Dipendenza affettiva?
Buongiorno.
Ho 32 anni e da 6 ho intrapreso una relazione con un ragazzo poco più grande di me.
Entrambi si può dire fossimo alla nostra prima esperienza sentimentale.
Nel tempo penso di aver capito essere presente in lui una mania di controllo (es.
non posso vedere liberamente le amiche perché "vuoi più bene a loro che a me", non posso toccare quasi nulla di sua proprietà per via del suo timore che possa arrecare danni agli oggetti, non posso invitare nessuno a casa nostra per via del fatto che a suo dire casa non è mai sufficientemente pulita o in ordine o non abbiamo ancora completato l'arredo, non posso organizzare quasi nessuna attività che non lo coinvolga e devo comunque avvisarlo con giorni di anticipo, mi sminuisce/aggredisce verbalmente in continuazione e nulla di ciò che faccio è mai abbastanza, ).
Ho cercato di aprirgli gli occhi perché da qualche anno ormai mi sento a pezzi, ma da qualche tempo ormai ho compreso che non c'è nulla che possa fare e che sarebbe anche "egoista" chiedergli un cambiamento perché io possa tornare a stare bene.
Il problema dunque è un altro.
Non riesco a staccarmi da lui.
Penso di aver sviluppato una dipendenza affettiva ma non ne sono certa.
Mi rendo conto che spiegherebbe come mai, nonostante tutta la sofferenza sopportata negli ultimi 4 anni (ovvero tutti gli anni di convivenza), non sia ancora riuscita a chiudere questa storia.
Tuttavia mi rendo conto di volergli davvero bene, che forse non sono legata a lui per via di una mia dipendenza.
Mi rendo proprio conto di soffrire per lui, capisco che se è così è perché ha subito dei traumi infantili (a parte farmi impazzire, è una bellissima persona).
Non so dunque se alla luce di questa consapevolezza sia più giusto sforzarmi di comprenderlo e cercare, nel tempo, sia di ammorbidire certi suoi tratti sia di sforzarmi di relazionarmi a lui in maniera più costruttiva, oppure se sia meglio per me prendere le distanze anche se con la morte nel cuore (sono già più di 3 anni che ci provo senza successo).
Dimenticavo: sono già in psicoterapia da un anno proprio per cercare di staccarmi da lui (inizialmente ero convinta lui fosse un narcisista covert) ma sebbene abbia acquisito maggiore consapevolezza, non riesco a rinunciare alla speranza che io ce la possa fare a sopportare e accettare questi suoi tratti, un po' come se non mi stessi impegnando abbastanza.
Grazie e scusate per la lunghezza del testo.
Ho 32 anni e da 6 ho intrapreso una relazione con un ragazzo poco più grande di me.
Entrambi si può dire fossimo alla nostra prima esperienza sentimentale.
Nel tempo penso di aver capito essere presente in lui una mania di controllo (es.
non posso vedere liberamente le amiche perché "vuoi più bene a loro che a me", non posso toccare quasi nulla di sua proprietà per via del suo timore che possa arrecare danni agli oggetti, non posso invitare nessuno a casa nostra per via del fatto che a suo dire casa non è mai sufficientemente pulita o in ordine o non abbiamo ancora completato l'arredo, non posso organizzare quasi nessuna attività che non lo coinvolga e devo comunque avvisarlo con giorni di anticipo, mi sminuisce/aggredisce verbalmente in continuazione e nulla di ciò che faccio è mai abbastanza, ).
Ho cercato di aprirgli gli occhi perché da qualche anno ormai mi sento a pezzi, ma da qualche tempo ormai ho compreso che non c'è nulla che possa fare e che sarebbe anche "egoista" chiedergli un cambiamento perché io possa tornare a stare bene.
Il problema dunque è un altro.
Non riesco a staccarmi da lui.
Penso di aver sviluppato una dipendenza affettiva ma non ne sono certa.
