Pausa estiva psicoterapia
Gentili Dottori,
il problema per cui richiedo aiuto riguarda la pausa estiva dalla psicoterapia. Ho intrapreso una terapia di indirizzo psicoanalitico circa un anno e mezzo fa. Ho dunque già affrontato una prima pausa estiva.
La mia terapeuta è sempre molto disponibile, anche se io sono estremamente restio a qualsiasi tipo di comunicazione al di fuori delle sedute: ho sempre la sensazione di invadere spazi non miei. Raramente mi capita di scriverle delle email, anche durante le pause, ma con grandissimi sensi di colpa, spesso difficilmente gestibili per interi giorni; non l’ho mai contattata telefonicamente, anche se me ne ha dato facoltà.
A differenza delle altre pause, il problema attuale è dovuto al fatto che questa si verifica in un momento di grande sconforto, a causa di una serie di fallimenti che ho inanellato negli ultimi periodi. Fallimenti che mi stanno facendo mettere in discussione tutto, perfino il proseguimento della terapia. Ho l’impressione che ormai non ci sia più nulla da fare, che ogni tentativo di risolvere i miei problemi sia stato fatto; ho fallito e, con onestà, occorre ammettere la sconfitta.
Ho spesso pensato al suicidio, come soluzione estrema al mio malessere. Ne ho parlato spesso con la mia terapeuta. Naturalmente lei prova preoccupazione per queste esternazioni e io provo senso di colpa per questo. Non ne ho più parlato ultimamente, credo per questo motivo. Parlarne adesso, a ridosso della pausa, ho paura che potrebbe essere interpretato come punitivo nei confronti della pausa stessa e del senso di abbandono che provo. Sono perfettamente consapevole che si tratta di un momento indispensabile anche per la terapeuta, a cui mi lega un senso di affetto profondo, dopo un anno di lavoro emotivamente molto pesante. Non vorrei inquinare questo momento con esternazioni fuori luogo, anche perché non mi è effettivamente chiaro se questo impulso al suicidio sia soltanto una fantasia, anche se qualche volta sono arrivato davvero vicino alla messa in atto. Resta comunque la paura e lo sconforto per la situazione in cui mi trovo.
La soluzione più facile è dunque tentare di superare queste settimane, facendo leva su risorse che francamente non mi sembra di avere. Piango di continuo e mi sento veramente afflitto. Anche se dovessi riuscire ad evitare nell’immediato un gesto estremo, mi sembra probabile che, sommato a tutti gli altri fallimenti che mi hanno portato a rifiutare qualsiasi spinta al cambiamento e che mi hanno piuttosto indotto una considerevole regressione, questa pausa porterà alla fine del legame terapeutico e all’abbandono della terapia. Anche di questo timore fatico a parlarne: non vorrei che venisse letto, appunto, come un minaccia per poter avere qualcosa in cambio dalla terapeuta (il permesso di una telefonata, che comunque non farei mai, o altro).
Mercoledì ho l'ultima seduta e sono in preda al panico. Mi piacerebbe avere il punto di vista di un terapeuta esterno.
il problema per cui richiedo aiuto riguarda la pausa estiva dalla psicoterapia. Ho intrapreso una terapia di indirizzo psicoanalitico circa un anno e mezzo fa. Ho dunque già affrontato una prima pausa estiva.
La mia terapeuta è sempre molto disponibile, anche se io sono estremamente restio a qualsiasi tipo di comunicazione al di fuori delle sedute: ho sempre la sensazione di invadere spazi non miei. Raramente mi capita di scriverle delle email, anche durante le pause, ma con grandissimi sensi di colpa, spesso difficilmente gestibili per interi giorni; non l’ho mai contattata telefonicamente, anche se me ne ha dato facoltà.
A differenza delle altre pause, il problema attuale è dovuto al fatto che questa si verifica in un momento di grande sconforto, a causa di una serie di fallimenti che ho inanellato negli ultimi periodi. Fallimenti che mi stanno facendo mettere in discussione tutto, perfino il proseguimento della terapia. Ho l’impressione che ormai non ci sia più nulla da fare, che ogni tentativo di risolvere i miei problemi sia stato fatto; ho fallito e, con onestà, occorre ammettere la sconfitta.
