Psicoterapia cognitivo comportamentale da due anni
Buongiorno, sono in psicoterapia cognitivo comportamentale da due anni e qualche mese presso un- vostr- giovane collega. Dopo un po' di mesi dall'inizio della terapia, a seguito una mia richiesta, ho ottenuto una diagnosi: ansia.
Il primo anno e mezzo è stato incentrato, a detta del- vostr- collega, sui miei pensieri di origine ansiosa. Avevo una griglia da compilare per ogni pensiero ansioso. Lo scopo era sbugiardare questi pensieri, attraverso questa specie di disputa interiore. A detta del- dottor-, a furia di scrivere, questi contro pensieri sarebbero diventati automatici. Dopo fogli e fogli, questo esercizio è stato abbandonato a non ci siamo più ritornati. Automatismi in senso stretto non è che ne abbia sviluppati.
Poi, da quasi un anno quasi tutte le sedute vertono su due problemi cardine che mi tormentano, che investono due macro aree della vita, e che inficiano pesantemente e negativamente sulla mia salute mentale. In risposta ad uno dei due temi, il/la vostr- collega ripropone con una certa sicurezza la sua teoria di base, senza però farla seguire da un ordine prescrittivo. Ha una favella molto viva, tra l'altra alimentata dal mio ribattere e dai miei pensieri cervellotici, quindi praticamente è da anni che non fa altro che ripetere la stessa cosa in varie salse. Per quanto riguarda l'altro argomento, invece, non ha dimostrato di avere in mente una teoria di base: diciamo che si limita ad ascoltarmi e ha mostrarmi dei punti di vista.
Per arrivare il dunque, ora che mi faccio due conti (letteralmente) e traggo le file di questi due anni e rotti di terapia, mi sento spremuto come una mucca. Talvolta, ho paura che si approfitti della mia debolezza e della mia solitudine. Riconosco infatti che avrei difficoltà a stare senza i 50 minuti di sfogo settimanale, anche perché non saprei a chi parlare dei miei problemi. Mi risulta che la terapia CC deve essere breve. Conosco chi la pratica, e so che dopo poco tempo senza risultati, lo stesso indirizza il soggetto ad altri terapeuti.
Io sono pronto a riconoscere la mia responsabilità nell'insuccesso del percorso, ma dopo due anni e qualche mese non sarebbe deontologico fare un bilancio e, magari, per il mio bene indirizzarmi altrove (es.: verso un collega, un altro indirizzo, ecc..)? Può durare la terapia CC così tanto tempo, senza risultati apprezzabili (de facto il mio malessere sussiste)? Ho già fatto questa osservazione al- vostr- colleg-, e la risposta è stato che una modalità di pensiero così radicata nel tempo come la mia richiede del tempo per essere cambiata. Però io mi sento preso per i fondelli.
Ovviamente nella prossima seduta, dirò tutto questo, perché penso di non avere mai avuto così tante detrazioni di imposta come in questi due anni a causa della PCC. Se ai miei problemi deve aggiungersi la frustrazione della terapia ed il senso di essere preso in giro, non va bene. Prima di parlarne in seduta, vorrei però un vostro parere, in qualità di colleghi del- mi- curante.Grazie.
Il primo anno e mezzo è stato incentrato, a detta del- vostr- collega, sui miei pensieri di origine ansiosa. Avevo una griglia da compilare per ogni pensiero ansioso. Lo scopo era sbugiardare questi pensieri, attraverso questa specie di disputa interiore. A detta del- dottor-, a furia di scrivere, questi contro pensieri sarebbero diventati automatici. Dopo fogli e fogli, questo esercizio è stato abbandonato a non ci siamo più ritornati. Automatismi in senso stretto non è che ne abbia sviluppati.
Poi, da quasi un anno quasi tutte le sedute vertono su due problemi cardine che mi tormentano, che investono due macro aree della vita, e che inficiano pesantemente e negativamente sulla mia salute mentale. In risposta ad uno dei due temi, il/la vostr- collega ripropone con una certa sicurezza la sua teoria di base, senza però farla seguire da un ordine prescrittivo. Ha una favella molto viva, tra l'altra alimentata dal mio ribattere e dai miei pensieri cervellotici, quindi praticamente è da anni che non fa altro che ripetere la stessa cosa in varie salse. Per quanto riguarda l'altro argomento, invece, non ha dimostrato di avere in mente una teoria di base: diciamo che si limita ad ascoltarmi e ha mostrarmi dei punti di vista.
