Genitori...non comunichiamo e non li capisco
Buongiorno vi scrivo per chiedere qualche parere che mi aiuti a capire.
Se guardate il mio storico delle richieste potrete capire la mia storia ma se avete domande chiedete pure.
Io mi rendo conto di avere delle problematiche, le comprendo, le sto studiando, mi prendo la responsabilità e le sto affrontando. Ci vuole tempo.
I miei genitori, sopratutto mia madre sta diventando sempre più aggressivi nei miei confronti, tirando sempre fuori la problematica del fatto che io non lavoro. Io al momento faccio piccoli passi, lavoro solo nel Week end, mi pago la psicoterapia da sola, ho fatto un viaggio pagato interamente da me. Sto risparmiando. Mi rendo conto di avere molti blocchi, ma ci sto lavorando in terapia . Ma questo a loro sembra non importare. Fanno continuamente paragoni tra me e gli altri. Sono aggressivi, molto, urlano e non si riesce a parlarne. Mi accusano di cose magari vere, ma di cui anche loro sono responsabili (Mi hanno controllata e ipeeprotetta, credo siamo dipendenti tutti quanti). Ma loro non vogliono assumersi la responsabilità e cambiare i loro atteggiamenti distruttivi anche per loro stessi.
Questo mi manca in cortocircuito. Piango spesso perché fatico a capire.
Faccio lunghi discorsi con la psicologa a riguardo da quando avbiamo iniziato il percprso ma fatico proprio a capire perché non mi sostengono, non mi fanno prendere decisioni in autonomia, sbagliare, crescere come tutti. E perché non possiamo relazionarci.
Potete darmi una mano a capire?
Grazie
Se guardate il mio storico delle richieste potrete capire la mia storia ma se avete domande chiedete pure.
Io mi rendo conto di avere delle problematiche, le comprendo, le sto studiando, mi prendo la responsabilità e le sto affrontando. Ci vuole tempo.
I miei genitori, sopratutto mia madre sta diventando sempre più aggressivi nei miei confronti, tirando sempre fuori la problematica del fatto che io non lavoro. Io al momento faccio piccoli passi, lavoro solo nel Week end, mi pago la psicoterapia da sola, ho fatto un viaggio pagato interamente da me. Sto risparmiando. Mi rendo conto di avere molti blocchi, ma ci sto lavorando in terapia . Ma questo a loro sembra non importare. Fanno continuamente paragoni tra me e gli altri. Sono aggressivi, molto, urlano e non si riesce a parlarne. Mi accusano di cose magari vere, ma di cui anche loro sono responsabili (Mi hanno controllata e ipeeprotetta, credo siamo dipendenti tutti quanti). Ma loro non vogliono assumersi la responsabilità e cambiare i loro atteggiamenti distruttivi anche per loro stessi.
Questo mi manca in cortocircuito. Piango spesso perché fatico a capire.
Faccio lunghi discorsi con la psicologa a riguardo da quando avbiamo iniziato il percprso ma fatico proprio a capire perché non mi sostengono, non mi fanno prendere decisioni in autonomia, sbagliare, crescere come tutti. E perché non possiamo relazionarci.
Potete darmi una mano a capire?
Grazie
[#1]
Gentile utente, dal momento che lei ha già una specialista che la segue, ogni parere esterno potrebbe risultare solo più superficiale di quello di chi la conosce, e forse fuorviante. Tuttavia le dirò che capisco il tormento delle domande che si pone e che ci vengono spesso rivolte: "fatico proprio a capire perché non mi sostengono, non mi fanno prendere decisioni in autonomia, sbagliare, crescere come tutti. E perché non possiamo relazionarci".
Immagino che lei ripeta queste domande alla sua psicologa, ma la risposta potrebbero dargliela solo i suoi genitori nel corso di una terapia familiare, dopo aver approfondito loro stessi le dinamiche che vi hanno portato a questo punto.
Ai fini della sua guarigione, invece, provi a capovolgere il problema e ad immaginare una situazione così: "I miei genitori mi sono vicini ma senza sovrapporsi a me, alle mie decisioni e alle mie scelte; mi lasciano prendere decisioni autonome e mi sostengono se sbaglio, aiutandomi a crescere. Ci relazioniamo perfettamente, perché parliamo il linguaggio del rispetto e dell'affetto e ci trattiamo reciprocamente con gentilezza e benevolenza".
