Psicoterapia
Buongiorno, mi rivolgo a voi in quanto da due anni circa vado da una terapeuta che fa psicoterapia cognitivo comportamentale. È stato un percorso difficile, avendo io fatto diverse terapie ed essendo state passata in carico a questa dottoressa al seguito del ritorno nella mia città da altri due terapeuti che mi seguivano in contemporanea. Ora gli incontri sono più sporadici, per mia scelta, una volta al mese. La dottoressa ha ritenuto opportuno che io iniziassi un percorso farmacologico in questo periodo per me difficile, con l'assunzione del rivotril e da poco del Lamictal per quello che lei definisce un temperamento ciclotimico. A me tutto questo ha spaventato perché ho sempre potuto fare a meno dei farmaci, pur con alti e bassi, ma lei ritiene che ora sia doveroso per il mio benessere. Talvolta la trovo poco materna e poco accogliente, come invece vorrei, ma non mi sento di rinunciare al suo supporto.. . Però ogni volta che vado anziché sentirmi alleggerita, mi sento appesantita, con cose che poi mi vengono dette e ritengo giuste, ma il cambiamento è sempre difficile. Ora mi ritrovo ad un bivio dove più volte vorrei mollare gli incontri spodarici, mantenendo la terapia farmacologica con l'altro medico e lasciando lei per un po'. La dottoressa non mi impone nulla e mi lascia libera, iniziare un altro percorso sarebbe adesso troppo impegnativo e non me la sento. Ma mi domando se la terapia comporti anche questo.. . Ho provato a parlarne con lei, ma lei ribadisce che deve farmi notare certe cose e che non può, come vorrei io, far predominare solo la parte emotiva, come vorrei io ma riportarmi anche ad un orientamento razionale. Io le attribuisco le colpe del mio malessere e mi sento cambiata.. . Per quanto riconosca che dopo anni di sofferenze, sono riuscita a prendere le cose con più distacco e meno impulsività. Forse alla base vi è un problema di fiducia. Ci sono tante cose in ballo, ma mi piacerebbe avere un parere esterno al riguardo.
Grazie
Grazie
[#1]
Gentile Utente,
Questa psicoterapeuta è un medico o uno psicologo? L ' altro medico le ha prescritto il farmaco oppure la terapeuta?
In linea generale uno psicoterapeuta non dovrebbe essere accudente e materna. Ma allearsi con il paziente contro la sofferenza patologica.
Può fare degli esempi di quanto sta accadendo nelle sedute?
Cordiali saluti,
Questa psicoterapeuta è un medico o uno psicologo? L ' altro medico le ha prescritto il farmaco oppure la terapeuta?
In linea generale uno psicoterapeuta non dovrebbe essere accudente e materna. Ma allearsi con il paziente contro la sofferenza patologica.
Può fare degli esempi di quanto sta accadendo nelle sedute?
Cordiali saluti,
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
[#2]
Utente
Gentile Dottoressa,
è stato il medico psichiatra, al quale mi ha indirizzato la terapeuta, a prescrivere i farmaci perché lei riteneva che fossero necessari. Non ritiene abbia un disturbo dell'umore, ma davanti al mio umore altalenante e alle vicissitudini di questi ultimi anni (lutto di mio padre, relazioni amorose tormentate, cambio di città e di lavoro) ritiene debba ritrovare un equilibrio.
