Situazione insostenibile con mia madre
Buonasera Gentili Dottori,
ho già scritto in passato qui sul forum per dei problemi con mia madre, ma adesso la situazione è diventata insostenibile.
Quest'anno mi sono laureata e poco dopo ho trovato un lavoro part time. Tuttavia, la mia ambizione è quella di trovare un lavoro più stabile; per questo motivo sto studiando molto e sto mandando domande di partecipazione a diversi concorsi.
Mia madre fin dall'inizio non ha mai approvato perché non vuole categoricamente che io parta da sola perché non si sentirebbe tranquilla. Io capisco la sua preoccupazione, ma non può pretendere che io non viva la mia vita per pensare a lei e alla sua ansia esagerata.
Ultimamente litighiamo quasi sempre per questo motivo, perché lei vorrebbe che io cercassi un lavoro qui. La verità è che io voglio andare via, perché odio le persone e la mentalità medievale del paese in cui vivo e non sopporto, appunto, l'ansia di mia madre. Mi sento soffocare da tutto questo. La sua esagerata reazione all'idea che io possa partire, non fa altro che confermarmi che è meglio andarsene.
Quando litighiamo mi dice che sono una disgraziata, che fino a 10 anni fa era inconcepibile che una ragazza partisse da sola. Mi dice anche che vorrebbe che fossi più "normale" e per normalità lei intende fidanzarsi, sposarsi e far figli.
Lei non è riuscita a concludere nulla nella sua vita perché mio nonno era il classico "padre padrone del sud" e non le ha permesso di studiare. Non ha mai viaggiato, ha sempre vissuto tra le mura di casa, ed è una persona piuttosto semplice. Vorrei una madre diversa. Una madre "normale", invece, apprezzerebbe il mio impegno e la mia voglia di imparare a cavarmela da sola. Ho provato a non dare importanza a ciò che dice, ma ovviamente non è facile e ci sto male. Rileggendo ciò che ho scritto mi rendo conto che il punto è che abbiamo due concezioni di "normalità" diverse... forse dovrei imparare a conviverci.
ho già scritto in passato qui sul forum per dei problemi con mia madre, ma adesso la situazione è diventata insostenibile.
Quest'anno mi sono laureata e poco dopo ho trovato un lavoro part time. Tuttavia, la mia ambizione è quella di trovare un lavoro più stabile; per questo motivo sto studiando molto e sto mandando domande di partecipazione a diversi concorsi.
Mia madre fin dall'inizio non ha mai approvato perché non vuole categoricamente che io parta da sola perché non si sentirebbe tranquilla. Io capisco la sua preoccupazione, ma non può pretendere che io non viva la mia vita per pensare a lei e alla sua ansia esagerata.
Ultimamente litighiamo quasi sempre per questo motivo, perché lei vorrebbe che io cercassi un lavoro qui. La verità è che io voglio andare via, perché odio le persone e la mentalità medievale del paese in cui vivo e non sopporto, appunto, l'ansia di mia madre. Mi sento soffocare da tutto questo. La sua esagerata reazione all'idea che io possa partire, non fa altro che confermarmi che è meglio andarsene.
Quando litighiamo mi dice che sono una disgraziata, che fino a 10 anni fa era inconcepibile che una ragazza partisse da sola. Mi dice anche che vorrebbe che fossi più "normale" e per normalità lei intende fidanzarsi, sposarsi e far figli.
Lei non è riuscita a concludere nulla nella sua vita perché mio nonno era il classico "padre padrone del sud" e non le ha permesso di studiare. Non ha mai viaggiato, ha sempre vissuto tra le mura di casa, ed è una persona piuttosto semplice. Vorrei una madre diversa. Una madre "normale", invece, apprezzerebbe il mio impegno e la mia voglia di imparare a cavarmela da sola. Ho provato a non dare importanza a ciò che dice, ma ovviamente non è facile e ci sto male. Rileggendo ciò che ho scritto mi rendo conto che il punto è che abbiamo due concezioni di "normalità" diverse... forse dovrei imparare a conviverci.
[#1]
Gentile utente,
ho letto con attenzione il suo commento. Stando a quanto ci scrive, ha ben chiaro quale sia il problema: il difficile rapporto con sua madre e la pretesa irrealistica di quest'ultima che lei si conformi alle sue aspettative ("non vuole categoricamente che io parta da sola perché non si sentirebbe tranquilla"). Ha anche pensato alla possibile soluzione: uscire di casa terminati gli studi. A questo si devono gli sforzi che ci descrive per trovare un lavoro che le consenta di emanciparsi economicamente e avviare il piano di vita autonoma che ha già in mente di perseguire.
