Un modo facile per suicidarmi esiste
È da un po' di tempo che non riesco ad andare avanti con la mia vita normalmente, ogni cosa che faccio penso che il suicidio sia l'unica soluzione. Ci fosse stato un modo facile per suicidarsi l'avrei già fatto, ma fino ad ora non ho mai avuto il coraggio.
I miei problemi quali sono? Tanti, uno dei quali autostima pari a 0.
Ho mai pensato di parlarne con qualcuno? Si ma non l'ho mai fatto e mai lo farò penso perché non sono il tipo di persona che esterna i propri problemi
I miei problemi quali sono? Tanti, uno dei quali autostima pari a 0.
Ho mai pensato di parlarne con qualcuno? Si ma non l'ho mai fatto e mai lo farò penso perché non sono il tipo di persona che esterna i propri problemi
[#1]
Gentile utente,
nel leggere la sua email si intravede una persona con una buona qualità di linguaggio e di pensieri. Dovremmo sapere un po' di più su di lei, per cercare di aiutarla.
Per la sofferenza che consegue ad un'autostima carente, complicata dall'impossibilità di esternare il problema (ma anche per scritto?) esistono tante soluzioni. Gliene prospetterò solo due. Non ne fa parte il suicidio; mi perdoni, parlo senza conoscere le sue condizioni di salute, ma nel presupposto che non abbia una malattia gravemente invalidante accompagnata da dolori insopportabili che non trovano rimedio nei farmaci, non la considero una soluzione, specie alla sua età.
La mia prima proposta è la lettura e l'applicazione di un manualetto pratico sull'autostima, che sia breve, conciso, e che lei abbia la costanza di seguire fino in fondo. Ne scelga uno in libreria, dopo averne sfogliati un po'. Potrei consigliarle un titolo, ma preferirei che scegliesse da sé.
C'è anche un ottimo manuale sulla depressione che capovolge gli assunti classici, ma prevede la capacità di accostarsi a una visione trascendente; è stato scritto da un religioso di orientamento protestante.
Il secondo consiglio è quello di "regalare" la vita che non le interessa ad altri, tramite il volontariato. Se è in condizioni fisiche per farlo, vada in un centro per bambini abbandonati, per anziani, per disabili o altri diseredati sociali e regali a loro i suoi muscoli, le sue energie, la sua intelligenza. Oppure si metta a disposizione di un'organizzazione internazionale e accetti di partire; non le farà certo paura il pericolo di restare ucciso, e almeno avrà usato la sua vita per uno scopo.
Se non è in condizione di muoversi, usi la sua intelligenza regalando, sempre al volontariato, scritti, traduzioni, disegni, la confezione di pacchi e tutto quello che possono proporle nelle parrocchie, alla Caritas, alla Croce Rossa etc. In rete troverà Ginzo Robiginz, che ha regalato la sua voce registrando audiolibri per chi non è in condizione di leggere.
Per ora, non sapendo praticamente nulla di lei, non posso dirle altro. Ci scriva ancora.
nel leggere la sua email si intravede una persona con una buona qualità di linguaggio e di pensieri. Dovremmo sapere un po' di più su di lei, per cercare di aiutarla.
Per la sofferenza che consegue ad un'autostima carente, complicata dall'impossibilità di esternare il problema (ma anche per scritto?) esistono tante soluzioni. Gliene prospetterò solo due. Non ne fa parte il suicidio; mi perdoni, parlo senza conoscere le sue condizioni di salute, ma nel presupposto che non abbia una malattia gravemente invalidante accompagnata da dolori insopportabili che non trovano rimedio nei farmaci, non la considero una soluzione, specie alla sua età.
La mia prima proposta è la lettura e l'applicazione di un manualetto pratico sull'autostima, che sia breve, conciso, e che lei abbia la costanza di seguire fino in fondo. Ne scelga uno in libreria, dopo averne sfogliati un po'. Potrei consigliarle un titolo, ma preferirei che scegliesse da sé.
C'è anche un ottimo manuale sulla depressione che capovolge gli assunti classici, ma prevede la capacità di accostarsi a una visione trascendente; è stato scritto da un religioso di orientamento protestante.
Il secondo consiglio è quello di "regalare" la vita che non le interessa ad altri, tramite il volontariato. Se è in condizioni fisiche per farlo, vada in un centro per bambini abbandonati, per anziani, per disabili o altri diseredati sociali e regali a loro i suoi muscoli, le sue energie, la sua intelligenza. Oppure si metta a disposizione di un'organizzazione internazionale e accetti di partire; non le farà certo paura il pericolo di restare ucciso, e almeno avrà usato la sua vita per uno scopo.