Per arrivare il dunque, ora che mi faccio due conti (letteralmente) e traggo le file di questi due anni e rotti di terapia, mi sento spremuto come una mucca. Talvolta, ho paura che si approfitti della mia debolezza e della mia solitudine. Riconosco infatti che avrei difficoltà a stare senza i 50 minuti di sfogo settimanale, anche perché non saprei a chi parlare dei miei problemi. Mi risulta che la terapia CC deve essere breve. Conosco chi la pratica, e so che dopo poco tempo senza risultati, lo stesso indirizza il soggetto ad altri terapeuti.
Io sono pronto a riconoscere la mia responsabilità nell'insuccesso del percorso, ma dopo due anni e qualche mese non sarebbe deontologico fare un bilancio e, magari, per il mio bene indirizzarmi altrove (es.: verso un collega, un altro indirizzo, ecc..)? Può durare la terapia CC così tanto tempo, senza risultati apprezzabili (de facto il mio malessere sussiste)? Ho già fatto questa osservazione al- vostr- colleg-, e la risposta è stato che una modalità di pensiero così radicata nel tempo come la mia richiede del tempo per essere cambiata. Però io mi sento preso per i fondelli.
Ovviamente nella prossima seduta, dirò tutto questo, perché penso di non avere mai avuto così tante detrazioni di imposta come in questi due anni a causa della PCC. Se ai miei problemi deve aggiungersi la frustrazione della terapia ed il senso di essere preso in giro, non va bene. Prima di parlarne in seduta, vorrei però un vostro parere, in qualità di colleghi del- mi- curante.Grazie.
[#1]
Gentile Utente,
mi sembra una buona idea quella di parlarne la prossima volta con il/la terapeuta, perchè il/la Collega saprà darLe senz'altro delle risposte più puntuali delle mie, dal momento che La conosce e conosce tutta la storia.
Quanto dura una psicoterapia?
La psicoterapia dura il tempo necessario per trattare un disturbo, o meglio, il minor tempo possibile per trattare quel determinato disturbo, in quanto si tiene in considerazione efficacia ed efficienza del trattamento.
Bisogna inviare il paziente altrove se la terapia non ha successo? L' Articolo 27 del Codice Deontologico recita:
"Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l’interruzione del rapporto terapeutico quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa.Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti interventi."
Posso chiederLe come mai ha sottolineato che il/la Collega è giovane?
Cordiali saluti,
mi sembra una buona idea quella di parlarne la prossima volta con il/la terapeuta, perchè il/la Collega saprà darLe senz'altro delle risposte più puntuali delle mie, dal momento che La conosce e conosce tutta la storia.
Quanto dura una psicoterapia?
La psicoterapia dura il tempo necessario per trattare un disturbo, o meglio, il minor tempo possibile per trattare quel determinato disturbo, in quanto si tiene in considerazione efficacia ed efficienza del trattamento.
Bisogna inviare il paziente altrove se la terapia non ha successo? L' Articolo 27 del Codice Deontologico recita:
"Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l’interruzione del rapporto terapeutico quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa.Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti interventi."
Posso chiederLe come mai ha sottolineato che il/la Collega è giovane?
Cordiali saluti,
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
[#5]
Gentile Utente,
sempre con i limiti della valutazione a distanza...
secondo me c'è un po' di confusione, nel senso che una cosa è la diagnosi, cioè -in parole molto semplici- il problema per il quale una persona va in terapia. Nel Suo caso, per usare un termine molto molto generico, diciamo "ansia", sebbene l'ansia sia un'emozione, neanche sempre dannosa, ma spesso utile. Quindi ipotizzo che Lei abbia un disturbo d'ansia, ma anche qui ce ne sono molti e si esprimono in modo diverso. Proprio perchè ce ne sono molti, ci saranno diversi protocolli da seguire. Ad esempio, non possiamo trattare nello stesso modo un disturbo ossessivo e una disfunzione sessuale.
E già questo è il primo punto che non torna nella terapia che racconta.
Altro aspetto, diverso dalla diagnosi, sono gli obiettivi terapeutici, cioè una volta posta una diagnosi (qual è il problema del pz), si fissano degli obiettivi da raggiungere che devono essere molto precisi e definiti, e ci sarà una determinata metodologia per raggiungerli.