Bello, vero? Ma se fosse così, lei sarebbe in terapia? Inoltre, ha mai rivolto ai genitori queste precise richieste, ascoltando le loro risposte senza interromperli, senza opporsi, lasciandoli parlare fino in fondo? Questione ancora più importante: se si aspetta da loro un certo comportamento, è disposta ad avere lo stesso comportamento e quello complementare? Mi spiego meglio: se cerco rispetto, devo per prima mostrarmi rispettosa; se mi aspetto stima e fiducia, devo essere stimabile, leale, capace.
Rifletta, ne parli con la sua psicologa, e se crede ai suoi genitori. Auguri.
Immagino che lei ripeta queste domande alla sua psicologa, ma la risposta potrebbero dargliela solo i suoi genitori nel corso di una terapia familiare, dopo aver approfondito loro stessi le dinamiche che vi hanno portato a questo punto.
Ai fini della sua guarigione, invece, provi a capovolgere il problema e ad immaginare una situazione così: "I miei genitori mi sono vicini ma senza sovrapporsi a me, alle mie decisioni e alle mie scelte; mi lasciano prendere decisioni autonome e mi sostengono se sbaglio, aiutandomi a crescere. Ci relazioniamo perfettamente, perché parliamo il linguaggio del rispetto e dell'affetto e ci trattiamo reciprocamente con gentilezza e benevolenza".
Bello, vero? Ma se fosse così, lei sarebbe in terapia? Inoltre, ha mai rivolto ai genitori queste precise richieste, ascoltando le loro risposte senza interromperli, senza opporsi, lasciandoli parlare fino in fondo? Questione ancora più importante: se si aspetta da loro un certo comportamento, è disposta ad avere lo stesso comportamento e quello complementare? Mi spiego meglio: se cerco rispetto, devo per prima mostrarmi rispettosa; se mi aspetto stima e fiducia, devo essere stimabile, leale, capace.
Rifletta, ne parli con la sua psicologa, e se crede ai suoi genitori. Auguri.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#2]
Utente
grazie per la risposta dr.ssa Potenza,
provo a rispondere alle sue domande
"ma la risposta potrebbero dargliela solo i suoi genitori nel corso di una terapia familiare, dopo aver approfondito loro stessi le dinamiche che vi hanno portato a questo punto."
è pura utopia quella che ipotizza lei
I miei genitori non credono di avere un problema e pensano che controllandomi o diiventando aggressivi possano spronarmi o avere il controllo su di me. In passtao ho fatto varie terapie, fallite secondo loro per il fatto non che loro mi condizionavano, ma dal fatto che i cambiamenti dovevano essere come loro volevano e rapidi, anzi rapidissimi, e sopratutto non dovevo ribellarmi.
cosa che ho fatto e che faccio tutt'ora. anche se a modo mio e con comportamenti totalmente distruttivi per me mi sono ribellata.
"Inoltre, ha mai rivolto ai genitori queste precise richieste, ascoltando le loro risposte senza interromperli, senza opporsi, lasciandoli parlare fino in fondo? "
ho provato più volte a parlare con loro in modo pacifico e tranquillo, anche solo esprimere un opinione o un desiderio ma c'è un qualcosa quando non la penso come loro o cerco di avere un'opinione diversa da loro ch eli fa scattare. specialmente mia madre basta un nonnulla per farla sviare verso questioni per lei importanti (es. il lavoro).
mio padre invece mi rinfaccia quando nel tentativo di ribellarmi, ho dato la colpa esclusiva dei miei problemi a loro. si parla di tanti anni fa, facevo molta più fatica a controllarmi, ero poco consapevole dei miei problemi e non andavo in terapia.
basti pensare ch ela terapeuta è una ciarlatana per loro. questa manco l'hanno vista. In passato con un'altra terapeuta c'è statao un piccolo tentativo di tenerli a bada facendoli andare li ins eduta ogni tot mesi per sapere dei miei progressi. non so cosa si siano detti, ma immagino ch eabbiano detto alla psicologa ch eloro non hanno problemi e che lei era incompetente (immagino perhcè tornavano sempre molto arrabbiati).
per loro è importante ch eio lavori. (di mio sto già lavorando ma a loro non importa). e sono certa che anche se lavorassi a tempo pieno avrebbero da trovare qualcosa da dire comunque. non capisco perchè. nel senso un'idea me la sono fatta, ma fatico ad accettare che davvero la pensino in quetso modo.
davvero non so capacitarmi di tutto questo. sono dopotutto brave persone. ma la psicologa secondo lei sono fatti così e non cambieranno.