Se non è in condizione di muoversi, usi la sua intelligenza regalando, sempre al volontariato, scritti, traduzioni, disegni, la confezione di pacchi e tutto quello che possono proporle nelle parrocchie, alla Caritas, alla Croce Rossa etc. In rete troverà Ginzo Robiginz, che ha regalato la sua voce registrando audiolibri per chi non è in condizione di leggere.
Per ora, non sapendo praticamente nulla di lei, non posso dirle altro. Ci scriva ancora.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#2]
Utente
Innanzitutto la ringrazio per la risposta.
Problemi di salute per fortuna non ne ho, ci mancherebbero solo quelli per avere tutti i problemi possibili.
Leggere libri sull'autostima l'ho già fatto, ma non uno o due almeno una decina... tutto inutile.
Fare volontariato non credo sia una soluzione per me, la mia voglia di vivere e fare è pari a 0...non riesco a fare nulla per me figuriamoci per gli altri.
Problemi di salute per fortuna non ne ho, ci mancherebbero solo quelli per avere tutti i problemi possibili.
Leggere libri sull'autostima l'ho già fatto, ma non uno o due almeno una decina... tutto inutile.
Fare volontariato non credo sia una soluzione per me, la mia voglia di vivere e fare è pari a 0...non riesco a fare nulla per me figuriamoci per gli altri.
[#3]
Caro utente,
la maggior parte degli stati depressivi (per la mia esperienza di quasi cinquant'anni di professione, tutti gli stati depressivi, esclusi quelli sostenuti da fattori organici o farmacologici)) conseguono ad un'errata prospettiva: non esiste depresso che non abbia lo sguardo rivolto esclusivamente a sé stesso.
Ho conosciuto giovani affetti da malattie genetiche mortali che tuttavia non erano depressi; una diciannovenne sul suo letto di morte s'interessava sorridendo ai racconti degli infermieri e s'inteneriva parlando del fratellino di pochi mesi.
L'ossessiva concentrazione su sé stesso può avere origini che la giustificano (un bambino piccolo che non riceve attenzioni e affetto, per esempio, si ripiega in una sorta di auto-genitorialità), però indebitamente protratta ha l'effetto di fuorviare dalla giusta prospettiva e di togliere gli strumenti per fronteggiare l'esistenza.
La frase "non riesco a fare nulla per me figuriamoci per gli altri" è proprio l'indice di questa incapacità distogliersi da sé, e creare anche solo per poche ore un nuovo centro d'interessi.
I troppi libri sull'autostima che ha letto rendono inevitabile la domanda: se erano manuali pratici, ne ha applicato almeno uno fino in fondo? Se la sentirebbe di elencare, qui o sulla mia email privata, tutti gli elementi per cui non apprezza sé stesso?
Ancora auguri.
la maggior parte degli stati depressivi (per la mia esperienza di quasi cinquant'anni di professione, tutti gli stati depressivi, esclusi quelli sostenuti da fattori organici o farmacologici)) conseguono ad un'errata prospettiva: non esiste depresso che non abbia lo sguardo rivolto esclusivamente a sé stesso.
Ho conosciuto giovani affetti da malattie genetiche mortali che tuttavia non erano depressi; una diciannovenne sul suo letto di morte s'interessava sorridendo ai racconti degli infermieri e s'inteneriva parlando del fratellino di pochi mesi.
L'ossessiva concentrazione su sé stesso può avere origini che la giustificano (un bambino piccolo che non riceve attenzioni e affetto, per esempio, si ripiega in una sorta di auto-genitorialità), però indebitamente protratta ha l'effetto di fuorviare dalla giusta prospettiva e di togliere gli strumenti per fronteggiare l'esistenza.
La frase "non riesco a fare nulla per me figuriamoci per gli altri" è proprio l'indice di questa incapacità distogliersi da sé, e creare anche solo per poche ore un nuovo centro d'interessi.
I troppi libri sull'autostima che ha letto rendono inevitabile la domanda: se erano manuali pratici, ne ha applicato almeno uno fino in fondo? Se la sentirebbe di elencare, qui o sulla mia email privata, tutti gli elementi per cui non apprezza sé stesso?
Ancora auguri.
[#4]
Utente
Tutti gli elementi per cui non mi apprezzo:
1. Che non sono in grado di elencare tutti gli elementi per cui non mi apprezzo
2.non sono abbastanza sincero con me stesso per dire a qualcun'altro quali sono gli elementi per cui non mi apprezzo
3. Ho fatto alcune cose per cui mi pento e per le quali meriterei solo la morte
Oltre a queste tre non so se non so o non voglio dirne altri
1. Che non sono in grado di elencare tutti gli elementi per cui non mi apprezzo
2.non sono abbastanza sincero con me stesso per dire a qualcun'altro quali sono gli elementi per cui non mi apprezzo
3. Ho fatto alcune cose per cui mi pento e per le quali meriterei solo la morte
Oltre a queste tre non so se non so o non voglio dirne altri
[#5]
Caro utente,
a me sembra che conti solo il terzo punto.
