Dipendenza affettiva e abuso passivo
Vi scrivo per cercare di razionalizzare una situazione che vivo come intensamente drammatica.
Mi ero lasciato lo scorso novembre in modo definitivo con quella che è stata la mia fidanzata per quasi quattro anni.
Si è trattato di un periodo estremamente cupo per me, a causa di una grave malattia di mio padre, che è poi morto all'inizio di quest'anno.
Quella relazione si era conclusa a causa del manifestarsi sempre più intenso di una oggettiva incompatibilità caratteriale, data primariamente dalla mia ricerca di presenza e disponibilità che si scontrava con assenze radicali e durature, anche di diverse settimane, motivate da esigenze di studio.
Conclusa la relazione ho vissuto la separazione come un vero lutto, restando incapace di smettere di pensare a questa persona costantemente, e ritrovandomela quasi ogni notte nella vita onirica.
Dopo circa tre mesi, in ogni caso, stavo riacquistando una solida autonomia, anche se nel frattempo moriva mio padre e ad oggi vivo questo nuovo lutto in modo veramente intenso.
Arriva anche la pandemia covid-19, con tutti i suoi caratteri distopici, obbligandomi a restare chiuso nella casa in cui ho visto morire mio padre.
Verso la fine di marzo lei si ripresenta da me, con modi garbati e con la precisa intenzione, poi esplicitamente dichiarata, di riproporre una relazione.
Cedo debolmente a questa prospettiva, pur conscio dei pericoli insiti nella cosa, forse spinto troppo dalla fragilità emotiva in cui mi trovavo per la morte di mio padre.
Nelle prime due settimane tutto è piacevole e, ovviamente, si risvegliano in modo forte sentimenti che ero appena riuscito a sotterrare.
Sono di nuovo innamorato.
Ecco che lei incomincia di nuovo a sparire, adducendo come motivo l'esigenza di laurearsi e di conseguire serenamente i propri obiettivi.
Finisce la quarantena e non trova il tempo di mostrarsi anche una sola mattina.
Mostro la mia delusione, ma inutilmente.
A metà maggio, dopo avermi assicurato che a giugno e luglio il tempo per una relazione si sarebbe trovato, dichiara che per "alcuni mesi" non avrebbe avuto più praticamente un minuto.
A quel punto tensioni e delusioni si fanno in me profondissime, percepisco un abuso passivo a tutto raggio, e mi lancio in poco dignitose preghiere fino agli ancora meno dignitosi insulti, riscontrando sempre totale indisponibilità al dialogo.
Afferma di avere dei problemi, e di non poterci fare nulla.
Gli stessi problemi, io credo consistenti in deficit cognitivi della gestione del tempo, che hanno reso impossibile la precedente relazione.
Impossibile ottenere risposta sul perché abbia deciso di riprendere i contatti - non in amicizia - se consapevole di avere limitazioni così profonde nella sfera sociale che di fatto comportano una negazione di cura, presenza e umanità verso chi, almeno verbalmente, si dice di amare.
Litigio definitivo.
I miei sentimenti non si spengono con un click, e ora mi trovo a vivere di fatto un nuovo lutto, insieme a quello di mio padre.
Come ne esco?
Mi ero lasciato lo scorso novembre in modo definitivo con quella che è stata la mia fidanzata per quasi quattro anni.
Si è trattato di un periodo estremamente cupo per me, a causa di una grave malattia di mio padre, che è poi morto all'inizio di quest'anno.
Quella relazione si era conclusa a causa del manifestarsi sempre più intenso di una oggettiva incompatibilità caratteriale, data primariamente dalla mia ricerca di presenza e disponibilità che si scontrava con assenze radicali e durature, anche di diverse settimane, motivate da esigenze di studio.
Conclusa la relazione ho vissuto la separazione come un vero lutto, restando incapace di smettere di pensare a questa persona costantemente, e ritrovandomela quasi ogni notte nella vita onirica.
Dopo circa tre mesi, in ogni caso, stavo riacquistando una solida autonomia, anche se nel frattempo moriva mio padre e ad oggi vivo questo nuovo lutto in modo veramente intenso.
