Mancanza di interesse nelle persone e difficoltà ad aprire nuovi rapporti: dov'è l'errore?
Salve.
Da un po' vivo con disagio il mio modo di approcciarmi alle persone, alle ragazze soprattutto.
Sono un ragazzo abbastanza estroverso, ho sempre cercato di vincere, con, tutto sommato, buoni risultati, la mia timidezza.
Il problema è che sento, nella stragrande maggioranza dei casi, una mancanza di interesse nei confronti delle ragazze con cui parlo.
È come se sentissi di conoscerle già, come se fossero un ripetersi di un modello già visto.
E questo, spesso e volentieri, fa sì che l'attrazione sessuale, che è quello che mi spinge a cercare l'approccio, si affievolisca di molto.
Questo mi ha reso molto pigro nei rapporti: sono anni che la maggioranza dei miei rapporti (se non quasi la totalità) sono occasionali, con ragazze conosciute/reincontrate nella stessa serata.
Dal punto di vista sessuale, non ho mai avuto grossi problemi, ma i rapporti, quando sono così, non sono soddisfacenti.
All'inizio mi capitava di estraniarmi durante il rapporto, di commentare gli atteggiamenti della ragazza come se guardassi tutto dall'esterno.
Dico all'inizio perché tutto questo è iniziato dopo la fine della mia prima storia importante, 4 anni fa.
Una storia molto passionale, cominciata alla fine del liceo e durata tre anni, alla quale mi sono sentito attaccato per molto tempo.
In passato mi sono sentito inadeguato, ho avvertito con peso il confronto coi miei coetanei che vivevano con molta leggerezza e superficialità i rapporti, mentre io mi annoiavo.
E pensavo ciò fosse dovuto al mio non aver superato la rottura con la mia ex.
In parte lo era.
Poi, però, l'anno scorso una storia cominciata con rapporti senza impegno si è finalmente (e sorprendentemente) evoluta in qualcosa di più profondo e più coinvolgente, salvo poi finire male per colpa mia, che l'allontanavo senza rendermene conto.
Adesso sono ritornato ai miei rapporti poco soddisfacenti, ma, invece di pensare alla mia ex, con cui, per ironia della sorte, ho cominciato a rivedermi (in amicizia), penso a (o, meglio, mi aggrappo al pensiero di) questa ragazza, che, dopo tanti miei tentativi di riconquistarla, ha chiuso con me definitivamente ormai mesi fa.
Allora mi chiedo perché mi sia così difficile il distacco dopo "essermi aperto" con una ragazza.
E perché riesca ad aprirmi con loro solo molto dopo aver consumato un rapporto (anche la mia prima storia era nata con dei rapporti senza impegno).
So solo che sento un forte vuoto, che mi spinge a cercare stimoli emotivi anche se questo significa assumere un atteggiamento vagamente autodistruttivo o ripescare rapporti del passato (come sto facendo con la mia ex).
E che mi sento come se avessi un'ansia da prestazione non sessuale ma sentimentale, una paura di far scoprire la mia assenza di qualsivoglia trasporto alla nuova ragazza X che incontro nelle mie giornate, che mi ha portato ultimamente - motivo per cui sono qui a scrivere - a un comportamento di evitamento.
Vorrei sapere dove sbaglio e come fare per interrompere questo circolo vizioso.
Grazie
Da un po' vivo con disagio il mio modo di approcciarmi alle persone, alle ragazze soprattutto.
Sono un ragazzo abbastanza estroverso, ho sempre cercato di vincere, con, tutto sommato, buoni risultati, la mia timidezza.
Il problema è che sento, nella stragrande maggioranza dei casi, una mancanza di interesse nei confronti delle ragazze con cui parlo.
È come se sentissi di conoscerle già, come se fossero un ripetersi di un modello già visto.
E questo, spesso e volentieri, fa sì che l'attrazione sessuale, che è quello che mi spinge a cercare l'approccio, si affievolisca di molto.
Questo mi ha reso molto pigro nei rapporti: sono anni che la maggioranza dei miei rapporti (se non quasi la totalità) sono occasionali, con ragazze conosciute/reincontrate nella stessa serata.
Dal punto di vista sessuale, non ho mai avuto grossi problemi, ma i rapporti, quando sono così, non sono soddisfacenti.