Ma già dal suo primo post, ci sono molti aspetti che non mi sono chiari. Ad esempio, Lei scrive: "Lo scopo era sbugiardare questi pensieri, attraverso questa specie di disputa interiore. A detta del- dottor-, a furia di scrivere, questi contro pensieri sarebbero diventati automatici. "
Io posso anche intercettare un problema (es un pensiero disfunzionale), ma non capisco che senso possa mai avere "sbugiardare" i pensieri, nè come si faccia!
Ora, per capirci meglio, non so quale sia nello specifico il SUO problema, ma un conto è intercettare un comportamento che semmai mantiene in vita il problema e modificarlo, in modo tale che il paziente possa modificare anche la mastery, l'autostima, l'autoefficacia e ovviamente non essere più ansioso (in un senso patologico, intendo). Anche dopo la fine di una psicoterapia una persona proverà ansia (o paura o tutte le emozioni) quando la situazione lo richiederà, ma saprà esattamente cosa fare per non esserne schiavo o essere paralizzato dall'ansia.
Non ha molto senso "sbugiardare" un pensiero, perchè non riesco ad immaginare come possa cambiare una persona verso quel determinato problema con tale metodologia.
Ma non ha neppure senso usare una seduta per "sfogarsi": la psicoterapia non è uno sfogo, ma un lavoro ben preciso a beneficio del paziente sui problemi del paziente.
Dal momento che Lei conosce altre persone che erogano la terapia cognitivo-comportamentale e ha potuto fare dei confronti, perchè non si affida a quei professionisti?
Le suggerisco di verificare qui www.psy.it le credenziali degli psicologi psicoterapeuti, perchè da quello che ha scritto non mi pare ci sia nessuna caratteristica della psicoterapia, nè della psicoterapia cognitivo-comportamentale.
Infine, potrei chiederLe se sul contratto terapeutico sono stati indicati gli OBIETTIVI TERAPEUTICI, il tipo di psicoterapia, anche per maggior chiarezza?
Come mai omette di indicare il sesso del terapeuta? Per Lei è un problema?
Cordiali saluti,
sempre con i limiti della valutazione a distanza...
secondo me c'è un po' di confusione, nel senso che una cosa è la diagnosi, cioè -in parole molto semplici- il problema per il quale una persona va in terapia. Nel Suo caso, per usare un termine molto molto generico, diciamo "ansia", sebbene l'ansia sia un'emozione, neanche sempre dannosa, ma spesso utile. Quindi ipotizzo che Lei abbia un disturbo d'ansia, ma anche qui ce ne sono molti e si esprimono in modo diverso. Proprio perchè ce ne sono molti, ci saranno diversi protocolli da seguire. Ad esempio, non possiamo trattare nello stesso modo un disturbo ossessivo e una disfunzione sessuale.
E già questo è il primo punto che non torna nella terapia che racconta.
Altro aspetto, diverso dalla diagnosi, sono gli obiettivi terapeutici, cioè una volta posta una diagnosi (qual è il problema del pz), si fissano degli obiettivi da raggiungere che devono essere molto precisi e definiti, e ci sarà una determinata metodologia per raggiungerli.
Ma già dal suo primo post, ci sono molti aspetti che non mi sono chiari. Ad esempio, Lei scrive: "Lo scopo era sbugiardare questi pensieri, attraverso questa specie di disputa interiore. A detta del- dottor-, a furia di scrivere, questi contro pensieri sarebbero diventati automatici. "
Io posso anche intercettare un problema (es un pensiero disfunzionale), ma non capisco che senso possa mai avere "sbugiardare" i pensieri, nè come si faccia!
Ora, per capirci meglio, non so quale sia nello specifico il SUO problema, ma un conto è intercettare un comportamento che semmai mantiene in vita il problema e modificarlo, in modo tale che il paziente possa modificare anche la mastery, l'autostima, l'autoefficacia e ovviamente non essere più ansioso (in un senso patologico, intendo). Anche dopo la fine di una psicoterapia una persona proverà ansia (o paura o tutte le emozioni) quando la situazione lo richiederà, ma saprà esattamente cosa fare per non esserne schiavo o essere paralizzato dall'ansia.
