Seguire una terapia e non vedere miglioramenti, c'è qualcosa da rivedere?
salve,
a seguito di un evento emotivo, sono circa due anni che verso in uno stato interiore difficile, ho pensieri ossessivi, ansia in determinati momenti della giornata, affanno e respirazione difficile in alcuni momenti, umore cupo....rabbia...
A vedermi sembrerei normale, sorrido e sono cordiale, eppure dentro sto male....
ho seguito due psicologi per circa un anno il primo e un anno il secondo, incontri programmati, dove ho tratto una nuova visione di me, e della mia persona, ma non sono guarito, ed un certo punto non c'erano più progressi.
Vi chiedo, gentilmente, di provare a spiegarmi come scegliere una terapia piuttosto che un'altra, e come darsi degli obbiettivi, tenendo in considerazione che ovviamente so che sia un procedimento lungo avvolte.
Ma seguire una terapia e non vedere miglioramenti, suppongo che debba esserci qualcosa da rivedere, oppure non saprei, ipotizzo una terapia non in linea con il problema che si potrebbe avere?
E' ovvio che scegliere di andare dall'ortopedico piuttosto che dal dermatologo per un dolore al ginocchio sia scontato, ma vista la complessità della mente e la scarsità della informazione su questa branca, come ci si dovrebbe regolare per non cadere nella trappola dell'inefficacia?
Grazie
a seguito di un evento emotivo, sono circa due anni che verso in uno stato interiore difficile, ho pensieri ossessivi, ansia in determinati momenti della giornata, affanno e respirazione difficile in alcuni momenti, umore cupo....rabbia...
A vedermi sembrerei normale, sorrido e sono cordiale, eppure dentro sto male....
ho seguito due psicologi per circa un anno il primo e un anno il secondo, incontri programmati, dove ho tratto una nuova visione di me, e della mia persona, ma non sono guarito, ed un certo punto non c'erano più progressi.
Vi chiedo, gentilmente, di provare a spiegarmi come scegliere una terapia piuttosto che un'altra, e come darsi degli obbiettivi, tenendo in considerazione che ovviamente so che sia un procedimento lungo avvolte.
Ma seguire una terapia e non vedere miglioramenti, suppongo che debba esserci qualcosa da rivedere, oppure non saprei, ipotizzo una terapia non in linea con il problema che si potrebbe avere?
E' ovvio che scegliere di andare dall'ortopedico piuttosto che dal dermatologo per un dolore al ginocchio sia scontato, ma vista la complessità della mente e la scarsità della informazione su questa branca, come ci si dovrebbe regolare per non cadere nella trappola dell'inefficacia?
Grazie
[#1]
Gentile utente, eccole due link il cui titolo risponde proprio alla sua domanda:
https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html
https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/1333-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico-parte-ii.html
Ricordi sempre che al di là del metodo e della scuola di appartenenza c'è la relazione personale con il curante, fatta di fiducia, stima, risonanza empatica ma anche culturale con lui/lei.
Non bisogna poi dimenticare che ogni sofferenza psicologica comporta la costruzione di un apparato di idee ingannevoli che apparentemente proteggono, e risulta una gran fatica abbandonarle, fino all'impossibilità. Questa tecnicamente si chiama "resistenza alla terapia".
Lei parla di ben due psicologi sperimentati e abbandonati. Ha parlato con loro della sua impressione di inefficacia del percorso? Ha chiesto a loro quale tipo di terapia fosse per lei il più idoneo? Se non lo ha fatto, si chieda il perché.
Auguri, e ci tenga al corrente.
https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html
https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/1333-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico-parte-ii.html
Ricordi sempre che al di là del metodo e della scuola di appartenenza c'è la relazione personale con il curante, fatta di fiducia, stima, risonanza empatica ma anche culturale con lui/lei.
Non bisogna poi dimenticare che ogni sofferenza psicologica comporta la costruzione di un apparato di idee ingannevoli che apparentemente proteggono, e risulta una gran fatica abbandonarle, fino all'impossibilità. Questa tecnicamente si chiama "resistenza alla terapia".
Lei parla di ben due psicologi sperimentati e abbandonati. Ha parlato con loro della sua impressione di inefficacia del percorso? Ha chiesto a loro quale tipo di terapia fosse per lei il più idoneo? Se non lo ha fatto, si chieda il perché.