Mi rendo conto che spiegherebbe come mai, nonostante tutta la sofferenza sopportata negli ultimi 4 anni (ovvero tutti gli anni di convivenza), non sia ancora riuscita a chiudere questa storia.
Tuttavia mi rendo conto di volergli davvero bene, che forse non sono legata a lui per via di una mia dipendenza.
Mi rendo proprio conto di soffrire per lui, capisco che se è così è perché ha subito dei traumi infantili (a parte farmi impazzire, è una bellissima persona).
Non so dunque se alla luce di questa consapevolezza sia più giusto sforzarmi di comprenderlo e cercare, nel tempo, sia di ammorbidire certi suoi tratti sia di sforzarmi di relazionarmi a lui in maniera più costruttiva, oppure se sia meglio per me prendere le distanze anche se con la morte nel cuore (sono già più di 3 anni che ci provo senza successo).
Dimenticavo: sono già in psicoterapia da un anno proprio per cercare di staccarmi da lui (inizialmente ero convinta lui fosse un narcisista covert) ma sebbene abbia acquisito maggiore consapevolezza, non riesco a rinunciare alla speranza che io ce la possa fare a sopportare e accettare questi suoi tratti, un po' come se non mi stessi impegnando abbastanza.
Grazie e scusate per la lunghezza del testo.
[#1]
Gentile Utente,
intanto ha preso la decisione più saggia nell'intraprendere una psicoterapia, proprio per comprendere non solo molto di più sul Suo (di Lei che scrive) modo di fare e di pensare, ma anche su come fare per cambiare (se stessa e non il Suo fidanzato).
Lei stessa afferma che probabilmente quei traumi infantili La portano ad essere in qualche modo sofferente e forse troppo arrendevole. In realtà, non è un Suo problema se qualcun altro dice di aver avuto un trauma infantile (e bisognerebbe pure capire che cosa intendiamo ), perché nessuno, né un uomo traumatizzato, né uno non traumatizzato, è autorizzato a maltrattarLa, a sminuirLa, ad aggredirLa verbalmente, insomma a mancarLe di rispetto.
Non so a che punto della terapia sia arrivata, ma spero che Lei si stia rendendo conto che queste forme di mancanza di rispetto nascondono sempre una forma di violenza psicologica che deve cessare e da parte Sua una scarsa autostima, che al contrario deve essere rafforzata.
Non conterei molto sul cambiamento di quest'uomo, ma sul Suo. La speranza di cambiarlo a mio avviso deve essere abbandonata: nessuno può cambiare nessuno, ma ciascuno può -se lo desidera- cambiare se stesso.
Questa speranza è ciò che fa soffrire moltissime donne che stanno insieme a uomini maltrattanti e che le trasforma in "crocerossine".
Cordiali saluti,
intanto ha preso la decisione più saggia nell'intraprendere una psicoterapia, proprio per comprendere non solo molto di più sul Suo (di Lei che scrive) modo di fare e di pensare, ma anche su come fare per cambiare (se stessa e non il Suo fidanzato).
Lei stessa afferma che probabilmente quei traumi infantili La portano ad essere in qualche modo sofferente e forse troppo arrendevole. In realtà, non è un Suo problema se qualcun altro dice di aver avuto un trauma infantile (e bisognerebbe pure capire che cosa intendiamo ), perché nessuno, né un uomo traumatizzato, né uno non traumatizzato, è autorizzato a maltrattarLa, a sminuirLa, ad aggredirLa verbalmente, insomma a mancarLe di rispetto.
Non so a che punto della terapia sia arrivata, ma spero che Lei si stia rendendo conto che queste forme di mancanza di rispetto nascondono sempre una forma di violenza psicologica che deve cessare e da parte Sua una scarsa autostima, che al contrario deve essere rafforzata.
Non conterei molto sul cambiamento di quest'uomo, ma sul Suo. La speranza di cambiarlo a mio avviso deve essere abbandonata: nessuno può cambiare nessuno, ma ciascuno può -se lo desidera- cambiare se stesso.