Non ha molto senso "sbugiardare" un pensiero, perchè non riesco ad immaginare come possa cambiare una persona verso quel determinato problema con tale metodologia.
Ma non ha neppure senso usare una seduta per "sfogarsi": la psicoterapia non è uno sfogo, ma un lavoro ben preciso a beneficio del paziente sui problemi del paziente.
Dal momento che Lei conosce altre persone che erogano la terapia cognitivo-comportamentale e ha potuto fare dei confronti, perchè non si affida a quei professionisti?
Le suggerisco di verificare qui www.psy.it le credenziali degli psicologi psicoterapeuti, perchè da quello che ha scritto non mi pare ci sia nessuna caratteristica della psicoterapia, nè della psicoterapia cognitivo-comportamentale.
Infine, potrei chiederLe se sul contratto terapeutico sono stati indicati gli OBIETTIVI TERAPEUTICI, il tipo di psicoterapia, anche per maggior chiarezza?
Come mai omette di indicare il sesso del terapeuta? Per Lei è un problema?
Cordiali saluti,
[#6]
Utente
Buonasera,
spero veramente di essermi spiegato male a questo punto, e non avere buttato nel cesso, mi scusi l'espressione, tutti quei soldi.
Per quanto concerne gli esercizi, il/la professionista in questione aveva individuato il fatto che una serie di miei pensieri fossero infondati e di natura ansiosa (sempre in senso patologico), e mi aveva somministrato una tabella da compilare: situazione, emozione, pensiero, prove, pensieri alternativi, rimedi, emozione varia? Dottoressa Pileci, lasci per cortesia da parte i miei commenti di cui sopra su questo specifico esercizio, perché potrei averlo descritto in maniera inaccurata. La mia domanda ora è se questo esercizio pertiene ad un protocollo di PCC e quale obiettivo persegue.
Quando scrive "...un conto è intercettare un comportamento che semmai mantiene in vita il problema e modificarlo, in modo tale che il paziente possa modificare anche la mastery, l'autostima, l'autoefficacia e ovviamente non essere più ansioso (in un senso patologico, intendo)", il/la psicolog- parla sempre di pensieri da modificare, mai di comportamenti. Ed esempio, la teoria di base di cui accennavo sopra è, in termini generici, che quello che mi succede in un determinato ambito della mia vita mi fa stare tanto male perché in quel determinato ambito io interpreto tutto come se fosse fondante del mio io, come se parlasse di me in un senso più ampio e pervasivo rispetto a quanto un singolo accadimento dovrebbe fare, e nello specifico come se andasse a minacciare la mia convinzione di valere. Spero di essermi spiegato, seppur in termini generici. Anche in questo caso, la mia domanda è se questa teoria può avere un senso dal punto di vista di una TCC, come quantomeno un punto di partenza per un lavoro mirato e concreto.
E qua arriviamo a bomba sul punto del contratto terapeutico, che per circostanze particolari che non voglio scrivere in internet non c'è in questo momento. C'è stato per forza di cose in passato con il/la psicolog- in questione, ed è il contratto che parlava genericamente di ansia.
Non dico il sesso, perché voglio rivelare meno particolari possibili, dato che tutto questo rimarrà in rete.
Vorrei sapere se è davvero possibile che un- psicolog- terapeuta (con credenziali verificate), seppur giovane, non segua un protocollo e non si comporti i modo professionale. Ringrazio molto.
spero veramente di essermi spiegato male a questo punto, e non avere buttato nel cesso, mi scusi l'espressione, tutti quei soldi.
Per quanto concerne gli esercizi, il/la professionista in questione aveva individuato il fatto che una serie di miei pensieri fossero infondati e di natura ansiosa (sempre in senso patologico), e mi aveva somministrato una tabella da compilare: situazione, emozione, pensiero, prove, pensieri alternativi, rimedi, emozione varia? Dottoressa Pileci, lasci per cortesia da parte i miei commenti di cui sopra su questo specifico esercizio, perché potrei averlo descritto in maniera inaccurata. La mia domanda ora è se questo esercizio pertiene ad un protocollo di PCC e quale obiettivo persegue.
