminarmi un pò, perchè ultimamente non ci capisco più niente e sto perdendo le speranze.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Gentile utente,
lunghi anni passati nella contemplazione di sé stesso farebbero male a chiunque, e lei da anni ci scrive dicendoci che si sente depresso, ansioso, che rimugina pensieri ossessivi e sintomi di malattia, e anche che vorrebbe uscirne.
Bertrand Russell in un bel saggio che le consiglio di leggere, "Elogio dell'ozio", segnala che perfino i lutti si vivono meno dolorosamente se si è impegnati in un'attività di qualche valore.
Chiaro che nel libro si parla dell'otium che intendevano i latini, ossia lo studio operoso, non il tedio di vivere che porta alla volontà di annullarsi.
Lei si rifiuta di usare le terapie idonee a farla sentire meglio, quelle terapie, farmacologiche e psicoterapiche, che non agiscono come il colpo di bacchetta magica delle favole, e tuttavia danno quello sprint, anche piccolo, che permette di saltar fuori dal buio... se lo vogliamo davvero.
Sui farmaci ha lungamente interpellato i nostri psichiatri, assumendoli poi a modo suo o non assumendoli affatto.
Come psicoterapia ha scelto la meno idonea al suo caso: se capisco bene, una sorta di psicoanalisi classica. Niente a che vedere col dialogo serrato, l'attiva ristrutturazione delle idee disfunzionali, gli esercizi, le letture, le esperienze esistenziali prescritte dalle terapie cognitivo-comportamentali in tutta la loro gamma.
Eppure quasi sempre gli psichiatri indirizzano i pazienti con la sua sintomatologia proprio verso le terapie cognitivo-comportamentali. Perché ha preferito la psicoanalisi?
Scrive: "Negli ultimi tre anni sono andato da uno psicologo ma non so neanche più su cosa stiamo lavorando o qual era il problema iniziale". E nemmeno il suo curante ricorda che cosa state facendo? Forse per questo lei aggiunge: "Inoltre sono sempre arrabbiato con la mia psicologa", e dice di non sapere il perché.
Col suo metodo rinunciatario, a quali risultati è pervenuto?
Ha sempre assecondato la sua malattia, anziché combatterla. L'università le dava ansia? Via l'università. E così per tutto il resto.
Stessa cosa nei confronti dei genitori: pur soffrendone sono stati indulgenti verso il suo lasciarsi andare, e cosa ne è seguito? Ecco: "non capisco come sia possibile che mi dia più piacere stare in casa a fare stare male i miei genitori e "vendicarsi" per ogni piccola stupidaggine, rispetto alla vita esterna".
E se i genitori non ci fossero più, se fossero loro, invecchiando, ad aver bisogno di lei, com'è nel corso naturale delle cose? Se lei semplicemente fosse nato in una famiglia meno abbiente, e avesse dovuto lavorare, per vivere?
Provi a fare queste ipotesi, invece di chiedersi "Perchè gli altri ragazzi sono normali e io sono diverso? Perchè sono così? Cosa c'è che non va in me?"
Lei è sicuro che gli altri ragazzi siano sempre allegri, pieni di energia e di voglia di studiare, lavorare, fare sport? Non sarà una scelta e poi un allenamento, a determinare questo?
Lei stesso, in una delle sue lettere, parlava dell'attività fisica che la stava aiutando a liberarsi dalla depressione.
Ricominci a farla. Cerchi uno psicologo che la guidi in una serie di attività di rinascita, e smetta di resistergli.
Se le sono sembrata dura e poco comprensiva, ricordi che la sua esplicita richiesta era: "veramente spero che qualcuno riesca a illuminarmi un pò, perchè ultimamente non ci capisco più niente e sto perdendo le speranze".
Potrebbe essere proprio il segno che finalmente lei vuole venirne fuori.
