Non sono interessato ad avere un peso sociale
Buongiorno
Sono un uomo maschio 25 enne del nord Italia. Il mio malessere nasce dal fatto che, da che ricordi, non ho mai voluto avere un peso nella società. Non mi interessa. Nonostante fossi un buono studente e lo sia tutt'ora, non sono mai stato interessato allo studio. Non me ne è mai fregato niente di niente, nemmeno dei miei studi universitari, per i quali sto conseguendo una laurea magistrale tecnica per fini funzionali.
Non ho mai capito perché abbia dovuto andare a scuola, perché debba poi cercarmi un lavoro e lavorare. Non voglio avere uno scopo, non voglio avere la famosa autorealizzazione, non voglio essere né utile né produttivo. E non mi interessa avere servizi derivati da questi. La mia autorealizzazione passa dai bisogni primari. Ciò che voglio dalla vita è vivere serenamente, mangiare, dormire, prendermi cura del mio corpo, correre, passeggiare, leggere, avere momenti ludici. Non mi sento un'entità superiore, voglio soltanto vivere in spensieratezza come un qualsiasi altro animale, senza sacrificare 40 ore a settimana del mio tempo. Perché non posso usarlo tutto per me?
Perché devo faticare nella mia vita? Perché devo provare dolore e fatica in una vita che non ho scelto?
Perché un genitore mette al mondo un figlio nonostante sia conscio che la vita è sofferenza e morte. Sarà pur vero che ci sono momenti felici e me ho avuti a iosa, ma perché devo soffrire?
Ho raccontato tutto il mio malessere ai miei genitori, mi madre si è messa a piangere colpevolizzandosi, mio papà si è ritirato nel silenzio.
Una persona non può semplicemente decidere di non voler più vivere perché di vivere non gliene frega nulla? O anche solo semplicemente perché non le vanno bene determinate condizioni e non ha voglia di cambiarle?
Perché dovrei continuare a vivere? Ma chi l'ha mai detto?
Sono un uomo maschio 25 enne del nord Italia. Il mio malessere nasce dal fatto che, da che ricordi, non ho mai voluto avere un peso nella società. Non mi interessa. Nonostante fossi un buono studente e lo sia tutt'ora, non sono mai stato interessato allo studio. Non me ne è mai fregato niente di niente, nemmeno dei miei studi universitari, per i quali sto conseguendo una laurea magistrale tecnica per fini funzionali.
Non ho mai capito perché abbia dovuto andare a scuola, perché debba poi cercarmi un lavoro e lavorare. Non voglio avere uno scopo, non voglio avere la famosa autorealizzazione, non voglio essere né utile né produttivo. E non mi interessa avere servizi derivati da questi. La mia autorealizzazione passa dai bisogni primari. Ciò che voglio dalla vita è vivere serenamente, mangiare, dormire, prendermi cura del mio corpo, correre, passeggiare, leggere, avere momenti ludici. Non mi sento un'entità superiore, voglio soltanto vivere in spensieratezza come un qualsiasi altro animale, senza sacrificare 40 ore a settimana del mio tempo. Perché non posso usarlo tutto per me?
Perché devo faticare nella mia vita? Perché devo provare dolore e fatica in una vita che non ho scelto?
Perché un genitore mette al mondo un figlio nonostante sia conscio che la vita è sofferenza e morte. Sarà pur vero che ci sono momenti felici e me ho avuti a iosa, ma perché devo soffrire?
Ho raccontato tutto il mio malessere ai miei genitori, mi madre si è messa a piangere colpevolizzandosi, mio papà si è ritirato nel silenzio.
Una persona non può semplicemente decidere di non voler più vivere perché di vivere non gliene frega nulla? O anche solo semplicemente perché non le vanno bene determinate condizioni e non ha voglia di cambiarle?
Perché dovrei continuare a vivere? Ma chi l'ha mai detto?
[#1]
Gentile utente,
Le sue considerazioni finali sulla vita e sulla morte toccano temi di carattere etico-morale nel quale non possiamo addentrarci.
Essendo il nostro un servizio di natura clinica, mi soffermeró sul disagio causato dal dover avere "un peso nella società".
Cosa, in particolare, la preoccupa del fatto di avere un lavoro? In che modo ritiene che lavorare equivalga a provare dolore?
Ha mai lavorato in vita sua? Quando pensa al lavoro, che tipo di lavoro le viene in mente?
Cosa sta studiando? In che senso" per fini funzionali"?
Le sue considerazioni finali sulla vita e sulla morte toccano temi di carattere etico-morale nel quale non possiamo addentrarci.
Essendo il nostro un servizio di natura clinica, mi soffermeró sul disagio causato dal dover avere "un peso nella società".
Cosa, in particolare, la preoccupa del fatto di avere un lavoro? In che modo ritiene che lavorare equivalga a provare dolore?
