Lasciarsi: diverse priorità

Buonasera,
vi sto scrivendo perché in questi mesi vivo una grande sofferenza dovuta alla separazione dal ragazzo che mi ha accompagnata in questi ultimi sette anni.
Ho sempre pensato che il nostro amore fosse prezioso: mi sono sempre sentita serena, gioiosa, tranquilla e piena di vita accanto a lui.
Tre anni fa, subito dopo la mia laurea, sono dovuta partire per recarmi a 600 km da casa per lavorare.
Non vivevamo insieme e non avevamo progetti, fantasticavamo sul fatto di convivere e ogni tanto usciva fuori anche il discorso di avere dei figli un giorno.
Quel primo anno a distanza fu molto difficile, non vedevo l'ora di passare più tempo con lui per condividere la quotidianità e per pensare a come poterci riunire.
Per l'estate tornai a casa e ci ritrovammo nel mezzo di una crisi: volevo chiarire con lui come pensare al nostro futuro, lui era evasivo, mi faceva capire che era presto e che non poteva occuparsene, ma che il suo obiettivo ultimo rimaneva comunque il fatto di costruirsi per avere un futuro sereno insieme a me.
Vista l'assenza di prospettive concrete, sono partita ancora.
Recentemente, mi ha detto più volte che gli mancavo e che aveva bisogno che la nostra distanza si riducesse.
Nonostante questo, a fine febbraio inizia a farmi dei discorsi in cui cerca di dirmi che non può impegnarsi nella vita di coppia, che ha troppe cose da fare e l'ansia di arrivare nella vita a raggiungere i suoi obiettivi che non gli dà modo di pensare alla relazione e che anzi, lo angoscia.
Lui si è laureato in una materia scientifica, ha lavorato per due anni grazie ai suoi studi, finché non ha deciso di mollare tutto per inseguire il sogno di diventare artista, insoddisfatto dal lavoro di ufficio.
Io, con il tempo, ho iniziato a considerare questa scelta come malsana: mi sembrava che da questo dipendesse tutto il valore che attribuiva a se stesso.
Non l'ho mai visto felice dopo aver iniziato gli studi artistici, anzi, sempre più ossessionato e affaticato dalla ricerca spasmodica di essere bravo.
Non ha cercato più un lavoro, ha finito i soldi e ha lasciato andare anche me.
Mi ha lasciata baciandomi, abbracciandomi, incapace di separarsi da me, piangendo con dei singhiozzi che gli impedivano di respirare, dicendo che sarebbe stato sempre una delusione per me.
Ho cercato di metterlo in guardia da questo suo nuovo atteggiamento verso la vita ma, alla fine, ha preferito non scavare dentro se stesso.
Sento che le cose tra noi non sono risolte, sento che ci siamo lasciati, ma che il nostro rapporto esiste ancora sospeso, perché mi ha lasciata con tutto il bene che provava per me e che ho percepito.
Mi sento delusa, amareggiata, arrabbiata e, allo stesso tempo, sento di amarlo ancora e spero che un giorno torni nella mia vita con delle idee chiare che possano recuperare quello che è stato inquinato da questo suo approccio alla realtà.
Chiedo a voi un parere su questa vicenda che vi ho raccontato... Vi ringrazio molto, L.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Gentile utente,
forse ci troviamo di fronte ad uno dei motivi classici di fallimento della coppia: uno dei due cambia e l'altro non è disposto ad accettare il cambiamento... ma forse non c'è solo questo.
Provo a sviluppare insieme le due ipotesi.
Lei ha conosciuto un giovane che forse sull'onda degli studi pregressi, delle scelte degli amici, della volontà dei parenti, si è iscritto ad una facoltà scientifica.
Si laurea, lavora per due anni e si accorge che ha preso una strada diversa da quella che desidera.
Rompe tutto, nella costernazione e forse nei rimproveri generali, e intraprende una professione artistica, come desidera; però... ecco che immette in questo nuovo ambito una sorta di rigorismo punitivo: o sei bravissimo, o hai sbagliato tutto.
Ora, sappiamo bene che nessuna attività si può condurre a buon fine se si è dominati dall'ansia di prestazione; figuriamoci un'attività artistica.
A questo punto mi chiedo se non abbia avuto un effetto negativo anche lei, cara utente. In una coppia idealmente felice ci si supporta a vicenda, si accetta il cambiamento dell'altro, lo si ama incondizionatamente. Nella realtà, molti partner dipendono invece perfino economicamente dall'altro, e più spesso da una precisa immagine dell'altro che hanno interiorizzato.
Chi ha scelto come compagno un fisico o un ingegnere di belle speranze si trova male con un artista in crisi. Chi desiderava realizzazioni concrete (convivenza - casa - figli) si trova spiazzato da quella che considera l'inconcludenza dell'altro, o come lei ripete più volte, le idee non chiare, l'approccio inquinato alla realtà, le scelte malsane.
Che dirle? Una grande adattabilità reciproca vi permetterebbe forse di restare insieme, di fare un percorso di crescita verso l'accettazione dell'altro e l'assunzione reciproca di responsabilità. Ma è quello che desiderate, tutti e due?
Soprattutto il suo partner, se vive un conflitto interno per il quale non sa cosa vuole davvero, al punto che boicotta sistematicamente sé stesso, può accettare di vivere una relazione che al momento rappresenta per lui un ulteriore pungolo doloroso?
Per ciascuno dei due, il dialogo con uno psicologo sarebbe indicato, per cercare di accettare al meglio sé stessi ed evitare di torturarvi a vicenda o di brancolare nella nebbia.
Provi a leggere, di Camus "Giona o l'artista al lavoro", e provi a far leggere questa mia risposta al suo partner.
Ricordate che noi siamo qui per cercare di aiutarvi.
A presto.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com