Auguri, e ci tenga al corrente.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#2]
Utente
salve,
scrivo a distanza di tempo perché mi sono imposto di proseguire anche se ad un certo punto volevo di nuovo smettere.
Lei parla di resistenza alla terapia, mi permetta di farle una domanda, diciamo banale.
C'è la possibilità che un soggetto non risponda alle terapie psicologiche, qualsiasi esse siano, e si debba passare all'aiuto farmacologico?
grazie
scrivo a distanza di tempo perché mi sono imposto di proseguire anche se ad un certo punto volevo di nuovo smettere.
Lei parla di resistenza alla terapia, mi permetta di farle una domanda, diciamo banale.
C'è la possibilità che un soggetto non risponda alle terapie psicologiche, qualsiasi esse siano, e si debba passare all'aiuto farmacologico?
grazie
[#3]
Gentile utente,
che io sappia, sì. Si può essere inidonei, e anche resistenti a oltranza alla terapia psicologica - che sono due cose diverse ma producono lo stesso risultato.
Se poi in questi casi si possa passare ai farmaci, dipende dalla natura del problema.
Se per esempio è in atto una grave forma depressiva, il farmaco andrebbe assunto subito, a mio avviso; psicoterapeuta e psichiatra dovrebbero lavorare insieme.
Se si cerca uno psicologo perché stanchi di una serie di relazioni sentimentali deludenti o perché non si ha il metodo di studio giusto o perché non si accetta il proprio orientamento sessuale o si è in conflitto con la propria famiglia, i farmaci sono superflui o addirittura fuori luogo.
Ogni caso, comunque, è a sé stante. Farsi seguire da uno specialista che abbia davvero a cuore il nostro benessere è fondamentale, perché sarà lui/lei a suggerire eventualmente di prendere i farmaci, e farà gli opportuni interventi terapeutici modulandoli sulla situazione del paziente.
Un buon terapeuta non impone un unico metodo, se questo è inidoneo a un determinato paziente, e se non vuole adottarne altri invia il paziente ad un collega.
Questa stessa procedura è prevista se il terapeuta ha tentato tutta la gamma, e qualcosa nella relazione professionale col paziente continua a precludere i risultati.
Nella sua prima lettera lei scriveva: "vista la complessità della mente e la scarsità della informazione su questa branca, come ci si dovrebbe regolare per non cadere nella trappola dell'inefficacia?".
Per la verità sono parole che stupiscono, venendo da chi ha già preso contatti con due terapeuti. Il paziente può avere scarse informazioni, ma il terapeuta no.
Dopo aver letto gli articoli che a suo tempo le inviai, ne ha discusso col curante?
Le faccio tanti auguri e spero che possa avviarsi ad una soluzione.
che io sappia, sì. Si può essere inidonei, e anche resistenti a oltranza alla terapia psicologica - che sono due cose diverse ma producono lo stesso risultato.
Se poi in questi casi si possa passare ai farmaci, dipende dalla natura del problema.
Se per esempio è in atto una grave forma depressiva, il farmaco andrebbe assunto subito, a mio avviso; psicoterapeuta e psichiatra dovrebbero lavorare insieme.
Se si cerca uno psicologo perché stanchi di una serie di relazioni sentimentali deludenti o perché non si ha il metodo di studio giusto o perché non si accetta il proprio orientamento sessuale o si è in conflitto con la propria famiglia, i farmaci sono superflui o addirittura fuori luogo.
Ogni caso, comunque, è a sé stante. Farsi seguire da uno specialista che abbia davvero a cuore il nostro benessere è fondamentale, perché sarà lui/lei a suggerire eventualmente di prendere i farmaci, e farà gli opportuni interventi terapeutici modulandoli sulla situazione del paziente.
Un buon terapeuta non impone un unico metodo, se questo è inidoneo a un determinato paziente, e se non vuole adottarne altri invia il paziente ad un collega.
Questa stessa procedura è prevista se il terapeuta ha tentato tutta la gamma, e qualcosa nella relazione professionale col paziente continua a precludere i risultati.
Nella sua prima lettera lei scriveva: "vista la complessità della mente e la scarsità della informazione su questa branca, come ci si dovrebbe regolare per non cadere nella trappola dell'inefficacia?".
Per la verità sono parole che stupiscono, venendo da chi ha già preso contatti con due terapeuti. Il paziente può avere scarse informazioni, ma il terapeuta no.