è come se si fosse smontato un mito.
provo tanta rabbia per tutto questo.
provo a rispondere alle sue domande
"ma la risposta potrebbero dargliela solo i suoi genitori nel corso di una terapia familiare, dopo aver approfondito loro stessi le dinamiche che vi hanno portato a questo punto."
è pura utopia quella che ipotizza lei
I miei genitori non credono di avere un problema e pensano che controllandomi o diiventando aggressivi possano spronarmi o avere il controllo su di me. In passtao ho fatto varie terapie, fallite secondo loro per il fatto non che loro mi condizionavano, ma dal fatto che i cambiamenti dovevano essere come loro volevano e rapidi, anzi rapidissimi, e sopratutto non dovevo ribellarmi.
cosa che ho fatto e che faccio tutt'ora. anche se a modo mio e con comportamenti totalmente distruttivi per me mi sono ribellata.
"Inoltre, ha mai rivolto ai genitori queste precise richieste, ascoltando le loro risposte senza interromperli, senza opporsi, lasciandoli parlare fino in fondo? "
ho provato più volte a parlare con loro in modo pacifico e tranquillo, anche solo esprimere un opinione o un desiderio ma c'è un qualcosa quando non la penso come loro o cerco di avere un'opinione diversa da loro ch eli fa scattare. specialmente mia madre basta un nonnulla per farla sviare verso questioni per lei importanti (es. il lavoro).
mio padre invece mi rinfaccia quando nel tentativo di ribellarmi, ho dato la colpa esclusiva dei miei problemi a loro. si parla di tanti anni fa, facevo molta più fatica a controllarmi, ero poco consapevole dei miei problemi e non andavo in terapia.
basti pensare ch ela terapeuta è una ciarlatana per loro. questa manco l'hanno vista. In passato con un'altra terapeuta c'è statao un piccolo tentativo di tenerli a bada facendoli andare li ins eduta ogni tot mesi per sapere dei miei progressi. non so cosa si siano detti, ma immagino ch eabbiano detto alla psicologa ch eloro non hanno problemi e che lei era incompetente (immagino perhcè tornavano sempre molto arrabbiati).
per loro è importante ch eio lavori. (di mio sto già lavorando ma a loro non importa). e sono certa che anche se lavorassi a tempo pieno avrebbero da trovare qualcosa da dire comunque. non capisco perchè. nel senso un'idea me la sono fatta, ma fatico ad accettare che davvero la pensino in quetso modo.
davvero non so capacitarmi di tutto questo. sono dopotutto brave persone. ma la psicologa secondo lei sono fatti così e non cambieranno.
è come se si fosse smontato un mito.
provo tanta rabbia per tutto questo.
[#3]
Gentile utente, a me sembra, anche valutando accuratamente i suoi numerosi scritti al nostro sito, che qualcosa cominci in effetti a muoversi un po' più velocemente, dentro di lei. Potrebbe farne tesoro.
La rabbia paralizzante c'è sempre, ma forse lei si sta accorgendo che la principale vittima di questa rabbia, il non risolversi mai a lavorare e a studiare, la dipendenza ora dall'una ora dall'altra abitudine, l'isolamento, l'abbandono ai disturbi di cui enfatizza la portata invalidante, è soprattutto lei stessa.
Forse sta cominciando a capire che non c'è nessuno a cui opporsi; che l'opposizione ai genitori e al curante è poca cosa, per sfogare il suo disagio.