A fronte di un problema e di una soluzione già identificate, sorge un ulteriore elemento di difficoltà che le starebbe rendendo il tutto più complesso: il forte disagio (senso di colpa?) conseguente al contravvenire alla pretesa materna. Quanto invece mi sembra (ipotesi) che le sia ancora poco chiaro, è il riconoscimento che anche da parte sua sembra essere presente una pretesa che il proprio genitore riconosca e accetti il piano di vita che lei ha in mente ("...non può pretendere che io non viva la mia vita per pensare a lei e alla sua ansia esagerata"). In concreto, se si accettasse di riconoscere come eccessiva la pretesa di cambiamento che sua madre le avanzerebbe - in quanto poco rispettosa dei suoi effettivi bisogni di crescita personale (" io voglio andare via, perché odio le persone e la mentalità medievale del paese in cui vivo") -, non si potrebbe non riconoscere come altrettanto eccessiva la pretesa di cambiamento che lei starebbe implicitamente richiedendo a sua madre. Questo ci porterebbe ad una semplice previsione: tanto più tenderà a pretendere che sua madre l'accetti e le dia il suo benestare per la scelta di lasciare il paese in cui vive, quanto più sarà probabile predisporsi a vivere un disagio di maggiore intensità.
Ora, se tale ipotesi fosse corretta, il problema con cui si avrebbe a che fare sarebbe traducibile nei termini di "accettazione di non essere accettata dal proprio genitore". Sano è il desiderare che una madre riconosca i nostri bisogni ed approvi le nostre scelte di vita; meno utile per il nostro piano di vita è il pretendere che questo debba realizzarsi per forza. Le emozioni che che così si andrebbero a vivere, infatti, potrebbero ostacolarci nel perseguimento dei nostri obiettivi, rallentando un'emancipazione che potrebbe realizzarsi gestendo al meglio il disagio sopra riportato.
Come tradurre il tutto il termini operativi? Ossia, come accettare il non essere accettati? L'accettazione, in casi simili, può avvenire soltanto a patto di riconoscere:
(a) l'impossibilità di cambiare il modo di pensare del genitore (es., "Mia madre non cambierà mai; dopotutto, non è tenuta a farlo se non vuole");
(b) la scarsa utilità del persistere nell'aspettarsi che sia il genitore a cambiare (es., "Così facendo non andrò mai via di casa");
(c) la non gravità del non essere riconosciuti nei propri bisogni e rispettati nelle proprie scelte di vita (es., "Non è piacevole non essere apprezzati da un genitore, ma nella vita ci sono cose ben peggiori di questa");
(d) la sopportabilità del disagio percepito nel non essere accettati (es., "Me ne farò una ragione").
Senza tale presa di consapevolezza, si continuerebbe a vivere la speranza/pretesa che sia il genitore a doverci semplificare questa normale transizione di vita, aspetto quest'ultimo che mal di coniugherebbe con l'acquisizione di uno stato adulto ed autonomo.
Nella speranza che tali spunti di riflessione le possano essere utili per i motivi che sopra ci ha scritto, le auguro un buon weekend.
Dr. Alessio Congiu
ho letto con attenzione il suo commento. Stando a quanto ci scrive, ha ben chiaro quale sia il problema: il difficile rapporto con sua madre e la pretesa irrealistica di quest'ultima che lei si conformi alle sue aspettative ("non vuole categoricamente che io parta da sola perché non si sentirebbe tranquilla"). Ha anche pensato alla possibile soluzione: uscire di casa terminati gli studi. A questo si devono gli sforzi che ci descrive per trovare un lavoro che le consenta di emanciparsi economicamente e avviare il piano di vita autonoma che ha già in mente di perseguire.
A fronte di un problema e di una soluzione già identificate, sorge un ulteriore elemento di difficoltà che le starebbe rendendo il tutto più complesso: il forte disagio (senso di colpa?) conseguente al contravvenire alla pretesa materna. Quanto invece mi sembra (ipotesi) che le sia ancora poco chiaro, è il riconoscimento che anche da parte sua sembra essere presente una pretesa che il proprio genitore riconosca e accetti il piano di vita che lei ha in mente ("...non può pretendere che io non viva la mia vita per pensare a lei e alla sua ansia esagerata"). In concreto, se si accettasse di riconoscere come eccessiva la pretesa di cambiamento che sua madre le avanzerebbe - in quanto poco rispettosa dei suoi effettivi bisogni di crescita personale (" io voglio andare via, perché odio le persone e la mentalità medievale del paese in cui vivo") -, non si potrebbe non riconoscere come altrettanto eccessiva la pretesa di cambiamento che lei starebbe implicitamente richiedendo a sua madre. Questo ci porterebbe ad una semplice previsione: tanto più tenderà a pretendere che sua madre l'accetti e le dia il suo benestare per la scelta di lasciare il paese in cui vive, quanto più sarà probabile predisporsi a vivere un disagio di maggiore intensità.
Ora, se tale ipotesi fosse corretta, il problema con cui si avrebbe a che fare sarebbe traducibile nei termini di "accettazione di non essere accettata dal proprio genitore". Sano è il desiderare che una madre riconosca i nostri bisogni ed approvi le nostre scelte di vita; meno utile per il nostro piano di vita è il pretendere che questo debba realizzarsi per forza. Le emozioni che che così si andrebbero a vivere, infatti, potrebbero ostacolarci nel perseguimento dei nostri obiettivi, rallentando un'emancipazione che potrebbe realizzarsi gestendo al meglio il disagio sopra riportato.
