Autostima a terra e rapporto conflittuale con il padre

Buongiorno,
Sono un ragazzo di 27 anni e proverò a sintetizzare quanto più possibile la mia situazione.
Durante l'infanzia prima e l'adolescenza poi sono sempre stato un ragazzo che si è trattenuto dal vivere con la giusta spensieratezza nei più svariati ambiti della vita; ho sempre percepito un velo di insofferenza, frustrazione e insoddisfazione croniche, accompagnate a un forte senso di insicurezza. Tra l'altro non vedevo per me un futuro: pensavo che sarei morto prima di diventare adulto e che non potessi avere una famiglia, ad esempio.
Ogni tanto mi domandavo se fosse "normale" essere così catastrofici e sentirsi delle nullità.
Certi eventi (che vorrei approfondire in seguito) mi hanno portato a capire quanto i miei genitori (sopratutto mio padre) mi avessero portato a sentirmi così.

Un padre-padrone emotivamente assente, violento verbalmente e ipercritico. Una madre vittima e succube, preoccupata più dell'opinione degli altri che delle esigenze di un figlio.
Sono sempre stato uno studente brillante e non ho mai ricevuto un complimento, un abbraccio o una pacca sulla spalla dopo aver fatto tanti gol in una partita di pallone.
Ho ancora in mente l'imbarazzo provato in certi momenti quando non venivo preso sul serio o quando le mie richieste di aiuto venivano liquidate con una sbuffata e da un laconico "Sisì, va bene".
Mio padre umilia mia madre tutto il giorno da anni, le urla contro bestemmiando perchè non pulisce casa o perchè torna tardi e lei non reagisce.
Spesso si lascia andare a frasi "Siete una razza di merd*, vi mantengo da sempre e siete dei buoni a nulla. Se non avessi avuto questa famiglia ora sì che mi godrei la vita".
Lui è sempre stato un gran lavoratore e ha messo quello sopra tutto.
Mio papà è quello che non si è mai offerto per dare un passaggio in auto a me e ai miei amici quando eravamo adolescenti e che ti guarda storto se provi ad avanzare una qualunque richiesta.
Quello che non si è mai prodigato a insegnarti come fare una cosa ma che non si risparmia di umiliarti e mortificarti se non la fai come vuole lui.
Quello per cui tutti gli altri sono degli idioti incapaci mentre lui è l'unico in grado di saper fare le cose.
Qualche settimana dopo che morì mia nonna (sua madre) dopo una lunga malattia, stavo scendendo dalle scale canticchiando: mi guardò e mi disse "Tua nonna è morta e tu canti, ti rendi conto? ". Ci rimasi malissimo.
Potrei raccontarne a decine di aneddoti, ma credo di aver reso l'idea.
A seguito della fine di una storia di pochi mesi con una ragazza, mi sono rivolto ad una psicoterapeuta che mi ha dato una grossa mano ma mi sento ancora in alto mare per quanto riguarda il prendere in mano la mia vita.
Sarei ben lieto di contestualizzare ancora meglio la situazione negli interventi successivi, ma il limite dei caratteri non me lo ha consentito.
Vorrei solo capire una cosa: è realmente possibile "guarire" dalle conseguenze di un padre degenere? Vi ringrazio per l'attenzione.
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Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
Gentile Utente,

Lei pone una domanda precisa: "è realmente possibile "guarire" dalle conseguenze di un padre degenere?", ma da quello che leggo, nonostante la storia sia davvero molto triste mi rendo anche conto di quanto Lei sia lucido, empatico, e -pur con tantissima fatica soprattutto emotiva- vincente (nello studio, nello sport), mi pare evidente che Lei sia cresciuto molto bene.
Certamente ha delle ferite che dovranno essere curate, ma perchè dubita dal momento che ammette anche il successo della psicoterapia fatta fin qui?
Visto che si è trovato bene con la Collega, perchè non torna da lei e continua il lavoro intrapreso?
L'insicurezza, il dolore, la fame di affetto si possono curare. Lei mi sembra molto consapevole di se stesso e questo è già un notevole punto di partenza. Non si scoraggi.

Cordiali saluti,

Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica

[#2]
Utente
Utente
Buonasera Dt.ssa Pileci,

La ringrazio innanzitutto per la risposta; sono d'accordo con tutto quanto dice. Sono estremamente empatico, talvolta anche in modo "dannoso".
Sul piano delle interazioni sociali non ho mai avuto particolari problemi: tanti amici e parecchie conoscenze, vita sociale attiva, il tutto facilitato da una spiccata estroversione.
Sono fortemente votato al dialogo come strumento di crescita e in casa non ho modo di parlare con nessuno.

Colgo inoltre l'occasione per circostanziare quanto più possibile la mia situazione: fino al 2016 tutta la mia esistenza è stata segnata da una passività latente, ma ingombrante.
Nonostante continui feedback, ho combinato poco o nulla in ambito amoroso e le assicuro che avevo tantissime ragazze che mi facevano il filo.
Ho gestito male parecchie situazioni per via della mia insicurezza e solo a 24 anni ho avuto la mia prima frequentazione, conclusasi dopo pochi mesi per volere di lei.
Mi sono rivolto alla psicoterapeuta in questa circostanza, durante la relazione, proprio perchè il rapporto lo vivevo malissimo. Mano a mano che mi aprivo con la dottoressa emergevano problematiche personali pregresse di cui non avevo mai avuto piena consapevolezza.
Sul piano amoroso poi mi sono totalmente sbloccato: ho avuto diverse relazioni occasionali e ora sono felicemente fidanzato, innamorato e relativamente sereno.
Tuttavia permane questa difficoltà a prendere in mano la mia vita, soprattutto per quanto riguarda il futuro, sia personale che di coppia e lavorativo.
Ho fatto qualche lavoro saltuario e altri più continuativi contestualmente all'università di Economia, che tuttavia non ho ancora concluso (mi resta un solo esame e la tesi). Ho "mollato" gli studi proprio nel 2016, perchè dopo quanto sperimentato ho subito una dura botta d'arresto.
Ora ho ripreso e confido di concludere a breve ma spesso e volentieri fuggo dalle responsabilità, mi creo degli alibi continui per non andare in contro alla possibilità di un fallimento.
Forse proprio la paura di fallire mi destabilizza talmente tanto che preferisco restare nella mia comfort zone e lamentarmi della situazione.
"È inutile che ti metti in gioco, tanto non ce la fai" è il pensiero che ho sempre in testa e puntualmente mi porta a non concludere niente di buono.

La genesi di queste difficoltà si può configurare nel rapporto con mio padre?
Con lui non parlo da mesi tra l'altro.
Probabilmente contatterò di nuovo la psicoterapeuta per valutare la situazione.
La ringrazio di nuovo e perdoni la lunghezza del mio intervento. Le auguro una buona serata.