I miei colleghi le hanno già fornito, da qui, una gamma completa di risposte. La psichiatra che ha consultato per ora non ha creduto necessario incrementare i farmaci; nulla le vieta di ottenere un'altra visita. La psicologa, come mi aspettavo, correttamente non attua con lei la strategia dei compiti "un passo alla volta", perché non farebbero altro che dare alimento allo stile oppositivo che lei ha scelto fin da bambina. La desensibilizzazione graduale non serve, e quella brusca, "in vivo", non è stata ritenuta opportuna nel suo caso... sempre che lei non sia sotterraneamente consapevole che da un momento all'altro può fornirgliela la vita. Può trovarsi sola e nella necessità di lavorare per vivere, e allora non ci saranno più né sogni di indefinite attività gratificanti, come proponeva nelle prime lettere, né alibi di ansie, disagi, assenze disturbanti. Anche malati, si lavora lo stesso.
Le dico questo, consapevole che lei si opporrà con veemenza e reciterà il solito copione, sostenendo che io non ho capito niente e mettendo in atto la solita abitudine di canalizzare la rabbia ora su uno, ora su un altro, senza mai spostare il controllo su sé stessa.
Eppure lei sa (mi sembra infatti di avvertire un'evoluzione, sia pure lenta, nei suoi scritti) che questa capricciosa infanzia psicologica volge al termine. Ora è il tempo di fare il punto di tutto quello che ha al suo attivo: ancora giovinezza, ancora salute, ancora delle capacità (sia pure intorpidite perché non esercitate), ancora due genitori che per quanto esasperati e sconfortati, tuttavia non la mettono alla porta.
Provi a farlo lei, questo passo. Esca di casa, vada a lavorare lontano, faccia qualunque lavoro onesto. Si salvi da sé stessa.
Immagino che lei riscriverà per "chiarimenti". Non le risponderò; le farei solo male. I chiarimenti li avrà rileggendo con calma questa lettera. Auguri, con tutto il cuore.
La rabbia paralizzante c'è sempre, ma forse lei si sta accorgendo che la principale vittima di questa rabbia, il non risolversi mai a lavorare e a studiare, la dipendenza ora dall'una ora dall'altra abitudine, l'isolamento, l'abbandono ai disturbi di cui enfatizza la portata invalidante, è soprattutto lei stessa.
Forse sta cominciando a capire che non c'è nessuno a cui opporsi; che l'opposizione ai genitori e al curante è poca cosa, per sfogare il suo disagio.
I miei colleghi le hanno già fornito, da qui, una gamma completa di risposte. La psichiatra che ha consultato per ora non ha creduto necessario incrementare i farmaci; nulla le vieta di ottenere un'altra visita. La psicologa, come mi aspettavo, correttamente non attua con lei la strategia dei compiti "un passo alla volta", perché non farebbero altro che dare alimento allo stile oppositivo che lei ha scelto fin da bambina. La desensibilizzazione graduale non serve, e quella brusca, "in vivo", non è stata ritenuta opportuna nel suo caso... sempre che lei non sia sotterraneamente consapevole che da un momento all'altro può fornirgliela la vita. Può trovarsi sola e nella necessità di lavorare per vivere, e allora non ci saranno più né sogni di indefinite attività gratificanti, come proponeva nelle prime lettere, né alibi di ansie, disagi, assenze disturbanti. Anche malati, si lavora lo stesso.
Le dico questo, consapevole che lei si opporrà con veemenza e reciterà il solito copione, sostenendo che io non ho capito niente e mettendo in atto la solita abitudine di canalizzare la rabbia ora su uno, ora su un altro, senza mai spostare il controllo su sé stessa.
Eppure lei sa (mi sembra infatti di avvertire un'evoluzione, sia pure lenta, nei suoi scritti) che questa capricciosa infanzia psicologica volge al termine. Ora è il tempo di fare il punto di tutto quello che ha al suo attivo: ancora giovinezza, ancora salute, ancora delle capacità (sia pure intorpidite perché non esercitate), ancora due genitori che per quanto esasperati e sconfortati, tuttavia non la mettono alla porta.
Provi a farlo lei, questo passo. Esca di casa, vada a lavorare lontano, faccia qualunque lavoro onesto. Si salvi da sé stessa.