Dopo aver letto gli articoli che a suo tempo le inviai, ne ha discusso col curante?
Le faccio tanti auguri e spero che possa avviarsi ad una soluzione.
[#4]
Utente
Salve Dottoressa,
la ringrazio innanzi tutto per la sua cortese risposta.
Le dico con onestà, che i primi due impatti che ho avuto con i terapeuti da me interpellati sono stati esattamente l'opposto l'uno dell'altro, malgrado io mi sia rapportato con essi nella medesima maniera.
Da qui mi è nata la domanda, cioè, non metto in dubbio la professionalità di entrambi o di chi sia, ma mi domando, c'è forse un metodo, oltre quello empatico e di fiducia verso il terapista , per determinare se eventualmente sarebbe il caso di seguire più o meno una "branca" della psicologia.
Sono una persona solare, e abbastanza spigliata, ma dentro di me nascondo un dolore molto grande, che spesso si tramuta in angoscia, sensi di colpa, e pensieri ossessivi.
Come detto in precedenza, ho provato a cercare di cambiare strada, ma dopo piccoli miglioramenti, ottenuti con grande fatica, ripiombo all'inizio del calvario, come se mi trovassi all'interno di un labirinto.
Ho fatto alcuni passi in avanti sulla conoscenza di me stesso, e del mio modo di rapportarmi, ma non riesco a debellare questo dolore, mi impegno, ci provo, ma mi ritrovo spesso nelle mie sedute a parlare di nuovo di cose affrontate in precedenza, e per quanto la terapista mi sproni e porti su altri aspetti, io torno di nuovo a parlare di ciò, come se lo sfogarmi li facesse da valvola di sfogo.
Sono una persona molto sensibile, e diciamo debole di carattere, e forse questo mi penalizza, ma il non vedere sensibili cambiamenti, mi fa dubitare sull'efficacia della terapia su di me, e di essere un possibile " resistente" alla stessa.
grazie ancora
la ringrazio innanzi tutto per la sua cortese risposta.
Le dico con onestà, che i primi due impatti che ho avuto con i terapeuti da me interpellati sono stati esattamente l'opposto l'uno dell'altro, malgrado io mi sia rapportato con essi nella medesima maniera.
Da qui mi è nata la domanda, cioè, non metto in dubbio la professionalità di entrambi o di chi sia, ma mi domando, c'è forse un metodo, oltre quello empatico e di fiducia verso il terapista , per determinare se eventualmente sarebbe il caso di seguire più o meno una "branca" della psicologia.
Sono una persona solare, e abbastanza spigliata, ma dentro di me nascondo un dolore molto grande, che spesso si tramuta in angoscia, sensi di colpa, e pensieri ossessivi.
Come detto in precedenza, ho provato a cercare di cambiare strada, ma dopo piccoli miglioramenti, ottenuti con grande fatica, ripiombo all'inizio del calvario, come se mi trovassi all'interno di un labirinto.
Ho fatto alcuni passi in avanti sulla conoscenza di me stesso, e del mio modo di rapportarmi, ma non riesco a debellare questo dolore, mi impegno, ci provo, ma mi ritrovo spesso nelle mie sedute a parlare di nuovo di cose affrontate in precedenza, e per quanto la terapista mi sproni e porti su altri aspetti, io torno di nuovo a parlare di ciò, come se lo sfogarmi li facesse da valvola di sfogo.
Sono una persona molto sensibile, e diciamo debole di carattere, e forse questo mi penalizza, ma il non vedere sensibili cambiamenti, mi fa dubitare sull'efficacia della terapia su di me, e di essere un possibile " resistente" alla stessa.
grazie ancora
[#5]
Gentile utente,
come già nelle precedenti email, la sue parole continuano a sembrarmi quelle di chi non ha mai preso contatto con un professionista o di chi resiste ad oltranza al procedimento terapeutico.
Qui lei scrive: "i primi due impatti che ho avuto con i terapeuti da me interpellati sono stati esattamente l'opposto l'uno dell'altro, malgrado io mi sia rapportato con essi nella medesima maniera".
Cosa vuol dire esattamente non è chiaro. Forse intende che le sono state proposte procedure terapeutiche diverse?
