Ansia che la realtà non esista
Buona sera, vi ringrazio in anticipo per il servizio che porgete agli utenti.
Il problema che vi sto per porre, che cercherò spiegare in poche parole se ci riesco, è una paura che porto dietro da quando ero bambino.
Feci all'epoca un pensiero che mi spaventò parecchio, ossia quello che le persone intorno a me, soprattutto quelle care, come i familiari, i genitori, ecc., non esistessero in realtà, e che forse nemmeno la realtà esistesse.
Questo pensiero nel corso degli anni è stato molto altalenante, nel senso che per diversi anni non gli diedi più importanza, altre volte ricompariva facendomi star male.
Soprattutto nel corso dell'adolescenza, i fenomeno di ansia e angosci erano al massimo della forza, e da li iniziai vari percorsi di terapia, in seguito anche a disturbi alimentari, tra cui panico e vomito che mi impedirono di trascorrere una vita serena e normale.
Ci fu in particolare un periodo, già ultraventenne, dove un attaccamento alla religione mi fece stare meglio, dandomi delle "certezze" sulla vita, sui valori, che comunque ho sempre avuto, ma mi accorsi col tempo che il "problema" non era stato rimosso, ma soltanto nescosto sotto il tappeto.
Infatti alcuni eventi della vita mi hanno messo alla prova, facendo riemergere interamente con gli interessi questa ossessione.
E' come se per assurdo potesse esistere nella mia mente l'ipotesi che tutto sia irreale, come se in qualche modo io fossi l'unico veramente esistente, e il fatto che l'esistenza degli altri non possa essere provata, mi provoca una forte angoscia ed ansia.
Questo periodo di grande prova, causato da una situazione che mi ha indebolito, anche se ora sto un po' meglio, mi sono sentito come una perdita di riferimenti, insomma di certezze, come se tutto perdesse un senso.
Ed allora mi chiedo, che senso ha fare tutti questi sforzi, intesi come percorso di studi, sacrifici, carriera, se poi tutto non esistesse?
Vorrei proporre un'immagine: mi sono sentito come alice nel paese delle meraviglie, quando si trovava nel nulla, tranne un sentiero che veniva spazzato via dal quel "cane scopa", e si ritrovò nel nulla più totale.
La cosa più scioccante è che chi può darmi la prova che esiste veramente? anche se me lo dicesse non potrebbe essere solo un'immagine? come potrei entrare in lui e verificarlo?
Sono sempre stato in maniera altalenante anche preda di ossessioni, del tipo di obbedire delle voci, ad esempio di fare o non fare determinate azioni, pena essere emarginato dalla realtà.
Mi spiego meglio, come se ad esempio, devo evitare di fumare una sigaretta, altrimenti come "punizione" le persone care non esistano più, o che debbano stare male per colpa mia, o ancora, che io debba essere "prelevato" dalla realtà, dalle persone "vere", ed essere messo in una realtà illusoria, che mi fa star male.
Queste ossessioni colpiscono nel 99% dei casi cattive abitudini, come quella che ho citato il fumo, od altre, anche se non mi sono mai dato ad eccessi nella vita.
Vi ringrazio
Il problema che vi sto per porre, che cercherò spiegare in poche parole se ci riesco, è una paura che porto dietro da quando ero bambino.
Feci all'epoca un pensiero che mi spaventò parecchio, ossia quello che le persone intorno a me, soprattutto quelle care, come i familiari, i genitori, ecc., non esistessero in realtà, e che forse nemmeno la realtà esistesse.
Questo pensiero nel corso degli anni è stato molto altalenante, nel senso che per diversi anni non gli diedi più importanza, altre volte ricompariva facendomi star male.
Soprattutto nel corso dell'adolescenza, i fenomeno di ansia e angosci erano al massimo della forza, e da li iniziai vari percorsi di terapia, in seguito anche a disturbi alimentari, tra cui panico e vomito che mi impedirono di trascorrere una vita serena e normale.