Quando scrive "...un conto è intercettare un comportamento che semmai mantiene in vita il problema e modificarlo, in modo tale che il paziente possa modificare anche la mastery, l'autostima, l'autoefficacia e ovviamente non essere più ansioso (in un senso patologico, intendo)", il/la psicolog- parla sempre di pensieri da modificare, mai di comportamenti. Ed esempio, la teoria di base di cui accennavo sopra è, in termini generici, che quello che mi succede in un determinato ambito della mia vita mi fa stare tanto male perché in quel determinato ambito io interpreto tutto come se fosse fondante del mio io, come se parlasse di me in un senso più ampio e pervasivo rispetto a quanto un singolo accadimento dovrebbe fare, e nello specifico come se andasse a minacciare la mia convinzione di valere. Spero di essermi spiegato, seppur in termini generici. Anche in questo caso, la mia domanda è se questa teoria può avere un senso dal punto di vista di una TCC, come quantomeno un punto di partenza per un lavoro mirato e concreto.
E qua arriviamo a bomba sul punto del contratto terapeutico, che per circostanze particolari che non voglio scrivere in internet non c'è in questo momento. C'è stato per forza di cose in passato con il/la psicolog- in questione, ed è il contratto che parlava genericamente di ansia.
Non dico il sesso, perché voglio rivelare meno particolari possibili, dato che tutto questo rimarrà in rete.
Vorrei sapere se è davvero possibile che un- psicolog- terapeuta (con credenziali verificate), seppur giovane, non segua un protocollo e non si comporti i modo professionale. Ringrazio molto.
[#7]
Gentile Utente,
Lei dice: " il/la professionista in questione aveva individuato il fatto che una serie di miei pensieri fossero infondati e di natura ansiosa"
Posso chiederLe di farmi un esempio?
Lei si ritrovava in ciò che il terapeuta aveva detto?
A quale scopo il terapeuta Le ha prescritto : "mi aveva somministrato una tabella da compilare: situazione, emozione, pensiero, prove, pensieri alternativi, rimedi, emozione varia?". A che cosa serve tutto ciò? Le è stato spiegato?
Perchè in prima battuta (ma si può fare anche in una seduta, la prima), questo serve per aumentare la consapevolezza.
Se sono sempre più consapevole, intercetto pensieri e comportamenti che mi mettono la zappa sui piedi. Ma non è vero che solo i pensieri influenzano i comportamenti. Vale anche il contrario: i comportamenti influenzano i pensieri.
Emozioni, pensieri e comportamenti si influenzano reciprocamente. Ma anche il contesto influenza emozioni, pensieri e comportamenti (ad esempio, alcune mie pazienti con disturbi alimentari mangiano molto meno in contesti pubblici, come al ristorante o se è presente qualcuno).
Solo in seconda battuta il paziente impara a lavorare con pensieri e comportamenti alternativi (nel comportamento espulso c'è la soluzione al problema).
Non so quale possa essere la rigidità mentale, ma questo è un lavoro molto veloce da fare in terapia. Lei che problemi ha incontrato? Quali automatismi dovevano arrivare, che poi non ci sono stati? ("A detta del- dottor-, a furia di scrivere, questi contro pensieri sarebbero diventati automatici. "). Semmai questa tecnica serve per intercettare ed eliminare gli automatismi!
Spero di essere stata chiara, ma questo aspetto va spiegato bene al paziente prima ancora di farlo in terapia.
Può approfondire qui:
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/1384-e-davvero-psicoterapia-cognitivo-comportamentale.html
Cordiali saluti,
Lei dice: " il/la professionista in questione aveva individuato il fatto che una serie di miei pensieri fossero infondati e di natura ansiosa"
Posso chiederLe di farmi un esempio?
Lei si ritrovava in ciò che il terapeuta aveva detto?
A quale scopo il terapeuta Le ha prescritto : "mi aveva somministrato una tabella da compilare: situazione, emozione, pensiero, prove, pensieri alternativi, rimedi, emozione varia?". A che cosa serve tutto ciò? Le è stato spiegato?
Perchè in prima battuta (ma si può fare anche in una seduta, la prima), questo serve per aumentare la consapevolezza.
Se sono sempre più consapevole, intercetto pensieri e comportamenti che mi mettono la zappa sui piedi. Ma non è vero che solo i pensieri influenzano i comportamenti. Vale anche il contrario: i comportamenti influenzano i pensieri.
Emozioni, pensieri e comportamenti si influenzano reciprocamente. Ma anche il contesto influenza emozioni, pensieri e comportamenti (ad esempio, alcune mie pazienti con disturbi alimentari mangiano molto meno in contesti pubblici, come al ristorante o se è presente qualcuno).