Ho spesso pensato al suicidio, come soluzione estrema al mio malessere. Ne ho parlato spesso con la mia terapeuta. Naturalmente lei prova preoccupazione per queste esternazioni e io provo senso di colpa per questo. Non ne ho più parlato ultimamente, credo per questo motivo. Parlarne adesso, a ridosso della pausa, ho paura che potrebbe essere interpretato come punitivo nei confronti della pausa stessa e del senso di abbandono che provo. Sono perfettamente consapevole che si tratta di un momento indispensabile anche per la terapeuta, a cui mi lega un senso di affetto profondo, dopo un anno di lavoro emotivamente molto pesante. Non vorrei inquinare questo momento con esternazioni fuori luogo, anche perché non mi è effettivamente chiaro se questo impulso al suicidio sia soltanto una fantasia, anche se qualche volta sono arrivato davvero vicino alla messa in atto. Resta comunque la paura e lo sconforto per la situazione in cui mi trovo.
La soluzione più facile è dunque tentare di superare queste settimane, facendo leva su risorse che francamente non mi sembra di avere. Piango di continuo e mi sento veramente afflitto. Anche se dovessi riuscire ad evitare nell’immediato un gesto estremo, mi sembra probabile che, sommato a tutti gli altri fallimenti che mi hanno portato a rifiutare qualsiasi spinta al cambiamento e che mi hanno piuttosto indotto una considerevole regressione, questa pausa porterà alla fine del legame terapeutico e all’abbandono della terapia. Anche di questo timore fatico a parlarne: non vorrei che venisse letto, appunto, come un minaccia per poter avere qualcosa in cambio dalla terapeuta (il permesso di una telefonata, che comunque non farei mai, o altro).
Mercoledì ho l'ultima seduta e sono in preda al panico. Mi piacerebbe avere il punto di vista di un terapeuta esterno.
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(...) Anche di questo timore fatico a parlarne: non vorrei che venisse letto, appunto, come un minaccia per poter avere qualcosa in cambio dalla terapeuta (il permesso di una telefonata, (..)
gentile utente comprendo che il suo percorso analitico le abbia insegnato a dare significati a ogni comportamento ma volte una richiesta di aiuto è solo una richiesta di aiuto senza intravedere sotto minacce o comunicazioni profonde.
Sente di chiamare la sua teraputa? Beh deve chiamarla..
gentile utente comprendo che il suo percorso analitico le abbia insegnato a dare significati a ogni comportamento ma volte una richiesta di aiuto è solo una richiesta di aiuto senza intravedere sotto minacce o comunicazioni profonde.
Sente di chiamare la sua teraputa? Beh deve chiamarla..
Dr. Armando De Vincentiis
Psicologo-Psicoterapeuta
www.psicoterapiataranto.it
https://www.facebook.com/groups/316311005059257/?ref=bookmarks
[#2]
Gentile utente,
Non è facile rispondere ad una richiesta così complessa,
Ma un aspetto mi risulta veramente poco chiaro:
considerato il forte disagio che Lei vive
e le idee suicidarie
non è mai stato preso in considerazione l’abbinamento con la terapia farmacologica
che da evidenze sembra essere il modus più efficace soprattutto nelle depressioni prolungate?
Mi premerebbe ricevere un Suo riscontro.
Dott. Brunialti
Non è facile rispondere ad una richiesta così complessa,
Ma un aspetto mi risulta veramente poco chiaro:
considerato il forte disagio che Lei vive
e le idee suicidarie
non è mai stato preso in considerazione l’abbinamento con la terapia farmacologica
che da evidenze sembra essere il modus più efficace soprattutto nelle depressioni prolungate?
Mi premerebbe ricevere un Suo riscontro.
Dott. Brunialti
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
[#3]
Utente
Ringrazio entrambi per le cortesi risposte.
Dottor De Vincentiis, sì, sono d'accordo che una richiesta d'aiuto talvolta non nasconda nulla se non la manifestazione di sé stessa. Ciò non toglie che, legittimamente, la terapeuta abbia i suoi spazi e il diritto di godere delle sue vacanze senza sentirsi assediata dai pazienti. Consideri che faccio tre sedute a settiamana, dunque il tempo che ho a disposizione è molto. La paura di chiedere troppo, di diventare ossessivo, di non saper stare alle regole, spesso mi induce ad avvilupparmi in me stesso.
Dott. Brunialti, no, non è mai stato preso in considerazione l’abbinamento con la terapia farmacologica. Il disagio, fortunatamente, non è costante da anni, ma vive di alti e bassi. Sono contento del percorso che ho fatto finora, sono tuttavia sfiduciato sulla possibilità di trovare soluzione. Molto banalmente, questa può non esistere o, eventualmente, non essere sufficientemente appagante da potersi ritenere tale.