Ci fu in particolare un periodo, già ultraventenne, dove un attaccamento alla religione mi fece stare meglio, dandomi delle "certezze" sulla vita, sui valori, che comunque ho sempre avuto, ma mi accorsi col tempo che il "problema" non era stato rimosso, ma soltanto nescosto sotto il tappeto.
Infatti alcuni eventi della vita mi hanno messo alla prova, facendo riemergere interamente con gli interessi questa ossessione.
E' come se per assurdo potesse esistere nella mia mente l'ipotesi che tutto sia irreale, come se in qualche modo io fossi l'unico veramente esistente, e il fatto che l'esistenza degli altri non possa essere provata, mi provoca una forte angoscia ed ansia.
Questo periodo di grande prova, causato da una situazione che mi ha indebolito, anche se ora sto un po' meglio, mi sono sentito come una perdita di riferimenti, insomma di certezze, come se tutto perdesse un senso.
Ed allora mi chiedo, che senso ha fare tutti questi sforzi, intesi come percorso di studi, sacrifici, carriera, se poi tutto non esistesse?
Vorrei proporre un'immagine: mi sono sentito come alice nel paese delle meraviglie, quando si trovava nel nulla, tranne un sentiero che veniva spazzato via dal quel "cane scopa", e si ritrovò nel nulla più totale.
La cosa più scioccante è che chi può darmi la prova che esiste veramente? anche se me lo dicesse non potrebbe essere solo un'immagine? come potrei entrare in lui e verificarlo?
Sono sempre stato in maniera altalenante anche preda di ossessioni, del tipo di obbedire delle voci, ad esempio di fare o non fare determinate azioni, pena essere emarginato dalla realtà.
Mi spiego meglio, come se ad esempio, devo evitare di fumare una sigaretta, altrimenti come "punizione" le persone care non esistano più, o che debbano stare male per colpa mia, o ancora, che io debba essere "prelevato" dalla realtà, dalle persone "vere", ed essere messo in una realtà illusoria, che mi fa star male.
Queste ossessioni colpiscono nel 99% dei casi cattive abitudini, come quella che ho citato il fumo, od altre, anche se non mi sono mai dato ad eccessi nella vita.
Vi ringrazio
[#1]
Buongiorno,
ho letto con attenzione il suo racconto, mi sembrano emergere una complessità di vissuti emotivi preziosi legati alla sua esperienza esistenziale.
Sento importante poterle dare una suggestione evocata in me dalla lettura di questo suo consulto e di quello che ci ha scritto due anni fa. Non potrò sciogliere l'enigma con cui interroga noi e se stesso; affinché questo possa avvenire, ed entro i limiti che ci sono concessi, sono necessari i dovuti approfondimenti almeno in una consultazione dal vivo.
Qui voglio allora soltanto dirle che la sensazione che la realtà non esista a volte può essere legata a un senso di vuoto interiore, di separatezza o di solitudine, quel "nulla totale" che la storia di Alice nel paese delle meraviglie le evoca.
È una "paura che porta dietro da quando era bambino", quindi è una paura che affonda le sue radici nel suo passato più remoto.
Il suo racconto, quindi, mi interroga sulla sua storia passata e sui legami umani. Sulla necessità che noi creiamo relazioni di fiducia con le persone a noi care, affinché possiamo pacificarci da quella sensazione di realtà inesistente, che può essere terribile, generando ansie, ossessioni, paure e angosce.
È allora fondamentale che possiamo costruire intorno a noi una realtà in cui, come lei dice, abbiamo "punti di riferimento", con i quali poter vivere quel senso di certezza di cui abbiamo bisogno, e che lei comprensibilmente sta cercando.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
ho letto con attenzione il suo racconto, mi sembrano emergere una complessità di vissuti emotivi preziosi legati alla sua esperienza esistenziale.
