Non accetto l'idea di "aver perso tempo". Mi sento miseramente inutile
Cinque anni fa ho scelto per ignoranza di trasferirmi in un’altra città per studiare giurisprudenza. Al secondo anno mi sono reso conto che non era un percorso che faceva per me, ma ho continuato perché non so davvero cosa avrei potuto fare nella vita e non lo so tuttora. Probabilmente il mio sogno sarebbe insegnare storia nelle università, ma per motivi che comprenderete non ho mai perseguito questo obiettivo.
Vengo da una famiglia umile. Grazie ad una vertenza abbiamo ottenuto un gruzzoletto che hanno speso esclusivamente nella mia formazione e quest’anno si sono esauriti.
Si sono privati delle vacanze, mi hanno pagato l’affitto in una città costosa, sono stati costretti a convincere mia sorella a restare nel paese di origine perché non c’erano soldi per entrambi. Tutto questo per un percorso che non mi appassiona un granché e senza prospettive che mi piacciano.
Ho fatto di certo il mio dovere di studente, ho un’ottima base di laurea che mi consente di arrivare a 110, ho una esperienza all’estero dove ho svolto alcuni corsi di un master e così via.
Nonostante ciò, so che il massimo a cui posso aspirare, per ciò che ho studiato, mi fa rivoltare e mi disgusta profondamente.
Un tirocinio presso lo studio legale mi ha fatto capire che non voglio fare l’avvocato, eppure avere il titolo è necessario . Non mi attirano neanche tutte le altre carriere (notarile, magistratura, ecc). Ho amici brillantissimi di altre università, pubbliche e private che al massimo stanno in quei studi legali col fatturato da capogiro a lavorare minimo 16 ore al giorno, senza alcuna tutela contrattuale e senza un salario che consenta loro di vivere degnamente (che ben che vada si aggira sui 1200 euro e se riescono , diverranno prima o poi avvocati a trent'anni avendo 3000 euro con una vita pietosa). Molti mi dicono che mi bagno prima che mi piova addosso e che ogni esperienza è a se stante, molti a cui ho voluto confidare i miei dubbi mi dicono che non posso estendere analogicamente quello che hanno vissuto tutti gli altri studenti a me. E invece io lo faccio, eccome! Perché dovrebbe essere PER ME diverso?
Tutti gli studenti di giurisprudenza, dopo la laurea, hanno vissuto la gavetta . Chi ha passione, tollera la pratica non pagata e un futuro privo di certezze. Per me è impossibile. Ho studiato giorno e notte, ed è come se inconsciamente volessi "passare alla cassa" per lavorare dopo aver fatto ciò per cui avevo ribrezzo. L'aleatorietà del mio futuro mi provoca un'ansia insostenibile che non mi consente di vivere o di dormire bene. Vorrei qualcosa che non dipenda dalla fortuna, che dipenda solo dal mio impegno, odierei ristudiare tutto ed ho già visto che non c'è una opportunità di carriera nella quale mi vedrei. Sono indeciso su tutta la mia vita e non voglio più procedere per inerzia. Sono già stato dallo psicologo per un anno e alla fine mi ha detto di non sapere come aiutarmi, dandomi dei nominativi di altri suoi colleghi dove non sono mai andato.
Vengo da una famiglia umile. Grazie ad una vertenza abbiamo ottenuto un gruzzoletto che hanno speso esclusivamente nella mia formazione e quest’anno si sono esauriti.
Si sono privati delle vacanze, mi hanno pagato l’affitto in una città costosa, sono stati costretti a convincere mia sorella a restare nel paese di origine perché non c’erano soldi per entrambi. Tutto questo per un percorso che non mi appassiona un granché e senza prospettive che mi piacciano.
Ho fatto di certo il mio dovere di studente, ho un’ottima base di laurea che mi consente di arrivare a 110, ho una esperienza all’estero dove ho svolto alcuni corsi di un master e così via.