Se è così, consideri che la mente umana è abbastanza plastica da ottenere buoni risultati anche impiegando differenti metodi. Sempre che lei abbia dato modo al primo curante di analizzare il suo caso, il che non si realizza certo in uno o due incontri.
Lei aggiunge: "mi domando, c'è forse un metodo, oltre quello empatico e di fiducia verso il terapista , per determinare se eventualmente sarebbe il caso di seguire più o meno una "branca" della psicologia".
Per "branca della psicologia" credo lei voglia intendere "metodo terapeutico", dando per scontato che dalla psicologia lei si aspetti la cura, e quindi, come branca, si rivolga alla psicologia clinica, non a quella del lavoro, dello sport, di comunità, scolastica etc.
Nell'ambito della psicologia clinica le sono stati forniti fin dalla sua prima richiesta due articoli che espongono i maggiori metodi terapeutici. Li ha letti? Li ha discussi con gli psicologi che l'avevano in cura?
Se non lo ha fatto, dovrebbe chiedersi se davvero sta cercando aiuto dalla terapia. Allo stesso titolo dovrebbe chiederselo, se la richiesta di farmaci che qui ipotizza non l'ha mai rivolta né al suo medico, né al suo psicologo.
Infine lei scrive: "non riesco a debellare questo dolore, mi impegno, ci provo, ma mi ritrovo spesso nelle mie sedute a parlare di nuovo di cose affrontate in precedenza, e per quanto la terapista mi sproni e porti su altri aspetti, io torno di nuovo a parlare di ciò, come se lo sfogarmi li facesse da valvola di sfogo".
Qui dovrei entrare nel vivo di certe procedure generali della terapia che ogni specialista adotta ritagliandole sulla situazione del paziente, e naturalmente non è il caso, sapendo poco o nulla della sua situazione e meno ancora del suo terapeuta.
Le dico solo che se all'origine del suo trauma c'è una perdita, per abbandono o per lutto, l'elaborazione dello stesso procede con cautela e con apparenti periodi di stasi, per permettere al paziente di far emergere tutta la gamma di sentimenti anche contraddittori che si agitano dentro di lui.
Una cosa però devo ribadire con forza: il luogo in cui esprimere questi dubbi, perplessità, amarezze, rimane il setting terapeutico.
Dicendo alla sua curante che continua a sentirsi troppo male, che è perplesso o addirittura deluso della cura intrapresa, che vorrebbe mettere in atto altre procedure, sperimentare altri risultati, lei non sta offendendola, come sarebbe se lo dicesse al suo sarto, al barbiere, al cameriere di un ristorante.
Allo psicologo, al contrario, lei starebbe fornendo gli opportuni elementi per analizzare sempre meglio qual è la sua richiesta terapeutica, il suo percorso di guarigione ed eventualmente le sue illusioni.
Non pochi pazienti, infatti, vorrebbero che la guarigione arrivasse dall'esterno cone un colpo di bacchetta magica, preferendo ignorare, nel momento regressivo della sofferenza, il bene sommo della possibilità di autodeterminarsi, di poter costruire autonomamente la nostra vita.
Spero di esserle stata utile, almeno un po'. Provi a fare come le dico.
come già nelle precedenti email, la sue parole continuano a sembrarmi quelle di chi non ha mai preso contatto con un professionista o di chi resiste ad oltranza al procedimento terapeutico.
Qui lei scrive: "i primi due impatti che ho avuto con i terapeuti da me interpellati sono stati esattamente l'opposto l'uno dell'altro, malgrado io mi sia rapportato con essi nella medesima maniera".
Cosa vuol dire esattamente non è chiaro. Forse intende che le sono state proposte procedure terapeutiche diverse?
Se è così, consideri che la mente umana è abbastanza plastica da ottenere buoni risultati anche impiegando differenti metodi. Sempre che lei abbia dato modo al primo curante di analizzare il suo caso, il che non si realizza certo in uno o due incontri.
Lei aggiunge: "mi domando, c'è forse un metodo, oltre quello empatico e di fiducia verso il terapista , per determinare se eventualmente sarebbe il caso di seguire più o meno una "branca" della psicologia".
Per "branca della psicologia" credo lei voglia intendere "metodo terapeutico", dando per scontato che dalla psicologia lei si aspetti la cura, e quindi, come branca, si rivolga alla psicologia clinica, non a quella del lavoro, dello sport, di comunità, scolastica etc.