Come tradurre il tutto il termini operativi? Ossia, come accettare il non essere accettati? L'accettazione, in casi simili, può avvenire soltanto a patto di riconoscere:
(a) l'impossibilità di cambiare il modo di pensare del genitore (es., "Mia madre non cambierà mai; dopotutto, non è tenuta a farlo se non vuole");
(b) la scarsa utilità del persistere nell'aspettarsi che sia il genitore a cambiare (es., "Così facendo non andrò mai via di casa");
(c) la non gravità del non essere riconosciuti nei propri bisogni e rispettati nelle proprie scelte di vita (es., "Non è piacevole non essere apprezzati da un genitore, ma nella vita ci sono cose ben peggiori di questa");
(d) la sopportabilità del disagio percepito nel non essere accettati (es., "Me ne farò una ragione").
Senza tale presa di consapevolezza, si continuerebbe a vivere la speranza/pretesa che sia il genitore a doverci semplificare questa normale transizione di vita, aspetto quest'ultimo che mal di coniugherebbe con l'acquisizione di uno stato adulto ed autonomo.
Nella speranza che tali spunti di riflessione le possano essere utili per i motivi che sopra ci ha scritto, le auguro un buon weekend.
Dr. Alessio Congiu
Dr. Alessio Congiu
Psicologo-Psicoterapeuta
T. +39 345 465 8419
alessio.congiu@hotmail.it
alessiocongiupsicologo.it
[#2]
Utente
Gentile Dr. Congiu,
la ringrazio per la risposta celere ed esaustiva.
Come ha detto lei, è normale desiderare che i propri genitori approvino le scelte di vita di un figlio ed è normale star male quando ciò non avviene. Oggi pomeriggio c'è stata l'ennesima discussione e adesso ho un po' di tachicardia perché questa cosa mi fa male. La cosa che più mi fa rabbia è il fatto che mi sento più apprezzata da conoscenti e/o estranei. La gente si complimenta con me, mi dicono che sono in gamba, mi incitano a studiare e mi dicono di continuare ad essere così determinata. Lei invece no.
Seguirò i suoi consigli e proverò a non prendermela così tanto, perché rimanerci male e star male anche fisicamente è soltanto deleterio e non serve a nulla.
La ringrazio nuovamente e le auguro un buon fine settimana.
la ringrazio per la risposta celere ed esaustiva.
Come ha detto lei, è normale desiderare che i propri genitori approvino le scelte di vita di un figlio ed è normale star male quando ciò non avviene. Oggi pomeriggio c'è stata l'ennesima discussione e adesso ho un po' di tachicardia perché questa cosa mi fa male. La cosa che più mi fa rabbia è il fatto che mi sento più apprezzata da conoscenti e/o estranei. La gente si complimenta con me, mi dicono che sono in gamba, mi incitano a studiare e mi dicono di continuare ad essere così determinata. Lei invece no.
Seguirò i suoi consigli e proverò a non prendermela così tanto, perché rimanerci male e star male anche fisicamente è soltanto deleterio e non serve a nulla.
La ringrazio nuovamente e le auguro un buon fine settimana.
[#3]
Gentile utente,
1.
quando si mettono al modo figli l'obiettivo è che la famiglia rappresenti una "scuola guida" per riuscire a "guidare" l'automobile della vita come meglio loro aggrada.
Se i figli rimangono in famiglia o in prossimità,
può significare che la scuola guida non ha raggiunto effetti positivi
oppure essi (i figli) sono stati bocciati o nella teoria o nella pratica.
2.
Certi genitori faticano ad accettare l'autonomia dei figli,
specie se femmine,
complice anche il fatto del notevole mutamento del ruolo ed identita della donna.
E' avvenuta una cesura generazionale.
3.
E' "naturale" essere più apprezzati dagli estranei che dai genitori: questi ultimi si astengono per non incoraggiare l'autostima
perchè invoglierebbe il distanziamento.
Sia forte, se desidera l'autonomia.
Ce la può fare.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
1.
quando si mettono al modo figli l'obiettivo è che la famiglia rappresenti una "scuola guida" per riuscire a "guidare" l'automobile della vita come meglio loro aggrada.
Se i figli rimangono in famiglia o in prossimità,
può significare che la scuola guida non ha raggiunto effetti positivi
oppure essi (i figli) sono stati bocciati o nella teoria o nella pratica.
2.
Certi genitori faticano ad accettare l'autonomia dei figli,
specie se femmine,
complice anche il fatto del notevole mutamento del ruolo ed identita della donna.
E' avvenuta una cesura generazionale.
3.
E' "naturale" essere più apprezzati dagli estranei che dai genitori: questi ultimi si astengono per non incoraggiare l'autostima
perchè invoglierebbe il distanziamento.
Sia forte, se desidera l'autonomia.
Ce la può fare.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 3k visite dal 24/11/2018.
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