Sento importante poterle dare una suggestione evocata in me dalla lettura di questo suo consulto e di quello che ci ha scritto due anni fa. Non potrò sciogliere l'enigma con cui interroga noi e se stesso; affinché questo possa avvenire, ed entro i limiti che ci sono concessi, sono necessari i dovuti approfondimenti almeno in una consultazione dal vivo.
Qui voglio allora soltanto dirle che la sensazione che la realtà non esista a volte può essere legata a un senso di vuoto interiore, di separatezza o di solitudine, quel "nulla totale" che la storia di Alice nel paese delle meraviglie le evoca.
È una "paura che porta dietro da quando era bambino", quindi è una paura che affonda le sue radici nel suo passato più remoto.
Il suo racconto, quindi, mi interroga sulla sua storia passata e sui legami umani. Sulla necessità che noi creiamo relazioni di fiducia con le persone a noi care, affinché possiamo pacificarci da quella sensazione di realtà inesistente, che può essere terribile, generando ansie, ossessioni, paure e angosce.
È allora fondamentale che possiamo costruire intorno a noi una realtà in cui, come lei dice, abbiamo "punti di riferimento", con i quali poter vivere quel senso di certezza di cui abbiamo bisogno, e che lei comprensibilmente sta cercando.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it
[#2]
Utente
Grazie per la sua risposta.
Nonostante adesso stia vivendo un periodo di grandi soddisfazioni e realizzazione personale, e nonostante non sia mai stato "fisicamente" solo, considerando la famiglia, gli amici che non sono mai mancati, mi sento di dire che a volte mi sono sentito profondamente solo "nell'animo".
Pur essendo magari circondato da 20 persone.
Devo aggiungere che non ho mai avuto una relazione sentimentale "stabile", e questo credo significhi molto in me.
Ci sono dei momenti dove potrei anche affermare di stare bene da solo, altri che mi rendo conto del contrario.
Tornando a quel pensiero che mi turba, è come se ci fosse una parte "sana" che sa che questa ipotesi è un'assurdità, che mi permette di "fare le cose" nella vita quotidiana, e una parte che invece ne è proprio convinta, poichè non si può dimostrare il contrario.
Infatti se ad esempio sono fuori a cena con un gruppo di amici, se questo pensiero arriva e fa breccia, posso anche essere circondato da 100 persone, che improvvisamente mi sento isolato, una realtà a sè stante.
E posso dire che questa "ossessione" si manifesta maggiormente, con ansia, nei momenti antecedenti a qualcosa di importante (tipo un colloquio di lavoro, o una situazione dove c'è il rischio che la parte emotiva mi impedisca di fare bene qualcosa che reputo importante).
Poi, ad esempio, una volta terminato il colloquio,
il pensiero purtroppo non sparisce, ma è come se non me ne fregasse più niente, o meglio, è come se realizzassi con più "lucidità" che questa credenza sia una cavolata, e sto bene.
In pratica il pensiero diventa fastidioso quando esco dalla zona di confort.
Nonostante adesso stia vivendo un periodo di grandi soddisfazioni e realizzazione personale, e nonostante non sia mai stato "fisicamente" solo, considerando la famiglia, gli amici che non sono mai mancati, mi sento di dire che a volte mi sono sentito profondamente solo "nell'animo".
Pur essendo magari circondato da 20 persone.
Devo aggiungere che non ho mai avuto una relazione sentimentale "stabile", e questo credo significhi molto in me.
Ci sono dei momenti dove potrei anche affermare di stare bene da solo, altri che mi rendo conto del contrario.
Tornando a quel pensiero che mi turba, è come se ci fosse una parte "sana" che sa che questa ipotesi è un'assurdità, che mi permette di "fare le cose" nella vita quotidiana, e una parte che invece ne è proprio convinta, poichè non si può dimostrare il contrario.
Infatti se ad esempio sono fuori a cena con un gruppo di amici, se questo pensiero arriva e fa breccia, posso anche essere circondato da 100 persone, che improvvisamente mi sento isolato, una realtà a sè stante.