Immagino che lei riscriverà per "chiarimenti". Non le risponderò; le farei solo male. I chiarimenti li avrà rileggendo con calma questa lettera. Auguri, con tutto il cuore.
[#4]
Utente
La ringrazio per il suo commento e per il tempo dedicato alla lettura dei miei precedenti consulti.
Vorrei fare alcuni chiarimenti
"abitudine di canalizzare la rabbia ora su uno, ora su un altro, senza mai spostare il controllo su sé stessa."
Questa è una fase che sto superando. Nell'ultimo anno ho fatto dei passi avanti. Sicuramente ai più possono sembrare cavolate ma per me sono importanti. Dal scegliere in prima persona, anche se a piccoli passi, di provare nuove esperienze lavorative (anche se nello stesso ambito ma per me è una sfida anche solo cambiare qualcosa di minimo), al decidere di fare un viaggio da sola, non per dimostrare ai miei genitori ma a me stessa cosa so fare. Per arrivare come ultima cosa in questo mese, a seguito della conclusione del percorso con il ssn, di continuare la terapia privatamente, assumendomene in ogni centesimo la responsabilità. Potevo tranquillamente smettere visto che guadagno pochisdimo e anche il rapporto dubbioso e a tratti conflittuale che ho con chi mi ha in cura. Ma sorprendendo la psicologa stessa l'ho fatto. come passo successivo sarà(È in realtà ora) scardinare i miei blocchi sul lavoro più continuativo e provare, tentare.
Non mi sembra di essere immobile, anzi, ci sono risultati concreti, tangibili, visibili.
Tornando alla mia richiesta, mi chiedo come possa un genitore, alla luce di oggettivi e concreti cambiamenti, diventare ancora più aggressivo e svalutante. Dovrebbero gioire di questo, essere orgogliosi di me visto che non sono piu ferma e paralizzata (anche se dovrebbero volermi bene non per quello che faccio, ma per quello che sono. Io sono importante solo per il fatto che esisto, non perché ho 30 lauree o il lavoro perfetto o sono la figlia perfetta e ubbidiente che un genitore desidera). Ma vabbè.
La mia paura più grande è che a furia di litigare e sentirmi così umiliata dai miei io possa mettere fine al nostro rapporto o viceversa (Solo che io non cerco lo scontro, non insulti nessuno, ma cerco solo di esprimere la mia opinione o di rivendicare miei spazi, piu mentali che fisici).
Prima di tutto per una questione pratica. Io so che se voglio essere autonoma devo fare tutto da sola, sennò loro si intromettono. Però guardando i miei coetanei o conoscenti non ce ne uno che nonostante il lavoro, riesca a sopravvivere senza l'aiuto dei genitori. Università, automobili usate, piccoli appartamenti, affitto, bollette, cibo...nulla di ciò sarebbe possibile per loro senza l'aiuto di mamma e papà. E chi non ha avuto una famiglia alle spalle è stato come dire costretto a sposare un partner benestante. Questa è la situazione purtroppo.
A me piacerebbe fare tutto da sola (anche perché la vedo come unica via d'uscita in piena libertà), senza aiuto, ma la vedo male guardando i miei coetanei che sono molto più avanti di me.
Poi c'è il motivo emotivo. Non è bello chiudere con la famiglia per anni o riallacciare i rapporti in punto di morte...si creano poi dinamiche e sensi di colpa molto forti.
Non mi aspetto chissà cosa a questo punto. Non desidero essere amata per quello che sono, tanto non sono come loro desiderano. Non mi aspetto che mi dicano che mi vogliono bene o che mi accettano per come sono. Perché so che non è così.
Desidero solo da parte loro a questo punto che vengano riconosciuti i miei progressi, oggettivi, e che non mi insultino, tirando fuori non so quali aspettative o paure. Non lo merito.
Per il resto mi ci devo mettere io e mi ci sto mettendo.
Spero di essere stata più chiara.
Vorrei fare alcuni chiarimenti
"abitudine di canalizzare la rabbia ora su uno, ora su un altro, senza mai spostare il controllo su sé stessa."