Auguri, e ci tenga al corrente.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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Utente
Utente
Salve dottoressa, grazie per aver risposto e per aver letto i miei consulti precedenti. Nessun problema per la risposta dura, sto cercando di allenarmi a non cadere troppo nella demoralizzazione per via delle parole altrui (è un altro mio problema) quindi va bene. Aggiorno su alcune cose: l'attività fisica ho già ripreso a farla... Non torno in palestra perchè è frequentata da i miei "amici" e non voglio incontrarli... In compenso faccio un'ora e mezza di bicicletta al giorno in periferia. Da un modesto aiuto sull'umore, anche se so che da sola non basta. Non ho capito una parte della sua risposta. Cito:

"Lei è sicuro che gli altri ragazzi siano sempre allegri, pieni di energia e di voglia di studiare, lavorare, fare sport? Non sarà una scelta e poi un allenamento, a determinare questo?"

Non ho capito cosa intende per una scelta e poi un allenamento. Potrebbe spiegarsi meglio?

Per il resto, si, è vero, negli ultimi anni ho ceduto alla depressione e all'ansia ed è andato tutto aramengo... E capisco che questo atteggiamento non fa fa che peggiorare le cose. Riguardo alla psicoterapia, all'inizio, tanti anni fa, ho scelto la psicanalisi quasi per caso, perchè non ero ancora esperto di orientamenti/specialità, ecc... Mi sono buttato su uno psicologo con cui mi trovato bene senza farmi troppe domande. Nella precedente lettera non l'ho scritto, ma inizialmente la psicoanalisi mi ha dato un grosso miglioramento nella sintomatologia. Prima di iniziare i sintomi erano MOLTO più invalidanti. Poi dopo questo miglioramento iniziale, in effetti, c'è stato uno stallo perchè si era arrivati al punto di dover lavorare sul prendere in mano la propria vita e io non ho retto alla paura e la terapia quindi ha cominciato a bloccarsi. Ma tutto questo non è importante, limportante è il tempo presente. Rispetto alla prima mail sto un pò meglio, probabilmente avevo bisogno di buttare fuori un pò di rabbia e insoddisfazione per la situazione, perchè si è trascinato veramente tutto per troppo tempo e sono stufo di stare male.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Caro utente,
in effetti la mia frase era oscura. "Lei è sicuro che gli altri ragazzi siano sempre allegri, pieni di energia e di voglia di studiare, lavorare, fare sport? Non sarà una scelta e poi un allenamento, a determinare questo?". Mi spiego meglio.
Quando vediamo gente dall'aria allegra, serena, determinata, vincente, pensiamo che siano state la natura e/o la fortuna a determinarne il benessere.
Poi scopriamo che alcune persone hanno dovuto lottare, colpite da malattie e disgrazie varie, ma invece di abbandonarsi a maledire la sorte e ad autocommiserarsi, hanno DECISO di buttarsi fuori dalle sabbie mobili della depressione e hanno cominciato ad ALLENARE le loro scarse capacità di costruire qualcosa, senza farsi scoraggiare dai risultati iniziali.
Anche per quelli meno sfortunati, c'è sempre un momento difficile prima di buttarsi nell'impresa di studiare, lavorare, trovare amici o un partner, etc.
Se vince l'inerzia del non-fare, segue una serie di perdite, cade l'autostima, il bilancio è negativo; se vince la volontà di fare, ci si accorge che volere è solo il primo passo, poi deve seguire l'allenamento.
Quando lei ha imparato ad andare in bicicletta all'inizio cadeva, ricorda? Ma ha voluto riuscire ed è tornato sul sellino. Sono seguiti i primi incerti giretti, e forse un genitore si preoccupava di sorreggerla in questi tentativi.
Adesso può andare tranquillo in bicicletta e godersi questa conquistata capacità.