Nell'ambito della psicologia clinica le sono stati forniti fin dalla sua prima richiesta due articoli che espongono i maggiori metodi terapeutici. Li ha letti? Li ha discussi con gli psicologi che l'avevano in cura?
Se non lo ha fatto, dovrebbe chiedersi se davvero sta cercando aiuto dalla terapia. Allo stesso titolo dovrebbe chiederselo, se la richiesta di farmaci che qui ipotizza non l'ha mai rivolta né al suo medico, né al suo psicologo.
Infine lei scrive: "non riesco a debellare questo dolore, mi impegno, ci provo, ma mi ritrovo spesso nelle mie sedute a parlare di nuovo di cose affrontate in precedenza, e per quanto la terapista mi sproni e porti su altri aspetti, io torno di nuovo a parlare di ciò, come se lo sfogarmi li facesse da valvola di sfogo".
Qui dovrei entrare nel vivo di certe procedure generali della terapia che ogni specialista adotta ritagliandole sulla situazione del paziente, e naturalmente non è il caso, sapendo poco o nulla della sua situazione e meno ancora del suo terapeuta.
Le dico solo che se all'origine del suo trauma c'è una perdita, per abbandono o per lutto, l'elaborazione dello stesso procede con cautela e con apparenti periodi di stasi, per permettere al paziente di far emergere tutta la gamma di sentimenti anche contraddittori che si agitano dentro di lui.
Una cosa però devo ribadire con forza: il luogo in cui esprimere questi dubbi, perplessità, amarezze, rimane il setting terapeutico.
Dicendo alla sua curante che continua a sentirsi troppo male, che è perplesso o addirittura deluso della cura intrapresa, che vorrebbe mettere in atto altre procedure, sperimentare altri risultati, lei non sta offendendola, come sarebbe se lo dicesse al suo sarto, al barbiere, al cameriere di un ristorante.
Allo psicologo, al contrario, lei starebbe fornendo gli opportuni elementi per analizzare sempre meglio qual è la sua richiesta terapeutica, il suo percorso di guarigione ed eventualmente le sue illusioni.
Non pochi pazienti, infatti, vorrebbero che la guarigione arrivasse dall'esterno cone un colpo di bacchetta magica, preferendo ignorare, nel momento regressivo della sofferenza, il bene sommo della possibilità di autodeterminarsi, di poter costruire autonomamente la nostra vita.
Spero di esserle stata utile, almeno un po'. Provi a fare come le dico.
[#6]
Utente
buonasera,
la ringrazio per la sua risposta e mi scuso nel ritardo della mia.
Parto dal presupposto che ho letto gli articoli che mi ha proposto, e le dico che sono stato in cura dal primo terapista (8 mesi) e al secondo (12 mesi).
Detto ciò, voglio dirle che non è mia intenzione ne osteggiare o peggio dubitare della vostra professione, anzi, credo che andrebbe inserita come aiuto e conoscenza dei bambini già dalle scuole elementari.
Cito alcune parti della sua cortese risposta "Se non lo ha fatto, dovrebbe chiedersi se davvero sta cercando aiuto dalla terapia. Allo stesso titolo dovrebbe chiederselo, se la richiesta di farmaci che qui ipotizza non l'ha mai rivolta né al suo medico, né al suo psicologo"....ho rivolto tale domanda al mio psicologo attuale con il quale sono in cura da 2 anni, e lo stesso mi ha risposto che tali cure(farmacologiche) andrebbero assunte solo in casi di estremo rischio ... oppure in casi di appurata necessità, e non le nego che io stesso le ho sempre viste di malo modo, per paura di potenziali dipendenze post uso.
Mi creda vorrei molto che "Non pochi pazienti, infatti, vorrebbero che la guarigione arrivasse dall'esterno come un colpo di bacchetta magica, preferendo ignorare, nel momento regressivo della sofferenza, il bene sommo della possibilità di autodeterminarsi, di poter costruire autonomamente la nostra vita"... e mi creda anche se quello che ho passato negli ultimi 3 anni penso che sia stata la massima sofferenza che ho avuto il dispiacere di incontrare nella mia vita, sono consapevole di aver conosciuto e realizzato aspetti della mia persona che prima ignoravo, e nella fattispecie, non conoscevo come invece ora.