Questa è una fase che sto superando. Nell'ultimo anno ho fatto dei passi avanti. Sicuramente ai più possono sembrare cavolate ma per me sono importanti. Dal scegliere in prima persona, anche se a piccoli passi, di provare nuove esperienze lavorative (anche se nello stesso ambito ma per me è una sfida anche solo cambiare qualcosa di minimo), al decidere di fare un viaggio da sola, non per dimostrare ai miei genitori ma a me stessa cosa so fare. Per arrivare come ultima cosa in questo mese, a seguito della conclusione del percorso con il ssn, di continuare la terapia privatamente, assumendomene in ogni centesimo la responsabilità. Potevo tranquillamente smettere visto che guadagno pochisdimo e anche il rapporto dubbioso e a tratti conflittuale che ho con chi mi ha in cura. Ma sorprendendo la psicologa stessa l'ho fatto. come passo successivo sarà(È in realtà ora) scardinare i miei blocchi sul lavoro più continuativo e provare, tentare.
Non mi sembra di essere immobile, anzi, ci sono risultati concreti, tangibili, visibili.
Tornando alla mia richiesta, mi chiedo come possa un genitore, alla luce di oggettivi e concreti cambiamenti, diventare ancora più aggressivo e svalutante. Dovrebbero gioire di questo, essere orgogliosi di me visto che non sono piu ferma e paralizzata (anche se dovrebbero volermi bene non per quello che faccio, ma per quello che sono. Io sono importante solo per il fatto che esisto, non perché ho 30 lauree o il lavoro perfetto o sono la figlia perfetta e ubbidiente che un genitore desidera). Ma vabbè.
La mia paura più grande è che a furia di litigare e sentirmi così umiliata dai miei io possa mettere fine al nostro rapporto o viceversa (Solo che io non cerco lo scontro, non insulti nessuno, ma cerco solo di esprimere la mia opinione o di rivendicare miei spazi, piu mentali che fisici).
Prima di tutto per una questione pratica. Io so che se voglio essere autonoma devo fare tutto da sola, sennò loro si intromettono. Però guardando i miei coetanei o conoscenti non ce ne uno che nonostante il lavoro, riesca a sopravvivere senza l'aiuto dei genitori. Università, automobili usate, piccoli appartamenti, affitto, bollette, cibo...nulla di ciò sarebbe possibile per loro senza l'aiuto di mamma e papà. E chi non ha avuto una famiglia alle spalle è stato come dire costretto a sposare un partner benestante. Questa è la situazione purtroppo.
A me piacerebbe fare tutto da sola (anche perché la vedo come unica via d'uscita in piena libertà), senza aiuto, ma la vedo male guardando i miei coetanei che sono molto più avanti di me.
Poi c'è il motivo emotivo. Non è bello chiudere con la famiglia per anni o riallacciare i rapporti in punto di morte...si creano poi dinamiche e sensi di colpa molto forti.
Non mi aspetto chissà cosa a questo punto. Non desidero essere amata per quello che sono, tanto non sono come loro desiderano. Non mi aspetto che mi dicano che mi vogliono bene o che mi accettano per come sono. Perché so che non è così.
Desidero solo da parte loro a questo punto che vengano riconosciuti i miei progressi, oggettivi, e che non mi insultino, tirando fuori non so quali aspettative o paure. Non lo merito.
Per il resto mi ci devo mettere io e mi ci sto mettendo.
Spero di essere stata più chiara.
[#5]
>>> Mi hanno controllata e iperprotetta, credo siamo dipendenti tutti quanti
>>>
A mio avviso potrebbe trattarsi della situazione, purtroppo frequente, della figlia che ha ragione a dire che i suoi genitori hanno creato le premesse per la sua sofferenza, ma poi non riesce a fare il passo logico successivo e indispensabile: che da una certa età in poi si smette di essere figli e si diventa adulti. E si prende in mano quindi il proprio destino rendendosi sempre meno dipendenti dai genitori stessi.
"Oggi tutti i figli non riescono a essere indipendenti dai genitori" è ciò che si racconta a se stessi in mancanza di meglio. È un modo per evitare di ingoiare la pillola che ci fa accettare, faticosamente, il prendere in mano la propria vita come hanno fatto tutti: anche i nostri genitori e i nostri nonni.