Stessa cosa per tutto il resto. Lei stesso spiega come ha rinunciato: "dopo questo miglioramento iniziale, in effetti, c'è stato uno stallo perchè si era arrivati al punto di dover lavorare sul prendere in mano la propria vita e io non ho retto alla paura e la terapia quindi ha cominciato a bloccarsi".
Lei la chiama "paura", così giustifica l'inerzia e tutti gli altri meccanismi di difesa che l'hanno lasciata al palo.
Facendo l'analisi del linguaggio, le farei notare che sembra attribuire ad oscure entità esterne l'accaduto: "la terapia quindi ha cominciato a bloccarsi".
Non c'è nessun "quindi", perché non era una legge della natura il blocco della terapia come conseguenza della paura, e soprattutto il soggetto è e rimane LEI: lei ha bloccato la terapia, non si è inceppata da sola.
Ha ragione quando scrive: "Ma tutto questo non è importante, l'importante è il tempo presente", salvo un'osservazione: il passato, se accolto e analizzato, ci serve a non ripetere gli stessi errori.
Parli con sincerità all'attuale curante per valutare insieme il percorso, ma a questo punto, con lui o con un altro, vada fino in fondo.
Auguri.
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Utente
Utente
Grazie per la risposta. Ok, adesso mi è molto più chiaro il suo discorso. Se ho capito bene, lei mi sta dicendo che qualunque sia il malessere (soprattutto psicologico) che una persona possa avere, bisogna fare la scelta di voler fare qualcosa per cambiare,e poi fare i passi concreti necessari, giusto? Su questo sono pienamente d'accordo. Quello che volevo capire con il mio primo messaggio era se anche le brutte emozioni e sensazioni che provo in questo periodo possono essere cambiate con la terapia, cioè sono effettivamente sintomo di "qualcosa che non va in me" o sono semplicemente str** di natura. Perchè ci sono dei momenti in cui a me veramente non importa più nulla di nulla e nessuno e me ne starei chiuso nella mia stanza a vita, godendo nel fare soffrire i miei genitori, senza avere sensi di colpa. Ho sempre avuto una enorme rabbia dentro di me, e che non sono mai riuscito a fare sparire,ed era questo che mi dava da pensare. Era questo che intendevo con:

"Ho 26 anni e non capisco come sia possibile che mi dia più piacere stare in casa a fare stare male i miei genitori e "vendicarsi" per ogni piccola stupidaggine, rispetto a alla vita esterna.
Perchè gli altri ragazzi sono normali e io sono diverso?"

Perchè se lei (o uno psicologo da vivo) mi dicesse: "lei si sente così perchè ha un problema/disturbo, e questo disturbo è curabile con la terapia", io mi sento molto più legittimato e propenso a cercare aiuto... Perchè è come se mi dicesse che non ho scelto io consapevolmente di crearmi un bel giorno questo problema. Sono cresciuto in una famiglia dove ci si giudica in continuazione, quindi forse è da questo che deriva la tendenza a giudicarsi... spero il messaggio non sia troppo confusionario, ho cercato di spiegarmi meglio che potevo.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Gentile utente,
si è spiegato benissimo, specie per chi studia certe problematiche da anni.
Vorrei riflettere con lei su alcuni punti della sua email.
1) Le parole "lei mi sta dicendo che qualunque sia il malessere (soprattutto psicologico) che una persona possa avere, bisogna fare la scelta di voler fare qualcosa per cambiare,e poi fare i passi concreti necessari".
Ha capito benissimo, solo occorre togliere le parole "soprattutto psicologico".
Se ha un malessere fisico, non sta a lei scegliere di curarsi? E se il malessere è nelle relazioni, non dipende da lei cambiare atteggiamento, interrompere le relazioni tossiche, etc.? Se il disagio è economico, lavorativo, abitativo, non è sempre lei, ossia la persona stessa che lo avverte, a poter iniziare il cambiamento?
Qualunque aiuto ci occorra (medico - psicologico - finanziario - altro) nemmeno lo accettiamo se non lo desideriamo.