Solo in seconda battuta il paziente impara a lavorare con pensieri e comportamenti alternativi (nel comportamento espulso c'è la soluzione al problema).
Non so quale possa essere la rigidità mentale, ma questo è un lavoro molto veloce da fare in terapia. Lei che problemi ha incontrato? Quali automatismi dovevano arrivare, che poi non ci sono stati? ("A detta del- dottor-, a furia di scrivere, questi contro pensieri sarebbero diventati automatici. "). Semmai questa tecnica serve per intercettare ed eliminare gli automatismi!
Spero di essere stata chiara, ma questo aspetto va spiegato bene al paziente prima ancora di farlo in terapia.
Può approfondire qui:
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/1384-e-davvero-psicoterapia-cognitivo-comportamentale.html
Cordiali saluti,
[#8]
Utente
Buongiorno Dott.ssa,
grazie della risposte. Le rispondo per punti.
1- "Lei dice: " il/la professionista in questione aveva individuato il fatto che una serie di miei pensieri fossero infondati e di natura ansiosa"
Posso chiederLe di farmi un esempio?
Lei si ritrovava in ciò che il terapeuta aveva detto?"
Ad esempio: se non mi affretto ora, non prenderò la corriera in orario, arriverò in ritardo a lavoro, il capo penserà che sono inaffidabile (esempio di fantasia). Sì, in linea di principio mi ritrovo abbastanza in quello che dice il/la specialista. Il problema è che in due anni e mezzo, quasi, non dice niente di nuovo, e la mia condizione non cambia.
2- "A quale scopo il terapeuta Le ha prescritto : "mi aveva somministrato una tabella da compilare...A che cosa serve tutto ciò? Le è stato spiegato?" Come le dicevo, mi ha spiegato diverse volte che serve a screditare i miei pensieri automatici di natura ansiosa, e controbatterli con dei contro-pensieri più funzionali, che io stesso avrei riconosciuto più aderenti alla realtà, rispetto a quelli originali ansiogeni, e che pertanto, in virtù di questa maggiore fondatezza, avrei finito per avvalorare, ottenendo così il beneficio della diminuzione dell'ansia. Ha senso tutto ciò?
3- "Lei che problemi ha incontrato? Quali automatismi dovevano arrivare, che poi non ci sono stati?" Mi sono spiegato male, e per questo ho fuorviato la sua risposta. Più volte il/la terapeut- ha esposto questo concetto: il suo pensiero è normale e fisiologico che "vada lì" (nell'esempio, se perdo il treno ci saranno delle ripercussioni "x" a lavoro), ma con la pratica si abituerà a ricorrere ai pensieri alternativi funzionali come strategia per diminuire l'ansia. Quindi è come dice lei, questi pensieri serverebbero a combattere i miei automatismi di pensiero ansioso.
Quali problemi ho incontrato? Innanzitutto quando mi trovavo (e tuttora mi trovo) nella situazione ansiogena l'ultima cosa che mi viene da fare istintivamente è fare questo esercizio (anche solo mentalmente, e non per iscritto, come previsto). Mi annotavo "situazione" ed "emozione", poi la sera, tornato a casa, compilavo diligentemente le colonne. Ma era un esercizio fine a sé stesso, a cui ricorrevo per onorare il mio senso del dovere. Riuscivo quasi sempre a trovare delle argomentazioni a sfavore dei miei pensieri, che magari lì per lì potevano anche essere abbastanza convincenti, e talvolta riuscivano pure a farmi stare un po' meglio. Però di fondo, avevo la sensazione di raccontarmela per benino.
In conclusione, come dicevo, io sono anche disponibile ad assumermi le mie responsabilità rispetto all'insuccesso della terapia, perché magari non è quella adatta a me (ma può andare benissimo per altri), o perché non sono stato abbastanza costante negli esercizi, ma io ancora non capisco che cavolo devo fare, se devo continuare ad andare in terapia e continuare così, senza un obiettivo, la conoscenza del mezzo per raggiungerlo e un minimo di piano temporale.