Il problema è che nelle psicoterapie passate sentivo di prevalere io, mi fidavo e mi affidavo ai terapeuti, eccetto che in un caso in cui ho abbandonato. La dottoressa cerca di darmi una visione razionale delle cose, cerca di riportarmi in equilibrio. In passato ero più impulsiva, ora lo sono molto meno. Riconosco che ciò che mi dice ha una verità, ma mi fatica vedere che non riesco a star bene. Lei condivide fin troppo la mia sofferenza e vorrei che mi alleggerisse, anziché appesantirmi. Mi lascia libera di agire e mi dice che ora le cose sono diverse perché il mio umore è diverso. Mi dice che devo pensare meno, ma analizza ciò che accade nella mia vita. Spesso vorrei giungere subito alle soluzioni, ma mi accorgo che non è possibile ora perché sono scelte che richiedono tempo, come il lavoro che mi sembra non vada, cosa già avvenuta in passato, ma che ora non mi accorgo se dipenda dal mio stato d'animo. Mi sento messa più in discussione, faccio fatica a trovare esempi chiari. Ciò che predomina è il desiderio di meno razionalità e più emozione, anche da un punto di vista umano, che talvolta mancano. Lei pone degli obiettivi, come il bisogno di una relazione stabile che io, il trovare di nuovo un equilibrio al lavoro, mentre io vorrei mi invogliasse di più a godermi le piccole cose, come mi sembrava di fare in passato. E temo che mi dia i farmaci per tenermi a bada. È come se non mi sentissi complice nella ricerca del mio benessere. Lei ha scelto di non rispondere alle mail, perché ne scrivevo spesso e si creavano fraintendimenti... In passato abbiamo interrotto la terapia, per poi passare a incontri mensili, quando mi va, con assoluta libertà, ma io continuo a sentire nostalgia dei terapeuti precedenti, quando le cose per me andavano meglio. È come se la sentissi troppo rigida e non riuscissi a fidarmi. Spero di aver spiegato un po' la situazione.
Grazie
è stato il medico psichiatra, al quale mi ha indirizzato la terapeuta, a prescrivere i farmaci perché lei riteneva che fossero necessari. Non ritiene abbia un disturbo dell'umore, ma davanti al mio umore altalenante e alle vicissitudini di questi ultimi anni (lutto di mio padre, relazioni amorose tormentate, cambio di città e di lavoro) ritiene debba ritrovare un equilibrio.
Il problema è che nelle psicoterapie passate sentivo di prevalere io, mi fidavo e mi affidavo ai terapeuti, eccetto che in un caso in cui ho abbandonato. La dottoressa cerca di darmi una visione razionale delle cose, cerca di riportarmi in equilibrio. In passato ero più impulsiva, ora lo sono molto meno. Riconosco che ciò che mi dice ha una verità, ma mi fatica vedere che non riesco a star bene. Lei condivide fin troppo la mia sofferenza e vorrei che mi alleggerisse, anziché appesantirmi. Mi lascia libera di agire e mi dice che ora le cose sono diverse perché il mio umore è diverso. Mi dice che devo pensare meno, ma analizza ciò che accade nella mia vita. Spesso vorrei giungere subito alle soluzioni, ma mi accorgo che non è possibile ora perché sono scelte che richiedono tempo, come il lavoro che mi sembra non vada, cosa già avvenuta in passato, ma che ora non mi accorgo se dipenda dal mio stato d'animo. Mi sento messa più in discussione, faccio fatica a trovare esempi chiari. Ciò che predomina è il desiderio di meno razionalità e più emozione, anche da un punto di vista umano, che talvolta mancano. Lei pone degli obiettivi, come il bisogno di una relazione stabile che io, il trovare di nuovo un equilibrio al lavoro, mentre io vorrei mi invogliasse di più a godermi le piccole cose, come mi sembrava di fare in passato. E temo che mi dia i farmaci per tenermi a bada. È come se non mi sentissi complice nella ricerca del mio benessere. Lei ha scelto di non rispondere alle mail, perché ne scrivevo spesso e si creavano fraintendimenti... In passato abbiamo interrotto la terapia, per poi passare a incontri mensili, quando mi va, con assoluta libertà, ma io continuo a sentire nostalgia dei terapeuti precedenti, quando le cose per me andavano meglio. È come se la sentissi troppo rigida e non riuscissi a fidarmi. Spero di aver spiegato un po' la situazione.
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Questo consulto ha ricevuto 2 risposte e 734 visite dal 12/09/2019.
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