Ma, e purtroppo c'è un ma, il momento regressivo da lei citato, è stato di gran lunga un piccolo passo, uno spazio cosi ridotto, che si ... è stato conquistato, e del quale ne vado fiero, ma che nulla è in confronto alla grande conquista del fronte in termini di grandi spazi di manovra che quel male oscuro aveva elargito in me.
Credo Dottoressa, e non voglio ne osteggiare e ne giudicare, chi invece ha avuto quella forza e coraggio che io invidio e aspiro .che certe ferite restano dentro, in maniera indelebile, che il tempo può si forse leggermente levigare, ma passandoci sopra la mano si sentiranno ancora i lembi aperti, forse non sanguinanti, ma mai richiusi .e che per quanto si cerchi di "elaborare ", ciò resta un vano tentativo, di cucire quei lembi, che comunque vada resteranno aperti
Sono una persona attiva, un buon sportivo amatoriale, ho una famiglia che mi ha sempre amato, anche se loro come genitori sono stati sempre turbolenti(quelle coppie che si sposavano dopo essere uscite 3 volte) ho una sorella che mi ama e che è la mia migliore amica, due suoceri che mi considerano come un figlio, una ragazza che mi ama...un lavoro, immobile di proprietà .
Eppure li...dentro di me questa sofferenza legata al passato non mi permette di essere felice...è una presenza che mi segue...che mi sussurra...che mi ricorda cosa e come " potrei essere stato un poco di buono"...sono rimorsi che mi cercano.. che mi seguono di giorno mescolandosi nei miei pensieri
Rido, sono solare, scherzo e sono di compagnia ma dentro...li dentro vedo il tormento che si agita...quel fuoco che alimenta odio e irrequietezza ...che mi rende come un vulcano...con i ricordi che riaffiorano...con i ragionamenti fatti con me stesso a cercare di capire cosa non va in me...perché se esiste la sfortuna abbia voluto perseguitarmi .e poi vedo lì l'altra parte che mi uccide...la mia sensibilità.
Ti dicono che è una grande dote, che sei speciale, ma non ti viene detto che è come una lama che ti trafigge ogni volta che vedi cattiveria, dolore, crudeltà, e di cui puoi fare poco per debellarla...è quella sensazione che ti fa dubitare di te quando reagisci alle cattiverie, ma ti penti, chiedendoti se forse non hai esagerato, che ti fa essere disponibile con tutti, ma regolarmente questi tutti se ne approfittano...che ti fanno odiare il telegiornale..il web perché vorresti quel mantello con la S e poter piegare la cattiveria .
Alla fine Dottoressa, restiamo soli con i nostri segni nell'anima, con il nostro dolore, e con la speranza, forse vana, che un giorno troveremo una vita più equa dall'altra parte .
Ringraziandola un augurio di Buone Festività
Grazie
la ringrazio per la sua risposta e mi scuso nel ritardo della mia.
Parto dal presupposto che ho letto gli articoli che mi ha proposto, e le dico che sono stato in cura dal primo terapista (8 mesi) e al secondo (12 mesi).
Detto ciò, voglio dirle che non è mia intenzione ne osteggiare o peggio dubitare della vostra professione, anzi, credo che andrebbe inserita come aiuto e conoscenza dei bambini già dalle scuole elementari.
Cito alcune parti della sua cortese risposta "Se non lo ha fatto, dovrebbe chiedersi se davvero sta cercando aiuto dalla terapia. Allo stesso titolo dovrebbe chiederselo, se la richiesta di farmaci che qui ipotizza non l'ha mai rivolta né al suo medico, né al suo psicologo"....ho rivolto tale domanda al mio psicologo attuale con il quale sono in cura da 2 anni, e lo stesso mi ha risposto che tali cure(farmacologiche) andrebbero assunte solo in casi di estremo rischio ... oppure in casi di appurata necessità, e non le nego che io stesso le ho sempre viste di malo modo, per paura di potenziali dipendenze post uso.
Mi creda vorrei molto che "Non pochi pazienti, infatti, vorrebbero che la guarigione arrivasse dall'esterno come un colpo di bacchetta magica, preferendo ignorare, nel momento regressivo della sofferenza, il bene sommo della possibilità di autodeterminarsi, di poter costruire autonomamente la nostra vita"... e mi creda anche se quello che ho passato negli ultimi 3 anni penso che sia stata la massima sofferenza che ho avuto il dispiacere di incontrare nella mia vita, sono consapevole di aver conosciuto e realizzato aspetti della mia persona che prima ignoravo, e nella fattispecie, non conoscevo come invece ora.