E posso dire che questa "ossessione" si manifesta maggiormente, con ansia, nei momenti antecedenti a qualcosa di importante (tipo un colloquio di lavoro, o una situazione dove c'è il rischio che la parte emotiva mi impedisca di fare bene qualcosa che reputo importante).
Poi, ad esempio, una volta terminato il colloquio,
il pensiero purtroppo non sparisce, ma è come se non me ne fregasse più niente, o meglio, è come se realizzassi con più "lucidità" che questa credenza sia una cavolata, e sto bene.
In pratica il pensiero diventa fastidioso quando esco dalla zona di confort.
[#3]
Buongiorno,
leggendo queste sue ultime parole, desidero specificare meglio una mia affermazione, che ho lasciato nella mia risposta precedente.
Ho affermato che è fondamentale che possiamo costruire intorno a noi una realtà in cui abbiamo punti di riferimento, con i quali poter vivere quel senso di certezza di cui abbiamo bisogno.
Ora, ritengo che sia così, ma è comunque necessario ricordare che un senso di certezza e di sicurezza di base si costruisce intorno a noi, ma anche dentro di noi. È uno scambio continuo, secondo la mia opinione, tra dentro e fuori. Uno scambio che riguarda anche le nostre relazioni primarie, quando noi siamo stati bambini e abbiamo fondato elementi costitutivi della nostra personalità con quelli che sono stati i nostri punti di riferimento, potendo sentire sicurezza e stabilità.
In base a questo, seguono due osservazioni. La prima è che è possibile che lei possa sentirsi "solo nell'animo" anche in presenza di altre persone, poiché il malessere di cui ci parla può riguardare il suo mondo interiore e certe ferite che potrebbe portare dentro di sé dal suo passato. La seconda è che non conta la quantità delle persone che la circondano, come lei stesso sottolinea, conta la qualità delle relazioni, contano la fiducia e l'intimità, la condivisione autentica, il senso di appartenenza ad esempio.
Dal suo consulto emergono preziosi elementi che la riguardano, andrebbero effettuati degli approfondimenti dal vivo. Ho letto che ha già svolto un percorso di terapia. Due anni fa ci diceva di non sapere se esserne soddisfatto o meno, posso chiederle che ne pensa oggi?
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
leggendo queste sue ultime parole, desidero specificare meglio una mia affermazione, che ho lasciato nella mia risposta precedente.
Ho affermato che è fondamentale che possiamo costruire intorno a noi una realtà in cui abbiamo punti di riferimento, con i quali poter vivere quel senso di certezza di cui abbiamo bisogno.
Ora, ritengo che sia così, ma è comunque necessario ricordare che un senso di certezza e di sicurezza di base si costruisce intorno a noi, ma anche dentro di noi. È uno scambio continuo, secondo la mia opinione, tra dentro e fuori. Uno scambio che riguarda anche le nostre relazioni primarie, quando noi siamo stati bambini e abbiamo fondato elementi costitutivi della nostra personalità con quelli che sono stati i nostri punti di riferimento, potendo sentire sicurezza e stabilità.
In base a questo, seguono due osservazioni. La prima è che è possibile che lei possa sentirsi "solo nell'animo" anche in presenza di altre persone, poiché il malessere di cui ci parla può riguardare il suo mondo interiore e certe ferite che potrebbe portare dentro di sé dal suo passato. La seconda è che non conta la quantità delle persone che la circondano, come lei stesso sottolinea, conta la qualità delle relazioni, contano la fiducia e l'intimità, la condivisione autentica, il senso di appartenenza ad esempio.
Dal suo consulto emergono preziosi elementi che la riguardano, andrebbero effettuati degli approfondimenti dal vivo. Ho letto che ha già svolto un percorso di terapia. Due anni fa ci diceva di non sapere se esserne soddisfatto o meno, posso chiederle che ne pensa oggi?
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
[#4]
Utente
Posso affermare con tranquillità che il percorso che ho ricevuto è stato molto utile a mettere in luce molte cose, aumentando la mia consapevolezza e sicurezza, grazie al quale ho affrontato grandi cambiamenti nella mia vita.