All'inizio mi capitava di estraniarmi durante il rapporto, di commentare gli atteggiamenti della ragazza come se guardassi tutto dall'esterno.
Dico all'inizio perché tutto questo è iniziato dopo la fine della mia prima storia importante, 4 anni fa.
Una storia molto passionale, cominciata alla fine del liceo e durata tre anni, alla quale mi sono sentito attaccato per molto tempo.
In passato mi sono sentito inadeguato, ho avvertito con peso il confronto coi miei coetanei che vivevano con molta leggerezza e superficialità i rapporti, mentre io mi annoiavo.
E pensavo ciò fosse dovuto al mio non aver superato la rottura con la mia ex.
In parte lo era.
Poi, però, l'anno scorso una storia cominciata con rapporti senza impegno si è finalmente (e sorprendentemente) evoluta in qualcosa di più profondo e più coinvolgente, salvo poi finire male per colpa mia, che l'allontanavo senza rendermene conto.
Adesso sono ritornato ai miei rapporti poco soddisfacenti, ma, invece di pensare alla mia ex, con cui, per ironia della sorte, ho cominciato a rivedermi (in amicizia), penso a (o, meglio, mi aggrappo al pensiero di) questa ragazza, che, dopo tanti miei tentativi di riconquistarla, ha chiuso con me definitivamente ormai mesi fa.
Allora mi chiedo perché mi sia così difficile il distacco dopo "essermi aperto" con una ragazza.
E perché riesca ad aprirmi con loro solo molto dopo aver consumato un rapporto (anche la mia prima storia era nata con dei rapporti senza impegno).
So solo che sento un forte vuoto, che mi spinge a cercare stimoli emotivi anche se questo significa assumere un atteggiamento vagamente autodistruttivo o ripescare rapporti del passato (come sto facendo con la mia ex).
E che mi sento come se avessi un'ansia da prestazione non sessuale ma sentimentale, una paura di far scoprire la mia assenza di qualsivoglia trasporto alla nuova ragazza X che incontro nelle mie giornate, che mi ha portato ultimamente - motivo per cui sono qui a scrivere - a un comportamento di evitamento.
Vorrei sapere dove sbaglio e come fare per interrompere questo circolo vizioso.
Grazie
[#1]
Gentile utente,
data la sua giovane età e la natura complessa che si intravede in lei da ciò che scrive, direi che non c'è alcun circolo vizioso da interrompere. Si dia tempo; si lasci vivere, osservando il fluire della vita.
Lei ricorda i personaggi del periodo del decadentismo: complesso e osservatore al punto da affascinare gli altri, le donne, ed esserne per contro deluso e annoiato, specie se la conquista è troppo immediata e troppo facile.
Non ci dice molto di sé, in termini di occupazione e di studi.
Non ci dice nemmeno per quale ragione finì la sua storia d'amore ora recuperata come amicizia, e chi fu ad interromperla.
Per alcuni è troppo difficile ammetterlo, ma una ferita dei sentimenti può essere molto lenta da guarire. Un grande romanziere del Novecento suo conterraneo, Raffaele La Capria, scrisse un romanzo bellissimo sulla sua prima esperienza d'amore che s'intitola "Ferito a morte". Provi a leggerlo.
Ci scriva ancora.
Le auguro soprattutto di conoscere e accettare sé stesso.
data la sua giovane età e la natura complessa che si intravede in lei da ciò che scrive, direi che non c'è alcun circolo vizioso da interrompere. Si dia tempo; si lasci vivere, osservando il fluire della vita.
Lei ricorda i personaggi del periodo del decadentismo: complesso e osservatore al punto da affascinare gli altri, le donne, ed esserne per contro deluso e annoiato, specie se la conquista è troppo immediata e troppo facile.
Non ci dice molto di sé, in termini di occupazione e di studi.
Non ci dice nemmeno per quale ragione finì la sua storia d'amore ora recuperata come amicizia, e chi fu ad interromperla.
Per alcuni è troppo difficile ammetterlo, ma una ferita dei sentimenti può essere molto lenta da guarire. Un grande romanziere del Novecento suo conterraneo, Raffaele La Capria, scrisse un romanzo bellissimo sulla sua prima esperienza d'amore che s'intitola "Ferito a morte". Provi a leggerlo.
Ci scriva ancora.
Le auguro soprattutto di conoscere e accettare sé stesso.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 962 visite dal 05/03/2020.
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