Questa speranza è ciò che fa soffrire moltissime donne che stanno insieme a uomini maltrattanti e che le trasforma in "crocerossine".
Cordiali saluti,
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
[#2]
Utente
Buongiorno Dott.sa Pileci.
La ringrazio anzitutto moltissimo della attenzione.
Posso confermarle che durante il percorso di psicoterapia sono arrivata a comprendere di dover lavorare sulla mia autostima (e dunque su tutti quei fattori che attivano in me pensieri negativi e svalutanti).
Ciò che sento ancora oggi difficile, è fidarmi delle mie impressioni.
Cerco di spiegarmi meglio: non riesco a capire se sono esagerata io nel ritenere che lui mi offenda (forse sono io ad essere semplicemente permalosa?), o nel ritenere soffocante il rapporto con lui (forse sono io che pretendo troppa libertà?), o nel non essere capace di scendere a compromessi (forse sono io ad essere troppo intollerante quando non mi permette di organizzare liberamente cene a casa nostra, senza un suo espresso placet), ecc.
La dottoressa che mi ha in cura mi ha fatto capire che sono un soggetto ipersensibile (specificandomi che non deve essere letto in termini negativi), dunque temo di non riuscire ad essere "oggettiva" (se mai è possibile valutare qualsiasi evento in maniera oggettiva) nella valutazione delle reciproche responsabilità (mie e del mio compagno) all'interno del rapporto di coppia.
Detto in parole spicciole: temo di stare scaricando sul mio compagno "colpe/mancanze" mie. Ho paura di non riuscire a vedere che sono IO quella che sta facendo andare male il rapporto e che deve lavorare su sé stessa (in primis per il mio benessere, e poi per il benessere della coppia).
Certamente a contribuire a questa confusione ritengo sia il fatto che non ho mai avuto altre esperienze sentimentali e pertanto non so bene cosa aspettarmi da un rapporto di coppia. Non vorrei tuttavia rinunciare al rapporto presente per fare esperienze sentimentali, per poi rendermi conto che il problema ero semplicemente io.
Grazie di nuovo!
La ringrazio anzitutto moltissimo della attenzione.
Posso confermarle che durante il percorso di psicoterapia sono arrivata a comprendere di dover lavorare sulla mia autostima (e dunque su tutti quei fattori che attivano in me pensieri negativi e svalutanti).
Ciò che sento ancora oggi difficile, è fidarmi delle mie impressioni.
Cerco di spiegarmi meglio: non riesco a capire se sono esagerata io nel ritenere che lui mi offenda (forse sono io ad essere semplicemente permalosa?), o nel ritenere soffocante il rapporto con lui (forse sono io che pretendo troppa libertà?), o nel non essere capace di scendere a compromessi (forse sono io ad essere troppo intollerante quando non mi permette di organizzare liberamente cene a casa nostra, senza un suo espresso placet), ecc.
La dottoressa che mi ha in cura mi ha fatto capire che sono un soggetto ipersensibile (specificandomi che non deve essere letto in termini negativi), dunque temo di non riuscire ad essere "oggettiva" (se mai è possibile valutare qualsiasi evento in maniera oggettiva) nella valutazione delle reciproche responsabilità (mie e del mio compagno) all'interno del rapporto di coppia.
Detto in parole spicciole: temo di stare scaricando sul mio compagno "colpe/mancanze" mie. Ho paura di non riuscire a vedere che sono IO quella che sta facendo andare male il rapporto e che deve lavorare su sé stessa (in primis per il mio benessere, e poi per il benessere della coppia).
Certamente a contribuire a questa confusione ritengo sia il fatto che non ho mai avuto altre esperienze sentimentali e pertanto non so bene cosa aspettarmi da un rapporto di coppia. Non vorrei tuttavia rinunciare al rapporto presente per fare esperienze sentimentali, per poi rendermi conto che il problema ero semplicemente io.
Grazie di nuovo!
Questo consulto ha ricevuto 2 risposte e 1.5k visite dal 27/05/2020.
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Approfondimento su Dipendenza affettiva
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