Un tempo, più di 2000 anni fa, in questi casi si faceva un viaggio di espiazione verso un paese remoto e ci si metteva nelle mani del sovrano, il quale stabiliva il tempo e la modalità della pena.
Capisco ora che questa procedura poteva avere il vantaggio di sottrarre il reo al suo ambiente usuale, dove alla colpa si associa la vergogna, e di semplificare la confessione: bastava la parola "omicidio", "violenza", "tradimento", e ne scaturiva la condanna.
Anche nella tradizione cattolica si è cercato di fare qualcosa di simile, ma senza che si debbano abbandonare i propri luoghi e rendendo la pena sempre più "stilizzata", fino a farle perdere la consistenza e infine la natura di punizione accompagnata dal risarcimento del danneggiato, cose di cui il colpevole invece ha bisogno.
Friedrich Hegel lo esprime benissimo: "La pena onore il delinquente", scrive, infatti misurando razionalmente l'entità del misfatto riconosce al colpevole la sua natura di soggetto ragionevole.
Ora lei stesso si sta imponendo la pena di un pentimento devastante, ma senza possibile espiazione.
Non conoscendo i fatti, non posso che prendere atto del suo giudizio: ha commesso colpe gravi che meriterebbero la morte. Probabilmente anche se fossi al corrente dei fatti non mi permetterei di sminuire la portata della loro gravità quale appare alla sua coscienza.
Le faccio però notare che lei di queste colpe prova rimorso, un rimorso lacerante, doloroso. Questa forse è la pena che le viene imposta. Da questo pentimento potrebbe scaturire, più in là, un risarcimento per chi è stato danneggiato... o una sua sollecitudine verso altri in situazioni analoghe.
Sottrarsi alla sofferenza col suicidio è una tentazione umanamente comprensibile, ma in questo caso soprattutto una viltà che ferirebbe altri innocenti.
In tutto questo, però, non capisco cosa c'entra l'autostima e la lettura di manuali al riguardo.
a me sembra che conti solo il terzo punto.
Un tempo, più di 2000 anni fa, in questi casi si faceva un viaggio di espiazione verso un paese remoto e ci si metteva nelle mani del sovrano, il quale stabiliva il tempo e la modalità della pena.
Capisco ora che questa procedura poteva avere il vantaggio di sottrarre il reo al suo ambiente usuale, dove alla colpa si associa la vergogna, e di semplificare la confessione: bastava la parola "omicidio", "violenza", "tradimento", e ne scaturiva la condanna.
Anche nella tradizione cattolica si è cercato di fare qualcosa di simile, ma senza che si debbano abbandonare i propri luoghi e rendendo la pena sempre più "stilizzata", fino a farle perdere la consistenza e infine la natura di punizione accompagnata dal risarcimento del danneggiato, cose di cui il colpevole invece ha bisogno.
Friedrich Hegel lo esprime benissimo: "La pena onore il delinquente", scrive, infatti misurando razionalmente l'entità del misfatto riconosce al colpevole la sua natura di soggetto ragionevole.
Ora lei stesso si sta imponendo la pena di un pentimento devastante, ma senza possibile espiazione.
Non conoscendo i fatti, non posso che prendere atto del suo giudizio: ha commesso colpe gravi che meriterebbero la morte. Probabilmente anche se fossi al corrente dei fatti non mi permetterei di sminuire la portata della loro gravità quale appare alla sua coscienza.
Le faccio però notare che lei di queste colpe prova rimorso, un rimorso lacerante, doloroso. Questa forse è la pena che le viene imposta. Da questo pentimento potrebbe scaturire, più in là, un risarcimento per chi è stato danneggiato... o una sua sollecitudine verso altri in situazioni analoghe.
Sottrarsi alla sofferenza col suicidio è una tentazione umanamente comprensibile, ma in questo caso soprattutto una viltà che ferirebbe altri innocenti.
In tutto questo, però, non capisco cosa c'entra l'autostima e la lettura di manuali al riguardo.
[#6]
Utente
Allora come dice lei forse la mia pena è proprio la sofferenza per quello che ho commesso, ma quanto può durare questa pena preferisco una pena più dolorosa ma che duri di meno( la morte)... l'autostima in questo caso qui non c'entra lo so; in altri casi come quando qualcuno mi dice che non sono capace a fare niente, mi fa male, ma penso pure io lo stesso.