Ma, e purtroppo c'è un ma, il momento regressivo da lei citato, è stato di gran lunga un piccolo passo, uno spazio cosi ridotto, che si ... è stato conquistato, e del quale ne vado fiero, ma che nulla è in confronto alla grande conquista del fronte in termini di grandi spazi di manovra che quel male oscuro aveva elargito in me.
Credo Dottoressa, e non voglio ne osteggiare e ne giudicare, chi invece ha avuto quella forza e coraggio che io invidio e aspiro .che certe ferite restano dentro, in maniera indelebile, che il tempo può si forse leggermente levigare, ma passandoci sopra la mano si sentiranno ancora i lembi aperti, forse non sanguinanti, ma mai richiusi .e che per quanto si cerchi di "elaborare ", ciò resta un vano tentativo, di cucire quei lembi, che comunque vada resteranno aperti
Sono una persona attiva, un buon sportivo amatoriale, ho una famiglia che mi ha sempre amato, anche se loro come genitori sono stati sempre turbolenti(quelle coppie che si sposavano dopo essere uscite 3 volte) ho una sorella che mi ama e che è la mia migliore amica, due suoceri che mi considerano come un figlio, una ragazza che mi ama...un lavoro, immobile di proprietà .
Eppure li...dentro di me questa sofferenza legata al passato non mi permette di essere felice...è una presenza che mi segue...che mi sussurra...che mi ricorda cosa e come " potrei essere stato un poco di buono"...sono rimorsi che mi cercano.. che mi seguono di giorno mescolandosi nei miei pensieri
Rido, sono solare, scherzo e sono di compagnia ma dentro...li dentro vedo il tormento che si agita...quel fuoco che alimenta odio e irrequietezza ...che mi rende come un vulcano...con i ricordi che riaffiorano...con i ragionamenti fatti con me stesso a cercare di capire cosa non va in me...perché se esiste la sfortuna abbia voluto perseguitarmi .e poi vedo lì l'altra parte che mi uccide...la mia sensibilità.
Ti dicono che è una grande dote, che sei speciale, ma non ti viene detto che è come una lama che ti trafigge ogni volta che vedi cattiveria, dolore, crudeltà, e di cui puoi fare poco per debellarla...è quella sensazione che ti fa dubitare di te quando reagisci alle cattiverie, ma ti penti, chiedendoti se forse non hai esagerato, che ti fa essere disponibile con tutti, ma regolarmente questi tutti se ne approfittano...che ti fanno odiare il telegiornale..il web perché vorresti quel mantello con la S e poter piegare la cattiveria .
Alla fine Dottoressa, restiamo soli con i nostri segni nell'anima, con il nostro dolore, e con la speranza, forse vana, che un giorno troveremo una vita più equa dall'altra parte .
Ringraziandola un augurio di Buone Festività
Grazie
[#7]
Gentile utente,
la ringrazio dell'averci resi partecipi delle sue riflessioni.
Mi sembra che lei vada approfondendo la conoscenza di sé stesso, per ora su un versante non del tutto ottimista. Tuttavia anche la morsa di un passato che non perde la presa e continua a lacerarci può essere elaborata, come ogni dolore.
Nietzsche diceva di voler trasformare il piombo in oro.
Padre Cristoforo, forse la più bella figura umana creata dal genio di Manzoni, fa della propria impulsività omicida uno strumento di difesa dei deboli.
Il problema è voler trovare la propria strada.
Auguri.
la ringrazio dell'averci resi partecipi delle sue riflessioni.
Mi sembra che lei vada approfondendo la conoscenza di sé stesso, per ora su un versante non del tutto ottimista. Tuttavia anche la morsa di un passato che non perde la presa e continua a lacerarci può essere elaborata, come ogni dolore.
Nietzsche diceva di voler trasformare il piombo in oro.
Padre Cristoforo, forse la più bella figura umana creata dal genio di Manzoni, fa della propria impulsività omicida uno strumento di difesa dei deboli.
Il problema è voler trovare la propria strada.
Auguri.
Questo consulto ha ricevuto 7 risposte e 4.7k visite dal 19/06/2019.
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