Psicoterapia cognitivo comportamentale: scelta giusta?

Buonasera gentili dottori. Riassumo in breve la mia (ahimè complessa) storia clinica. Sono affetto da un DOC (dove prevalgono di gran lunga le ossessioni rispetto alle compulsioni, motivo per cui venne definito "puro") in comorbidità con un DAP ed un disturbo ciclotimico dell'umore.

Seguo un trattamento farmacologico, prescritto dal mio psichiatra, a base di:

-Resilient 83 mg (Litio): 1 cp al mattino ed 1 la sera.

-Zoloft 50 mg (Sertralina): 2 cp al mattino ed 1 la sera.

-Abilify 5 mg (Aripiprazolo): 1 cp la sera.

-Depakin Chrono 500 mg (acido valproico): 1 / 2 cp la sera

Non starò qui a spiegare tutta la mia storia clinica (che inizia da quando avevo 19 anni, mentre ora ne ho 26) ma tenterò di spiegare i motivi di questo consulto e le manifestazioni cliniche che mi attanagliano di più. In questo momento, più che il DOC in sé (che ritengo comunque essere il disturbo principale), sono infastidito dalle caratteristiche personologiche / caratteriali ad esso correlate. Faccio degli esempi: tendenza ad avere una visione dicotomica della vita (del tipo tutto bianco o nero), donde la rigidità che ne deriva (se la giornata inizia male, non riesco a recuperarla ma "butto tutto via"), perfezionismo (per cui finisco per non far nulla piuttosto che svolgere le mie attività, quali lo studio, in maniera arrangiata), continuo senso di "incompiuto". Se da un lato sono molto razionale (anche troppo) ed ostacolato dal DOC, quando smetto di rimuginare (non so se sia una coincidenza o se ci sia un nesso) divento eccessivamente impulsivo ed instabile (ultimamente mi sono dato anche al gioco d'azzardo online), finendo ad esempio con lo spendere grosse cifre. Sono continuamente tra queste "due bestie", tra loro in contraddizione, finendo ora da una parte ed ora dall'altra. Ultimamente penso inoltre di avere un calo dell'umore, passando la maggior parte della giornata in casa senza voglia di uscire ed interagire con gli altri. Su mia pressione, il mio psichiatra ha acconsentito a farmi intraprendere un percorso di psicoterapia. Quella da lui indicata è, precisamente, quella cognitivo-comportamentale. Essendo io molto razionale e scientifico ed ancorato al modello "evidence based", ho accolto favorevolmente questa proposta. Ho riscontrato però, dall'approccio con ben 3 terapeuti, i seguenti problemi:

-Capisco i protocolli e la rigidità che ne deriva, ma ho trovato i terapeuti eccessivamente sclerotizzati su tecniche e, lasciatemi passare il termine, "compitini" che ritengo, peccando forse di presunzione, di poter svolgere da solo, donde la mia richiesta di cercare un terapeuta più aperto, flessibile e, se vogliamo, "umano".

-Dai risultati dei test sono emerse delle caratteristiche che ritengo molto lontane da me.

Vi chiedo dunque se ritenete la psicoterapia cognitivo comportamentale la scelta più adatta ai miei disagi e se, nel caso, sapreste indicarmi (contattandovi io privatamente, ovvio) il nome di qualche specialista in gamba su Roma.

Un caro saluto
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Dr. Francesco Emanuele Pizzoleo Psicologo, Psicoterapeuta 2.4k 122
Gentile utente,

la terapia cognitivo comportamentale rappresenta tutt’ora il gold standard nella cura di malesseri correlati al tono dell’umore (nel suo caso: alterazioni ciclotimiche dell’affettività) e ad Ansia (DOC e ADP).
Le do ragione quando parla di rigidità protocollare nella CBT. Da cognitivista le posso dire che servirebbe per l’appunto un legame e un approccio meno rigido alle tecniche (che comunque servono).

Le valutazioni testistiche devono essere sempre condivise tra paziente e terapeuta affinché ognuno dei due esprima quanto emerso e quanto ciò che è emerso possa o meno corrispondere a come il paziente si percepisce. E se si perché e se no perché.

Tramite contatto privato mail posso darle indicazioni su Roma. Troverà i contatti personali nella mia pagina.

Mi faccia sapere!
Cordiali saluti

Dr. Francesco Emanuele Pizzoleo. Psicoterapia cognitiva e cognitivo comportamentale.

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Dr. Francesco Emanuele Pizzoleo Psicologo, Psicoterapeuta 2.4k 122
Intanto, a proposito di ciò che si diceva, può leggere questo articolo del Collega De Vincentiis
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/1630-e-la-relazione-che-cura.html
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Utente
Utente
Interessante articolo. Onestamente, mi da un senso di sollievo che il rapporto relazionale abbia questo significato. Ciò non toglie chiaramente (e come specificato nello stesso articolo) che una relazione solida (leggasi "fiducia") sia una condizione necessaria alla buona riuscita di una psicoterapia. Ad ogni modo, il fatto che non sia la relazione in sé ad essere "curativa" rende il tutto un po' meno operatore-dipendente (donde il mio sollievo). Credo comunque che, come scritto sopra, le tecniche vadano "plasmate" sulla forma mentis dell'individuo, in un processo che richiede flessibilità, apertura mentale e buon senso. Grazie ancora.