Che sono passati attraverso guerre e situazioni molto peggiori di quella attuale. Teniamolo presente.
La sua terapeuta queste cose gliele ha mai dette, oppure no?
>>>
A mio avviso potrebbe trattarsi della situazione, purtroppo frequente, della figlia che ha ragione a dire che i suoi genitori hanno creato le premesse per la sua sofferenza, ma poi non riesce a fare il passo logico successivo e indispensabile: che da una certa età in poi si smette di essere figli e si diventa adulti. E si prende in mano quindi il proprio destino rendendosi sempre meno dipendenti dai genitori stessi.
"Oggi tutti i figli non riescono a essere indipendenti dai genitori" è ciò che si racconta a se stessi in mancanza di meglio. È un modo per evitare di ingoiare la pillola che ci fa accettare, faticosamente, il prendere in mano la propria vita come hanno fatto tutti: anche i nostri genitori e i nostri nonni.
Che sono passati attraverso guerre e situazioni molto peggiori di quella attuale. Teniamolo presente.
La sua terapeuta queste cose gliele ha mai dette, oppure no?
Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com
[#6]
Utente
Dott. Santonocito grazie per la risposta.
Come avrà letto sopra, la mia parte di responsabilità è presente e me ne sto facendo carico, con tutte le conseguenze, fatiche, paure da affrontare, rinunce e tanto altro ancora. È un lavoro duro che nel bene o nel male, anche se non magari all'età più giusta e in ritardo lo sto affrontando. Sul passato non posso tornare indietro.
Oggi tutti i figli non riescono a essere indipendenti dai genitori" è quello che vedo io nel mio circondario. Quei pochi che se ne vanno di casa ha ancora i genitori che gli danno una mano. È normale? È giusto dal punto di vista della dipendenza? Lo chiedo perché magari ho una visione io sbagliata (Non c'è ironia nella voce ma vivo interesse) delle cose .
Come avrà letto sopra, la mia parte di responsabilità è presente e me ne sto facendo carico, con tutte le conseguenze, fatiche, paure da affrontare, rinunce e tanto altro ancora. È un lavoro duro che nel bene o nel male, anche se non magari all'età più giusta e in ritardo lo sto affrontando. Sul passato non posso tornare indietro.
Oggi tutti i figli non riescono a essere indipendenti dai genitori" è quello che vedo io nel mio circondario. Quei pochi che se ne vanno di casa ha ancora i genitori che gli danno una mano. È normale? È giusto dal punto di vista della dipendenza? Lo chiedo perché magari ho una visione io sbagliata (Non c'è ironia nella voce ma vivo interesse) delle cose .
[#7]
>>> Sul passato non posso tornare indietro
>>>
Verissimo, ma da quel che appare dal suo racconto lei è ancora tutta ancorata al passato, preoccupata di come sua madre la ha trattata male, di come la tratta male adesso e del conseguente disagio che ne deriva.
Se si vuole andare avanti, giustappunto, occorre mollare il passato e procedere. Ma finché si vive insieme, è molto più difficile.
>>> ha ancora i genitori che gli danno una mano. È normale? È giusto dal punto di vista della dipendenza?
>>>
Certo, è normale. Ma un conto è vivere sotto lo stesso tetto, cosa completamente diversa è starsene per conto proprio. Fa un enorme differenza.
>>>
Verissimo, ma da quel che appare dal suo racconto lei è ancora tutta ancorata al passato, preoccupata di come sua madre la ha trattata male, di come la tratta male adesso e del conseguente disagio che ne deriva.
Se si vuole andare avanti, giustappunto, occorre mollare il passato e procedere. Ma finché si vive insieme, è molto più difficile.
>>> ha ancora i genitori che gli danno una mano. È normale? È giusto dal punto di vista della dipendenza?
>>>
Certo, è normale. Ma un conto è vivere sotto lo stesso tetto, cosa completamente diversa è starsene per conto proprio. Fa un enorme differenza.
[#8]
Utente
Grazie per la risposta
"Certo, è normale. Ma un conto è vivere sotto lo stesso tetto, cosa completamente diversa è starsene per conto proprio. Fa un enorme differenza."