E ancora prima, non so se il/la curante in questione è disonest-, ovvero né approfitta, oppure è semplicemente inespert-, e non sa che pesci pigliare con me. Io capisco di non essere un caso facile. Capisco anche che le mie condizioni di contorno non siano il massimo (non ho molti amici, vivo con fatica del mio stipendio senza aiuti da nessuno, sono single, ecc.), e che questo renda il mio contesto generale non proprio facile per chi vi si approccia professionalmente, però un- professionist- dovrebbe alzare le mani ad un certa e riconoscere di non potermi aiutare. No?
Non so davvero che fare. La ringrazio ancora.
grazie della risposte. Le rispondo per punti.
1- "Lei dice: " il/la professionista in questione aveva individuato il fatto che una serie di miei pensieri fossero infondati e di natura ansiosa"
Posso chiederLe di farmi un esempio?
Lei si ritrovava in ciò che il terapeuta aveva detto?"
Ad esempio: se non mi affretto ora, non prenderò la corriera in orario, arriverò in ritardo a lavoro, il capo penserà che sono inaffidabile (esempio di fantasia). Sì, in linea di principio mi ritrovo abbastanza in quello che dice il/la specialista. Il problema è che in due anni e mezzo, quasi, non dice niente di nuovo, e la mia condizione non cambia.
2- "A quale scopo il terapeuta Le ha prescritto : "mi aveva somministrato una tabella da compilare...A che cosa serve tutto ciò? Le è stato spiegato?" Come le dicevo, mi ha spiegato diverse volte che serve a screditare i miei pensieri automatici di natura ansiosa, e controbatterli con dei contro-pensieri più funzionali, che io stesso avrei riconosciuto più aderenti alla realtà, rispetto a quelli originali ansiogeni, e che pertanto, in virtù di questa maggiore fondatezza, avrei finito per avvalorare, ottenendo così il beneficio della diminuzione dell'ansia. Ha senso tutto ciò?
3- "Lei che problemi ha incontrato? Quali automatismi dovevano arrivare, che poi non ci sono stati?" Mi sono spiegato male, e per questo ho fuorviato la sua risposta. Più volte il/la terapeut- ha esposto questo concetto: il suo pensiero è normale e fisiologico che "vada lì" (nell'esempio, se perdo il treno ci saranno delle ripercussioni "x" a lavoro), ma con la pratica si abituerà a ricorrere ai pensieri alternativi funzionali come strategia per diminuire l'ansia. Quindi è come dice lei, questi pensieri serverebbero a combattere i miei automatismi di pensiero ansioso.
Quali problemi ho incontrato? Innanzitutto quando mi trovavo (e tuttora mi trovo) nella situazione ansiogena l'ultima cosa che mi viene da fare istintivamente è fare questo esercizio (anche solo mentalmente, e non per iscritto, come previsto). Mi annotavo "situazione" ed "emozione", poi la sera, tornato a casa, compilavo diligentemente le colonne. Ma era un esercizio fine a sé stesso, a cui ricorrevo per onorare il mio senso del dovere. Riuscivo quasi sempre a trovare delle argomentazioni a sfavore dei miei pensieri, che magari lì per lì potevano anche essere abbastanza convincenti, e talvolta riuscivano pure a farmi stare un po' meglio. Però di fondo, avevo la sensazione di raccontarmela per benino.
In conclusione, come dicevo, io sono anche disponibile ad assumermi le mie responsabilità rispetto all'insuccesso della terapia, perché magari non è quella adatta a me (ma può andare benissimo per altri), o perché non sono stato abbastanza costante negli esercizi, ma io ancora non capisco che cavolo devo fare, se devo continuare ad andare in terapia e continuare così, senza un obiettivo, la conoscenza del mezzo per raggiungerlo e un minimo di piano temporale.
E ancora prima, non so se il/la curante in questione è disonest-, ovvero né approfitta, oppure è semplicemente inespert-, e non sa che pesci pigliare con me. Io capisco di non essere un caso facile. Capisco anche che le mie condizioni di contorno non siano il massimo (non ho molti amici, vivo con fatica del mio stipendio senza aiuti da nessuno, sono single, ecc.), e che questo renda il mio contesto generale non proprio facile per chi vi si approccia professionalmente, però un- professionist- dovrebbe alzare le mani ad un certa e riconoscere di non potermi aiutare. No?
Non so davvero che fare. La ringrazio ancora.
Questo consulto ha ricevuto 10 risposte e 3.6k visite dal 17/06/2019.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.