Ha mai lavorato in vita sua? Quando pensa al lavoro, che tipo di lavoro le viene in mente?
Cosa sta studiando? In che senso" per fini funzionali"?
Cordiali saluti
Dr. Francesco Ziglioli
Psicologo - Brescia, Desenzano, Montichiari
Www.psicologobs.it
[#2]
Ex utente
Gentile dottore,
rispondo alle sue domande.
Avere un lavoro mi preoccupa nella misura per cui avendolo, nella classica formula di 40h settimanali, non potrei fare ciò che voglio a una data ora o in un dato giorno. È il senso di libertà mancata che mi turba. Non di meno non avere un lavoro, nella società come la nostra, vorrebbe dire arrancare a vivere e quindi non avere i mezzi per poter fare ciò che vorrei. È questo il circolo vizioso che non mi piace.
Provare dolore nel senso di sofferenza nel non poter fare ciò che voglio quando voglio, sia come dipendente sia come professionista, dovendo rispondere a responsabili o clienti.
Ho lavorato in diverse occasioni, sia come operaio, sia come impiegato/stagista.
Pensando al lavoro penso a mansioni di qualsiasi tipo che mi tolgano il tempo di fare ciò che voglio in un dato momento.
Informatica, disciplina scelta sia per passione, che per inclinazione, che per facilità di inserimento lavorativo ma che, come per qualsiasi cosa faccia, pensare di farlo per decenni mi getta nello sconforto.
Cordialità
rispondo alle sue domande.
Avere un lavoro mi preoccupa nella misura per cui avendolo, nella classica formula di 40h settimanali, non potrei fare ciò che voglio a una data ora o in un dato giorno. È il senso di libertà mancata che mi turba. Non di meno non avere un lavoro, nella società come la nostra, vorrebbe dire arrancare a vivere e quindi non avere i mezzi per poter fare ciò che vorrei. È questo il circolo vizioso che non mi piace.
Provare dolore nel senso di sofferenza nel non poter fare ciò che voglio quando voglio, sia come dipendente sia come professionista, dovendo rispondere a responsabili o clienti.
Ho lavorato in diverse occasioni, sia come operaio, sia come impiegato/stagista.
Pensando al lavoro penso a mansioni di qualsiasi tipo che mi tolgano il tempo di fare ciò che voglio in un dato momento.
Informatica, disciplina scelta sia per passione, che per inclinazione, che per facilità di inserimento lavorativo ma che, come per qualsiasi cosa faccia, pensare di farlo per decenni mi getta nello sconforto.
Cordialità
[#3]
Quindi, mi sembra di aver capito che il problema non è tanto il tipo di lavoro e le modalità con le quali questo viene fatto (dipendente, libero professionista..), quanto piuttosto il tempo sottratto a ciò che le piace fare. In effetti, il problema delle 40 ore lavorative si avrebbe solo in alcuni casi. I liberi professionisti lavorano in modo molto diverso e gestiscono la propria giornata in modo sicuramente più flessibile.
D'altro canto, come dice lei, senza un lavoro non è pensabile fare tutto ciò che si vuole, a meno che non si abbia una grande disponibilità economica. Il lavoro è un'attività con la quale l'essere umano raggiunge degli scopi. Questi possono essere di soddisfazione lavorativa (dalla quale deriva un'importante parte del Sé, per alcuni), oppure per avere i mezzi per raggiungere altri scopi (come per esempio, andare in vacanza, farsi una famiglia, comprare una macchina). Non c'è nulla di male nel non avere il primo scopo. Mi sembra che per lei siano molto importanti gli altri che ho elencato (come esempio generico), e va bene così.
Le fa paura doversi assumere delle responsabilità?
Attualmente come impiega il suo tempo? Intendo nella quotidianità, non solo il tempo libero.
Cosa potrebbe succedere se non impiegasse la sua giornata per fare quello che più desidera ma, per esempio, dovesse lavorare 8 ore al giorno?
D'altro canto, come dice lei, senza un lavoro non è pensabile fare tutto ciò che si vuole, a meno che non si abbia una grande disponibilità economica. Il lavoro è un'attività con la quale l'essere umano raggiunge degli scopi. Questi possono essere di soddisfazione lavorativa (dalla quale deriva un'importante parte del Sé, per alcuni), oppure per avere i mezzi per raggiungere altri scopi (come per esempio, andare in vacanza, farsi una famiglia, comprare una macchina). Non c'è nulla di male nel non avere il primo scopo. Mi sembra che per lei siano molto importanti gli altri che ho elencato (come esempio generico), e va bene così.
Le fa paura doversi assumere delle responsabilità?
Attualmente come impiega il suo tempo? Intendo nella quotidianità, non solo il tempo libero.
Cosa potrebbe succedere se non impiegasse la sua giornata per fare quello che più desidera ma, per esempio, dovesse lavorare 8 ore al giorno?
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 4.1k visite dal 23/05/2019.
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