Sa un'altra cosa che mi fa veramente male è che nessun si è mai interessato a me, nel senso che nessuno mi ha chiesto mai, "come stai?" " tutto bene?", volendo sapere veramente la risposta, puoi rispondere sto benissimo o sto di merda che in entrambi i casi nel momento in cui tu lo starai dicendo loro staranno pensando ad altro.
Mi dispiace averla disturbata con i miei problemi
Sa un'altra cosa che mi fa veramente male è che nessun si è mai interessato a me, nel senso che nessuno mi ha chiesto mai, "come stai?" " tutto bene?", volendo sapere veramente la risposta, puoi rispondere sto benissimo o sto di merda che in entrambi i casi nel momento in cui tu lo starai dicendo loro staranno pensando ad altro.
Mi dispiace averla disturbata con i miei problemi
[#7]
Caro utente,
che cosa vuol dire "Mi dispiace averla disturbata con i miei problemi"? Sembra che faccia apposta a non capire quando qualcuno si sta interessando a lei.
Se vuole iniziare un dialogo costruttivo siamo qui per questo, i miei colleghi ed io. Ma per farlo dobbiamo avere un briciolo di fiducia, di buona volontà e di coraggio anche da parte sua.
Mi sembra che al momento abbiamo definito due cause del suo malessere: il senso di colpa e la mancanza di autostima.
Ci può raccontare qualcosa dei suoi studi e dell'attività di lavoro o di svago, della famiglia e delle relazioni?
Rimango in attesa.
che cosa vuol dire "Mi dispiace averla disturbata con i miei problemi"? Sembra che faccia apposta a non capire quando qualcuno si sta interessando a lei.
Se vuole iniziare un dialogo costruttivo siamo qui per questo, i miei colleghi ed io. Ma per farlo dobbiamo avere un briciolo di fiducia, di buona volontà e di coraggio anche da parte sua.
Mi sembra che al momento abbiamo definito due cause del suo malessere: il senso di colpa e la mancanza di autostima.
Ci può raccontare qualcosa dei suoi studi e dell'attività di lavoro o di svago, della famiglia e delle relazioni?
Rimango in attesa.
[#8]
Utente
La famiglia che dire sarà almeno un'anno che non parlo con mio padre
Sul lavoro do tutto me stesso è l'unico momento in cui riesco a non pensare ai miei problemi, i miei colleghi mi dicono che lavoro troppo, non sanno che io lavoro troppo per tenermi impegnato e non pensare alla mia vita...l'unica forma di svago che ho è il lavoro
Lei mi chiede fiducia, ma quella non è facile da dare anche perché se mi fossi mai fidato di qualcuno forse sarei riuscito ad esternare i miei problemi e non mi starebbero corrodendo dentro.
Che dire del coraggio, le ho detto dall'inizio che più e più volte ho pensato al suicidio, ma non ho avuto il coraggio di farlo, se avessi mai avuto il coraggio di fare qualcosa in questo momento non sarei qua.
Le relazioni è un'altra buco nero nella mia vita, ogni volta che mi sono affezionato a qualcuno ho scoperto che per lui è come se non esistessi, è da li ho chiuso le mie relazioni con tutti e non ne voglio più avere con nessuno... è da li possiamo dedurre che un'altro dei miei problemi è la mancanza di attenzioni e affetto
Sul lavoro do tutto me stesso è l'unico momento in cui riesco a non pensare ai miei problemi, i miei colleghi mi dicono che lavoro troppo, non sanno che io lavoro troppo per tenermi impegnato e non pensare alla mia vita...l'unica forma di svago che ho è il lavoro
Lei mi chiede fiducia, ma quella non è facile da dare anche perché se mi fossi mai fidato di qualcuno forse sarei riuscito ad esternare i miei problemi e non mi starebbero corrodendo dentro.
Che dire del coraggio, le ho detto dall'inizio che più e più volte ho pensato al suicidio, ma non ho avuto il coraggio di farlo, se avessi mai avuto il coraggio di fare qualcosa in questo momento non sarei qua.
Le relazioni è un'altra buco nero nella mia vita, ogni volta che mi sono affezionato a qualcuno ho scoperto che per lui è come se non esistessi, è da li ho chiuso le mie relazioni con tutti e non ne voglio più avere con nessuno... è da li possiamo dedurre che un'altro dei miei problemi è la mancanza di attenzioni e affetto
Questo consulto ha ricevuto 9 risposte e 41.8k visite dal 11/11/2019.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Approfondimento su Suicidio
I dati del suicidio in Italia e nel mondo, i soggetti a rischio, i fattori che spingono a comportamenti suicidari, cosa fare e come prevenire il gesto estremo.