Nonostante ciò, so che il massimo a cui posso aspirare, per ciò che ho studiato, mi fa rivoltare e mi disgusta profondamente.
Un tirocinio presso lo studio legale mi ha fatto capire che non voglio fare l’avvocato, eppure avere il titolo è necessario . Non mi attirano neanche tutte le altre carriere (notarile, magistratura, ecc). Ho amici brillantissimi di altre università, pubbliche e private che al massimo stanno in quei studi legali col fatturato da capogiro a lavorare minimo 16 ore al giorno, senza alcuna tutela contrattuale e senza un salario che consenta loro di vivere degnamente (che ben che vada si aggira sui 1200 euro e se riescono , diverranno prima o poi avvocati a trent'anni avendo 3000 euro con una vita pietosa). Molti mi dicono che mi bagno prima che mi piova addosso e che ogni esperienza è a se stante, molti a cui ho voluto confidare i miei dubbi mi dicono che non posso estendere analogicamente quello che hanno vissuto tutti gli altri studenti a me. E invece io lo faccio, eccome! Perché dovrebbe essere PER ME diverso?
Tutti gli studenti di giurisprudenza, dopo la laurea, hanno vissuto la gavetta . Chi ha passione, tollera la pratica non pagata e un futuro privo di certezze. Per me è impossibile. Ho studiato giorno e notte, ed è come se inconsciamente volessi "passare alla cassa" per lavorare dopo aver fatto ciò per cui avevo ribrezzo. L'aleatorietà del mio futuro mi provoca un'ansia insostenibile che non mi consente di vivere o di dormire bene. Vorrei qualcosa che non dipenda dalla fortuna, che dipenda solo dal mio impegno, odierei ristudiare tutto ed ho già visto che non c'è una opportunità di carriera nella quale mi vedrei. Sono indeciso su tutta la mia vita e non voglio più procedere per inerzia. Sono già stato dallo psicologo per un anno e alla fine mi ha detto di non sapere come aiutarmi, dandomi dei nominativi di altri suoi colleghi dove non sono mai andato.
[#1]
Salve,
mette in luce molti aspetti di sé significativi nel suo racconto; in questa sede provo a circoscriverne due. Il primo riguarda il senso del dovere e il suo sentirsi "inutile". Il secondo riguarda il mondo del lavoro e la precarietà.
Il primo aspetto emerge nelle sue parole, quando comunica di avere dedicato tanto tempo ed energia, "giorno e notte", a un "percorso di studi che non faceva" per lei. Non solo ha proseguito, ma ha anche svolto esperienze all'estero, preziose dal punto di vista curriculare. Sembra avere un forte senso di responsabilità e del dovere, come lei stesso afferma.
In questa sede voglio dirle che questa è una qualità necessaria per vivere, anche se è importante che possa essere utilizzata nel tentativo di realizzare le proprie passioni. Il punto critico, allora, sembra essere questo, cioè una facoltà che non avrebbe scelto, la sensazione di non conoscersi, di non sapere cosa desidera, di non sentirsi autore della sua vita.
Allora il suo senso del dovere non è più quella forza necessaria per tentare di realizzare i suoi desideri, ma può diventare un possibile ostacolo che la fa andare avanti per "inerzia", non consentendole mai di prendere contatto con la sua autenticità. In questo senso, potrebbe sentirsi "inutile", come se non avesse mai utilizzato la sua forza, che è un fondamentale valore che lei possiede, per costruire un progetto in cui credere davvero, a suo favore potremmo dire.
In questa sede non riesco ad aiutarla ad approfondire questi temi, ma va detto che potrebbe aprirsi un importante capitolo legato alla sua famiglia, di cui fa cenno nel consulto. Data la profondità e la delicatezza di questo ambito, è importante che possa approfondirlo in una sede idonea. Anche se l'esperienza con uno psicologo non è stata positiva, a quanto dice purtroppo, mi sembra comunque che senta l'importanza di non desistere.