Arriva anche la pandemia covid-19, con tutti i suoi caratteri distopici, obbligandomi a restare chiuso nella casa in cui ho visto morire mio padre.
Verso la fine di marzo lei si ripresenta da me, con modi garbati e con la precisa intenzione, poi esplicitamente dichiarata, di riproporre una relazione.
Cedo debolmente a questa prospettiva, pur conscio dei pericoli insiti nella cosa, forse spinto troppo dalla fragilità emotiva in cui mi trovavo per la morte di mio padre.
Nelle prime due settimane tutto è piacevole e, ovviamente, si risvegliano in modo forte sentimenti che ero appena riuscito a sotterrare.
Sono di nuovo innamorato.
Ecco che lei incomincia di nuovo a sparire, adducendo come motivo l'esigenza di laurearsi e di conseguire serenamente i propri obiettivi.
Finisce la quarantena e non trova il tempo di mostrarsi anche una sola mattina.
Mostro la mia delusione, ma inutilmente.
A metà maggio, dopo avermi assicurato che a giugno e luglio il tempo per una relazione si sarebbe trovato, dichiara che per "alcuni mesi" non avrebbe avuto più praticamente un minuto.
A quel punto tensioni e delusioni si fanno in me profondissime, percepisco un abuso passivo a tutto raggio, e mi lancio in poco dignitose preghiere fino agli ancora meno dignitosi insulti, riscontrando sempre totale indisponibilità al dialogo.
Afferma di avere dei problemi, e di non poterci fare nulla.
Gli stessi problemi, io credo consistenti in deficit cognitivi della gestione del tempo, che hanno reso impossibile la precedente relazione.
Impossibile ottenere risposta sul perché abbia deciso di riprendere i contatti - non in amicizia - se consapevole di avere limitazioni così profonde nella sfera sociale che di fatto comportano una negazione di cura, presenza e umanità verso chi, almeno verbalmente, si dice di amare.
Litigio definitivo.
I miei sentimenti non si spengono con un click, e ora mi trovo a vivere di fatto un nuovo lutto, insieme a quello di mio padre.
Come ne esco?
[#1]
Gentile utente,
Lei ha già sperimentato la gestione di un lutto, anzi due.
E dunque alla Sua domanda
"Come ne esco?" Lei possiede già la risposta.
Però, a differenza della prima volta, tavolta c'è la...
malinconia? delusione? rabbia con se stesso?
di aver ripreso la relazione "cedendo debolmente a questa prospettiva, pur conscio dei pericoli insiti nella cosa, forse spinto troppo dalla fragilità emotiva..".
Anche questo rappresenterà un apprendimento su di sè.
Se a Lei poi inteessano gli approfondimenti scientifici, La invito a leggere questa ricerca sull'attività del cervello nel corso dell'innamoramento e del dis-innamoramento:
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/5734-sei-innamorato-a-il-cervello-ti-si-illumina.html ,
che Le fornirà un altro punto di vista al "Come ne esco?"
Cordiali saluti.
Dott. Brunialti
Lei ha già sperimentato la gestione di un lutto, anzi due.
E dunque alla Sua domanda
"Come ne esco?" Lei possiede già la risposta.
Però, a differenza della prima volta, tavolta c'è la...
malinconia? delusione? rabbia con se stesso?
di aver ripreso la relazione "cedendo debolmente a questa prospettiva, pur conscio dei pericoli insiti nella cosa, forse spinto troppo dalla fragilità emotiva..".
Anche questo rappresenterà un apprendimento su di sè.
Se a Lei poi inteessano gli approfondimenti scientifici, La invito a leggere questa ricerca sull'attività del cervello nel corso dell'innamoramento e del dis-innamoramento:
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/5734-sei-innamorato-a-il-cervello-ti-si-illumina.html ,
che Le fornirà un altro punto di vista al "Come ne esco?"
Cordiali saluti.
Dott. Brunialti
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 1.2k visite dal 10/06/2020.
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