Mi sento però di dover dire che molte cose di "fondo" sono rimaste irrisolte, pur avendone parlato in terapia ovviamente. Ma mi rendo conto che in molte situazioni mi trovo di nuovo punto da capo.
Ed essendo sinceri, non c'è stata una vera e propria "terapia", se non quella del dialogo.
Non mi è stato detto: c'è questa cosa da risolvere, adottiamo questa tecnica che richiede tot sedute.
Mi sento però di dover dire che molte cose di "fondo" sono rimaste irrisolte, pur avendone parlato in terapia ovviamente. Ma mi rendo conto che in molte situazioni mi trovo di nuovo punto da capo.
Ed essendo sinceri, non c'è stata una vera e propria "terapia", se non quella del dialogo.
Non mi è stato detto: c'è questa cosa da risolvere, adottiamo questa tecnica che richiede tot sedute.
[#5]
Buongiorno,
da come ho capito sembra riconoscere un valore al suo percorso, questo è importante. Tuttavia sembrano esserci questioni ancora aperte e da chiarire dentro di sé. L'idea di riprendere un nuovo percorso, se può dire sinceramente, che effetto le fa?
Quanto ai tipi di terapia, ce ne sono tanti e senz'altro può scegliere. Ci tengo comunque a fare una precisazione in questa sede. Posso comprendere che il dialogo le sembri poco tecnico, ma non è così. Senz'altro non sto parlando della sua terapia, poiché non la conosco. Parlo in linea generale, e da un punto di vista psicoanalitico.
Gli obiettivi ci sono sempre, magari possono essere impliciti a volte. Questo perché, in ambito psicoanalitico almeno, parliamo di una ristrutturazione della personalità. Un obiettivo del genere può risultare a me chiaro, ma al paziente un po' oscuro. Però è un obiettivo trasformativo e ricostruttivo molto preciso, che sottintende evidentemente un cambiamento anche nella sintomatologia più manifesta (ansia, depressione, fobie, ossessioni, dissociazioni, angoscia, e così via).
Il dialogo è una tecnica, diciamo così, con una sua umanità, che implica molti aspetti. Significa ad esempio espressione di sé e ascolto, significa riflessione, significa partecipazione e condivisione.
Il numero delle sedute, a mio avviso, non può essere definito a priori, poiché sono troppe le variabili che intervengono, che devono essere tenute sotto stretta osservazione durante il percorso, e valutate con la massima attenzione. E serve tempo affinché un delicato e accurato processo di una così ambiziosa portata possa svilupparsi.
È come imparare una nuova lingua. L'obiettivo è che si strutturi dentro di sé al punto da riuscire a farla sua e a parlarla spontaneamente. Affinché questo sia possibile nessuno potrà dirle che ci vogliono un numero di lezioni predefinito. È un fatto soggettivo e, comunque, in linea generale, sono necessari molto impegno e una grande costanza. E possono volerci anche anni affinché ci sia un'acquisizione stabile della sua conoscenza.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
da come ho capito sembra riconoscere un valore al suo percorso, questo è importante. Tuttavia sembrano esserci questioni ancora aperte e da chiarire dentro di sé. L'idea di riprendere un nuovo percorso, se può dire sinceramente, che effetto le fa?
Quanto ai tipi di terapia, ce ne sono tanti e senz'altro può scegliere. Ci tengo comunque a fare una precisazione in questa sede. Posso comprendere che il dialogo le sembri poco tecnico, ma non è così. Senz'altro non sto parlando della sua terapia, poiché non la conosco. Parlo in linea generale, e da un punto di vista psicoanalitico.