Difficile dire quanto di questo stato (sia disagio che fantasie suicide) sia indotto dalla paura della pausa e quanto sia invece effetto delle circostanze che sto vivendo in questo periodo.
Dottor De Vincentiis, sì, sono d'accordo che una richiesta d'aiuto talvolta non nasconda nulla se non la manifestazione di sé stessa. Ciò non toglie che, legittimamente, la terapeuta abbia i suoi spazi e il diritto di godere delle sue vacanze senza sentirsi assediata dai pazienti. Consideri che faccio tre sedute a settiamana, dunque il tempo che ho a disposizione è molto. La paura di chiedere troppo, di diventare ossessivo, di non saper stare alle regole, spesso mi induce ad avvilupparmi in me stesso.
Dott. Brunialti, no, non è mai stato preso in considerazione l’abbinamento con la terapia farmacologica. Il disagio, fortunatamente, non è costante da anni, ma vive di alti e bassi. Sono contento del percorso che ho fatto finora, sono tuttavia sfiduciato sulla possibilità di trovare soluzione. Molto banalmente, questa può non esistere o, eventualmente, non essere sufficientemente appagante da potersi ritenere tale.
Difficile dire quanto di questo stato (sia disagio che fantasie suicide) sia indotto dalla paura della pausa e quanto sia invece effetto delle circostanze che sto vivendo in questo periodo.
[#4]
Gentile utente,
Lei accenna alla possibilità di "abbandono della terapia".
L'affermazione andrebbe però modificata in
".. della terapia di indirizzo psicoanalitico."
Sulla base di quali considerazioni aveva operato tale scelta di orientamento un anno e mezzo fa?
A fronte della carenza di risultati ha mai preso in considerazione l'ipotesi di cambiare approccio?
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Lei accenna alla possibilità di "abbandono della terapia".
L'affermazione andrebbe però modificata in
".. della terapia di indirizzo psicoanalitico."
Sulla base di quali considerazioni aveva operato tale scelta di orientamento un anno e mezzo fa?
A fronte della carenza di risultati ha mai preso in considerazione l'ipotesi di cambiare approccio?
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
[#5]
Utente
Gentile Dott.ssa,
la scelta dell'indirizzo è delicata e naturalmente anche piuttosto soggettiva. Ho provato a farmi un'idea mia, in base a qualche lettura (anche approfondita, direi) sul tema e mi sembra che l'indirizzo psicoanalitico sia quello a me più vicino e consono, per come si è strutturata negli anni la mia personalità, da sempre piuttosto introspettiva e desiderosa di andare a fondo alla radice dei problemi.
Non ho detto che non ci siano stati risultati. Tutt'altro: ce ne sono stati molti. Solo che adesso sta nascendo in me il convincimento che non ci sia soluzione al problema che mi premerebbe di risolvere. E temo che questa mancanza di soluzione non sia da imputarsi ad un indirizzo piuttosto che ad un altro: non tutti i problemi hanno soluzione, evidentemente.
In ultimo, dopo un investimento (non solo economico, ma anche e soprattutto emotivo molto significativo) di un anno e mezzo, mi risulta improponibile pensare di ricominciare da capo con qualcun altro.
Resta naturalmente per me il problema contingente di non riuscire ad immaginare come superare le prossime settimane di pausa, visto lo stato di sconforto in cui verso negli ultimi tempi.
la scelta dell'indirizzo è delicata e naturalmente anche piuttosto soggettiva. Ho provato a farmi un'idea mia, in base a qualche lettura (anche approfondita, direi) sul tema e mi sembra che l'indirizzo psicoanalitico sia quello a me più vicino e consono, per come si è strutturata negli anni la mia personalità, da sempre piuttosto introspettiva e desiderosa di andare a fondo alla radice dei problemi.
Non ho detto che non ci siano stati risultati. Tutt'altro: ce ne sono stati molti. Solo che adesso sta nascendo in me il convincimento che non ci sia soluzione al problema che mi premerebbe di risolvere. E temo che questa mancanza di soluzione non sia da imputarsi ad un indirizzo piuttosto che ad un altro: non tutti i problemi hanno soluzione, evidentemente.
In ultimo, dopo un investimento (non solo economico, ma anche e soprattutto emotivo molto significativo) di un anno e mezzo, mi risulta improponibile pensare di ricominciare da capo con qualcun altro.
Resta naturalmente per me il problema contingente di non riuscire ad immaginare come superare le prossime settimane di pausa, visto lo stato di sconforto in cui verso negli ultimi tempi.
Questo consulto ha ricevuto 5 risposte e 4.3k visite dal 27/07/2019.
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