Il secondo aspetto, le dicevo, riguarda il mondo del lavoro. È necessario oggi fare i conti con un senso di precarietà; ha ragione a dire che esso genera una complessità di stati d'animo, forti "ansie", paura, incertezza e instabilità, rabbia. Bisogna fare i conti ogni giorno con questa terribile esperienza, senza scoraggiarsi, mantenendo viva la speranza di un futuro migliore, eventualmente anche mobilitandosi per provare a costruirlo.
Voglio dirle che sento l'importanza del suo consulto. Rappresenta a mio avviso la cifra del suo desiderio di non proseguire più così, ma di poter riconoscere e dare spazio alla sua autenticità, anche se può essere faticoso, perché comporta un carico emotivo interiore complesso. È l'unico modo, tuttavia, affinché lei possa procedere non più per "inerzia" e sentire la sua vita nelle sue mani, affrontandone le difficoltà, accettandone i limiti, vivendone le bellezze.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
mette in luce molti aspetti di sé significativi nel suo racconto; in questa sede provo a circoscriverne due. Il primo riguarda il senso del dovere e il suo sentirsi "inutile". Il secondo riguarda il mondo del lavoro e la precarietà.
Il primo aspetto emerge nelle sue parole, quando comunica di avere dedicato tanto tempo ed energia, "giorno e notte", a un "percorso di studi che non faceva" per lei. Non solo ha proseguito, ma ha anche svolto esperienze all'estero, preziose dal punto di vista curriculare. Sembra avere un forte senso di responsabilità e del dovere, come lei stesso afferma.
In questa sede voglio dirle che questa è una qualità necessaria per vivere, anche se è importante che possa essere utilizzata nel tentativo di realizzare le proprie passioni. Il punto critico, allora, sembra essere questo, cioè una facoltà che non avrebbe scelto, la sensazione di non conoscersi, di non sapere cosa desidera, di non sentirsi autore della sua vita.
Allora il suo senso del dovere non è più quella forza necessaria per tentare di realizzare i suoi desideri, ma può diventare un possibile ostacolo che la fa andare avanti per "inerzia", non consentendole mai di prendere contatto con la sua autenticità. In questo senso, potrebbe sentirsi "inutile", come se non avesse mai utilizzato la sua forza, che è un fondamentale valore che lei possiede, per costruire un progetto in cui credere davvero, a suo favore potremmo dire.
In questa sede non riesco ad aiutarla ad approfondire questi temi, ma va detto che potrebbe aprirsi un importante capitolo legato alla sua famiglia, di cui fa cenno nel consulto. Data la profondità e la delicatezza di questo ambito, è importante che possa approfondirlo in una sede idonea. Anche se l'esperienza con uno psicologo non è stata positiva, a quanto dice purtroppo, mi sembra comunque che senta l'importanza di non desistere.
Il secondo aspetto, le dicevo, riguarda il mondo del lavoro. È necessario oggi fare i conti con un senso di precarietà; ha ragione a dire che esso genera una complessità di stati d'animo, forti "ansie", paura, incertezza e instabilità, rabbia. Bisogna fare i conti ogni giorno con questa terribile esperienza, senza scoraggiarsi, mantenendo viva la speranza di un futuro migliore, eventualmente anche mobilitandosi per provare a costruirlo.
Voglio dirle che sento l'importanza del suo consulto. Rappresenta a mio avviso la cifra del suo desiderio di non proseguire più così, ma di poter riconoscere e dare spazio alla sua autenticità, anche se può essere faticoso, perché comporta un carico emotivo interiore complesso. È l'unico modo, tuttavia, affinché lei possa procedere non più per "inerzia" e sentire la sua vita nelle sue mani, affrontandone le difficoltà, accettandone i limiti, vivendone le bellezze.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 5.5k visite dal 22/01/2019.
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