Gli obiettivi ci sono sempre, magari possono essere impliciti a volte. Questo perché, in ambito psicoanalitico almeno, parliamo di una ristrutturazione della personalità. Un obiettivo del genere può risultare a me chiaro, ma al paziente un po' oscuro. Però è un obiettivo trasformativo e ricostruttivo molto preciso, che sottintende evidentemente un cambiamento anche nella sintomatologia più manifesta (ansia, depressione, fobie, ossessioni, dissociazioni, angoscia, e così via).
Il dialogo è una tecnica, diciamo così, con una sua umanità, che implica molti aspetti. Significa ad esempio espressione di sé e ascolto, significa riflessione, significa partecipazione e condivisione.
Il numero delle sedute, a mio avviso, non può essere definito a priori, poiché sono troppe le variabili che intervengono, che devono essere tenute sotto stretta osservazione durante il percorso, e valutate con la massima attenzione. E serve tempo affinché un delicato e accurato processo di una così ambiziosa portata possa svilupparsi.
È come imparare una nuova lingua. L'obiettivo è che si strutturi dentro di sé al punto da riuscire a farla sua e a parlarla spontaneamente. Affinché questo sia possibile nessuno potrà dirle che ci vogliono un numero di lezioni predefinito. È un fatto soggettivo e, comunque, in linea generale, sono necessari molto impegno e una grande costanza. E possono volerci anche anni affinché ci sia un'acquisizione stabile della sua conoscenza.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
[#6]
Utente
La ringrazio per la sua risposta esauriente, infatti il mio percorso è stato abbastanza lungo, credo circa 4 anni.
Ma devo essere su questo punto sincero, se dopo tutto questo tempo, dove cambiamenti ci sono stati e, ribadisco, sono stato meglio, ma il pensare che molte cose dopo tutto questo tempo non sono andate ancora del tutto a posto, mi ha un po' demoralizzato.
Probabilmente saremmo andati avanti all'infinito ...
Poi ci sono stati altri fattori di mezzo, che hanno fatto si che terminassi il percorso, tra cui il mio trasferimento, ecc.
Forse valuterò l'opzione skype prossimamente, magari potrebbe essere un'alternativa per chi vive fuori.
Ma devo essere su questo punto sincero, se dopo tutto questo tempo, dove cambiamenti ci sono stati e, ribadisco, sono stato meglio, ma il pensare che molte cose dopo tutto questo tempo non sono andate ancora del tutto a posto, mi ha un po' demoralizzato.
Probabilmente saremmo andati avanti all'infinito ...
Poi ci sono stati altri fattori di mezzo, che hanno fatto si che terminassi il percorso, tra cui il mio trasferimento, ecc.
Forse valuterò l'opzione skype prossimamente, magari potrebbe essere un'alternativa per chi vive fuori.
[#7]
Buongiorno,
il fatto che sia un po' demoralizzato posso capirlo, quattro anni è un periodo lungo. Non credo tuttavia sareste andati all'infinito o, perlomeno, personalmente ritengo che una fine può e debba esserci.
A volte, tuttavia, è necessario proseguire ancora un po', tenendo presente che il percorso finora svolto può avere stimolato un iniziale processo trasformativo che però deve ancora essere sviluppato in modo consistente.
Anch'io la ringrazio per il nostro dialogo e per avere condiviso con noi la sua esperienza.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
il fatto che sia un po' demoralizzato posso capirlo, quattro anni è un periodo lungo. Non credo tuttavia sareste andati all'infinito o, perlomeno, personalmente ritengo che una fine può e debba esserci.
A volte, tuttavia, è necessario proseguire ancora un po', tenendo presente che il percorso finora svolto può avere stimolato un iniziale processo trasformativo che però deve ancora essere sviluppato in modo consistente.
Anch'io la ringrazio per il nostro dialogo e per avere condiviso con noi la sua esperienza.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
Questo consulto ha ricevuto 7 risposte e 11.1k visite dal 23/07/2019.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Approfondimento su Ansia
Cos'è l'ansia? Tipologie dei disturbi d'ansia, sintomi fisici, cognitivi e comportamentali, prevenzione, diagnosi e cure possibili con psicoterapia o farmaci.