Questo è quello che si presuppone in una famiglia con una dinamica normale. I genitori aiutano nel momento del bisogno ma il figlio vive la sua vita (cosa che non condivido molto ma è colpa del mio vedere le cose in bianco e nero).
Nella mia famiglia invece ogni desiderio e ogni tentativo da parte mia di emanciparsi viene ammazzato. Se ho un lavoro comunque niente cambia. Ho provato a farmi un viaggio all'estero e per quanto io dicessi no i miei genitori volevano venire con me. Non sono venuti perché non hanno trovato un volo aereo e non perché io mi sono ribellata e ho detto no. Non sono manco stata ascoltata.
Poi diciamolo viviamo in un mondo dove l'indipendenza economica è difficile. È la realtà (perché non crede che non abbia visto quanto costa una stanza nel capoluogo che è la città più vicina grande). Devo sempre e comunque anche lavorando chiedere aiuto ai miei. E chiedere aiuto sonica intromissione, no spazio, no scelta. Aggressività sempre più forte.
Non so forse mi merito di essere trattata così, è la punizione per ave reagito nel libico modo conosciuto (fermandomi imprigionata in casa) per ribellarmi.
Non so neanche io più cosa pensare.
"Certo, è normale. Ma un conto è vivere sotto lo stesso tetto, cosa completamente diversa è starsene per conto proprio. Fa un enorme differenza."
Questo è quello che si presuppone in una famiglia con una dinamica normale. I genitori aiutano nel momento del bisogno ma il figlio vive la sua vita (cosa che non condivido molto ma è colpa del mio vedere le cose in bianco e nero).
Nella mia famiglia invece ogni desiderio e ogni tentativo da parte mia di emanciparsi viene ammazzato. Se ho un lavoro comunque niente cambia. Ho provato a farmi un viaggio all'estero e per quanto io dicessi no i miei genitori volevano venire con me. Non sono venuti perché non hanno trovato un volo aereo e non perché io mi sono ribellata e ho detto no. Non sono manco stata ascoltata.
Poi diciamolo viviamo in un mondo dove l'indipendenza economica è difficile. È la realtà (perché non crede che non abbia visto quanto costa una stanza nel capoluogo che è la città più vicina grande). Devo sempre e comunque anche lavorando chiedere aiuto ai miei. E chiedere aiuto sonica intromissione, no spazio, no scelta. Aggressività sempre più forte.
Non so forse mi merito di essere trattata così, è la punizione per ave reagito nel libico modo conosciuto (fermandomi imprigionata in casa) per ribellarmi.
Non so neanche io più cosa pensare.
[#9]
Da un punto di vista psicologico "realtà" è ciò che ognuno decide di costruire per sé. Non esistono realtà immutabili.
Evidentemente i suoi genitori sono stati così bravi ad "ammaestrarla" che ora lei crede che non esista altra possibilità se non quella di condurre una vita miserevole accanto a loro.
È quello che noi psicologi definiamo invischiamento familiare.
Nulla di nuovo sotto il sole, la sua non è una famiglia specialmente anormale, o almeno non più anormale di tante altre.
La famiglia è totalizzante per definizione. Quasi sempre è necessario lottare per la propria indipendenza.
Ma sarebbe inutile continuare a discuterne qui. Trovi un percorso terapeutico in grado di smuoverle quelle certezze rigide e granitiche (in bianco e nero, appunto) che evidentemente non riesce a scrollarsi di dosso da sola.
Evidentemente i suoi genitori sono stati così bravi ad "ammaestrarla" che ora lei crede che non esista altra possibilità se non quella di condurre una vita miserevole accanto a loro.
È quello che noi psicologi definiamo invischiamento familiare.
Nulla di nuovo sotto il sole, la sua non è una famiglia specialmente anormale, o almeno non più anormale di tante altre.
La famiglia è totalizzante per definizione. Quasi sempre è necessario lottare per la propria indipendenza.
Ma sarebbe inutile continuare a discuterne qui. Trovi un percorso terapeutico in grado di smuoverle quelle certezze rigide e granitiche (in bianco e nero, appunto) che evidentemente non riesce a scrollarsi di dosso da sola.
Questo consulto ha ricevuto 9 risposte e 2.6k visite dal 27/01/2019.
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