Se si guarda intorno si accorgerà di quante situazioni scomode restano immutate perché chi le subisce non sa e/o non vuole cambiarle, palesemente nascondendosi dietro parole come "non c'è niente da fare", "è impossibile", etc.
2) Il punto che segue e la sua insistenza nel riproporlo è alla radice del suo malessere: "Quello che volevo capire con il mio primo messaggio era se anche le brutte emozioni e sensazioni che provo in questo periodo possono essere cambiate con la terapia, cioè sono effettivamente sintomo di "qualcosa che non va in me" o sono semplicemente str** di natura".
Avendo avuto più di un terapeuta, si può davvero credere che lei non abbia rivolto a loro la domanda sulla possibilità di superare "le brutte emozioni e sensazioni", ossia di guarire?
Inoltre quello che non va in lei e quello che definisce "str** di natura" in che modo sarebbero differenti, sotto il profilo della terapia?
Sembra di capire che lei vuol distinguere tra i disturbi che ci piombano addosso senza l'intervento della nostra volontà e i comportamenti volontari, come se fossero separati da una drastica cesura, e dice di sentirsi "molto più legittimato e propenso a cercare aiuto" nel primo caso.
Perché mai? Lo psicologo interviene ovunque c'è un disagio, anche sulle abitudini, personali e familiari, acquisite più o meno consapevolmente.
Il suo desiderio di attuare sottili distinzioni ed arzigogolarci sopra fa parte del suo disturbo. Forse anche per questo i suoi terapeuti non hanno voluto comunicarle una diagnosi, che spesso è un contenitore generico e fuorviante.
Come nel paradosso di Achille e la tartaruga, nella teoria si può dimostrare all'infinito che il velocissimo Achille non raggiungerà mai la tartaruga che parta con un centimetro di vantaggio: nella prassi, gli basterà meno di un passo per lasciarsela alle spalle.
Auguri.
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Utente
Utente
Buongiorno dottoressa... Allora, rispetto al punto uno della sua lettera, si in effetti ha ragione, quindi direi che possiamo archiviare il discorso (non so perchè ho inserito il termine "soprattutto psicologico", ma comunque ci siamo capiti).
Rispetto al punto due: ho riletto più volte la sua mail per cercare di coglierne il messaggio... Credo che per me sia meglio non farmi troppe domande, dirmi "sia che il malessere sia sintomo di un disagio, sia che mi senta uno str** di natura, io lo considererò come un generico problema da risolvere e lo porterò allo psicologo. Stop, fine, senza fare troppi ragionamenti, e le cose andranno meglio." Sto cercando di farmi forza e avere fiducia nel compiere i passi necessari, anche se l'enorme rabbia che ho dentro mi genera molta sofferenza.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Caro utente,
sono contenta che voglia iniziare un percorso di guarigione e le auguro di trovare presto il curante idoneo.
Come vedrà ci saranno nel cammino dei momenti dolorosi e dei momenti di scoraggiamento, e tutti vanno portati nel colloquio terapeutico per farne strumenti di cambiamento positivo.
L'enorme rabbia che prova, la sofferenza che le genera, sono la prima cosa di cui parlare al curante. Proprio questo nodo doloroso sentirà sciogliersi, nel corso della terapia.
Le faccio i più vivi auguri.
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Utente
Utente
Dottoressa, grazie della risposta. Cercherò di iniziare il percorso tenendo bene a mente quello che lei mi ha detto e di non cadere di nuovo nella depressione e nel non fare nulla. Credo sia meglio non mantenere attivo un doppio canale di comunicazione (psicologo reale e questo sito), quindi penso che non scriverò più qui per il momento per dedicarmi al 100% al percorso nella vita reale. Per il momento la ringrazio.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Prego, caro utente.
Trovo molto assennata la sua scelta del canale unico e le faccio ancora tanti auguri.